Nessun tiranno, nessun intento risorgimentale. Alfieri, in questa tragedia, presente l'amore incestuoso di Mirra per il padre Ciniro e lo fa con una certa maestria, disseminato indizi qua e là, sviando il lettore, confutando le ipotesi formulate durante la lettura. La tragedia è un climax che trova soluzione poche righe prima della fine, ma, nonostante l'intento, non riesce a coinvolgere, non approfondisce come dovrebbe, è disequilibrata (4 atti preparatori e una scena per svelare ogni cosa...) e, forse, risente degli stilemi del tempo.
Dopo la terribile versione del mito contenuta ne "Le Metamorfosi" del poeta latino Ovidio, Alfieri trasforma la Mirra ovidiana in una fanciulla combattuta. L'azione rimane sospesa fino al quinto atto: sarà solo alla finche che si compirà la vera tragedia. Mirra infatti celerà il suo segreto, a differenza della versione di Ovidio, dunque Alfieri fa in modo che solo il pubblico e la protagonista siano a conoscenza del conflitto interiore che genera scompiglio e incomprensioni sulla scena. Mirra, come Edipo, è innocente, ma al tempo stesso colpevole e sebbene sia stata la dea Afrodite a provocare questo sentimento empio, sarà comunque Mirra a pagare. Un tema già caro alla tragedia greca, che si ripropone in un'opera del XVIII secolo: vetta e abisso si trovano ad essere separati da un labile confine. Mirra, così come Edipo, da una posizione sociale importante e da un matrimonio vantaggioso alle porte benedetto dalla sua famiglia con un principe dalle molte virtù, si trova a fare i conti con un sentimento incestuoso che l'avrebbe certamente trascinata nel disonore. Non vige però sulla scena un conflitto con il mondo esterno, Mirra di fatto non deve scontrarsi con chimere estranee, ma deve fare i conti con la sua coscienza. L'eroe tragico non è più dunque una figura tutta d'un pezzo, ma una figura combattuta e debole. In questa breve ma intensa tragedia il lettore soffre con Mirra e non può non provare pietà per una povera sciagurata. Leggere un'opera teatrale senza uno spettacolo di riferimento, può essere uno svantaggio, può certamente compromettere il coinvolgimento del lettore. Allora perché leggere un'opera pensata unicamente per la scena? Perché nonostante questo, si ha il vantaggio indiscusso di poter viaggiare con la fantasia. Il lettore ha la possibilità di diventare regista, di immaginare così la scenografia, il cast, i costumi, l'impostazione della scena... insomma, chi legge assume un ruolo attivo creando con l'immaginazione ciò che un regista porta sulla scena.
Mirra Ei con Perèo mi lascia?... Oh rio cimento! Vieppiù il cor mi si squarcia... (Mirra - Atto II, Scena seconda, vv.107-108)
La prima immagine di Mirra è già franta in due nette personalità, inframezzate da quei puntini di sospensione che, a differenza degli altri personaggi della tragedia, ne esprimono nel silenzio la lacerazione interiore; sicché, a differenza di Saul, non vi sono nemici né proiezioni, bensì un dramma interiore, incarnato dalla stessa Mirra, tra parola e silenzio, tra ragione ed impulso.
Mirra: ...Signor...
Ciniro: Tu mal cominci: a te non sono signor; padre son io: puoi tu chiamarmi con altro nome, o figlia?
Mirra: O Mirra, è questo l'ultimo sforzo. - Alma, coraggio...
Cecri: Oh cielo! Pallor di morte in volto...
Mirra: A me?...
Ciniro: Ma donde, donde il tremar? del padre tuo?...
Mirra: Non tremo... Parmi;... od almen, non tremerò più omai, poiché ad udirmi or sì pietose state. - L'unica vostra, e troppo amata figlia son io, ben so. Goder d'ogni mia gioja, e v'attristar d'ogni mio duol vi veggo; ciò stesso il duol mi accresce. Oltre i confini del natural dolore il mio trascorre; invan lo ascondo; e a voi vorrei pur dirlo,... ove il sapessi io stessa. [...] (Ibidem - Atto III, scena seconda, vv.60-74)
Protagonista indiscussa della tragedia è la parola, che in Mirra allude ad un inesprimibile dolore, su cui fa eco continuo il presagio di una morte purificatrice: nel gioco di reticenze, infatti, traspare un che di ineffabile e di istintuale che appartiene al mondo delle pulsioni, e che in lei si consuma in un tragico silenzio, a cui gli amorevoli cari vorrebbero recare beneficio mediante la parola stessa, nel tentativo di razionalizzare ciò che razionale non è. E nel mostrare questo, Alfieri compie un balzo che sovrasta perfino le inquietudini romantiche di cui sarà egli stesso un inconsapevole precursore, e che approda verso un approccio psicanalitico: in Mirra vive il conflitto tra Es, l'incestuosa passione, e Super-Io, il rispetto di determinate convenzioni sociali e morali, a cui Alfieri consegna due forme espressive totalmente differenti e che rendono netta la frattura esistenziale che si forma nella protagonista, conferendole uno spessore tale da sovrastare quel ruolo che dovrebbe rivestire nell'opera.
