Fuori dalla consueta diatriba Cantautori vs. Sanremo e Rock italiano vs. Musica leggera, Superonda è il racconto di quelle musiche che tra 1964 e 1976 riuscirono a sviluppare linguaggi originali e in grado per una volta di proiettare la musica italiana all’estero, esercitando una sotterranea influenza sul mondo dell’elettronica, del rock alternativo, e delle musiche sperimentali. Un percorso accidentato in cui le vicende di future icone nazionali come Ennio Morricone, Franco Battiato e Area si mescolano a quelle di artisti convertiti al rock come Mario Schifano, in cui l’avanguardia di Berio e Maderna dialoga a distanza con la musica su commissione dei Goblin e delle sonorizzazioni Rai, e in cui i fermenti della cultura underground fanno da sponda a colonne sonore per film di serie B, revivalismi folk e free jazz militante, per arrivare al Lucio Battisti di «Anima latina». Sullo sfondo, la nascita di un immaginario italiano fatto di spaghetti western e bottiglie molotov, gialli alla Dario Argento e avanguardie radicali, riviste di controcultura e sceneggiati di fantascienza, comuni freak ed espropri proletari.
un libro così serviva: dopo decenni di libri sul prog italiano che stavano a metà tra il "formidabili quegli anni" (persino quando sono preziosissime raccolte di documenti d'epoca, come i due volumi di "rock progressivo italiano" di francesco mirenzi) e l'elenco dettagliato di uscite perfetto per la want list di collezionisti in fregola di fare celo/manca con qualsiasi disco uscito negli anni '70 (compresi cantautori o gruppi simil-pooh che di prog, psichedelia o semplicemente "rock" non avevano nulla) magari con tanto di segnalazione sulla reperibilità o meno del disco in oggetto, "superonda" traccia una storia dell'underground musicale italiano diversa. si va dagli anni del boom a quel "parco lambro 76" che volenti o nolenti chiuse per sempre una pagina della cultura, della società e della politica italiana (il famoso "68 durato 10 anni"), contestualizzandone le vicende parlando anche di cinema, r.a.i. (sia radio che tv), architettura e arte e finalmente sbarazzandosi dell'obbligo di dover sempre e comunque focalizzarsi sui big dell'italoprog per guardarsi intorno e scoprire percorsi geniali, inediti o semplicemente curiosi anche fuori dalla storiografia ufficiale della musica rock italiana. ecco quindi che finalmente viene trattata con precisione la storia della library music nazionale, viene affiancato al rock anche quel jazz che in quegli anni ebbe un seguito notevole (e se ne parla senza per forza dover citare solo i progetti più vicini al rock come i pur ottimi perigeo) e viene finalmente studiata per bene tanto l'ala più freak della scena quanto quella più colta e accademica. quello che emerge è il ritratto di un panorama musicale schizofrenico, dove seri studiosi mezza età componevano sotto falso nome dischi di elettronica sperimentale pubblicati in poche copie e usati come insonorizzazioni televisive, jazzisti dal forte background politico potevano contemporaneamente pubblicare dischi seri e dedicati alle cause politiche più diverse e comporre colonne sonore di film di serie z , dove tecniche di marketing "situazioniste" e ricerca musicale potevano coesistere, dove luciano berio alla r.a.i. fa un programma in 12 puntate (in prima serata!) sulla musica contemporanea tralasciando però i minimalisti, che a loro volta troveranno spazio nel bel paese in un ex garage trasformato in raffinata galleria d'arte. è un panorama diverso da quello raccontato dalla storiografia musicale "ufficiale", troppo impegnata di solito a sghignazzare dietro ai nomi o ai titoli più bizzarri dell'italoprog (non che non se lo meritassero, intendiamoci: fu una scena musicale che più di una volta sfiorò il ridicolo involontario) o a ripetere come un mantra le solite cose: la p.f.m. in america e il banco pubblicato dalla manticore, i collezionisti giapponesi che si comprano tutto, le classifiche di "ciao 2001", "ah, i bei tempi i cui i palasport li riempivano gli osanna e i jumbo, non sta roba che c'è adesso", ecc... manca qualcosa? forse avrei aggiunto tra gli oggetti da indagare "astrolabio" dei garybaldi o "incastro" dei madrugada o quello strano "dark side of the moon" in rosa che è "ho scoperto che esisto anch'io" di nada (scritto da piero ciampi), ma sono considerazioni da (ex) collezionista di quella roba, non fateci caso...già solo quello di cui parla questo libro è un mondo musicale che porterà via al lettore ore e ore di ascolti, e che bello non ci sia un elenco di dischi essenziali e brani da sentire assolutamente e che sarebbe diventato giusto l'ennesima "lista della spesa" -o dei download- per lettori pigri e collezionisti compulsivi a cui sembra essersi ridotta non poca critica musicale di questi tempi...
