Tre luoghi di Milano, vicini sulla mappa ma lontanissimi tra loro, per il nuovo romanzo di Robecchi: la casa di Carlo Monterossi, autore televisivo di una trasmissione trash (di cui si vergogna), cultore di Bob Dylan e detective per caso; il quartiere malfamato attorno a San Siro, un mercato degli alloggi governato dai calabresi, dal collettivo di sinistra e dagli africani che si dividono democraticamente spazi e spacci; infine la questura dove lavorano in tandem il sovrintendente Carella e il vice Ghezzi. Nel centro di Milano hanno sparato a un commerciante di carni, sessantenne ricco e senza ombre, ma c'è una nota stonata: sul cadavere un sasso bianco, liscio, rotondo, poggiato sul petto. Dopo pochi giorni un altro omicidio con le stesse modalità - ancora una volta una pietra sul corpo - getta la città nel panico. Una firma? L'assassino dei sassi occupa le pagine dei giornali, radio e tv, compresa la trasmissione "Crazy Love" che Carlo Monterossi sta finalmente per abbandonare e non ne vede l'ora. Ed è in questo frangente che l'agente di Carlo, Katia Sironi, la sua alleata per la vita, chiede aiuto: la madre anziana è stata derubata in casa di alcuni gioielli, tra cui un anello preziosissimo. E così Carlo, "l'uomo curioso", "l'uomo che risolve problemi", con l'amico Oscar Falcone si mette a caccia dell'anello, solo che nella ricerca della pietra preziosa si imbatte nelle pietre degli omicidi, che nel frattempo sono diventati tre. Da San Siro a via Manzoni, dalle cantine degli alloggi popolari a un albergo sul lago, le indagini di Carella e Ghezzi si incrociano con quelle di Monterossi, finché i conti finiranno, amaramente, per tornare per tutti.
Bravo Robecchi. E' il primo che leggo di questo autore, ho già messo in lista tutti gli altri sperando che siano di pari qualità. E' un giallo italiano eccellente, ben scritto, scorrevole, mai noioso, con una buona ambientazione milanese, personaggi ben dettagliati e una trama solida e avvincente. Non solo giallo, ma anche ironia e critica sociale. E, spesso, si sorride. Che volete di più?
Una lettura piacevolissima. Questo romanzo è il primo Robecchi che leggo della serie di Carlo Monterossi e mi ha fatto venir voglia di colmare il gap.
Un giallo appassionante nella Milano dei contrasti. Un pool di "investigatori" clandestini e molto coinvolgenti che mi ha tenuta inchiodata alle pagine.
"In fondo potrebbe non essere male. Dopotutto significa lavorare senza rotture di palle, rapporti scritti, scartoffie. Sa che Gregori ora vuole una cosa sola: prendere quelli che hanno ammazzato il Gotti e il Crisanti, non solo per assicurare l'assassino alla giustizia, ma anche per metterlo nel culo a quelli là... La motivazione è tutto.[...] La Signora Rosa, che ha ascoltato tutto sforzandosi di non dare consigli presi dalle puntate di Csi, porta via i piatti con gesti fermi ma misurati."
Più vado avanti con questa serie e più ammetto che sia notevole. Non tanto per la trama gialla - buona, consistente - quanto per i dettagli "à côté". In questo periodo ho letto vari libri dove si delinea come il giusto e lo sbagliato, ma soprattutto la giustizia sia moooolto differente da quella che si trova nella legge, nei tribunali. E devo dire che Robecchi, sembrando leggero, lo fa vedere più che bene. Chapeau
Lei non dice niente, gli si avvicina e lo abbraccia. Francesco si accorge che si è tolta l’anello al sopracciglio. Sa perché. Per lo stesso motivo per cui lui si è messo una camicia e i pantaloni buoni. Sorride. Pensa che il piccolo borghese che è in noi non lo cacceremo mai, nemmeno con le bombe.
