"Esiste un metodo per la felicità duratura? Si può imparare il faticoso mestiere di vivere giorno per giorno in modo da farne addirittura un'arte della gioia quotidiana?" Sono domande comuni, ognuno se le sarà poste decine di volte, senza trovare risposte. Eppure la soluzione può raggiungerci, improvvisa, grazie a qualcosa che ci accade, grazie a qualcuno. In queste pagine Alessandro D'Avenia racconta il suo metodo per la felicità e l'incontro decisivo che glielo ha quello con Giacomo Leopardi. Leopardi è spesso frettolosamente liquidato come pessimista e sfortunato. Fu invece un giovane uomo affamato di vita e di infinito, capace di restare fedele alla propria vocazione poetica e di lottare per affermarla, nonostante l'indifferenza e perfino la derisione dei contemporanei. Nella sua vita e nei suoi versi, D'Avenia trova folgorazioni e provocazioni, nostalgia ed energia vitale. E ne trae lo spunto per rispondere ai tanti e cruciali interrogativi che da molti anni si sente rivolgere da ragazzi di ogni parte d'Italia, tutti alla ricerca di se stessi e di un senso profondo del vivere. Domande che sono poi le stesse dei personaggi Saffo e il pastore errante, Nerina e Silvia, Cristoforo Colombo e l'Islandese... Domande che non hanno risposte semplici, ma che, come una bussola, se non le tacitiamo possono orientare la nostra esistenza. La sfida è lanciata, e ci riguarda Leopardi ha trovato nella poesia la sua ragione di vita, e noi? Qual è la passione in grado di farci sentire vivi in ogni fase della nostra esistenza? Quale bellezza vogliamo manifestare nel mondo, per poter dire alla nulla è andato sprecato? In un dialogo intimo e travolgente con il nostro più grande poeta moderno, Alessandro D'Avenia porta a magnifico compimento l'esperienza di professore, la passione di lettore e la sensibilità di scrittore per accompagnarci in un viaggio esistenziale sorprendente. Dalle inquietudini dell'adolescenza – l'età della speranza e dell'intensità, nei picchi di entusiasmo come negli abissi di tristezza – passiamo attraverso le prove della maturità – il momento in cui le aspirazioni si scontrano con la realtà –, per approdare alla conquista della fedeltà a noi stessi, accettando debolezze e fragilità e imparando l'arte della riparazione della vita. Forse, è qui che si nasconde il segreto della felicità.
Alessandro D’Avenia, born in 1977 in Palermo, holds a PhD in classics and is a high school literature teacher and screenwriter.
D'Avenia nasce il 2 maggio 1977 da Rita e Giuseppe D'Avenia, terzo di sei figli. Dal 1990 frequenta il liceo classico Vittorio Emanuele II di Palermo, dove incontra padre Pino Puglisi che insegnava religione nello stesso istituto e dalla cui figura viene fortemente influenzato, così come da quella dell'insegnante di lettere. Nel 1995 si trasferisce a Roma per frequentare all'Università La Sapienza la facoltà di lettere classiche. Nel 2000 si laurea in lettere classiche. Nel 2004 consegue il dottorato di ricerca in letteratura greca con specializzazione in Antropologia del mondo antico, terminandolo con una tesi sulle "sirene" in Omero e il loro rapporto con le Muse nel mondo antico. Mentre è impegnato col dottorato, insegna per tre anni nelle scuole medie. Finito il dottorato, preferisce l’insegnamento alla ricerca e frequenta la scuola di specializzazione per l’insegnamento secondario, al termine della quale insegna greco e latino al liceo. Fonda una compagnia teatrale dilettante e gira un cortometraggio. La sua attività di scrittore inizia contemporaneamente a quella di insegnante. Il successo arriva per D'Avenia con il romanzo Bianca come il latte, rossa come il sangue, che diventa presto un best-seller e viene pubblicato in 20 paesi stranieri. Il successo del romanzo d'esordio viene parzialmente confermato dal secondo titolo di D'Avenia, Cose che nessuno sa. Collabora come pubblicista con alcuni quotidiani italiani (Avvenire, La Stampa). Come sceneggiatore, nel 2008 ha firmato alcuni episodi della terza serie di "Life Bites - Pillole di vita" presso Disney Italia. Nel 2011-2012 lavora alla sceneggiatura del film tratto da Bianca come il latte, rossa come il sangue, prodotto da Rai Cinema, che esce nelle sale cinematografiche nel mese di aprile 2013.
Puoi trovare questa recensione anche sul mio blog, La siepe di more.
Voglio fare una premessa a questa recensione che promette di essere lunghissima: ammetto di essermi un po’ disperata quando su LiberTiAmo è uscito proprio questo titolo, per tre motivi. Il primo è che non avevo un bel ricordo di Bianca come il latte, rossa come il sangue, che ho letto parecchi anni fa; il secondo concerne la mia stima nei confronti di Leopardi e la diffidenza verso il modo in cui D’Avenia l’avrebbe “adattato” per parlare ai ggiovani; infine, ritengo che nella maggioranza dei casi i libri che vorrebbe insegnarti a stare (meglio) al mondo siano solo fuffa.
Detto questo, adesso posso affermare che D’Avenia è riuscito a scrivere qualcosa di molto peggiore dei miei più foschi pregiudizi. Sì, perché L’arte di essere fragili non è solo un brutto libro, ma è anche scorretto e pericoloso, soprattutto in un mondo dove è fin troppo facile che una falsità venga spacciata per verità assoluta. Ma procediamo per gradi.
