El tenis como experiencia religiosa / On Tennis

by David Foster Wallace

Escritos con el corazón en la mano y con un entusiasmo contagioso, estos ensayos nos muestran la belleza, complejidad, perfección, brillantez y exigencia del deporte preferido de Wallace.


«La belleza humana de la que hablamos aquí es de un tipo muy concreto; se puede llamar belleza cinética. Su poder y su atractivo son universales. No tiene nada que ver ni con el sexo ni con las normas culturales. Con lo que tiene que ver en realidad es con la reconciliación de los seres humanos con el hecho de tener cuerpo.»

David Foster Wallace fue en su juventud un avezado jugador de tenis y durante un tiempo llegó a plantearse incluso la posibilidad de inscribirse en el circuito profesional de su país. No es extraño, por consiguiente, que dedicara al deporte de la raqueta tantos textos a lo largo de su vida.

Escritos con la pasión desbordada y el entusiasmo contagioso tan propios de Foster Wallace, en los dos estupendos artículos que reunimos en este volumen, publicados en 1996 y 2006, nos asomamos a los entresijos del US Open y asistimos a la rivalidad entre Roger Federer y Rafa Nadal, dos tenistas con personalidades y formas de jugar opuestas.

La opinión de la crítica:
«Estos ensayos nos recuerdan el arsenal de talento de Foster Wallace: su incansable ojo para encontrar el nudo central de una historia y contarla, su capacidad para transmitir la verdad física o emocional de las cosas con un par de rápidos movimientos de muñeca, y su capacidad para saltar de lo mundano a lo metafísico con una velocidad y una pasión deslumbrantes.»
Michiko Kakutani, The New York Times

«Uno de los mejores escritores de nuestro tiempo [...]. Si nunca has leído a David Foster Wallace, su magistral estudio de Roger Federer incluido en esta antología es ideal para empezar.»
Steph Opitz, Marie Claire


English description:

David Foster Wallace's extraordinary writing on tennis, collected for the first time in an exclusive digital-original edition.

A "long-time rabid fan of tennis," and a regionally ranked tennis player in his youth, David Foster Wallace wrote about the game like no one else. ON TENNIS presents David Foster Wallace's five essays on the sport, published between 1990 and 2006, and hailed as some of the greatest and most innovative sports writing of our time.

This lively and entertaining collection begins with Wallace's own experience as a prodigious tennis player ("Derivative Sport in Tornado Alley"). He also challenges the sports memoir genre ("How Tracy Austen Broke My Heart"), takes us to the US Open ("Democracy and Commerce at the U.S. Open"), and profiles of two of the world's greatest tennis players ("Tennis Player Michael Joyce's Professional Artistry as a Paradigm of Certain Stuff About Choice, Freedom, Limitation, Joy, Grotesquerie, and Human Completeness" and "Federer Both Flesh and Not"). With infectious enthusiasm and enormous heart, Wallace's writing shows us the beauty, complexity, and brilliance of the game he loved best.

Genres: Nonfiction, Americana, Sports, The United States Of America, Ebooks, American, Essays

112 pages, Paperback

First published August 20, 2006

About the author

David Foster Wallace was an acclaimed American writer known for his fiction, nonfiction, and critical essays that explored the complexities of consciousness, irony, and the human condition. Widely regarded as one of the most innovative literary voices of his generation, Wallace is perhaps best known for his 1996 novel Infinite Jest, which was listed by Time magazine as one of the 100 best English-language novels published between 1923 and 2005. His unfinished final novel, The Pale King, was published posthumously in 2011 and was a finalist for the Pulitzer Prize.
Born in Ithaca, New York, Wallace was raised in Illinois, where he excelled as both a student and a junior tennis player—a sport he later wrote about with sharp insight and humor. He earned degrees in English and philosophy from Amherst College, then completed an MFA in creative writing at the University of Arizona. His early academic work in logic and philosophy informed much of his writing, particularly in his blending of analytical depth with emotional complexity.
Wallace’s first novel, The Broom of the System (1987), established his reputation as a fresh literary talent. Over the next two decades, he published widely in prestigious journals and magazines, producing short stories, essays, and book reviews that earned him critical acclaim. His work was characterized by linguistic virtuosity, inventive structure, and a deep concern for moral and existential questions. In addition to fiction, he tackled topics ranging from tennis and state fairs to cruise ships, politics, and the ethics of food consumption.
Beyond his literary achievements, Wallace had a significant academic career, teaching literature and writing at Emerson College, Illinois State University, and Pomona College. He was known for his intense engagement with students and commitment to teaching.
Wallace struggled with depression and addiction for much of his adult life, and he was hospitalized multiple times. He died by suicide in 2008 at the age of 46. In the years since his death, his influence has continued to grow, inspiring scholars, conferences, and a dedicated readership. However, his legacy is complicated by posthumous revelations of abusive behavior, particularly during his relationship with writer Mary Karr, which has led to ongoing debate within literary and academic communities.
His distinctive voice—by turns cerebral, comic, and compassionate—remains a defining force in contemporary literature. Wallace once described fiction as a way of making readers feel "less alone inside," and it is that emotional resonance, alongside his formal daring, that continues to define his place in American letters.

Reviews

[Orsodimondo · Rating 4 out of 5]

MOZART FEATURING METALLICA



56 pagine con le note separate dal testo, messe in coda (proprio con DFW! Ma come si fa?!), carattere corpo 13: insomma, un'edizione sòla.

Se non che si tratta di DFW e la delizia è assicurata: mentre spiega e dimostra che qualsiasi sport praticato ad alto livello diventa una sede privilegiata per l'espressione della bellezza umana, DFW produce bellezza.
Federer, il più grande tennista di tutti i tempi, è l'unione perfetta di Mozart e dei Metallica, una squisita armonia.