Con decine e decine di manuali già pubblicati sui Settanta musicali italiani, che bisogno c'era di un libro in più, per giunta scritto da uno che - va detto da subito - molta della musica più rappresentativa di quegli anni sostanzialmente non la digerisce? Le seicento pagine di "Superonda" sono una più che valida risposta a questa domanda. Molto più che un semplice bigino italo-prog, "Superonda" è una contro-storia assieme dell'Italia 60-70 e della sua musica. Il suo autore, Valerio Mattioli, una delle punte del giornalismo italiano attuale, afferma in apertura di aver voluto scrivere una "versione italiana" dei celebri "Krautrocksampler" e "Japrocksampler" di Julian Cope, ma che lo volesse o no lo sguardo proposto è ben diverso: più che ai deliranti vaticini del rocker-sciamano, le sue pagine ricordano per stile e ampiezza di analisi le ben più posate opere di Simon Reynolds, "Post-punk" su tutte. L'inquadramento fornito, infatti, è sempre prima culturale e sociologico che estetico-musicale, e non c'è segmento della fitta galassia pop-rock, "contemporanea" o jazzistica che non sia preso in considerazione in relazione al contesto non solo storico-biografico, ma anche cinematografico, politico, mediatico e perfino architettonico in cui si è sviluppato e del quale è stato espressione. Il libro - certosino senza essere didascalico, ricchissimo senza essere sterilmente completista - passa in rassegna stili e stagioni con sguardo ampio e inedito: forse conscio dell'inutilità di ripetere il già detto, spende molte più righe sul fenomeno "Library Music" che sulla carriera di De André (peraltro trattata coi guanti di velluto), guarda a un orizzonte che va dalla più ostica "contemporanea" alle colonne sonore e dai festival pop ai più provvisori scantinati (per ricorrere a una parola più che abusata nel testo) "off-off-off", porta su un palmo di mano non tanto nomi come P.F.M., Banco, De Gregori o Equipe 84, ma Claudio Rocchi e Piero Piccioni, Sensations' Fix, Alvin Curran e Mario Schifano, oltre che - ovviamente, dai - Battiato e Morricone. Traspaiono, tanto dalle selezioni musicali quanto dai termini utilizzati, opinioni e atteggiamenti critici assai lontani da quelli del classico agiografo delle "Magnifiche Sorti e Progressive" dello Spaghetti-prog: l'approccio di Mattioli è assai più incline alla valorizzazione di avanguardismi, freakerie, guazzabugli e impromptu in stile "Nurse With Wound List" che degli ambiziosi affreschi di formazioni come quelle Locande delle Fate (manco citata), Opus Avantra e Pholas Dactylus (menzionati solo per dileggiarli) che generalmente riempiono i manuali sugli "imperdibili" dell'epoca. E' una fortuna che la prospettiva offerta da Mattioli sia così ricca e documentata, e che la sua prosa sia tanto scorrevole (quando non in senso stretto avvincente): fosse un'opera fruibile soltanto da chi condivide il suo punto di vista eterodosso, l'autore si troverebbe probabilmente con un pubblico assai sparuto. Grazie al livello di dettaglio offerto dalle ricostruzioni, all'ampiezza del quadro "allargato" presentato e alle notevoli abilità "mimetiche" del narratore (anche in questo agli antipodi dell'onnipresente e smisurato Ego di un Cope), l'opera è in grado di affascinare e portare "sulla sua cattiva strada" anche lettori di salda ortodossia progressiva. Il sottoscritto - per portare un esempio - in più di un caso si è affrettato, suggestionato dalle descrizioni, a impossessarsi di questo o