Catechismo 2.0. Fin dall’inizio ho sentito una subdola puzza di Catechismo: parole ed espressioni come seme, sete di qualcosa di “alto”, fame di vita, chiamata all’esistenza, terra promessa, fede mi sono sembrate fin da subito campanelli d’allarme, tanto che sono pronta a scommettere che D’Avenia sia un credente fin troppo zelante.
Infatti, oltre a incentrare tutto il suo libro su una fede che Leopardi non aveva, D’Avenia sminuisce il non credere ogni volta che può, semplicemente negandogli la dignità di valida alternativa alla religione.
Come si fa a vivere, come si fa a sognare, come si fa ad amare, come si fa a trovare Dio, come si fa a trovare la propria strada, come si fa a non soccombere di fronte al dolore…
La non credenza in D’Avenia è derubricata a sintomo di mancanza di felicità: se non credi, significa che sei sopraffatto dal dolore, magari ce l’hai con Dio perché te l’ha mandato (come il buon Leopardi, in barba al non voler ridurre il suo pensiero alle sue condizioni fisiche). Per il nostro professore è proprio inconcepibile che tu possa non credere perché pensi che una divinità non esista o sia inconoscibile.
Un Leopardi religioso. Iniziate a trovare assurdo che D’Avenia abbia proprio deciso di spiegarci come vivere bene con il materialismo di Leopardi? Io non tanto, ma solo perché sono una cattiva e maliziosa atea agnostica: pare che di tanto in tanto spunti fuori un cattolico desideroso di appioppare al pensiero e alle opere di Leopardi una dimensione religiosa di cui egli stesso non era consapevole. Un credente a sua insaputa, insomma.
Queste teorie sono state più volte smentite, ma a D’Avenia dispiace così tanto che il suo Giacomo non gli sia fratello nella fede che prova in tutti modi a incastrare Dio nel suo pensiero: innanzi tutto, con una pretestuosa divisione in parti del suo libro. Infatti, abbiamo una parte denominata “Adolescenza”, che comprende sedici capitoli e può essere ascritta a quella fase del pensiero leopardiano chiamata “pessimismo individuale”; poi abbiamo “Maturità” e “Riparazione”, di otto capitolo ciascuna e che possono essere ricondotte al pessimismo storico; infine, abbiamo “Morire”, formata da un solo capitolo, dedicata al pessimismo cosmico.
Ora, concentrarsi così tanto sul pensiero di Leopardi nelle sue prime fasi è come scrivere un libro su Picasso dilungandosi a parlare del periodo blu e del periodo rosa, dicendo infine due parole in croce sul cubismo. A chi servirebbe? Be’, nel caso de L’arte di essere fragili serve a D’Avenia, che almeno riesce a conciliare la sua fede con il pessimismo individuale e storico, mentre alla fine con il pessimismo cosmico deve gettare la spugna e ricorrere a Dante.
Io proprio non riesco a capire questa necessità di “cattolicizzare” Leopardi: vi pare forse che ci sia penuria di autori cattolici? Senza andare troppo lontano né nel tempo né nello spazio troviamo Alessandro Manzoni. Inoltre, uno dei grandi pregi della letteratura è proprio quello di farci visitare luoghi – fisici o interiori – diversi da quelli che ci sono familiari: non è meraviglioso per un credente entrare nella mente di un non credente, e viceversa? Non ci aiuta a comprenderci meglio e a rispettarci nonostante le diverse risposte alle quali si è giunti?
Avrei davvero preferito che D’Avenia avesse parlato di Leopardi in maniera più classica, forse anche scolastica, piuttosto che addomesticarne il pensiero in modo tale che potesse entrare in quei salotti dove, nell’Ottocento, non era affatto gradito. Infatti, sebbene D’Avenia si sia dimenticato di dirlo, la Chiesa e gli intellettuali “cattolici” non accolsero Leopardi a braccia aperte: le sue opere furono messe all’indice e il succitato Manzoni non rispose mai alle sue lettere.
No, D’Avenia preferisce concentrarsi sull’antipatia di Leopardi nei confronti della fede nel progresso (che presto sarebbe sfociata nel positivismo), così da poter scagliarsi (ma non troppo, visto che i destinatari principali sono sempre i ggiovani) contro gli smartphone e la tecnologia brutta e cattiva che ci rincoglionisce.
Ma allora questo libro è su Leopardi o D’Avenia?
L’autoesaltazione di D’Avenia. Il dubbio è più che legittimo, perché per duecento pagine dobbiamo sorbirci le straordinarie avventure di D’Avenia il Superprofessore.
Ora, prima di iniziare l’affascinante disanima di questo aspetto de L’arte di essere fragili, voglio precisare che mi riferisco all’immagine di sé che D’Avenia dà nel libro, non alla sua persona, che non conosco e quindi non ho idea se sia davvero sgradevole come si dipinge.
Allora, se L’arte di essere fragili è il Catechismo 2.0, D’Avenia è il suo messia, con sorprendenti poteri taumaturgici. Siete tristi? Non trovate il senso della vostra vita? Tranquilli, ci pensa D’Avenia! Incontratelo o scrivetegli ed egli risolverà i vostri problemi, con parole sagge o con il libro giusto (e non dimenticate di leggere i suoi libri, che – è dimostrato – apportano enormi benefizi all’animo umano). Non sto scherzando (cioè, solo un po’): si considera davvero la panacea a tutti i mali degli adolescenti, passando dall’essere irritante all’essere ridicolo.