Ma la vera magia, l'autentico miracolo è che per circa un'ora, il tempo di lettura di questo libretto, anch'io mi sono sentito in campo, mi sono sentito Federer, ho visto solo la palla e non la velocità della palla, solo la bellezza e il genio di DFW e nient'altro.

PS
Non ho capito se l’intervento di Baricco su Robinson di Repubblica odierno sia un tentativo di misurarsi con Federer o con DFW.
http://www.repubblica.it/cultura/2017...

Tuttavia, adesso che anche Baricco ci ha regalato le sue riflessioni sul tennista svizzero, considerato che DFW già da tempo non è più tra noi, penso che l’inevitabile conseguenza debba essere il ritiro definitivo di Federer dai campi da tennis: non ha più nulla da dire, il divino Alessandro ha espresso tutto.
Oltre tutto.

[piperitapitta · Rating 4 out of 5]

Ad libitum!

Credo che leggere David Foster Wallace quando scrive di tennis sia un piacere infinito.
Contiene due saggi:
«Roger Federer come esperienza religiosa», (per chi come me l'ha letto ma non è in possesso di una copia fisica!)
e
«Democrazia e commercio agli US Open».

«Ogni singolo luogo e strumento legato a manifestazioni professionistiche riporta qualche tipo di pubblicità. Perfino i nomi ufficiali di quasi tutti i tornei professionistici sono quelli delle aziende che hanno ottenuto il titolo di sponsor ufficiale: gli Open canadesi quest'anno erano gli «Open du Maurier Ltd.» (dal produttore di sigarette canadese), a Monaco erano gli «Open Bmw», a New Haven erano i «Volvo International» (nel '96 saranno i «Pilot Pen International»), a Cincinnati i «Campionati Thriftway Atp» e via dicendo.»
In poche parole, in nuce, o forse nemmeno tanto (l'articolo apparso su 'Tennis' precede di solo un anno la pubblicazione del romanzo di DFW) l'idea di ambientare Infinite Jest in un'epoca nella quale ad ogni anno del calendario corrispondeva uno sponsor pubblicitario.
[Roger Federer come esperienza religiosa - commento del 10/12/2011]

«Sembrava di vedere Matrix»

Qualche settimana fa leggevo il commento della mia amica @millericcioli a Come diventare se stessi, il libro intervista di David Lipsky a David Foster Wallace, realizzato "on-the-road" alcuni anni prima del suo suicidio.
Avevo lasciato sospeso nell'aria il suo interrogativo finale: "Come può un suicida suggerirmi come diventare me stessa?".
La risposta l'ho appena avuta dalle pagine di "A", il settimanale femminile, l'ex Anna a sua volta ex "Annabella" - incredibile a dirsi ma c'è da imparare da tutto, anche da un settimanale femminile come "A", basta aver occhi per leggere e scoprire - tramite Mario Giordano che, a sua volta, cita Pavese in un breve articolo in cui ricorda Lucio Magri, anch'egli morto, in un certo senso, suicida.
Pavese, Magri, Wallace, tre vite, tre diverse scelte di morte, eppure persone che hanno vissuto intensamente.
La risposta, dicevo, eccola qua: «L'unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere, perché vivere è cominciare sempre ad ogni istante».

Cosa c'entra tutto questo con Roger Federer come esperienza religiosa? Tutto, e forse anche niente, è solo che ogni volta che leggo qualcosa di David Foster Wallace mi si spalanca un mondo davanti ed inizio a vedere le cose con quello sguardo laterale e completamente trasversale con cui lui guardava e raccontava le cose. Come quando per descrivere l'ascesa all'Olimpo del tennis di Federer scriveva «Ci sono tre spiegazioni valide per l'ascesa di Federer. La prima ha a che vedere con il mistero e la metafisica ed, è a mio avviso, la più vicina alla verità. Le altre sono più tecniche e funzionano meglio come giornalismo.
La spiegazione metafisica è che Roger Federer è uno di quei rari atleti preternaturali che sembrano dispensati, almeno in parte, da certe leggi della fisica. Di questa categoria fanno parte Michael Jordan, che non solo saltava altezze disumane ma riusciva anche a rimanervi sospeso per una o due battute in più di quanto consenta la gravità, e Muhammad Alì, che letteralmente «fluttuava» sul ring e nel lasso di tempo necessario ad assestare un jab riusciva a piazzarne il triplo.
[...] La palla in avvicinamento resta sospesa in aria, per lui, una frazione di secondo in più di quanto dovrebbe. I suoi movimenti sono sciolti invece che possenti.»
E allora mi dico che sì, quest'uomo, nonostante tutto, o forse proprio malgrado quel tutto, può suggerirmi davvero un sacco di cose per diventare me stessa, perché il suo sguardo sul mondo è uno sguardo vivo, curioso, critico, terrorizzato, ma anche innamorato.

Avrei voluto scrivere molte altre cose, della centralità del tennis, simbolo dell'agonismo, nella letteratura di DFW, che sia reportage come in Roger Federer, romanzo come in Infinite Jest" o saggio come in Tennis Tv Trigonometria e Tornado" (le pagine più belle che abbia letto finora sono quelle in cui in questo saggio, a tratti esilarante, descrive la sua esperienza diretta su un campo di tennis durante l'arrivo di un tornado: non posso raccontarla, è da leggere!), della sua innata capacità di lasciare il lettore sospeso tra le parole, proprio come Michael Jordan con il basket, Muhmmad Alì nel ring o lo stesso Federer nel colpire la pallina, proprio come in Matrix, come scrive lui stesso proprio all'inizio di questo articolo «Sembrava di vedere Matrix. Non mi ricordo il genere di suoni emessi, ma mia moglie dice che quando è entrata in stanza il divano era coperto di popcorn e io ero in ginocchio, con i bulbi oculari tipo quelli dei negozi di scherzi».
Non sono arrivata a tanto, ancora no, niente popcorn o bulbi oculari strabuzzati, ma sarei pronta a giurare che quando leggo DFW, spesso, parlo rido e commento da sola. E poi, quasi sempre, mi commuovo al pensiero di tutto quello che abbiamo perso.