quell'altro disco citato, dovendo poi scontrarsi con la peraltro intuibile dura realtà che a lui, quella roba lì, non piace e probabilmente non piacerà finché campa. Vanno comunque notati alcuni dettagli fuori fuoco, che fortunatamente non riescono a sminuire granché un testo di grande qualità informativa e godibilità. Al di là del, forse involontario ma assai percepibile, campanilismo romano che permea l'intera opera, nonché dell'uso libertino della punteggiatura, con virgole a centro frase alle quali il lettore è costretto a fare il callo in barba a ogni convenzione sintattica o grammaticale, va osservato che sulle analisi specificamente tecnico-musicale o le ricostruzioni "in grande" di generi poco frequentati dall'autore (AKA il progressive nelle sue molteplici) il testo mostra a più riprese qualche sbavatura. Si sbaglia il tempo della celeberrima "Profondo rosso" (in 15, non in 7/4), si scambia il folk elettrico anglosassone per un genere di "fate e folletti" da contrapporre alla truculenza e all'anarchia del "legendarium" italico (mai sentiti gli Steeleye Span?), si attribuisce alla galassia progressiva dimestichezza con un immaginario tolkieniano che all'epoca era appannaggio pressoché esclusivo del neofascismo (in un passaggio compare con intenti neutrali l'espressione "villaggio Hobbit", così vicina a quei "campi Hobbit" che erano il contraltare destrorso ai festival pop della Sinistra estrema). Nonostante questi scivoloni e alle tanto incessanti quanto inutili stafilettate che l'autore riserva a personaggi come Keith Emerson ogni volta che - ahilui - le circostanze lo obbligano a riconoscerne l'importanza, "Superonda" già si impone a un anno dall'uscita come "instant classic", lettura irrinunciabile non solo per gli amanti della musica italiana ma in generale per coloro che sono interessati a districare almeno in parte il fitto groviglio artistico, culturale e sociale dell'Italia che va dal periodo post-boom al culmine degli Anni di Piombo.
Dopo aver letto “Exmachina” non ho potuto fare a meno di leggere un altro saggio di Valerio Mattioli, questo “Superonda”.
Anch’esso un gran bel libro, che tratta in modo esauriente delle musica italiana pressappoco dal dopoguerra in poi. La cosa interessante è che lo fa in maniera assolutamente paritetica, dando spazio sia alle avanguardie accademiche, quelle della scuola di Darmstadt e poi dello studio di fonologia della Rai di Milano (Berio, Maderna, Nono ecc.) sia alle avanguardie “altre”, spesso guardate con sospetto se non proprio sdegnosamente dalle prime, sia ad altri modi e maniere di fare musica, quella del beat, del rock, del progressive, del jazz, del folk e anche dei cantautori, esaminandone intrecci e contaminazioni; e poi il mondo pochissimo conosciuto, a parte Morricone, delle colonne sonore della fiorente (ai tempi) fabbrica del cinema italiana, dove sono successe cose del loro anche interessanti, che si sono in qualche modo intrecciate con quello che succedeva al di fuori di quest’ambito. Un altro mondo che conoscevo pochissimo, e del quale casualmente possiedo dei dischi sulla cui origine mi sono sempre interrogato, era quello della musica d’uso prodotta per le trasmissioni della RAI; in effetti sono dischi di gente mai sentita nominare che mi furono passati dalla mia ai tempi ragazza, che lavorava proprio alla RAI, la quale aveva deciso di svuotare i propri archivi lasciando che i dipendenti prendessero quello che volevano; musica non brutta, tra