Per esempio, uno dei passi che ho trovato più ridicoli è il seguente:
Una volta, alla fine di una lezione su Ungaretti della quale ero particolarmente fiero [...], una mia alunna ha alzato la mano. Speranzoso in una bella domanda mi sono sentito dire: «Professore, lei dovrebbe leggere un po’ meno poesia e guardare un po’ più il “Grande Fratello”» [...] Quella frase mi colpì, non per la sua insolenza, ma per la sua verità bruciante. Tradotta, suonava così: «Professore, per favore può tornare nel mondo piccolo della bruttezza e non farmi sentire che esiste la bellezza? Può non costringermi a scegliere tra il nulla e l’essere? Ora che so che ci sono cose in cui la vita si sente così forte, cose così belle, devo uscire dalla mia comoda indifferenza e prendere posizione: a che punto sono del mio compimento, che cosa voglio dalla vita? Professore, può per favore evitarmi minuti di rapimento, altrimenti devo mettermi in cammino verso un compimento?».
Solo a me pare evidente che la studentessa, forse un po’ più audace dei suoi compagni, abbia alzato la mano per far notare all’esimio professore che il suo pistolotto su Ungaretti era di una noia mortale? E solo a me pare evidente che la “traduzione” di D’Avenia suona come un patetico “io sono qui a insegnarvi la somma bellezza e voi osate essere riottosi!”. Prendere coscienza che forse quella lezione su Ungaretti non gli era uscita bene come pensava è evidentemente oltre le sue forze…
Un altro aspetto che mi ha lasciata perplessa è la faccenda del rapimento, che D’Avenia definisce come improvvise manifestazioni della parte più autentica di noi, quel che sappiamo di essere a prescindere da tutto: ogni volta che se ne parla è in riferimento a qualcosa di “alto” e “nobile” alla quale dovremmo dedicare la nostra vita. Mi domando cosa risponderebbe D’Avenia a qualcuno il cui rapimento fosse il sesso e che vorrebbe diventare porno attore o un sex worker, cioè qualcosa che non è ancora stato ben digerito in quei salotti dei quali parlavo testé…
Rapimenti, semi e stelle. A proposito di rapimenti, se mai leggerete questo libro, preparatevi psicologicamente a leggere di rapimenti, semi e stelle almeno un migliaio di volte. Non so quante cavolo di volte D’Avenia sia riuscito a ripetere le stesse parole (e gli stessi concetti) entro queste duecento pagine. Porca miseria, a un certo punto è diventato così ossessivo che per arrivare in fondo al libro ho iniziato a sostituire mentalmente altre parole a “rapimento” e “seme”…
Il bello è che D’Avenia si scaglia anche contro il sentimentalismo, ignaro che il suo L’arte di essere fragili ne è pieno, con tutte quelle stelle, quei semi, quei cieli meravigliosi, quei chiarori di luna: mancano giusto, giusto le caprette che fanno ciao…
A questo aggiungete che ogni capitolo è una letterina scritta al “Caro Giacomo”, come se Leopardi e D’Avenia fossero amiconi. Peccato che le lettere di D’Avenia siano così piene di belle parole, ma così vuote da sembrare quelle che una dodicenne potrebbe scrivere a – che ne so – Justin Bieber su quanto le sue canzoni le abbiano dato in termini di emozioni, senso della vita e bla, bla, bla.
Viva il cuore, abbasso la ragione. Infatti, anche se D’Avenia a parole dice di mettere sullo stesso piano cuore e ragione e che dare preminenza all’uno o all’altra crea uno squilibrio, di fatto il primo vince sulla seconda. La ragione viene sempre definita fredda, mentre le passioni, che dovrebbero accendere il nostro rapimento, sono una figata, da seguire sempre e comunque per tutta la vita, pena la perdita di senso, la caduta in una perpetua infelicità e finanche qualche brutto disturbo e/o malattia (tipo anoressia, bulimia, alcolismo e via dicendo).
Il male del nostro tempo è la perdita di fede nel nostro rapimento: perché cavolo non ci siamo arrivati prima? Uhm, fammi pensare… perché è la risposta più banale possibile? Perché a furia di dire ai bambini “non importa se fai degli errori, quello che conta è esprimere le tue emozioni“ abbiamo cresciuto una schiera di massacratori di lingua italiana? Perché a furia di dire ai ragazzi “non importa quello che un autore voleva trasmettere, quello che conta è quello che ne pensi tu” abbiamo cresciuto una schiera di idioti senza senso critico?
Quindi, per favore, torniamo a dare alla ragione quel che è della ragione e lasciamo al cuore quel che gli compete.
Piace perché dice quello che si vuol sentire. Per concludere quella che è diventata la mia più lunga recensione di sempre, voglio rivolgermi a coloro ai quali questo libro è piaciuto tanto.
Se non vi siete accorti della pochezza de L’arte di essere fragili, non è perché siete stupidi: anzi, se siete molto giovani, è perché siete semplicemente inesperti e chi avrebbe dovuto insegnarvi a costruirvi uno spirito critico si è approfittato della vostra inesperienza per vendervi l’ennesimo, inutile libro su come vivere felici. O forse no: forse D’Avenia crede davvero in quello che ha scritto, ma questo non cambia la (poca) sostanza.
Il fatto è che L’arte di essere fragili è scritto in modo tale da far piacere al suo lettore: fa sentire speciali e parte di quella cricca di persone sensibili che non si limitano a esistere, secondo le parole di Oscar Wilde, ma vivono a pieno la loro vita (oppure sanno che dovrebbero farlo). O almeno, credono di essere tra quelle persone: di fatto non è importante esserlo per sentirsi gratificati da questo libro.