Se "qualcuno" non me l'avesse prestato io non l'avrei mai potuto leggere perché questo libercolo (8,50 € per poco meno di sessanta pagine) è ormai introvabile (Edizioni Casagrande e su, ristampatelo, almeno vi arricchite che quando vi ricapita un'occasione così?), quindi il mio senso di gratitudine nei confronti di "qualcuno" è immenso :-)

[G · Rating 3 out of 5]

Nice essays on tennis. David Foster Wallace shared his smart impressions and his smarter thoughts about the US Open of 1995 and 2005. These championships are business. However, the esthetic experience might defeat the market. A strange mixture of strength, speed, precision, and intuition may derive in some kind of religious experience that combines physical and metaphysical elements according to Foster Wallace. Somehow, the exaggerations, malicious comments, and footnotes abuse by Foster Wallace made these essays less interesting. A couple of Greek players are not enough to suggest analogies with the Peloponnesian War. The neurotic rituals of Federer and Nadal are not really funny. And the footnotes inside other footnotes that may be better included in the main text are tedious. In the same sense, the quality of these essays in the context of current cultural studies is poor. After Walter Benjamin, Max Horkheimer, Theodor Adorno, and the Frankfurter Schule, the journalistic essays concerned with social phenomena need to be really sharp and thorough. However, Foster Wallace had a strong instinct of beauty. His melancholic intelligence flows free in this book.

[Ubik 2.0 · Rating 4 out of 5]

Smash!

E’ un luogo comune ribadire che, di qualsiasi argomento David Foster Wallace tratti, suscita sempre pieno coinvolgimento anche in chi che non sia particolarmente interessato alla materia. E’ un luogo comune ma è vero.

Confesso che il tennis è uno sport che non ha mai stimolato la mia passione, ne conosco le regole, l’ho anche giochicchiato da ragazzo, ma quando capito su una partita televisiva resisto a malapena per un game prima di distrarmi e occuparmi di altro.

Ma basta che Wallace vi dedichi le sue elucubrazioni, le sue riflessioni, il suo sguardo originale e il suo stile inconfondibile per mostrarmi tutto sotto una luce diversa e ben più intensa, carica di potenzialità, densa di significati su cui non avevo mai riflettuto a sufficienza. Come sempre accade, inevitabilmente, da parte di un autore che in passato è riuscito a incuriosirmi perfino alla Fiera del bestiame dell’Illinois!

In questo breve saggio si va dalle considerazioni sul tennis giovanile (cui DFW in persona si è dedicato, dicono con promettenti risultati ma, per nostra fortuna, preferendo ben presto applicarsi ad altra attività…) a vere e proprie cronache dettagliate di un singolo prolungato scambio fra il protagonista del libro e il suo antagonista più celebre, Rafa Nadal, dove ogni movimento del corpo degli atleti e tutte le evoluzioni della pallina sono seguite dando l’impressione di trovarsi sulle gradinate del campo Centrale degli US Open, ruotando ritmicamente la testa da un lato all’altro per seguirne le straordinarie traiettorie.

La bellezza dietro le apparenze di un semplice avvenimento sportivo viene svelata da Wallace che fra le altre cose ci comunica quanto, vista dal vero, appaia quasi irreale (cita “Matrix” a un certo punto…) la velocità con cui la pallina attraversa il campo e individua una delle principali caratteristiche che configurano il talento dei grandi tennisti e in primis di Federer, un elemento di cui ignoravo il termine: Il “senso cinestesico” che è “la capacità di controllare il corpo e le sue estensioni artificiali attraverso sistemi di funzioni complesse ed estremamente rapide”. Una qualità che i grandi tennisti possiedono in misura estrema rispetto ai comuni mortali e che sviluppano ulteriormente in anni di allenamento continuativo.

Ma bando ai tecnicismi: il carattere di Federer, i rituali di Wimbledon, i riferimenti alla lunga e spietata selezione cui sono sottoposti gli adolescenti delle categorie giovanili sono alcuni degli spunti in cui si dispiega al meglio la capacità di Wallace di trattare un sistema (nella fattispecie il mondo del tennis) appassionandoci ben al di là delle nostre aspettative, col chè si ritorna al luogo comune iniziale.

[piperitapitta · Rating 4 out of 5]

«Sembrava di vedere Matrix»