Mirra: Tu prima, tu sola, tu sempiterna cagione funesta d'ogni miseria mia...
Cecri: Che parli?... Oh figlia!... Io la cagion?... Ma già il tuo pianto a rivi...
Mirra: Deh! Perdonami deh!... Non io favello; una incognita forza in me favella... Madre, ah! troppo tu m'ami; ed io...
Cecri: Me nomi cagion?...
Mirra: Tu, sì; de' mali miei cagione fosti, nel dar vita ad un'empia; e il sei, s'ora di tormela nieghi; or, ch'io ferventi prieghi ten porgo. Ancor n'è tempo; ancora sono innocente, quasi... - Ma,... non regge a tante furie... il languente ... mio... corpo... mancano i piè,... mancano... i sensi. (Ibidem - Atto IV, scena settima, vv.289-302)
Se in Saul i conflitti interiori si compenetrano, manifestandosi poi in un inconsapevole delirio, in Mirra, invece, essi tentano di sopraffarsi in maniera lampante, al punto di avere, a differenza di quando accade col primo, l'impressione di trovarsi dinanzi ad una lucida figura che tenta di dominare quelle recondite pulsioni dovute all'Es che trasfigurano le figure del padre e della madre, rispettivamente, nell'oggetto del desiderio e nella rivale di cotale desiderio. Alfieri, tuttavia, non si limita solo a dare voce e parola ad un duello psicologico - le cui sfumature rimandano in parte al complesso di Edipo freudiano - bensì arriva a mettere in atto una trasfigurazione patetica del personaggio, da innocente a colpevole, nel momento in cui viene costretta a tramutare il silenzio irrazionale in parola razionale, e con esso l'affettuoso padre, che mai viene meno al proprio ruolo genitoriale, rimarcando una certa atipicità della tragedia nel contesto tematico ed ideologico in cui si immergono tutte le altre - forse escludendo il già nominato Saul.
Mirra: Ah! non è vile;... è iniqua la mia fiamma; né mai...
Ciniro: Che parli? iniqua, ove primiero il genitor tuo stesso non la condanna, ella non fia: la svela.
Mirra: Raccapricciar d'orror il padre, se la sapesse... Ciniro...
Ciniro: Che ascolto!
Mirra: Che dico... ahi lassa!... non so quel ch'io dica... Non provo amor... Non creder, no... Deh! lascia, tene scongiuro per l'ultima volta, lasciami il piè ritrarre. (Ibidem - Atto V, scena seconda, vv.165-174)
A quel padre ad opera del Super-Io fa improvvisamente capolino il Ciniro dell'Es in correlazione all'iniqua fiamma che arde nel cuore di Mirra: la sua pietosa figura comincia a deformarsi, rea di un recondito ed incontrollabile sentimento che non può esprimersi: la sua parola si fa confusa: quella di Ciniro, tanto incredula quanto insostenibile: un'unica soluzione la possiede, offuscandone la ragione: con un chiasmo frantumato dagli ultimi soffi vitali, Alfieri ne riassume il triste dramma:
Che, in fondo, è un dramma pienamente esistenziale, ma soprattutto umano, e che Alfieri col suo forte sentire ha saputo rappresentare in maniera credibile, coinvolgente, e penetrante. E per quanto si possa avvertire il distacco linguistico - seppur io reputi Parini ben più complesso da leggere - permangono quelle ragioni che lo rendono un vero gigante della letteratura italiana: la potenza delle immagini da lui evocate e le riflessioni costruite attorno ad esse, ricche di spunti, feconde di idee, lontane nel linguaggio, eppure vicine nel contenuto.
Read this for school, really appreciated the way in which Alfieri portrayed Mirra and her story, not focusing on the incestuous feeling itself, but rather on the overpowering feeling of knowing to be battling with something that's almost impossible to get away from. The only aspect that made it a tad hard to read was the kind of italian in which the tragedy it's written, truly enjoyable nonetheless!