Ma come può aiutare chicchessia a trovare il senso della vita (sempre che ce ne sia uno) un libro volto unicamente a solleticare la nostra vanità?
Leopardi stesso non aveva alcuna stima di chi intortava i propri simili spacciando destini di grandezza e di eternità. In proposito, vi invito a leggere La ginestra (qui trovate la parafrasi) e a paragonare la visione cruda ma eroica di Leopardi con quella annacquata e vile di D’Avenia.
Divoro sempre libri ma questo ci ho messo due mesi per finirlo. Leopardi é Leopardi, D'Avenia lo ha ridotto a frasi Tumblr ripetitive e a tratti stucchevoli. Mi ha deluso un po'.
Le uniche cose buone di questo libro sono la copertina, che io trovo meravigliosa, e le citazioni di Leopardi. Per il resto: odiatissimo, non sono neanche riuscita a finirlo. Snatura completamente un grandissimo poeta, che, se potesse leggere questo libro, sono sicura non lo apprezzerebbe come non l'ho apprezzato io. Oltre duecento pagine di frasi fatte che non aggiungono niente alla lettura dell'opera di Leopardi se non aspetti come quello della fede che con Leopardi non c'entrano nulla. (Scritto, oltretutto, malissimo e pieno di supercazzole)
Rivalutare quel triste e depresso di Leopardi? Con questo libro è possibile. D'Avenia crea un moderno e fittizio scambio epistolare molto efficace e per nulla noioso o ridondante. Nonostante i temi trattati (la vita, la morte,la sofferenza e la fragilità) siano abbastanza complessi da analizzare, l'autore non scade mai nel banale e nello scontato. Il continuo richiamo al vissuto di Giacomo rende la narrazione ancora più scorrevole e reale, condividendo con il lettore le innumerevoli sfaccettature dell'animo di questo grande uomo e letterato. Leopardi non è noioso, Leopardi non è triste, Leopardi non è depresso, Leopardi non è lontano dalla nostra realtà....Giacomo è un amante della vita e della bellezza percepita con una sensibilità unica. D'Avenia non è un profeta o un semplice dispensatore di consigli già sentiti e risentiti bensì un semplice amante della letteratura, di Leopardi e di tutto ciò che crea bellezza. D'Avenia, attraverso l'esperienza di Leopardi, porta il lettore ad aprire gli occhi e a vivere la propria realtà con la consapevolezza del nostro essere fragili.
Stucchevole, banale, autocelebrativo e ripetitivo come solo D’Avenia sa essere. Qualche riflessione interessante che parte da giochi di parole e da etimi svelati, ma per il resto una lezione di catechismo reiterata, che riduce Leopardi ad un self-motivator. Terribile il finale in cui ci svela la grande missione salvifica del suo libro e quindi della sua persona.
A malincuore, non riesco a finirlo. Per la seconda volta. Mollo ancora una volta questo libro perché, onestamente, mi aspettavo tutt'altro. Mi aspettavo di venir coinvolta maggiormente dalla prosa, di esser resa partecipe delle lettere che l'autore si proponeva di scambiare con il poeta, di venir quasi portata dentro la loro relazione. E invece per tutto il tempo mi sono sentita un'estranea cheer caso si è ritrovato in mano queste "lettere" che, onestamente, non mi hanno detto nulla. Ho cercato di analizzare meglio il testo, i discorsi, ma credo che questo libro soffra di una delle grandi pecche della letteratura italiana in generale: la prosa, almeno a me, risulta eccessivamente pomposa, ostica, studiata apposta per darmi l'impressione che chi scrive è un professore (e infatti). Più di una volta sono dovuta tornare indietro a rileggere alcuni passaggi dopo che mi ero resa conto che per mezz'ora avevo letto cose incomprensibili. Più di una volta ho saltato intere pagine, giusto per velocizzare il tutto. Non sono neanche riuscita ad arrivare alla fine della sezione riservata all'adolescenza.
E secondo me è un grandissimo peccato. Perché l'idea che Leopardi possa salvarti la vita, che possa parlarmi ad un livello più intimo, più profondo, era molto interessante. Credo che il modo migliore per descrivere questo libro sia una bella idea, riuscita malissimo. Prima di mollare, ho deciso di sbirciare anche le recensioni di altri utenti qui su Goodreads, per capire se ero io quella incapace di capire questo libro (il che, a mio avviso, è un bruttissimo segno per un autore in generale, per un professore di lettere in particolare, che al contrario dovrebbe saper farmi avvicinare alla lettura). Due dei commenti mi sono rimasti più impressi perché, semplicemente, esprimevano chiaramente quello che pensavo ma non volevo ammettere, nemmeno con me stessa:
1. il testo è (troppo) autoreferenziale. 2. è la copia riuscita male dell'Attimo Fuggente
Mentre leggevo andavo avanti solo perché mi aspettavo da un momento all'altro una grande rivelazione, e invece ogni volta mi ritrovavo a leggere quanto bravo fosse D'Avenia come professore e come i suoi alunni rinascevano ascoltando i suoi consigli letterari. Anche meno per favore.