Qualche settimana fa leggevo il commento della mia amica @millericcioli a "Come diventare se stessi", il libro intervista di David Lipsky a David Foster Wallace, realizzato "on-the-road" alcuni anni prima del suo suicidio.
Avevo lasciato sospeso nell'aria il suo interrogativo finale: "Come può un suicida suggerirmi come diventare me stessa?".
La risposta l'ho appena avuta dalle pagine di "A", il settimanale femminile, l'ex Anna a sua volta ex "Annabella" - incredibile a dirsi ma c'è da imparare da tutto, anche da un settimanale femminile come "A", basta aver occhi per leggere e scoprire - tramite Mario Giordano che, a sua volta, cita Pavese in un breve articolo in cui ricorda Lucio Magri, anch'egli morto, in un certo senso, suicida. Pavese, Magri, Wallace, tre vite, tre diverse scelte di morte, eppure persone che hanno vissuto intensamente.
La risposta, dicevo, eccola qua: «L'unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere, perché vivere è cominciare sempre ad ogni istante».
Cosa c'entra tutto questo con "Roger Federer come esperienza religiosa"? Tutto, e forse anche niente, è solo che ogni volta che leggo qualcosa di David Foster Wallace mi si spalanca un mondo davanti ed inizio a vedere le cose con quello sguardo laterale e completamente trasversale con cui lui guardava e raccontava le cose. Come quando per descrivere l'ascesa all'Olimpo del tennis di Federer scriveva «Ci sono tre spiegazioni valide per l'ascesa di Federer. La prima ha a che vedere con il mistero e la metafisica ed, è a mio avviso, la più vicina alla verità. Le altre sono più tecniche e funzionano meglio come giornalismo.
La spiegazione metafisica è che Roger Federer è uno di quei rari atleti preternaturali che sembrano dispensati, almeno in parte, da certe leggi della fisica. Di questa categoria fanno parte Michael Jordan, che non solo saltava altezze disumane ma riusciva anche a rimanervi sospeso per una o due battute in più di quanto consenta la gravità, e Muhammad Alì, che letteralmente «fluttuava» sul ring e nel lasso di tempo necessario ad assestare un jab riusciva a piazzarne il triplo.
[...] La palla in avvicinamento resta sospesa in aria, per lui, una frazione di secondo in più di quanto dovrebbe. I suoi movimenti sono sciolti invece che possenti.»
E allora mi dico che sì, quest'uomo, nonostante tutto, o forse proprio malgrado quel tutto, può suggerirmi davvero un sacco di cose per diventare me stessa, perché il suo sguardo sul mondo è uno sguardo vivo, curioso, critico, terrorizzato, ma anche innamorato.
Avrei voluto scrivere molte altre cose, della centralità del tennis, simbolo dell'agonismo, nella letteratura di DFW, che sia reportage come in "Roger Federer", romanzo come in "Infinite Jest" o saggio come in "Tennis Tv Trigonometria e Tornado" (le pagine più belle che abbia letto finora sono quelle in cui in questo saggio, a tratti esilarante, descrive la sua esperienza diretta su un campo di tennis durante l'arrivo di un tornado: non posso raccontarla, è da leggere!), della sua innata capacità di lasciare il lettore sospeso tra le parole, proprio come Michael Jordan con il basket, Muhmmad Alì nel ring o lo stesso Federer nel colpire la pallina, proprio come in Matrix, come scrive lui stesso proprio all'inizio di questo articolo «Sembrava di vedere Matrix. Non mi ricordo il genere di suoni emessi, ma mia moglie dice che quando è entrata in stanza il divano era coperto di popcorn e io ero in ginocchio, con i bulbi oculari tipo quelli dei negozi di scherzi».
Non sono arrivata a tanto, ancora no, niente popcorn o bulbi oculari strabuzzati, ma sarei pronta a giurare che quando leggo DFW, spesso, parlo rido e commento da sola. E poi, quasi sempre, mi commuovo al pensiero di tutto quello che abbiamo perso.
Se "qualcuno" non me l'avesse prestato io non l'avrei mai potuto leggere perché questo libercolo (8,50 € per poco meno di sessanta pagine) è ormai introvabile (Edizioni Casagrande e su, ristampatelo, almeno vi arricchite che quando vi ricapita un'occasione così?), quindi il mio senso di gratitudine nei confronti di "qualcuno" è immenso :-)

[Perejfm · Rating 4 out of 5]

Tengo FOMO de estar en NY y quejarme de los americanos como hace Foster Wallace. La verdad es que es uno de mis autores favoritos llegados a este momento. Sin yo ser el mayor fan del tenis, me encanta como saca a relucir lo más grotesco y bonito dónde otros solo verían cotidianidad.

[Paula · Rating 5 out of 5]

DFW analiza el juego del tenis en dos brillantes reportajes (el primero sobre el US Open y el segundo sobre Federer centrándose en la final de Wimbledon de 2006 en la que jugó contra Nadal). Como experto en el tema intenta diseccionar cada movimiento, cada aspecto tanto visible como no visible (adivinando los movimientos que vendrán después) y dejarlo en pequeños montoncitos que luego va recomponiendo en sus textos de forma que vuelve creyente al más escéptico. Pero lo mejor de todo es que no es necesario saber de tenis para entenderlo, Foster Wallace te lo mastica y traduce a términos que cualquiera puede comprender. 
Y probablemente el lector corra a youtube para buscar ese partido (está ahí, creedme) y poder poner en imágenes reales lo que DFW le ha hecho llegar al cerebro. La precisión de la traducción del juego a las palabras es asombrosa.

[Álvaro Arbonés]

David Foster Wallace es uno de los grandes autores de nuestro tiempo. Eso es indiscutible. Pero no deja de resultar desconcertante que siempre se destaque su obra larga sobre su más contenida obra breve. Desconcertante porque la novela, el género sin límites por excelencia, le da demasiado libertad a su alambicada prosa y su pasión por el detalle obsesivo. Cuando escribe relatos o artículos, cuando debe mantener el control incluso de la extensión de sus notas al pie de página —siempre entre la erudición, el comentario humorístico y el puro destello de genialidad—, es cuando brilla con luz propia. Porque su genialidad radica en la contención. En hacer que cada palabra, cada coma, cada maldito pequeño espacio de más que los editores quieren sabotearle por el bien de sus revistas, sea como el corte exacto de un cirujano en la cima de sus habilidades.

El tenis como experiencia religiosa no deja de ser eso. Wallace observando y haciendo que todo encaja como un puzzle perfecto en el cual hay sólo dos cuestiones principales: cómo el tenis es una suerte de liturgia y cómo, aunque los tradicionalistas crean lo contrario, la esencia del tenis radica en combar los límites de lo posible.

El primero de los aspectos es obvio. Cada vez que habla de los puestos de comida, la diferente separación de las gradas, la ropa que llevan jugadores o asistentes y como toda la ciudad, generalmente despreocupada de los eventos deportivos, se convierte en meca del tenis, lo hace no con el fervor del converso, sino con el interés del antropólogo describiendo con minuciosidad el comportamiento de alguna clase de tribu. De ahí la emanación litúrgica de los acontecimientos. Wallace describe el acontecimiento en sí, todo lo que rodea a los partidos, como una especie de celebración orgiástica donde existen leyes inviolables, prácticamente divinas, que es necesario comprender, aceptar y transigir para entrar en ese reino de los cielos que es la propia liturgia.

