Nel 2160 la questione del Mezzogiorno era irrisolvibile e occorreva mandare tutti su Saturno. Su Saturno i terroni avrebbero potuto riprodursi senza pericolo per via del pianeta molto grande e non avrebbero potuto diventare pigri, perché il Sole era lontano e Saturno perennemente ricoperto da nebbie.” La fantarca, scritto da Giuseppe Berto nel 1965, è la storia dell’ultimo contingente che dalla Terra parte per Saturno a bordo della nave Speranza N. 5, comandata dal capitano Don Ciccio Torchiaro. Un viaggio nello spazio, ma anche nel tempo e nelle piccolezze grottesche e amare dell’umanità, una favola sorprendente che, dietro al tono scanzonato e sorridente, mette in ridicolo le assurdità che la miope superbia dell’uomo è in grado di generare: oggi come cinquant’anni fa.
Giuseppe Berto (27 December 1914 – 1 November 1978) was an Italian writer and screenwriter. He is mostly known for his novels Il cielo è rosso (The Sky Is Red) and Il male oscuro.
Siamo nel 2160, la questione meridionale è irrisolvibile. Il mondo gira e la storia non cambia. Per risolvere, occorre spedire i “terroni” su Saturno.
Partiranno dallo scivolo di lancio di Vibo Valentia. A guidare la vecchia e malmessa nave spaziale Speranza n. 5, il capitano don Ciccio Torchiaro. Il 16 settembre si raduna “l’ultimo e definitivo gruppo di terrestri in partenza dalle regioni del Mezzogiorno”. Ed eccoli qua, i nostri “terroni” di Vibo Valentia e Capo Vaticano carichi di cose e animali, pronti per il lungo e avventuroso viaggio. Ché Saturno non è dietro l’angolo. Peccato però lasciare questa terra ch’è tanto bella, a ben guardarla. E così sfruttata, prosciugata delle sue risorse, destinata a diventare una vastità sterile, silenziosa, desolata. Questa terra dei due Blocchi che ambiscono al predominio, separati dall’Alto Muro (costituito non di mattoni, ma di micidiali raggi gammaiota di tipo incrociato) che divide e limita le libertà individuali, questa terra delle segrete e potenti armi devastanti. Questa terra dove la gente non ha mai smesso di sperare che prima o poi i due Blocchi avrebbero trovato un accordo. Parte il conteggio alla rovescia, al 19 passa l’ultimo meridionale d’Italia. “Ormai nell’Italia Meridionale, dalle province di Frosinone e Campobasso in giù,” non esiste “più un solo terrone vivente: la costosa e complicata operazione dell’Evacuazione del Sud” è “compiuta, la Questione del Mezzogiorno infine risolta”. Si chiudono le porte. Sono al completo. Tutti meridionali. Tutti regolari. Tranne un clandestino. Anzi due: una gazza e la signora Esterina. Clandestina, e per giunta bresciana. Parte ‘nu bastimiento. E l’astronave va. Dove arriverà?
Scritto nel 1965, “La fantarca” è una favola distopico-poetica. Di quelle che non è facile trovare. C’è il cuore. C’è la speranza. E c’è, in fondo, tanta pietas per quest’umanità così debole, con mille vizi e qualche virtù, sovrabbondante d’ipocrisia e carente di lealtà.
Mi aspettavo di più da questo libro, mi é mancato qualcosa. Sicuramente mi aspettavo che l’astronave arrivasse su Saturno o almeno lasciasse l’orbita terrestre e mi é dispiaciuto che non si sia imboccata questa via. La narrazione non mi ha preso troppo a parte alcuni momenti salienti in cui la tensione era alta. I personaggi sono dei tipi più che dei personaggi, sono stereotipati e non é presente nessun arco di maturazione (però é un racconto, quindi é in parte giustificato). Per essere un libro degli anni 60’ trovo molto bello e avanti il tema della divisione del mondo in due blocchi e come venga sottolineato il fatto che nessuno é migliore dell’altro e che sono destinati a distruggersi a vicenda. E che i passeggeri dell’astronave sono estranei a questa divisione. Mi é piaciuto anche il finale con questo tema della ciclicità della storia, lascia un buon sapore in bocca. Ci sono stati alcuni momenti simpatici, in particolari quelli in cui era palese che questa spedizione fosse stata fatta alla carlona, ma la trama non mi ha colpito. Molto belle le illustrazioni della prima edizione
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La fantarca è una novella Arca di Noè, si chiama Speranza N.5 (nomen, omen) ed è un'astronave sconquassata che dovrebbe trasportare su Saturno i 1347 terroni rimasti sulla Terra. Si risolverà così, una volta per tutte, la Questione Meridionale. Le nebbie fitte del grosso pianeta gassoso, infatti, potranno correggere la naturale propensione dei terroni alla pigrizia - sempre se l'astronave non si sfasci lungo il tragitto. Ma che importa! Il Mezzogiorno verrà comunque evacuato. Il sole e il caldo non potranno più corrompere nessuno. Ovviamente non posso anticiparvi il finale, se e dove ci sarà l'atterraggio. Vi dico solo che sulla Speranza accadono tante cose belle e qualche colpo di scena. C'è posto per la musica e per l'amore - e anche per una clandestina bresciana. La fantarca nel 1965 parlava di un futuro apocalittico ma raccontava il presente. Per noi lettori del 2024 è paradossalmente (anche) un tuffo nel passato. Insomma, un cortocircuito temporale. Siamo nel 2160 ma il Ventiduesimo secolo, nonostante i viaggi astrospaziali, i raggi magnetici e la tirannia della tecnica e della statistica, somiglia tantissimo al secondo Novecento con i suoi problemi e le sue brutture. Ci sono due blocchi contrapposti, un Alto Muro che li separa e una guerra definitiva che potrebbe annientare tutto se l'equilibrio si rompesse. Le donne sull'astronave sono ancora relegate al ruolo di mamme e nonne (al più fanno da infermiere).Trovano compiuta realizzazione nel matrimonio e nell'amore - siano essere terrone o settentrionali infiltrate.