Com'è capitato in casa mia? Assegnato dalla prof di lettere di mia figlia, seconda liceo. Autore a quanto pare alla moda, il lavoro è presentato come la chiave per rivelare ai ragazzi il potere rigenerante del classico dei classici, Giacomo Leopardi. All'atto pratico si rivela un pippone retorico, pieno di aria fritta, che nulla aggiunge al poco che conosco del poeta, anzi conferma pienamente la mia distonia nei suoi confronti. Da ultimo, vorrei spendere due parole per i maschi della classe di mia figlia, principali vittime dei danni cagionati dalla docente. Per questi ragazzi, nel pieno dell'esplosione testosteronica, questa lettura deve essere stata un autentico supplizio. Dovranno capirlo da soli (come me) che la lettura è un piacere vero ed intenso; ovviamente tenendosi lontani da roba come questa.
3.5/4 Se avessi avuto un professore come D'Avenia alle superiori, sicuramente avrei visto da un'altra prospettiva Giacomo Leopardi. Delle lezioni dei miei prof ricordo principalmente che fosse pessimista e depresso. D'Avenia è riuscito a farmi avere una chiave di lettura diversa delle sue opere. Con un ipotetico, e molto originale, scambio epistolare con il poeta di Recanati, l'autore crea un romanzo che tratta argomenti spinosi come la perdita dell'amore, la disillussione , l'infrangersi dei propri sogni e aspirazioni: tutte tematiche con le quali, i giovani e gli adolescenti in particolar modo, si scontrano ogni giorno e lo fa prendendo ad esempio le opere di Giacomo Leopardi. Prende il suo pessimismo e ce lo fa vedere in maniera opposta a come lo abbiamo studiato fra i banchi di scuola. Una versione attuale e personalizzata dall'autore di questo poeta che mi è piaciuta tanto. Ammetto che in alcuni frangenti mi sono persa. Ahimé! Gli anni della scuola sono ormai lontani, ma ne è valsa la pena.
Premetto che adoro Leopardi, questo poeta recanatese a tutto tondo che considero un genio, molto spesso e purtroppo bistrattato ed etichettato come noioso e pessimista. Magari avessi poi avuto un professore come D'Avenia!!! Leggendo questo saggio, esaustivo ed appassionante, non si può non percepire e sentirsi coinvolgere dalla poetica del nostro, indagato sapientemente utilizzando uno stile di scrittura scorrevole, chiaro, come fosse una chiacchierata in differita tra l'autore e il poeta. Personalmente, a me ha spinto alla rilettura de ''I Canti'' e all'approfondimento del mastodontico ''Zibaldone dei pensieri''..
"Grazie, Giacomo. Ti prometto che non sarò mai piccolo e annoiato, piuttosto infelice e sofferente, ma fedele alla vita."
Non mi ha convinto. Pochi spunti interessanti, mi sembrava di essere tornato indietro nel tempo quando a scuola c'era il professore in cattedra e noi alunni sui banchi, tra l'altro una lezione decisamente noiosa. Con tutto il rispetto mi sembra una copia venuta male del film "L'attimo fuggente".
Quando ci si trova davanti a libri del genere il rischio è sempre quello di dire troppo o troppo poco, spero quantomeno che le poche righe qui di seguito rendano l'idea di quanto mi abbia entusiasmato questo libro e vi incuriosisca almeno un minimo. "L'arte di essere fragili" si presenta come un lungo e travagliato epistolario che l'autore, D'Avenia, intrattiene con Giacomo Leopardi in una misura spazio-temporale non specificata. Leopardi fu un autore che caratterizzò molto l'adolescenza dello scrittore e lo ha accompagnato passo dopo passo nelle varie fasi della vita. Il libro è suddiviso in quattro macro-sezioni: - ADOLESCENZA o l'arte di sperare - MATURITA' o l'arte di morire - RIPARAZIONE o l'arte di essere fragili - MORIRE o l'arte di rinascere Tutte fasi che Giacomo Leopardi ha passato al setaccio attraverso la scrittura regalandoci le splendide opere che sono giunte ai giorni nostri. Si è rivelata un'esperienza catarchica rileggere le sue poesie più belle, come l'Infinito e Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. L'obiettivo di questo libro non è spiegarci come vivere al meglio, ma quello di spingere chi sta leggendo a guardare con occhi diversi ogni singolo giorno, a coglierne l'essenza e la più pura bellezza; perché la vita si sa, è tutt'altro che semplice ma è impossibile non accorgersi della bellezza che ci circonda a partire, ad esempio, dalla pienezza e dal candore della Luna. Pertanto è un libro che mi sento di consigliare a pieni voti; mi ha fatto rivalutare Leopardi non soltanto come persona e poeta, ma anche D'Avenia come scrittore che nella sua prima opera, Bianca come il latte e rossa come il sangue, non mi aveva pienamente convinta. Ho segnato molte frasi che mi sono rimaste nel cuore, non si tratta di un romanzo didascalico eppure pullula di consigli preziosi su diverse tematiche. Spero conquisti anche quelli di voi che si accingono a leggerlo.
L'ho letto in un mese o poco più perché l'ho assaporato pian piano, senza fretta. Non è una lettura statica, ci lancia input per continue riflessioni, come se fosse un dialogo aperto tra noi lettori, D'avenia e Leopardi. Alcuni passaggi li ho trovati estremamente belli, alcuni capitoli assai peofondi. Non è un libro semplice ma è piacevole. Lo lascio un po' a malincuore perché ormai era il mio manuale di sopravvivenza, pronto all'uso nei momenti in cui serviva una parola di conforto, una motivazione per andare avanti, accettare ciò che ci succede e riuscire a notare quelle piccole cose preziose che ci sfuggono quotidianamente. Ho adorato lo stile di D'avenia e il suo modo delicato di raccontarci il mondo, la vita, la poesia e non da ultimo il grande poeta che è stato ed è tutt'oggi Giacomo. L'arte di essere fragili è qualcosa che vi entra dentro e difficilmente lascerete andare.