De ahí que el segundo aspecto no deje de ser una extensión del primero. En cómo centra su mirada en Roger Federer, en su capacidad para hacer lo imposible y redefinir lo que es el tenis, se da la conceptualización última de esa religiosidad de lo tenístico: se adoran figuras imposibles, capaces de violar las leyes de la física con una facilidad que parece divina.

No se esfuerzan (en apariencia). Apenas sudan (en apariencia). Aguantan horas corriendo, golpeando y alcanzando bolas dirigiéndose de un extremo al otro de la cancha a velocidades más allá de lo humanamente concebible (en apariencia y de facto: fuera de una cancha de tenis es imposible ver un objeto tan pequeño moviéndose con tanta precisión a una velocidad tan absurda). Son héroes, o dioses.

Y en tanto, Wallace escribe con la misma soltura. Hace parecer que sus frases largas, intrincadas, repletas de términos poco usuales y con incisos y muchos desvíos —generalmente en forma de notas al pie, pero no siempre, dado su exquisito gusto para la yuxtaposición y la subordinada precisa—, son gestos tan naturales como los de esos tenistas que, con cada revés o cada medio paso, consiguen hacer parecer que no han hecho nada excepcional, que podría hacerlo cualquiera, hasta que comprobamos que sus cálculos implican hacer tiros de precisión que implican un margen de error de micras.

Porque igual que Federer ve la pelota como si fuera un enorme balón de baloncesto moviéndose muy despacio, Wallace ve las palabras como pequeños destellos emanando de todo aquello cuanto le rodea.

Esa es la única razón por la que nadie ha escrito sobre tenis como Wallace. Porque para escribir sobre una experiencia religiosa hace falta o bien hablar con los términos crípticos de la experiencia misma —transmitiéndola en el propio acto de la palabra; prosetilizando, no retratándola— o bien hacerlo con los términos de esa literatura delicada y certera que parece tocada por los dioses.

A fin de cuentas, leer a David Foster Wallace es, por sí mismo, asistir ante la literatura desplegándose como una experiencia religiosa.

[Valentina · Rating 4 out of 5]

A questo punto il rammarico è che Wallace non sia vissuto abbastanza da veder giocare ai massimi livelli Novak Djokovic o per apprezzare la rivalità del terzo millennio tennistico tra Alcaraz e Sinner.
Avrei pagato oro, tra vent’anni, per leggere un saggio di questo livello sul 2024 di Jannik.

Questo libro si compone di due parti, o saggi, brevissimi ma quanto mai efficaci. Il primo si intitola “Democrazia e commercio agli Us Open” e l’altro (che è la vera gemma di questa mini raccolta) “Roger Federer come esperienza religiosa” che è sostanzialmente una lunga lettera d’amore al campione svizzero, quando ancora però non era la leggenda che noi tutti conosciamo.
Nella fattispecie il focus è sulla finale dei Championship del 2006, contro Nadal (ed è singolare che il destino mi abbia fatto fare questa lettura il giorno stesso in cui Nadal ha annunciato il ritiro dal tennis professionistico… una bella metafora sul tempo che passa e le famigerate certe cose che non cambiano mai, visto che in quella finale Wimbledon del 2006 me la ricordo come se fosse ieri).

Questo è un libro molto tecnico che consiglio solo ed esclusivamente agli appassionati di tennis.
A me è piaciuto moltissimo perché il tennista amatoriale o tifoso vive realmente questo sport come se fosse un’esperienza religiosa, dall’antigrip alla racchetta ai tic dei nostri beniamini.

Il tutto condito dalla ormai ben nota ironia tagliente di
Wallace, che io adoro follemente.

[Mircalla · Rating 5 out of 5]

la lettura come esperienza religiosa


va bene,
DFW è un grande scrittore,
va bene anche il fatto che riesca a farti appassionare a cose di cui mai avresti pensato ti saresti interessato, però quello che non ho mai trovato da nessun'altra parte è lo stile sgembo, quello stile trasversale che parte dalla cronaca sportiva e finisce col parlarti della gente che c'è fuori allo stadio e che si dedica ad attività che nulla hanno a che vedere con il tennis...
c'è poi il modo superbo in cui usa gli aggettivi e li ricrea all'interno di un resoconto, che è quello di un'esperienza umana condivisa da milioni di persone certo, ma mai così personale come quando chi racconta in realtà reinventa anche la cronaca sportiva, col solo fine di farti fare l'esperienza religiosa dell'aver appena assistito a un miracolo: tu eri là con lui e hai visto Federer battere Agassi, e non sai neanche come fai a saperlo, ma sai che anche a guardarli dal vivo, non sarà mai più così avvicente...

[Daniele · Rating 4 out of 5]

La particolarità di Federer è che è Mozart ed i Metallica allo stesso tempo, e l'armonia è sopraffina.

Di DFW leggerei qualsiasi cosa perché il modo in cui lui ne parla è unico ed inimitabile.

David Foster Wallace è stato il Federer della letteratura di fine millennio.

Il genio non è riproducibile. L’ispirazione, però, è contagiosa e multiforme, e anche soltanto vedere, da vicino, la potenza e l'aggressività rese vulnerabili dalla bellezza significa sentirsi ispirati e (in un modo fugace, mortale) riconciliati.

[Evi * · Rating 4 out of 5]

Chi non ama il tennis prosegua pure avanti, alla prossima recensione.

Il tennis mi piace molto, ci ho anche giocato ed è uno dei rari sport che guardo in TV, mi piace anche David Foster Wallace, naturalmente.
Anche se oggi leggere questo libricino può avere un sapore un po' anacronistico perché la tecnica è andata avanti e Roger Federer non è più il campione del 2006, anno in cui disputò la finale (una delle tante) a Wimbledon, la Cattedrale del tennis mondiale, contro Nadal.
Finale che Wallace definisce un'esperienza quasi religiosa.