l’easy listening e un jazz molto facile, che ho scoperto tramite questo libro essere prodotta appunto per le trasmissioni televisive (commenti per servizi giornalistici, documentari ecc.) e che consentiva agli autori di guadagnare qualche soldo per ogni passaggio in trasmissione. Secondo Mattioli si possono trovare anche “perle” molto interessanti in questo genere, ad andare a scavare. Così come è possibile trovarne andando a guardare sotto la superficie dei grandi nomi della musica italiana, cose di autori quasi dimenticati che oggi sono rese disponibili, fortunatamente, dalle sterminate collezioni di Amazon Prime music o di Spotify (ovviamente sono nel pieno di un percorso di conoscenza che non mi sarei mai immaginato…). Interessante poi il fatto di lasciare molto spazio a nomi come quello di Alvin Curran, un americano che vive da molto tempo a Roma e vi ha portato modi di far musica molto sperimentali (ha recentemente anche tenuto una masterclass al conservatorio di Torino con concerto finale) e citare l’esperienza di ricerca etnica di Alan Lomax, il cui nome e la cui importanza per l’etnomusicologia li avevo incontrati leggendo un libro sulla riproduzione tecnica della musica, “Alla ricerca del suono perfetto” di Greg Milner, ma del quale non sapevo che aveva esteso le sue ricerche anche all’Italia e la cui esperienze era stata essenziale per quello che poi fecero il Nuovo Canzoniere Italiano e il centro studi De Martino.
Un altro aspetto interessante è quello di inquadrare il fatto musicale sempre nel contesto sociopolitico di quei decenni, tempi che non furono affatto facili, come ben si ricorda; i movimentismi politici che obbligavano i musicisti a una “trattativa” continua con il loro pubblico, a volte anche uscendone con le ossa rotte non solo in senso metaforico; le riviste musicali spesso molto politicizzate (a questo proposito non mi è chiaro perché Mattioli dia tanto credito a Riccardo Bertoncelli, sedicente esperto musicale che era un po’ l’Adorno de’ noantri, tanto da mutuare la lui il dispregiativo termine “bitt” per indicare la musica beat che, ok, non è che in Italia sia stata mai gran cosa ma non è molto elegante sputarci sopra a prescindere - ovviamente non sto parlando di Mattioli); e i fatti di sangue e di terrorismo, quella che qualcuno ha definito una guerra civile a bassa intensità.
Il percorso si conclude con una dettagliata cronaca del festival a Parco Lambro di Re Nudo nel 1976, che Mattioli identifica come punto finale; com’è noto, in quell’occasione esplosero tensioni, disagi, contraddizioni a tutti i livelli, il tutto si risolse in un disastro epocale, che avrebbe messo la parola fine all’utopia di un mondo nuovo, agli ideali di “pace, amore e musica” lasciando solo posto al terrorismo e alla violenza degli anni immediatamente successivi.
Un testo di grande interesse, inspiegabilmente non più ristampato e nemmeno reperibile nel mercato dell’usato (è disponibile solo in ebook) che ha l’unico difetto, se è un difetto, di passare da pagine scritte in linguaggio professionale ed “alto” ad altre molto più colloquiali se non proprio gergali; la cosa si spiega col fatto che il testo parte da un collage di articoli pubblicati su varie testate tra cui l’odiatissimo (non da me) “Vice”, che ha proprio fatto di un uso del linguaggio e di modalità espressive informali il proprio stile. Sicuramente nel successivo “Exmachina” Mattioli riesce in una scrittura decisamente più uniforme.