Le stelle attribuite esprimono già il mio gradimento dell’opera, di cui ho completato la lettura solo oggi, impiegando un tempo troppo lungo, giustificato solo in parte da altri impegni: anche quando avevo modo di leggere, non ne sentivo la voglia. Il libro in sé era la causa, più ancora di un periodo per me non troppo congeniale per la lettura. Ma devo aggiungere anche che l’autore non ha mai attivato il mio interesse, per la sua linea di pensiero ben lontana dalla mia. E tuttavia: se non conosci, come puoi giudicare? Il pregiudizio è sempre da combattere. Aggiungo poi che qualche anno fa una mia alunna maturanda mi aveva comunicato il suo entusiasmo per questa lettura; un paio di mesi fa, invece, parlando di Leopardi nella mia quarta superiore, è venuto fuori che un alunno aveva in casa questo libro, comprato tempo prima dalla sorella. Così ho stretto un accordo con il il mio studente: “Leggiamo insieme il libro, poi tu ne parlerai ai tuoi compagni”. Contratto “firmato”, ma non rispettato da entrambi i contraenti: l’alunno ha abbandonato la lettura abbastanza in fretta, adducendo come scusa i troppi impegni, poi a metà maggio è partito per Lisbona per un progetto Erasmus; così ho proseguito in solitaria la sofferta lettura. E veniamo al perché delle due stelle di gradimento: all’inizio, tutto sommato, non mi stava dispiacendo, anche se da subito lo stile (ineccepibile invece la scrittura) è risultato a me non congeniale. Poi il libro è diventato, a mio avviso, un’occasione per D’Avenia per parlare di sé attraverso Leopardi, e io ero decisamente meno interessata ai suoi vissuti, alle lettere che riceveva da adolescenti che si affidavano a lui, trovando nelle sue parole un balsamo per le loro ferite. A me invece quel balsamo ha cominciato a provocare allergia mentre, mano mano che procedevo nella lettura, ho rischiato di dovermi confrontare con una diversa patologia, causata da picchi glicemici. Lo scrittore ha dichiarato, in conclusione, che vorrebbe che il suo libro non fosse catalogato come testo di critica letteraria, credo di poterlo rassicurare che il suo timore è infondato, causa quel bel po’ di egocentrismo che ha inserito; io posso solo concludere dicendo che mi son ritrovata a rimpiangere, questo sì un libro di critica letteraria, il bel “La protesta di Leopardi” di Walter Binni, letto quando ero al liceo, non l’ho scordato. Non rientrerà invece nelle mie rimembranze quello di D’Avenia, mi spiace.
«Опасни и злобни са само скърбите, които хората носят и предават помежду си, за да ни затрупат с шум; като всички болести, които се третират повърхностно. Те правят само крачка назад и след кратка пауза избухват още по-страшно; и аз съм живот, живот неизживян, унил, изгубен, от който човек може да умре». Има мистериозна способност на думите да достигат до нас чрез неочаквани пратеници. ... «Тези тъги са моментите, в които нещо ново е влязло в сърцето ни, проникнало е в най-вътрешната му стая и дори там вече го няма, вече е в кръвта. Човек може да се убеди, че нищо не се е случило, но сме преобразени, както се преобразява къща, в която е влязъл гост. Не можем да кажем кой ще влезе, може би никога няма да разберем, но много улики предполагат, че бъдещето влиза в нас по този начин, за да се трансформира в нас, много преди да се случи. Колкото по-спокойни, търпеливи и открити сме в тъгата, толкова по-дълбоко и по-безпогрешно новото влиза в нас, колкото по-добре го завладяваме, толкова по-силна ще бъде нашата съдба».
Solitamente non mi piace scrivere recensioni sotto i libri che leggo perché spesso si rivelano solo un’accozzaglia di pensieri e pareri che non danno valore al titolo che ho letto ( non che le stelline siano meglio in questo 😅) . Fatto sta che volevo spendere delle parole su questo libro perlopiù un consiglio che do ai lettori : LEGGETELO CON CALMA Questo libro per essere apprezzato va assaporato lentamente altrimenti risulterà pesante e prolisso e non darà spazio alle lunghe, struggenti, stupende e illuminanti riflessioni che mi hanno portato a maturare . L’autore è innamorato perdutamente di Leopardi e ha fatto innamorare anche me e spero che lo stesso accada a voi . Non è un libro senza difetti ma vale la pena e il piacere di essere letto !
Mi dispiace, molto, ma non ce l’ho fatta a finirlo... Apprezzo molto D’Avenia, lo trovo intelligente e bravissimo nella scrittura, ma questo libro... Per quanto trovi originale il contenuto, mi sono fermato a pagina 50 e non riesco ad andare oltre. È più forte di me. Lodevole come il professore sia riuscito a contestualizzare Leopardi, ma rimane comunque una lettura - per me - “pesante”, forse più di Leopardi stesso. Sicuramente è un limite mio, probabilmente sono ignorante per un simile contenuto... ma mi arrendo.