Federer e Nadal, due modi di giocare opposti.

La clinica intricata maestria del Nord e il machismo passionale del Sud

Apollo e Dioniso filosoficamente parlando.
Roger Federer è uno di quei rari atleti preternaturali che sembrano dispensati, almeno in parte, da certe leggi della fisica
La velocità con cui colpisce la palla facendo istintivamente ciò che non può essre fatto tramite il normale pensiero cosciente, la sua intelligenza, il suo senso del campo, l'intuizione tattica, la sua visione periferica.

Federer è Mozart e i Metallica (chi c...o sono?) allo stesso tempo, armonia squisita.

Wallace analizza la finale quasi da cronista ma in fondo non è questo l'importante, perché il tennis questo "gioco di centimetri" è uno sport che genera riflessioni quasi metafisiche che vanno al di là del suo essere sport in sé, se poi il tema esce dalla penna di un genio come Wallace ne viene fuori il solito gioiellino, 32 pagine, non di più in due ore e lo fai fuori.

Queste poi sono piccole considerazioni che questo pamphlet mi ha stimolato.
E perché no? Lo sport elevato a ottava arte, produce una forma di bellezza umana di un corpo in movimento, una bellezza cinetica, che però non è mai fine a se stessa (come potrebbe esserlo un quadro astratto) ma tende sempre ad un risultato oggettivo (una vittoria, un punto, un nuovo record).
E la danza su ghiaccio nel pattinaggio artistico, non è anch'essa forse arte? C'è la tecnica, certamente, ma c'è anche la musica, una coreografia, la danza, dei costumi, c'è un'idea una interpretazione del tema musicale, per chi ritiene che l'arte debba veicolare un messaggio, espressione di qualcosa.

Piccola ultima considerazione: ogni volta che mi capita di leggere qualcosa di Wallace mi viene rabbia, quanto talento sprecato.
Oggi un David Foster Wallace su che cosa avrebbe scritto? Su cosa il suo sguardo geniale, sensibile, lucido, radiografico, empatico ma anche dolcissimo si sarebbe posato? Leggete la sua raccolta Questa è l'acqua, e ne sarete inondati, dalla sua dolcezza.
Una voce che manca, in mezzo a questo continuo strepitio di oche starnazzanti.
Ma poi, chissà, forse stai meglio dove stai.

E dimenticavo, forza Matteo (Berrettini)

[Marcello S · Rating 3 out of 5]

In 89 pagine, con spaziatura comoda, ci stanno due saggi/articoli più la postfazione di Luca Briasco.

(1) Democrazia e commercio agli US Open / Sampras vs Philippoussis agli US Open, nel 1995. Più costume e note di colore che analisi di gioco. Qualche pagina carina ma forse non imperdibile.

(2) Federer come esperienza religiosa / Federer vs Nadal a Wimbledon, nel 2005. Questo è davvero bello. C’è una passione (e una conoscenza) smisurata per il tennis. La scrittura è quella che sapete, bella ricca e grondante informazioni.

Consigliato solo ai fanatici di DFW. [69/100]

Federer va incontro alla palla e stavolta tira un rovescio incrociato di tutt'altro tipo, molto più corto e angolato, un'angolazione totalmente inattesa, talmente carico d’effetto che la palla si sfoca, arriva corta e appena dentro la linea laterale e schizza via subito dopo il rimbalzo, e Nadal non ha modo di avvicinarsi per smorzarla né di prenderla lateralmente da fondocampo tanto è angolata e a effetto: punto. È un colpo vincente spettacolare un “Momento Federer”; ma, a guardarlo dal vivo, si capisce anche che Federer ha cominciato a costruirlo quattro se non cinque tiri prima. Dopo quella prima palla tagliata sul lungolinea, lo svizzero ha concepito ogni cosa in modo da manovrare Nadal, ammansirlo e poi spezzargli il ritmo e l'equilibrio aprendosi quest'ultimo, impensabile angolo, un angolo che sarebbe stato inconcepibile senza un topspin estremo.

[Gustavo Lozano · Rating 4 out of 5]

DFW puede escribir sobre cualquier cosa y te convencerá de que está describiendo el paraíso.

[Marco Tamborrino · Rating 5 out of 5]

"Se tra quegli juniores ci fosse un novello Federer non è dato sapere. Il genio non è riproducibile. L'ispirazione, però, è contagiosa, e multiforme, e anche soltanto vedere, da vicini, la potenza e l'aggressività rese vulnerabili dalla bellezza significa sentirsi ispirati e (in modo fugace, mortale) riconciliati."

Leggere David Foster Wallace che parla di tennis è estremamente rilassante e, da un certo punto di vista, anche estremamente dolce. Lui parla del tennis come del suo più caro amico. Non lo riempie di complimenti, semplicemente ne piega la volontà e la riporta a noi. Ne apre il guscio e ci fa vedere l'anima che c'è dentro. È semplice sensibilità umana. E DWF ne è particolarmente dotato. Il modo in cui illustra il gioco di Federer è illuminante. A lettura ultimata, avevo voglia di prendere una racchetta (e non so nemmeno in che modo si tenga in mano) e andare di corsa a giocare a tennis da qualche parte. Il tennis per DFW è lo sport più bello. Lo sport dove la bellezza umana, anche fisica, riesce a dare il meglio di sé.

[El Buscalibros | elbuscalibros.com · Rating 4 out of 5]

Sé que siempre asociaré la lectura de este maravilloso libro a una tarde de junio en mi jardín tirada en un balancín leyendo. Asociaré el ingenio, la inteligencia (que no son lo mismo), la ironía, la cultura, la mala leche y la maravillosa escritura de David Foster Wallace al olor a verano, a brisa de tarde, a pantalón corto y pies descalzos.