Spassoso. Scorrevole. Teatrale. Un po' troppo didascalico. Il pregio di questo romanzo che intreccia humor e fantascienza è nella trovata originale e provocatoria ma anche nella scrittura tersa, nell'ironia che strappa il sorriso e ci fa guardare ai personaggi con benevolenza.
(Le pagine dedicate al decollo mi hanno commosso. Le ho trovate delicate e struggenti, capaci di dare profondità alla leggerezza dell'insieme, un'ombreggiatura necessaria che mi ha ricordato il Giuseppe Berto di alcuni passi de Il male oscuro che è un romanzo con un peso completamente diverso...)
Divertente incursione di Berto nella fantascienza, che lui rilegge a suo modo e adatta alla sua poetica. La sua idea di mondo futuribile è in verità piuttosto allegorica, e rimanda infatti all'amatissimo Jonathan Swift e al romanzo umoristico del suo tempo.
"La fantarca" narra infatti la storia di un'astronave chiamata Speranza N.5 che deve partire dalla Terra verso Saturno. La partenza avviene dalla Calabria, poiché quasi tutto il pianeta è già stato evacuato, mentre i terroni, come essi si auto-definiscono nel testo, sono tra gli ultimi a partire; ed è ovvio che il loro veicolo si presenti come vecchio e rattoppato, precario e poco adatto allo scopo, con un equipaggio singolare che incarna vizi e virtù dell'Italia e del Mezzogiorno.
Un Mezzogiorno che è in fondo il vero protagonista del testo, al centro di una questione che perdura ancora oggi e che ci porteremo dietro per chissà quanti anni ancora. Giuseppe Berto, un veneto poi trasferitosi in Calabria a Capo Vaticano, dichiara così anche il suo amore per questa terra, martoriata e talvolta dimenticata; lo fa con la sua solita umanità, con uno sguardo ironico ma pungente, disincatato e fuori da un'ideologia dogmatica e inquadrata, come al tempo si richiedeva a certi scrittori.
Ed è per questo che l'autore fu compreso e apprezzato solo in parte nei suoi anni migliori: oggi, invece, a quasi quarant'anni dalla sua morte, risulta uno degli autori più freschi del suo tempo e tra quelli più proiettati in avanti, grazie a capolavori come "Il male oscuro" ma anche a piccole perle come "La fantarca".
Verso la fine degli anni '60 la fantascienza doveva cominciare a essere davvero pervasiva nella società, se uno scrittore come Giuseppe Berto, dedito ad analisi esistenziali fin dal suo esordio con lo splendido "Il cielo è rosso", e ancor più con l'allora appena uscito "Male oscuro", decideva di scrivere una favola fantascientifica! Il tema è quello dell'annosa "questione meridionale", in quegli anni affrontata più seriamente di adesso, e argomento ricorrente nelle scuole e nelle letture scolastiche almeno fino ai primi '80. Berto, veneto di nascita ma calabrese d'adozione, immagina che in un futuro distopico almeno il problema del Sud Italia venga risolto.. spedendo i calabresi su Saturno. Segue una serie di spiritose divagazioni fantascientifico-folcloristiche riguardo al viaggio dell'ultima di queste astronavi, e un finale a sorpresa. Il libro è poco più che una curiosità: non troppo avventuroso e nemmeno originale; ma per un bambino tra elementari e medie può essere una lettura divertente (purchè eviti le micidiali note di cui è inzeppato ogni piè di pagina); non è poi frequente trovare descrizioni così solari della Calabria.
C’è qualche spunto simpatico però che noia, paragrafi-mappazzone di termini tecnico-fantastici e località geografiche che si susseguono a non finire, un po’ stanca e rende il tutto meno piacevole. Almeno abbiamo lo stile di Berto, unico e immediatamente riconoscibile. Non ho amato questa lettura, ma ovviamente per me Berto resta uno scrittore da osannare per i capolavori che ci ha lasciato