Alessandro D'Avenia - L'arte di essere fragili L'autore scrive a Giacomo Leopardi una lunga lettera, confrontandosi ed esprimendo le sue opinioni sul senso della vita. E' un lavoro filosofico pieno di domande esistenziali che scorre abbastanza bene, grazie alla capacità di coinvolgimento che l'autore riesce a proporre. D'Avenia vuole sfatare il mito del Leopardi sfigato e pessimista, riproponendo alcune parti delle sue tante opere, lo narra ponendolo sotto una luce diversa e tesse le sue lodi nell'amore spropositato verso il mantenimento della sua vocazione poetica, dell'appagamento personale e della felicità. E' un lungo discoro di ringraziamento verso colui che gli ha rivelato il suo cammino, quando da ragazzo capì che avrebbe fatto l'insegnante. Come sempre nei suoi libri, i problemi adolescenziali sono quelli che formano la parte corposa del testo, anche qui, seppur in modo diverso, sono i giovani i veri destinatari del messaggio. L'argomento principale è la ricerca del senso della vita attraverso vari momenti di crescita, in una società moderna che impone modelli sbagliati e perfezione. Ognuno dovrebbe trovare nella sua vita una passione che lo rapisca, per poi manifestarla. In questo libro si percepisce chiaramente l'amore che alimenta il prof. e che lo nutre giornalmente per poi proporsi ai suoi alunni. E' ben raccontato anche se devo ammettere che alla fine ho fatto fatica a finirlo perchè si ripete un pò tutto.
Sono sempre stata legata a Leopardi, forse per via del nome o per quello che la gente chiama "Pessimismo". Ho deciso di leggere questo libro proprio perché Leopardi è, uno dei miei autori preferiti. Ho trovato in questo libro ciò che ho sempre pensato di Giacomo, il suo realismo, il suo non essere lontano da noi che viviamo negli anni 2000. D'Avenia scrive delle lettere a Leopardi in cui ci fa comprendere, seguendo le varie fasi della (nostra) vita come sia legati all'autore da un filo che racchiude le speranze dell'adolescenza e la voglia di superare i limiti, il disincanto della maturità e l' illusione dell'amore non corrisposto. Il silenzio poetico che segue la delusione, la morte della speranza che si lega a una rinascita. Da cosa capiamo che il pessimismo Leopardiano non è tale? Dal desiderio di rinascita, dalla voglia di non abbandonarsi alle sofferenze della vita.
Siamo tutti fragili e forti ginestre.
Se ho sempre amato Leopardi, ora lo amo un po' di più.
Uno dei miei libri del cuore DI SEMPRE. Ne sono follemente innamorata, se amate Leopardi questo libro fa al caso vostro. Tendo spesso a rileggerlo e ogni volta è una scoperta. In questo libro c'è una parte di me.
2,5⭐⭐ D'Avenia ci prova a dare un'interpretazione nuova e fresca ai testi di Leopardi, in modo da far riverberare attraverso di essi le emozioni che lui stesso ha provato leggendoli e da liberarli dallo stigma di essere solo letteratura "da banchi di scuola": il libro di per sé può essere ritenuto carino, sicuramente agile e scorrevole (i capitoli durano solo poche pagine) eppure non è privo di difetti. Non mi riferisco tanto all'accuratezza storica di quello che l'autore legge nella poesia leopardiana, ossia una spinta alla vita e alla propria vocazione (tanto in senso laico quanto cristiano) che contrasta con l'etichetta da pessimista da sempre attribuita al poeta recanatese e che dubito avrebbe corrisposto alla realtà dei fatti; mi riferisco piuttosto a pecche stilistiche.
Prima fra tutte, la ripetitività; la ripetizione ad oltranza di determinati concetti che tornano di capitolo in capitolo e nelle diverse parti in cui il libro si divide. In secondo luogo, il linguaggio retorico e ricco di metafore (bene o male sempre le stesse) che rischiano di svilire un messaggio altrimenti potenzialmente valido e condivisibile. In ultima istanza, quella velata (nemmeno troppo) impressione che dovunque passi il nostro Alessandro, elargisca risoluzioni ai problemi altrui, soprattutto quelli dei suoi studenti: i capitoli contengono quasi sempre aneddoti e racconti di ragazzi sfortunati, che hanno perso la vita per volontà propria o per la fatalità del destino, e di altri che ce l'hanno fatta, magari proprio grazie all'autore e alle sue pubblicazioni. Sono contenta che D'Avenia si senta pienamente realizzato e fecondo nel suo ruolo da professore, ma, anche in questo caso, l'esagerazione gli fa perdere di credibilità, ad un certo punto sembra quasi che si inventi le storie che narra.
Allora il libro è tutto da buttare? Assolutamente no. Per certi 𝒗𝒆𝒓𝒔𝒊 - per fare un gioco di parole - MI HA fatto riscoprire Leopardi con una profondità che al liceo non avevo considerato, ma resto conscia che resti pur sempre un'interpretazione. Ci sono, inoltre, delle descrizioni della fase dell'adolescenza, del suo potenziale e dei suoi pericoli in cui traspare chiaramente che lui abbia avuto spesso a che fare con adolescenti e tutto questo l'ho apprezzato. Un po' più debole il racconto della fase adulta e della morte.
Resto curiosa di leggere qualcos'altro di suo pugno, ma non credo di essere disposta a dargli più di un'ultima occasione.