Vittorio Alfieri (1749-1803) fa parte dei "protoromantici", gli anticipatori del Romanticismo. Modello d'ispirazione per la perfetta condotta morale, rappresenta l'esempio-guida della "giusta misura": se la sua formazione è rivolta al passato, i contenuti risultano moderni grazie alla rete di contatti con le culture straniere. La letteratura di Alfieri si affida ai sentimenti, ed è questo che lo differenzia dagli autori del Settecento: in quanto spirito libero e cittadino del Mondo, la sua scrittura è piena di refusi, sintassi disarmonica, iperbati, strutture non limate, perlopiù asimmetriche. Gli scenari da cui prende spunto sono quelli della Scandinavia: paesaggi desolati, aridi, che suscitano emozioni contrastanti. Perfino nelle tragedie mischia l'unità di tempo classica alla psicologia romantica dei personaggi, sviluppando tematiche come la contrapposizione tra libertà e tirannia o il conflitto dell'uomo con se stesso (titanismo alfierano.) "Mirra" non è una storia politica, al contrario s'ispira al mito greco "Le metamorfosi" di Ovidio e viene ambientata in un'atmosfera familiare, quasi borghese. Ci troviamo di fronte all'ira di una Dea che, per vendicarsi, costringerà Mirra a innamorarsi del padre Ciniro, re di Cipro. La colpevole del misfatto è Cecri, la madre: vantandosi della bellezza della figlia, infatti, provocherà l'invidia di Venere. Impressionante la bravura di Alfieri nell'introdurre religione e superbia, i fattori scatenanti dell'incesto contro natura: Venere, gelosa della felicità umana (che alla fin fine annulla il timore per le divinità), non fa altro che servirsi dei propri poteri per rendere impura la protagonista. Consigliato.
Alfieri crea una vicenda che mostra la protagonista già sconfitta. In quest’opera si vede il forte condizionamento della società contemporanea e della mentalità comune. Mirra combatte con se stessa per andare incontro alle aspettative della società. Ogni personaggio da una propria interpretazione della figura di Mirra (anticipa la visione di Pirandello sulle maschere). Noi esistiamo solo in base alla relazione che abbiamo con gli altri. Mirra è un personaggio estremamente moderno, il suo è un dolore come quello che provano i personaggi di Joyce. Lo scontro è ora interiore. Ella muore la colpevole, perché così lei si ritiene. Mirra è un personaggio di estrema solitudine; il silenzio �� l’unica difesa che ha. È la protagonista stessa a condannarsi alla incomunicabilità.
Mirra nella sua semplicità è una tragedia struggente e toccante, breve, ma intensa e coinvolgente. È interamente ambientata all'interno della Reggia di Cipro nel giorno in cui devono essere celebrate le nozze fra Mirra, l'amatissima figlia di Ciniro e Cecri, e Perèo, principe dell'Epìro.
Perèo è il principe azzurro per eccellenza: di nobile famiglia, di animo buono e gentile, giovane, bellissimo e sinceramente innamorato di Mirra. E i genitori ne sono ben contenti, poiché la figlia finalmente ha scelto un buon partito dopo anni in cui non dava segno di volersi assolutamente sposare con nessuno. Tuttavia Mirra appare sempre più tormentata e sempre più infelice ogni giorno che passa.
《CECRI: Ma, poiché tolta ogni contesa ebbe Perèo, di Epìro l´erede; a cui, per nobiltà, possanza, valor, beltade, giovinezza, e senno, nullo omai si agguagliava; allor che l´alta scelta di Mirra a noi pur tanto piacque; quando in se stessa compiacersen ella lieta dovea; più forte in lei tempesta sorger vediamo, e più mortale angoscia la travaglia ogni dì?...》 (Atto I - Scena I)
Tutti sono sempre più preoccupati, per la sua felicità e per la sua salute. Ma Mirra non desidera altro che la morte, arrivando perfino a chiedere alla sua nutrice di ucciderla, poiché trova insopportabile il proprio dolore ed altrettanto insopportabile il dolore che di riflesso si rende conto di infliggere ai suoi genitori e alle persone che le vogliono bene.
《MIRRA: Ti chieggo di abbreviar miei mali. A poco, a poco strugger tu vedi il mio misero corpo; il mio languir miei genitori uccide; odiosa a me stessa, altrui dannosa, scampar non posso: amor, pietà verace, fia ´l procacciarmi morte; a te la chieggio...》(Atto II - Scena IV)
I genitori ed il promesso sposo sono estremamente comprensivi e sono disposti a tutto pur di renderla felice, anche a costo di incorrere in conseguenze sconvenienti per entrambi i regni. Offrono a Mirra la possibilità di annullare il matrimonio, se quella è la causa del suo tormento, ma la ragazza insiste nel volersi sposare nonostante sia ben evidente quanto questa sua decisione le costi.