«Buono, ci voleva, sov», dice Sannucci buttando la plastica nel cestino della carta, e va via sempre rapido, una natura morta in movimento: scarponi d’ordinanza su linoleum triste.
Il cardinale di Milano aveva convocato una veglia di preghiera per questa sera, ma poi l’ha spostata a domani, perché stasera c’è la Champions League, il Signore non si offenderà, e magari guarderà pure lui il Barcellona... Comunque la veglia sarà dedicata alle vittime del terrorismo in città, alle vittime «presenti e future», per dire di come serpeggia l’ottimismo.
«Questa cosa di sassi non finisce più», dice lei indicando i giornali, «ora danno colpa a arabi, io non credo questo, ma arabi ha tante colpe che una in più...».
Lei, si sa, tifa per il Dio degli eserciti, feroce e vendicativo... perché ha vissuto di là della cortina di ferro, quando era una ragazzina, e sa che la vendetta, almeno quella della storia, è una cosa che succede davvero. Non è che dopo andrà meglio, ma la soddisfazione di vedere i giganti cadere nel fango, beh, almeno quella vale il prezzo del biglietto.
«È gente che si incazza ancora», dice, «io non mi incazzo più, lo so che non è bello, ma insomma, tocca a loro, no?». Lei le sue lotte le ha fatte, quand’era ragazza. Nei gruppetti, poi nella Fiom quando faceva l’operaia, ma è durato poco, piegava lamiere alla Singer, sì, quella delle macchine da cucire [...] «Volevamo tutto e cosa abbiamo avuto? Un cazzo di niente». Ride. Ride di sé, pensa Ghezzi, e gli piomba addosso una tristezza senza fine.
Grazie a thrillernord.it! Alessandro Robecchi si conferma autore di grande talento, con questo giallo all’italiana davvero godibile per stile, trama, umorismo e cinismo. Due omicidi nella Milano bene; due uomini di successo ammazzati per strada, con freddezza; e subito i media creano il panico gridando al “Mostro” e costringendo la polizia a correre ai ripari, a ingaggiare profiler e squadre di esperti. Dietro le quinte di tutto questo marasma mediatico, una piccola squadra di poliziotti porta avanti le indagini di nascosto, con base operativa nel soggiorno del sovrintendente Ghezzi; quel sovrintendente che “quando ha un’intuizione. La segue d’istinto, le va dietro come un cane, e poi comincia a ragionarci su”. La moglie Rosa, casalinga appassionata di CSI, ha trasformato in quattro e quattr’otto il piccolo appartamento finto borghese in un ufficio operativo e, mentre porta caffè e pasticcini a tutti i presenti, ascolta i loro discorsi, segue l’evolversi delle indagini e riesce anche a portare il suo contributo. Nel frattempo, Carlo Monterossi - l’uomo di “Crazy Love”, successo televisivo senza precedenti; colui che si è venduto alla TV spazzatura, anche se sogna un programma su Bob Dylan! - come nei romanzi precedenti di Robecchi, si ritrova a indagare…pardon… a scoprire quasi per caso qualcosa di fondamentale per la soluzione del giallo. Ho trovato davvero esilarante la sua ‘interpretazione’ del killer prezzolato, in compagnia di quell’Oscar Falcone che sembra uscito da un fumetto della Sergio Bonelli. E poi c’è “l’altra Milano”, quella dei casermoni; quella in cui le case popolari se le spartiscono i piccoli clan di quartiere, in barba a tutta la burocrazia. Qui, vive Francesco, che la Milano bene la vede solo da lontano, che nella vita si arrabatta in qualche modo, che guarda “un sole pallido, di quelli che non scaldano, un sole che fa il minimo sindacale” È un libro leggero. No, leggero non è la parola giusta … è un libro non pretenzioso, ecco. E moderno. Robecchi non vuole indagare i massimi sistemi, in questo romanzo; vuole raccontarci una storia; e con la scusa di questa storia gialla, ci presenta molti personaggi autentici: alcuni simpatici, altri antipatici; alcuni tristi o arrabbiati, altri pentiti; tutti, certamente, ben disegnati; molti che ti rimangono nel cuore. Comunque, se si ha voglia di indagarli, i massimi sistemi di cui sopra, di spunti per farlo questo libro ne offre parecchi. Carofiglio, in un tweet (tanto per rimanere sul moderno!), dice: “Quello che rende grande un romanzo non sono le parole che hai scritto ma gli spazi vuoti che hai lasciato alla fantasia del lettore”. Questi spazi vuoti, in “Torto marcio” ci sono e sono creati con una prosa piacevole, scorrevole, ironica. Scommetto che gli amanti dei gialli non potranno fare a meno di invidiare Rosa e adorare il suo sensibile ma disincantato marito; chi ama l’ironia sorriderà di gusto per i molti siparietti, chi cerca la coerenza nella trama apprezzerà l’attenzione dell’autore ai dettagli e chi ha il cuore anche solo un po’ sensibile, avrà difficoltà a decidere se stare dalla parte dei ‘buoni’ o dei ‘cattivi’. … poi venite a dirmi se avevo torto, torto marcio!
