Napoli e la sua gente, il presente e il passato di una città e di un’intera nazione affamate di speranza e di futuro. Ermanno Rea torna con La comunista sui suoi passi, torna a Mistero napoletano, ma il personaggio che ci presenta non è più, come in quel vecchio romanzo, una donna in carne e ossa, bensì il suo fantasma, una creatura evanescente anche se, a momenti, terribilmente reale, capace di parlare, sorridere, piangere, come quando era viva e colmava ogni possibile vuoto con la sua incontenibile esuberanza. Anche adesso, benché fantasma, Francesca riempie di sé la scena del racconto, svelando pian piano la ragione del suo «ritorno» a Napoli. Testimone e messaggera, questa presunta donna-scandalo allude a una resurrezione ancora possibile della città, che può essere salvata – ella dice – soltanto dall’utopia, da un pensiero folle, da una passione, dalla capacità collettiva di credere nell’impossibile. Una narrazione non soltanto di grande tensione emotiva, ma aperta alla speranza e alla fiducia nel genio creativo degli abitanti del pianeta «Mezzogiorno». E che si tinge anche di altri colori e riflessioni intorno alla vecchiaia, all’amore, alle macerie della politica e al potere sempre vivificante dell’amicizia e a quello necessario della memoria. Anche L’occhio del Vesuvio è una storia che ha, a sua volta, i colori e lo spessore dell’allucinazione. La trama è lineare, benché sovrastata dalla presenza minacciosa del Vesuvio, trasformato esso stesso in attore, personaggio neppure troppo secondario della vicenda. Distruggerà Napoli? La domanda è ripetutamente evocata, soprattutto dal co-protagonista del racconto, il grecista Lucio Ammenda, insaziabile e disordinato collezionista di libri, parte dei quali dedicati proprio al «formidabil monte» e ai suoi misteri. Ma a differenza del giovane polacco Tadeusz, deputato a costruire una degna biblioteca (di stile settecentesco) per questo sterminato patrimonio libresco, il professor Ammenda non teme tanto il rischio di un’eruzione quanto le conseguenze dell’accidia dei suoi concittadini e dell’inetta classe dirigente. Due racconti esemplari in cui l’autore, fedele ai suoi temi più cari, con sguardo acuto e fermo scruta il nostro presente e lo fotografa, lo mette a nudo sulla pagina in uno stile terso e pulito, «perfetto».
Avrei dovuto prima leggere “Mistero napoletano” perché nel primo racconto “La comunista”, che da il titolo a questo libro, Ermanno Rea si riallaccia al ricordo di Francesca Spada, la giornalista dell’Unità, considerata donna trasgressiva e irrequieta per quel suo atteggiamento ribelle, disobbediente alle regole, e che morì suicida all’inizio degli anni ’60. In questo primo racconto torna il suo fantasma per portare un messaggio di speranza e di riscatto per la sua città e per il Mezzogiorno, anche se nella lunga conversazione con Ermanno, Napoli ne esce come una città sconfitta, e senza speranza; una città piena di rifiuti, chiaccherata anche all’estero, non solo per questo ma anche per la rilassatezza del suo popolo, per l’incapacità della politica locale di sostenere uno sviluppo in senso progressista, lasciando quindi largo margine alla camorra in ogni ambito della società. Nel secondo racconto il Vesuvio è protagonista, presenza minacciosa che potrebbe distruggere la città di Napoli. Lucio Ammenda, studioso collezionista di libri antichi, tenta di costruire un mega biblioteca che però egli tema possa essere distrutta, non tanto da una possibile eruzione del vulcano, quanto dal disinteresse dei suoi concittadini e dall’incapacità della classe politica. Due racconti dedicati alla città di Napoli, densi di rimpianto e nostalgia per l’amicizia con Francesca che Ermanno definisce “granitica”; un’amicizia che avrebbe potuto diventare amore, ma che è rimasta soltanto un’ombra, mai esplicitamente evocata, e che a tratti e di soppiatto poteva rendere lei più aggressiva e spigolosa, e me più schivo e cupo.
Due storie molto diverse tra loro. La prima, la comunista è il racconto di un'ombra. Il ritorno sotto forma di fantasma di Francesca, la protagonista mi Mistero Napoletano. E'quasi una confessione dell'autore, un esternare tutto quello che si è tenuto dentro dopo l'uscita del libro tanto criticato. Ho letto quel libro tanto tempo fa ma l'atmosfera è la stessa che ho ritrovato qui, tanta ansia. Non so il motivo ma mi ha portato tanta tristezza. E'come se Rea in qualche modo abbia dedicato la sua vita a questa storia, almeno da questa storia traspare questo.
"Ah, il tuo cuore giacobino, disse canzonatoria. Non credo che ti abbia aiutato a vivere. Mi ha soltanto aiutato a essere perennemente in conflitto con il mondo. E a incontrare fantasmi. Come stasera."
"Scosse la testa. Intendeva dirmi che la solitudine è sempre una scelta, anche quando ci fa soffrire e la reputiamo insopportabile."
Il secondo racconto ha un colore completamente diverso. Ci spostiamo alle pendici dello sterminator vesevo e alla nascita di un'amicizia del tutto particolare e inaspettata. Anche in questo caso c'è un velo di malinconia ma il racconto è molto interessante e scorre molto veloce.