《 CINIRO: A udirti siam presti entrambi. Or, del tuo fero stato se disvelarne la cagion ti piace, vita ci dai; ma, se il tacerla pure più ti giova o ti aggrada, anco tacerla, figlia, tu puoi; che il tuo piacer fia il nostro. [...] Non sei tenuta a nulla; e noi primieri te ne sciogliam, noi stessi; e, di te degno, generoso ti scioglie anco Perèo. 》 ( Atto III - Scena II)
《 PERÈO: Oh! lieta almeno del mio pianger foss´ella!... A me fia dolce anco il morir, pur ch´ella sia felice. 》 (Atto II - Scena I)
Insomma, sono tutti a sua completa disposizione, eppure Mirra non riesce e non può far nulla per uscire da questa situazione. È innamorata di una persona che non potrà mai avere, ma per quanto abbia provato a ignorare o reprimere questo sentimento non ne è stata capace. È innamorata di Ciniro, suo padre. E questa condizione la spezza in due, separando il suo essere figlia dall'essere donna, due metà incapaci di convivere all'interno dello stesso corpo. Mirra è inorridita da sé stessa, schiacciata da un opprimente senso di colpa che la sta lentamente consumando.
《 MIRRA: — O Morte, Morte, cui tanto invoco, al mio dolor tu sorda sempre sarai?... 》 (Atto V - Scena II)
Anche il rapporto con la madre di conseguenza le diventa doloroso da sopportare; in quanto figlia la ama immensamente, ma allo stesso tempo la vede come una rivale e ne è terribilmente gelosa. Una dualità con cui non riesce a venire a patti, che le provoca emozioni che non è capace di gestire.
《 MIRRA: Tu prima, tu sola, tu sempiterna cagione funesta d´ogni miseria mia... CECRI: Che parli?... Oh figlia!... Io la cagion?... Ma già il tuo pianto a rivi... MIRRA: Deh! perdonami; deh!... Non io favello; una incognita forza in me favella... Madre, ah! troppo tu m´ami; ed io... 》 (Atto III - Scena VII)
Il primo a perdere la pazienza è proprio Ciniro, che la prende da parte per parlare e non ha intenzione di concludere la conversazione senza farsi rivelare quale sia il problema. Mirra infine cede, e rivela il suo straziante segreto.
《 CINIRO: Ingrata: omai col disperarmi co´ tuoi modi, e farti del mio dolore gioco, omai per sempre perduto hai tu l´amor del padre. MIRRA: Oh dura, fera orribil minaccia!... Or, nel mio estremo sospir, che già si appressa,... alle tante altre furie mie l´odio crudo aggiungerassi del genitor?... Da te morire io lungi?... Oh madre mia felice!... almen concesso a lei sarà... di morire... al tuo fianco...》(Atto V - Scena II )
Messa di fronte al disgusto del padre, che va ad aggiungersi a quello che già provava verso sé stessa, decide infine di togliersi la vita con la spada che Ciniro porta al fianco. Le ultime sue parole sono rivolte ad Euriclea, un rimprovero per essersi rifiutata di ucciderla quando ancora poteva morire con dignità ed essere ritenuta senza colpa.
Incapibile senza un commento critico di un esperto di filologia.... è una tragedia che non si basa sull'epicità della protagonista ma del suo conflitto interiore, inoltre l'autore si è autocensurato
Coinvolgente tragedia alfieriana in cui il conflitto si consuma all'interno della protagonista; non si può che compiangerla dall'inizio alla fine dell'opera.
Read a translation of this because it was referenced in Mary Shelley's Mathilda. It took me a long time to read it even though it was quite short; I think the Early Modern English that it was translated into made me get a little lost, and I found myself having to reread some parts rather frequently. It's pretty well-done for an adaption that deliberately leaves so much out (Myrrha never actually acts upon her incestuous feelings--nor does she get turned into a tree afterwards, for that matter). The only thing that truly bothered me was that Cinyras blamed Myrrha for her affliction, even though his wife had confessed that she was the one who incurred Venus's jealous wrath against their daughter--I mean she literally tells him scenes before. And this is before he even knows what Myrrha's feelings are; for all he knows his daughter is simply suffering some kind of emotional and mental anguish (which she definitely is!), and yet he still says that he'll no longer take pity on her? And even after she's LITERALLY DEAD he says that she isn't their daughter anymore??? Yeah I hated him. Alifieri did a good job of making Myrrha sympathetic despite the taboo subject matter.
Durante la lettura non ho potuto fare a meno di immaginarmi Alfieri intento ad asciugarsi le lacrime che gli scorrono sul volto dopo l'ennesima crisi, che si ripete sottovoce: "Sarò depresso, ma almeno non mi abbasso a scrivere stupide commedie allegre e compongo solo scritti tragici, pregni di spessore politico e morale che ti insegnano che la vita fa schifo!" Mirra è pressapoco fatta così: un bel 50% di sofferenza in cui sguazzare e possibilmente annegare, e un bel 50% di autocompiacimento tronfio dovuto alla creazione di un'eroina solitaria, infelice, incompresa persino dai suoi affetti più cari ma nonostante questo grande e umana insieme, in cui c'è molto di come Alfieri stesso si vedeva/voleva essere visto. Anche meno Alfieri, anche meno.