Paola - per RFS . Cosa mi ha lasciato questo libro consigliato dal professore di Filosofia di mio figlio all’ultimo anno di liceo? La riscoperta di Leopardi a 56 anni… E soprattutto scoprirlo attraverso una chiave di lettura completamente nuova che non è depressione, disperazione, sfortuna, pessimismo. Tutte letture imposte dalla scuola che ce lo ha fatto studiare così. Ho trovato dimensioni completamente aperte alla vita, all’amore, all’amicizia, alla passione di scoprire la bellezza delle cose che solo un uomo fortemente provato come Leopardi poteva capire e trasportare in versi. Non ho mai amato particolarmente lo studio della letteratura e, di conseguenza, non l’ho mai approfondita tanto da essere in grado di appropriarmi della materia come si dovrebbe, considerato quanto mi è sempre piaciuto leggere. E a questo punto mi chiedo se non sia proprio colpa di come certe cose, facenti parte della nostra cultura, ci vengono trasmesse dagli insegnanti. Questo libro è scritto da uno di loro, ma uno che vede la scuola sotto un’ottica totalmente diversa, che è capace di far comprendere i problemi dei giovanissimi grazie agli scritti di uno dei nostri più grandi autori: Leopardi, appunto. Trovo questa cosa incredibilmente grandiosa e mi chiedo quanto lo avrei amato anche io se lo avessi apprezzato prima. Consiglio di leggerlo, anche solo per ritrovarsi ragazzi per un po’, per capire i travagli dei nostri figli che non sono poi così diversi dai nostri alla loro età, anche se vogliamo ostinarci a credere il contrario. Il travaglio interiore di ognuno di noi nelle varie tappe della vita, è lo stesso di ieri, oggi e domani. Sta a noi comprenderlo e viverlo al meglio delle nostre capacità per lasciare un segno indelebile per il futuro. Come ha fatto lui, Giacomo, il poeta del “pessimismo cosmico”.
"Ma dove la vita si è persa? A quale bivio abbiamo sbagliato strada e abbiamo lasciato che i nostri sensi si addormentassero? Come risvegliarli? Tu diresti : con la poesia cioè con l'eros della vita, con la sua stessa ferita".
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E' il primo libro che leggo di questo autore, fino ad ora lo avevo conosciuto solo grazie a delle interviste televisive e sentendolo parlare ero sempre stata attratta dal suo modo di vedere la vita. Mi sono ripromessa in più di un'occasione di leggere qualcosa di suo ed ho optato per questo libro (arrivato poi inaspettatamente come regalo di compleanno da parte di mia figlia) quando incontrai un amico che non ama decisamente leggere e che mi disse che per lui questa era stato il libro più bello letto in vita sua. Il libro è un ripercorrere la vita di Giacomo Leopardi sotto forma di uno scambio epistolare tra l'autore e Leopardi stesso. Naturalmente Leopardi risponde a D'Avenia con le sue opere e con il suo vissuto che da queste trasuda in abbondanza. Il libro è diviso in quattro sezioni che si rifanno a quattro momenti della vita di Leopardi ma che possiamo benissimo cucire addosso a tutti noi. -Adolescenza o l'arte di sperare: il momento della vita in cui tutto ci sembra possibile e realizzabile, in cui l'infinito oltre la siepe non ci spaventa ma ci stimola. -Maturità o l'arte di morire: il momento in cui ci si scontra con la vita di tutti i giorni e con ciò che ci fa sembrare apparentemente "morti" sogni, progetti e destini dell'adolescenza. -Riparazione o l'arte di essere fragili: per usare un termine molto usato in questo periodo potremmo dire resilienza...il riuscire a trasformare la "morte" dei propri sogni e desideri in vita, è chinarsi a riparare senza stancarsi, è scorgere che sempre qualcosa manca ma sentirsi spinti da quel vuoto verso la creazione, è imparare che proprio questa malinconia che ci accomuna è il moto del cuore che ci salva e ci spinge a creare e a riparare le cose e le persone...riparare è sinonimo di amare. -Morire o l'arte di rinascere: solo chi si rende conto della nostra fragilità sa abitare la vita sempre pronto a fare "la cosa bella". La creazione artistica è speranza di dare vita, è la ricerca di ciò che ci fa rinascere. La bellezza delle cose fragili è che lottano per arrivare a compimento e cercano ciò che le possa far fiorire in pieno. L'arte di rinascere è l'arte di amare perché solo chi ama fa qualcosa di bello al mondo. Solo l'amore ci consente di affrontare la fragilità del nostro essere. Il lessico di questo libro è molto semplice ed è molto scorrevole. E' stato per me un nutrimento per l'anima, un libro da non leggere in fretta ma qualcosa da assaporare poco a poco centellinandolo un capitolo al giorno per lasciar sedimentare ciò che leggevo. La parte che più mi ha ispirata è stata quella riguardante l'adolescenza; avrei voluto averla letta qualche anno fa (anche se il libro è stato pubblicato più o meno un anno fa)...soprattutto il passo in cui D'Avenia spiega, secondo lui, il proverbiale "niente..." che ogni genitore di adolescente si è sentito rispondere in più di un'occasione e a domande anche diverse tra loro. Secondo l'autore il silenzio e la solitudine che quel "niente" contribuisce a creare serve all'adolescente per creare intorno a sé una interiorità in cui poter cercare il coraggio di affrancarsi dai genitori che fino a quel momento sono stati il suo punto di riferimento, il coraggio di "spezzare" quel legame per cominciare a crescere come adulto come il seme che deve spezzarsi per dare vita ad una pianta o ad un fiore. Leggere queste parole mi ha dato una sensazione di disagio ripensando a tutte le volte che ho ricevuto quel "niente" in risposta ad una sfilza di domande degne di un terzo grado ai tempi della seconda guerra mondiale, quel "niente" che mi faceva innervosire ma che in realtà è un modo per proteggere la propria intimità. Consiglio questo libro a chiunque abbia voglia di confrontarsi con un Leopardi che non è il Leopardi che ci hanno fatto conoscere a scuola ma una persona delicata e positiva che riesce a toccare le corde più profonde dell'animo umano.