El tenis como experiencia religiosa es un breve volumen, editado por Literatura Random House, que recoge dos artículos sobre tenis que David Foster Wallace publicó en la revista Tenis en 1996 y en el New York Times en 2006. En el primero de ellos pasamos el día en una jornada del Open de Estados Unidos. Juegan Sampras y Philippoussis, pero eso es lo de menos. Foster Wallace nos habla de tenis, de comida rápida, de ricos, de pobres, de sobornos, chantajes, olores, bebidas, precios… de absolutamente todo. No te lo cuenta, estás allí con él disfrutando de su ingenio, su sentido del humor y su cabeza, una cabeza privilegiada y un poco desequilibrada. Y te ríes a carcajadas.

LA RESEÑA SIGUE AQUÍ: https://elbuscalibros.com/tenis-david...

[Lovely Andy · Rating 5 out of 5]

A una seconda lettura, cambio il mio giudizio! Ma questo libricciolo è bellissimo! come ho fatto a non accorgermene prima?

EDIT: e confermo le 5 stelle anche alla terza rilettura! DFW un grande, e pure il tizio che ha scritto la terza parte, ogni volta che la rileggo mi si aprono nuovi orizzonti metafisici 🤣

[Rubén · Rating 4 out of 5]

Nunca pensé que me interesaría por el tenis. En una parte menciona al Chino Ríos (?) Me gusta cómo desde algo tan trivial como un completo con chucrut dispara una meditación sobre la vida. Aún no leo Infinite Jest.

[marcela]

Dos citas:

1.
La belleza no es la meta de los deportes de competición, y sin embargo los deportes de élite son un vehículo perfecto para la expresión de la belleza humana. La relación que guardan ambas cosas entre sí viene a ser un poco como la que hay entre la valentía y la guerra.
La belleza humana de la que hablamos aquí es de un tipo muy concreto; se puede llamar belleza cinética. Su poder y su atractivo son universales. No tiene nada que ver ni con el sexo ni con las normas culturales. Con lo que tiene que ver en realidad es con la reconciliación de los seres humanos con el hecho de tener cuerpo[1].
Por supuesto, en los deportes masculinos nadie habla nunca de belleza, ni de elegancia, ni del cuerpo. Los hombres pueden profesar su «amor» al deporte, pero ese amor siempre se tiene que proyectar y representar con la simbología de la guerra: la oposición entre avanzar y ser eliminado, la jerarquía del rango y del estatus, las estadísticas obsesivas y el análisis técnico, el fervor tribal y/o nacionalista, los uniformes, el ruido de las masas, los estandartes, el entrechocar los pechos, el pintarse la cara, etcétera. Por razones que resultan difíciles de entender, a muchos de nosotros los códigos de la guerra nos resultan más seguros que lo del amor.

[1] Tener cuerpo presenta muchos inconvenientes. Si esto no es lo bastante obvio como para que a nadie le hagan falta ejemplos, limitémonos a mencionar rápidamente el dolor, las llagas, los malos olores, las náuseas, el envejecimiento, la fuerza de la gravedad, la sepsis, la torpeza, la enfermedad y las limitaciones físicas: todos y cada uno de los cismas entre nuestra voluntad física y nuestra capacidad real. ¿Acaso alguien duda de que necesitemos ayuda para reconciliarnos con la corporalidad? ¿Que la ansiemos? Al fin y al cabo, el que se muere es el cuerpo.
Tener cuerpo también presenta ventajas maravillosas, simplemente se trata de ventajas que cuestan mucho más de sentir y apreciar a tiempo real. A la manera de ciertas epifanías sensuales culminantes y escasas («¡Me alegro mucho de tener ojos para poder ver esta salida del sol!», etcétera), los grandes atletas parecen catalizar nuestra conciencia de lo glorioso que es tocar y percibir, movernos por el espacio e interactuar de la materia. Cierto, los grandes atletas son capaces de hacer con sus cuerpos cosas que los demás solo podemos soñar con hacer. Pero se trata de unos sueños importantes, que compensan muchas cosas.

2.
La genialidad no se puede reproducir. La inspiración, sin embargo, es contagiosa y multiforme; y el mero hecho de presenciar de cerca cómo la potencia y la agresividad se hacen vulnerables a la belleza equivale a sentirse inspirado y (de una forma fugaz y mortal) reconciliado.

[EMILIO SCUTTI · Rating 5 out of 5]

Scritto nel settembre del 2006 questo saggio è uno dei cinque che DFW ha scritto nella sua carriera ed è come gli altri dedicati al tennis e non solo sempre il tennis sarà al centro della sua grande monumentale opera infinite jest. Si potrebbe parafrasare il titolo di libro per descrivere la lettura delle opere di DFW in “la letteratura come esperienza religiosa “ perché leggerlo ci porta ai confini di un qualche cosa che se non è sacro, mistico poco ci manca. DFW ci porta sui campi da tennis dagli us open a Wimbledon, lui stesso buon giocatore di tennis e quasi di livello professionistico riesce a descrivere raccontare il tennis con freddezza con tecnicismo ma anche con tanta ironia spesso allargando lo sguardo sulla vita fuori dentro ed intorno alla società ed al mondo di questo sport.

[Javier Andrés · Rating 4 out of 5]

Tremendo!