Alessandro Robecchi - Torto marcio Francesco Girardi fa da mediatore tra Calabresi e Africani nell'assegnazione degli appartamenti abusivi alla periferia di Milano, dove egli stesso vive. Le due fazioni cercano di non farsi la guerra nella spartizione del racket dell'abusivismo edilizio. Francesco si barcamena tra lavori legali e altri molto meno, vive con Chiara che lo asseconda e lo sostiene. Strani omicidi sconvolgono Milano e gli agenti che lavorano a questi casi. I morti sono apparentemente incensurati, vengono uccisi con colpi di pistola e una pietra viene posata sul cadavere. Non hanno alcun legame con il mondo della criminalità, il movente sembra non esserci e gli indizi nemmeno. In questa totale mancanza di riferimenti, si devono muovere i poliziotti Carella e Ghezzi, due personaggi fuori dagli schemi e dagli inquadramenti procedurali. Anche Carlo Monterossi, autore di un famoso programma TV e il suo amico Oscar Falcone una specie di Batman incattivito, un lupo solitario con l’ambizione di mettere a posto le cose del mondo, stanno indagando sono alle prese con un un caso, stanno cercando un prezioso anello sottratto a una conoscente. Queste tre storie, lentamente e inserobilmente, si troveranno sulla stessa strada. Il libro è interessante, soprattutto per la descrizione delle contrapposizioni sociali, la disperazione di chi ha capito che il mondo gli va sempre contro e il menefreghismo di chi ha tutto senza aver fatto nulla. L'incoscienza di entrambe queste posizioni, obbliga le vite delle persone a scontrarsi senza via d'uscita. Molto divertenti anche i dialoghi tra Oscar e Carlo e quelli tra Ghezzi e Carella. Un bel mix divertente e riflessivo. A mio parere, alcuni passaggi, avrebbero richiesto una spiegazione più accurata. 02/02/17
Leggo pochi libri gialli, questo l’ho comprato perché convinto dalle parole di Corrado Augias nella trasmissione “Quante storie”.
Torto marcio è un giallo ma anche no. Ambientato a Milano tra San Siro e via Manzoni, tra i quartieri di lusso e le case popolari occupate dai poveri, dagli africani, dai malviventi. Il sovrintendente Carella e il vice Ghezzi (personaggi familiari per chi ha già letto altri libri di Robecchi) devono risolvere alcuni casi di omicidi, tre uomini, ricchi, il proprietario di una catena di macellerie di lusso, un architetto e un uomo dell'alta finanza; non hanno nulla in comune se non il fatto di essere stati trovati morti e con un sasso bianco e liscio poggiato sul petto. Carlo Monterossi (il protagonista di tutti i gialli di Robecchi) autore televisivo della trasmissione trash Crazy Love, che non sopporta più, condotta da Flora De Pisis, che l'ha trasformata passando dalle lacrime d’amore a quelle per i morti ammazzati. Monterossi preferirebbe scrivere un saggio su Bob Dylan, ma suo malgrado gira per Milano alla ricerca di un anello prezioso rubato alla mamma della sua collaboratrice Katia, con l’aiuto del suo amico Oscar che sa sempre tutto. E in qualche modo finirà nell’imbattersi nella storia dei sassi. Il colpevole si troverà, ma sarà fatta giustizia? Tre morti ammazzati, varie ingiustizie del passato e del presente che si intrecciano.