Superonda è uno dei saggi musicali più interessanti ed avvincenti che io abbia mai letto, è costato a Mattioli anni di lavoro e di ricerca, ma il risultato, per quanto sia fitto di nomi, titoli e date, è lungi dall’essere soltanto una guida, un’asettica enciclopedia. Mattioli scrive molto bene, particolare non di poco conto, è ironico ed alla competenza e alla precisone dello storico e dell’archivista abbina l’entusiasmo contagioso dell’appassionato, non si limita a elencare ma sa raccontare; il libro ha un taglio narrativo, e quella che ci troviamo a percorrere leggendolo è la storia del nostro paese nel periodo cruciale, controverso, vivacissimo, che va dal boom economico agli anni di piombo. I musicisti di cui parla sono, con qualche eccezione, nomi marginali, sotterranei, spesso trascurati dalla storiografia musicale, ma il loro operato era comunque frutto del particolare clima culturale, sociale e politico di quegli anni, che viene efficacemente rievocato. Per quanto i generi musicali di cui tratta siano svariati e molto diversi fra loro (rock psichedelico, folk, musica per colonne sonore e sonorizzazioni, free jazz, fusion, cantautorato, progressive…) il racconto, essendo calato nella cronaca, rimane organico e non frammentario, anche perché tutti questi stili, e i contesti che li hanno generati, hanno diversi punti di contatto fra di loro, e con altre discipline artistiche (si parla molto anche di cinema, teatro, televisione, pittura, architettura…). Questo mosaico sonoro viene ribattezzato da Mattioli “spaghetti-sound”, è un po’ il corrispettivo autoctono del ben più celebrato kautrock tedesco. Era doveroso occuparsi dello spaghetti-sound con tanta attenzione e dedizione, considerato l’appassionato seguito di culto di cui continua a godere anche all’estero, e considerata anche l’influenza che le sue spinte innovatrici hanno regalato anche alla musica più commerciale e di successo (gli esempi più lampanti sono quelli di Morricone e Battiato, che hanno rivoluzionato rispettivamente la musica per colonne sonore e la canzone pop, forti dei loro trascorsi e delle loro frequentazioni nell’ambito della musica colta e d’avanguardia), e di conseguenza anche ai gusti del pubblico meno attento (e non è detto che una parte del suddetto pubblico non possa sentirsi affascinata da queste musiche “altre”, dal momento che c’è chi le sa spiegare così bene).. Il percorso di Mattioli si ferma al 1976, l’evento simbolico che funge da capolinea è il famigerato festival di Re Nudo tenutosi al Parco Lambro nel giugno di quell’anno. Nell’ultima delle ”feste del proletariato giovanile” che avevano caratterizzato la prima metà di quel decennio, esplosero definitamente, fra rabbia, frustrazione, conflitti e irrazionalità, tutte le contraddizioni del movimento giovanile. Da lì in avanti la musica cambiò. Io però ci avevo preso gusto e mi sarebbe piaciuto che Mattioli (che tra l’altro è anche musicista, con Francesco De Figueiredo suona negli Heroin in Tahiti) continuasse a raccontarmi di musica, magari fino ad arrivare ai giorni nostri. 650 pagine non mi sono mai sembrate così scorrevoli.
In "Superonda" tutto si tiene. Morricone&Nuova Consonanza, beat&John Cage, Goblin&Dario Argento, Gianni Sassi& Franco Battiato, Lucio Battisti con "Anima Latina"& l'intervista a Ciao2001. Un viaggio tra Napoli, Roma, Milano & Firenze. "Superonda" racconta la musica ma soprattutto la storia italiana che va da "La dolce vita" di Fellini e "Le Stelle" di Schifano fino ad arrivare al Festival al Parco Lambro del 76. Un lavoro di ricerca che fa luce sulla library music italiana e che rilegge il prog rock nostrano con una (giusta) distanza. Si può non essere d'accordo con le opinioni di Mattioli su quale artista/gruppo/album è stato il migliore o il più importante, ma non è qui il punto. Il senso e il cuore del libro sono rappresentati dal filo che collega gli eventi e i protagonisti che hanno segnato quei sedici densissimi anni.