[Maite · Rating 5 out of 5]

me siento inspirada y reconciliada con la vida: leer esto ha sido efectivamente la experiencia religiosa que dfw promete que se tiene viendo a Federer jugar

[Luis García Vela · Rating 4 out of 5]

"Sampras le da a la pelota con esa economía despreocupada (...) serena de que hacen gala las criaturas que están en lo más alto de la cadena alimentaria". "Sampras parece casi frágil, cerebral, poeta, al mismo tiempo sabio y triste, cansado de esa forma en que sólo se cansan las democracias". "La belleza no es la meta de los deportes de competición, y sin embargo los deportes de élite son un vehículo perfecto para la expresión de la belleza humana". "Por razones que resultan difíciles de entender, a muchos de nosotros los códigos de la guerra nos resultan más seguros que los del amor". "El drive de Federer es un tremendo latigazo fluido". "El mero hecho de presenciar de cerca cómo la potencia y la agresividad se hacen vulnerables a la belleza equivale a sentirse inspirado (y de una manera fugaz y mortal) reconciliado".

Simplemente Foster Wallace es lo más parecido a un semidiós que parirán las tierras norteamericanas. Qué manera de describir. Es un maestro de la descripción. "Federer en cuerpo y en lo otro" es un ensayico que se lee en seguida y he de confesar que lo he disfrutado mucho muchísimo: no hacía falta conocer los puntos y los hechos de que hablaba porque describe tan bien que es que literalmente los ves; el ensayo más preciso que he leído en mucho tiempo. "Democracia y comercio en el Open de Estados Unidos" más flojete, porque es simplemente descripción del ambiente del Open: la división social, los trapicheos etc. Cuatro estrellas porque el de Federer me ha encantado y el otro es ameno

[Pollo · Rating 4 out of 5]

No sé nada de tenis y nunca había leído a Foster Wallace. Y a pesar de eso este libro me ha gustado porque tiene elegancia y gracia, a diferencia del libro sobre fútbol que leí ayer. Metáforas agradables, descripciones acertadas, buen manejo del lenguaje y hasta pies de páginas -algunos-simpáticos. Esa es la distancia entre las ciencias sociales y la literatura. O entre un deportista de élite y el resto de los mortales. Dos artículos sobre distintas finales, épocas y personas: el US Open 1995 y Wimbledon 2006, Pete Sampras y Roger Federer, aunque a ambos los compara con una anguila (págs. 25 y 80). O escuchar y ser, a la vez, Mozart y Metallica.

[Lucas Sierra · Rating 3 out of 5]

Apuntes para una poética (Comentario, 2022)

La belleza de estos dos ensayos/crónicas está tanto en el lenguaje (a mí el intrincado palabrería de Foster Wallace me gusta) como en la pasión de la mirada. Transmitir la pasión por algo es difícil, hacerlo por escrito es difícil. Siento que acá se logra. Yo, que en mi vida había visto medio partido de tenis, me sorprendí buscando en YouTube algunos de los más icónicos de Roger Federer.

Hay un momento en el que Foster Wallace afirma que la belleza en los deportes de alto rendimiento es casi un accidente, una forma de lo humano en su expresión límite. Su postulado es griego, aristotélico, aunque en su poética Aristóteles no hace apuntes sobre el deporte con suficiente profundidad. Pero ahí está: peripecia, reconocimiento, lance patético, catarsis. Mirado con atención un partido puede ser una tragedia.

Y no necesariamente tiene que ser un partido del Medellín. Puede ser uno de tenis.

[mela✨ · Rating 4 out of 5]

Solo un autore straordinario come David Foster Wallace può restituire la magia del tennis su carta.
Un must per tutti gli amanti di questo sport.

[vea · Rating 5 out of 5]

progresión temática demasiado buena, pese a que el tema no me interese una mierda. tremendo, sí.

[Mientras Leo · Rating 5 out of 5]

Siempre es un placer leer a DFW

http://entremontonesdelibros.blogspot...

[Mariano Cascio · Rating 5 out of 5]

Quienes hemos jugado el deporte, esperando esos fines de semana para jugar los inter-countries y/o inter-clubs, quienes hemos vivido detrás de la pantalla (o con un poco de suerte, pudiendo asistir al evento) todos los master mil del año y los cuatro slams- el presente artículo de DFW nos hace romper en llanto.

Federer encarna virtudes como la habilidad pura, el talento, la artesanía, y estas se reflejan tanto en su persona como en la forma en que se comporta y, más fundamentalmente, en la forma en que juega al tenis. El juego de Federer es en gran medida un diálogo con el pasado del tenis. Ves algo de la suavidad de Borg alrededor de la cancha, el servicio explosivo de Sampras, un poco de Laver. Tomó elementos del viejo estilo y encima de eso superpuso un juego de línea de base con un topspin nunca antes visto.

Somos muy afortunados de presenciar y disfrutar de los tres mejores tenistas del mundo al mismo tiempo. Siento que es hora de que todos dejemos de buscar, evaluar y comparar quién es, en última instancia, el mejor de todos los tiempos.

[Marcos · Rating 4 out of 5]

No se por qué pero me encanta el estilo de Foster Wallace.

El primero de los dos ensayos recogidos en este libro habla sobre el tenis y el capitalismo. Pero, al contrario de lo que cabría esperar ni se menciona el libre mercado ni la "mano invisible" ni nada del estilo. Al revés, este ensayo no es más que una descripción bastante objetiva pero extremadamente detallada de todo el aspecto comercial de un evento de tenis. Se describen las tiendas que rodean los estadios, su disposición, sus estrategias de marketing, sus patrocinios, algunos trapicheos, la publicidad, los flujos de gente, los negocios no demasiado legales que surgen en torno a estos eventos... Me encanta que utilice una descripción tan específica para hacerte reflexionar sobre un sistema tan global.

El otro ensayo explota el aspecto más estético del tenis, con descripciones igualmente detalladas, pero esta vez hablando de los estilos de juego de diferentes jugadores. Jamás creí que alguien podría fijarse hasta ese nivel de detalle en cómo la pelota golpea la raqueta, rebota y vuelve a salir disparada.

Entiendo que es un estilo de escritura muy peculiar que tiene que engancharte, pero definitivamente yo voy a seguir leyendo cosas de Foster Wallace, a ver qué más encuentro .