Tutti i personaggi hanno delle motivazioni, tutte comprensibili e giustificabili tanto da poter dire che tutti hanno ragione ma anche che tutti hanno torto, torto marcio. Robecchi stende diverse trame e con maestria le intreccia con abilità narrativa, con punte di riflessione sociale senza trascurare l’ironia.
Credo che Robecchi sia un ottimo osservatore della varia umanità che ci circonda e delle sue mille sfumature e nei suoi romanzi questa capacità trapela tutta. Anche Monterossi è un personaggio pieno di contraddizioni, appare positivo e paladino della giustizia, ma è solo un annoiato radical-chic. Giunta al 4o romanzo con lui protagonista posso affermare, senza timore di avere torto marcio, che mi sta decisamente antipatico. Comunque la lettura di questo romanzo, come quella dei precedenti del resto, rimane piacevole e intrigante, sia per la trama che per lo stile.
Un altro giallo con Carlo Monterossi in cui il vicesovrintendente Tarcisio Ghezzi prende il sopravvento, rubandogli la scena e diventando coprotagonista. A Milano sono avvenute delle strane morti: il killer, oltre a usare armi molto vecchie, lascia un sasso sulla vittima. Monterossi e Ghezzi conducono indagini parallele ed entrambe clandestine; la squadra di Carella e Ghezzi è stata infatti spodestata da una squadra mandata da Roma, Digos esperti di terrorismo, e addirittura da un profiler israeliano convocato come consulente, visto che si sospetta una matrice terroristica nelle morti. Il vicequestore Gregori, però, si fida di più dei suoi uomini e finge di mandarli in vacanza chiedendo loro di indagare in segreto. Gli uomini fanno addirittura base a casa di Ghezzi, dove la signora Rosa, la moglie del vicesovrintendente, coccola i quattro poliziotti con pranzi, cene e merende e diventa lei stessa un quinto agente, studiando tutte le registrazioni delle telecamere di sorveglianza in prossimità del ritrovamento delle vittime e appuntando tutti i dettagli, anche i più insulsi. Monterossi invece, con l'aiuto del suo misterioso amico Oscar, aiuta la madre di Katia Sironi, la sua agente, a ritrovare un anello rubato che è un autentico pezzo da museo dal valore inestimabile (ma anche impossibile per il ladro da rivendere). Quando, nel corso delle sue indagini, Carlo viene a sapere dei nebulosi "sentito dire" riguardo al killer dei sassi, sente che potrebbero portare a una pista, e dice tutto a Ghezzi. E così il grigiore della sempre più realistica Milano di Robecchi si tinge del grigio degli anni di piombo, perché il legame con il terrorismo c'è, ma non con quello islamico. Passando nell'arco di poche centinaia di metri dalla Milano più ricca a quella degli occupanti abusivi di alloggi popolari, Robecchi mostra uno spaccato delle miserie umane, dove chi uccide un altro essere umano - per quanto viscido - ha sempre torto marcio.
L'auteur, le livre (361 pages, 2023, 2017 en VO) : Alessandro Robecchi est un journaliste et homme de télé italien, humoriste et auteur de polars, étrange cocktail. On avait déjà tourné autour de son précédent roman (Ceci n'est pas une chanson d'amour) mais sans franchir le pas, rebuté par le volet "télé" annoncé dans le pitch. Nous revoici cette fois avec Le tueur au caillou, de celui qu'on surnomme déjà le McBain italien, oui celui de l'inspecteur Carella du 87ème district.
On aime beaucoup : ❤️ On aime l'écriture sèche, nerveuse, rapide et sans fioritures mais bigrement stylée qui happe le lecteur dès les premières pages. On est à Milan : une élégance toute italienne, sûre de son effet sans qu'il soit besoin de trop en rajouter. ❤️ On s'intéresse à l'arrière-plan politique et social sur lequel l'intrigue est construite. L'Italie a un passé politique pour le moins agité et Milan est une grosse ville qui n'échappe pas au sort de ses consœurs européennes. La cité de San Siro, [la casbah de San Siro], est à la capitale de Lombardie ce que La Courneuve est à Paris ou Molenbeek à Bruxelles [clic] : [vous, les gars du centre, vous venez jusqu’ici dans le Bronx]. ❤️ On apprécie l'humour discret dont l'auteur parsème son récit ... ❤️ On savoure une galerie de personnages bien dessinés, même quand il s'agit des seconds rôles. Les enquêteurs vont même s'installer un moment au domicile de l'un d'entre eux : la maîtresse de maison est ravie de recevoir chez elle cette équipe de flics, c'est encore mieux qu'une série télé ! ▼ On aime moins le personnage récurrent de Monterossi, l'homme de télé cynique, sans aucun doute alter ego ou péché mignon de l'auteur, mais dont les propos acerbes sur la télé-réalité donnent un peu trop dans la facilité de quelqu'un qui crache dans la soupe, façon je t'aime moi non plus. Heureusement dans ce troisième épisode de la série, sa présence se fait suffisamment discrète pour ne pas faire d'ombre à Carella et son équipe d'enquêteurs.
L'intrigue : Un notable est retrouvé en bas de chez lui, dans un quartier chic de Milan, troué de deux balles et un beau caillou blanc tout rond posé sur le torse. Et ce n'est que le début ... L'inspecteur Carella (oui, oui) est chargé de l'enquête qui s'oriente assez vite vers une vengeance ou un règlement de comptes, sans doute pour une sombre histoire du passé. Les italiens ont un passé compliqué. Le dénouement (qui aura lieu dans la cité San Siro) portera un constat désabusé sur la société milanaise, dans une tonalité qui rappelle l'amertume du parmesan Valerio Varesi. Pour celles et ceux qui aiment Milan.
Il quarto capitolo delle avventure milanesi di Carlo Monterossi è sicuramente, finora, il più politico, il più nero, il più carico di critica sociale. Ed è, probabilmente per questo, anche quello che mi è piaciuto di più. In Torto marcio due indagini parallele su un presunto killer si intersecano solo brevemente; i dilettanti Monterossi e Falcone fanno da contrappunto ai professionisti Carella e Ghezzi in una trama corale che mi ha tenuto incollato fino all'ultima pagina. Ricchi o poveri, disillusi o impegnati: tutti alla fine si somigliano e si ritrovano, più o meno sconfitti, in un finale che lascia l'amaro in bocca come nella tradizione del buon Camilleri.
Un poliziesco tutto sommato godibile, ma per nulla eccezionale. La storia di per sé non è malaccio, ma la trama qui è là fa acqua, alcuni passaggi sono lacunosi e non ben spiegati. I continui riferimenti a Dylan e i tentativi pseudo filosofici e intellettualoidi invece li ho trovati abbastanza agghiaccianti e forzati.
“Il morto non era uno che di solito muore così”: una frase che racchiude tutto quanto. Robecchi si conferma autore in grado di intessere trame finissime, sullo sfondo di una città che si fa magicamente protagonista.
Leggere si fa leggere e anche di corsa, ma preferivo il romanticismo sociale degli scorsi libri al cinismo fatalista di questo. Per accettare che le cose vanno come vanno c'è già la realtà, no?
Poi pensa che hanno tutti torto. Si, è una storia in cui hanno tutti torto marcio. E niente, prima o poi doveva accadere. Ho iniziato Torto marcio con il ricordo di Di rabbia e di vento, il romanzo che lo precede, della sua forza e soprattutto della sua intimità. Forse ho sbagliato io a caricarlo di tante aspettative, nel credere che se un libro è bello la serie continuerà sempre così. Torto marcio non è che non mi sia piaciuto, mi ha delusa. Ho cercato per tutta la lettura quel Carlo Monterossi che avevo imparato a conoscere e che nel libro precedente avevo visto sotto una nuova luce. Qui non c'è traccia di quel uomo al punto di svolta. Come mi è mancato il Robecchi più personale che invece mi aveva tanto colpito.
@perunaltracitta.org
Il giallo c'è e mi pure piaciuto. Tre morti, tre sassi su di loro, nessun collegamento. La polizia brancola tanto nel buio che il sovrintendente Ghezzi e colleghi sono costretti ad indagare per conto loro, di nascosto dalla squadra ministeriale inviata da Roma. Carlo, invece, sta facendo il conto alla rovescia, altre 4 puntate e poi potrà dire addio a Crazy Love, il programma televisivo che ha inventato e che si è ridotto ad un vomitevole ammasso di lacrime e mezzucci per alzare lo share. Sulla sua strada verso la libertà un ultimo incarico: convincere la moglie di una delle vittime del killer dei sassi a partecipare al programma.
È proprio vero, Carlo e i guai vanno a braccetto e dopo essere stato invischiato nella morte di una escort di lusso, si trova di nuovo nel pieno di un'indagine per omicidio plurimo. Ma questa volta Robecchi sposta un po' il riflettore dal suo protagonista e lo punta sulla polizia, su Ghezzi e i suoi uomini. Segue tre fili narrativi, tre storie che si intrecciano ma che ci fanno sudare l'elemento comune, quello che dà alla fine soddisfazione al lettore. E qui sono inciampata una prima volta durante la lettura, non trovando il quid di tante pagine, annaspando più volte nel continuare perché non mi sembrava di arrivare mai al punto. Ma come dicevo quello che più mi è mancato è il Carlo dei bei vecchi tempi, la sua ironia in primis. È un Carlo troppo celebrare quello che ho ritrovato qui, mentre in precedenza era più di pancia, più istinto. Si è spezzato qualcosa in lui, è un uomo irrisolto, ma questo qualcosa lo allontana in qualche modo dal lettore invece di avvicinarlo.
Mi piace come scrive Robecchi e se non avessi letto ciò che lo ha preceduto probabilmente avrei osannato questo libro. Purtroppo l'ho letto e ammetto di esserci rimasta male. I libri precedenti erano stati dirompenti e intensi, qui invece tutto si è fatto un po' distante, come se l'autore di fosse pentito di essere andato così sul personale in precedenza e avesse deciso di ripristinare le distanze. A risollevare il tutto c'è però il finale che alza un pochino l'asticella e il mio umore, ricordandomi il Robecchi che avevo avuto modo di conoscere e amare.
Ho scoperto il Robecchi scrittore due estati fa, con "Torto marcio" trovato sulla classica bancarella dei libri.
Devo dire ancor meglio che da sagace notista politico e di costume, nelle cui vesti l'avevo conosciuto, non fosse altro che con la scrittura non è soggetto a ferrei vincoli di impaginazione.
Squarci su una Milano abbastanza inedita, non a caso scelta come ambientazione di questo e degli altri suoi noir, in quanto paradigmatica delle nuove segmentazioni urbane sia sociali che spaziali determinate dalla globalizzazione e così ben descritte da Bauman, il tutto ovviamente con tutt'altro taglio.
Qui, in particolare, si entra nelle pieghe delle politiche abitative appaltate di fatto ad un'area grigia ove operano, e a volte si intrecciano e talora simbioticamente interagiscono, esperienze di lotta e realtà delinquenziali.
In ogni caso il Robecchi scrittore engagé non scade mai nel didascalico o nel paternalistico; le storie, compresa questa, non sono mai declassificabili a pretesto d'occasione o a "casus belli" contro le ingiustizie e le storture sociali.
E comunque la sua scrittura è sempre piacevolmente salace e ironica, analogamente a quella sciorinata in veste di satiro sulla stampa nazionale.
Mi è stato prestato questo libro qualche mese fa, in un mio periodo di blocco del lettore. Dimenticato sul comodino. Preso in mano solo tre giorni fa e letto tutto d'un fiato. Un bel romanzo ambientato a Milano, tra quartieri ricchi e poveri. Si indaga sulla morte di tre uomini, che hanno tutti la stessa firma, un sasso. E' il primo romanzo che leggo di questo autore e ne sono rimasta conquistata, sia dai protagonisti (amore a prima vista per Oscar) e sia per l'ironia e l'umorismo con cui è narrata la storia. Originale l'idea della sig.ra Rosa, che trasforma il suo salotto in un eccellente quartier generale. Carlo Monterossi è il protagonista di questo filone. Ha un intuito particolare per cacciarsi nei guai. Il suo amico Oscar, bravo investigatore privato, riesce a tirar fuori dai pasticci il suo amico. Insomma un bel romanzo, da leggere e consigliare. Doveroso incominciare dal primo.
Ho letto i 4 romanzi del protagonista Carlo Monterossi uno dopo l'altro, come fossero uno solo. Belli tutti, l'ultimo soprattutto. Si apprezza il graduale passaggio da un mood scanzonato, linguaggio piacione e comico del primo "Questa non è una canzone d'amore", che mi ha fatto ridere un sacco, dove Monterossi è protagonista assoluto (lui e il suo entourage televisivo), al giallo/poliziesco quasi puro, intriso di analisi sociale, dove si sorride ancora ma la comicità del primo capitolo della serie è un lontano ricordo. Il Monterossi lascia gradualmente spazio al poliziotto Tarcisio Gherri, al sovrintendente Carella e ad emergere è la Milano dei quartieri di periferia, degli immigrati clandestini, dei casermoni e dei centri sociali. Si sorride un po' più a denti stretti, ma resta un bel leggere.
Ormai, i toni quasi scherzosi dei primi libri si sono smorzati e questo libro e il precedente sono più cupi e riflessivi.
Questo, in particolare, presenta un caso intrigante e le due componenti polizia-Monterossi sono ben bilanciate e si sfiorano senza intralciarsi a vicenda e, anche se il punto di incontro è facilmente prevedibile, rende giustizia anche ai personaggi del Team Polizia che finora erano genericamente macchiette con alcune eccezioni. Ora iniziano ad essere genericamente sfaccettati, con alcune macchiette.
Questo Monterossi sempre più dubbioso e depresso ci piace di più, Oscar Falcone viene ufficialmente promosso da Plotdevice Per Avere Informazioni a personaggio portante (e ci piace tantissimo) e anche i comprimari minori, stavolta mi hanno fatto tenerezza.
Pur trovandoci molto di già visto, come il classico poliziotto burbero dalle intuizioni geniali e dal cuore tenero, in nome del quale commette piccoli reati per aiutare gli "ultimi", ha una sua originalità. Interessante la figura di Monterossi, autore televisivo e vero protagonista, che contrappone la vita lussuosa che conduce, grazie ai proventi del programma televisivo da lui ideato, al disgusto che lo stesso programma trash, condotto da Flora De Pisis, gli suscita, tanto da soprannominarlo "La fabbrica della merda". A chi corrisponda la De Pisis nei palinsesti attuali, non è difficile immaginarlo. Un romanzo dignitoso, peccato che sia ammorbato dalla pervasiva e soffocante presenza di citazioni tratte delle canzoni di Bob Dylan (per il quale l'autore ha un leggerissimo debole).
A mio parere questo è un altro ottimo libro sui nostri protagonisti polizieschi. Si perché non si tratta solo delle avventure di Carlo Monterossi e company, ma in parallelo c'è tutto il lavoro dei vari agenti presenti pure nei libri precedenti. Un bel libro sebbene forse un pò più lento degli altri ma credo perché affronta tematiche ben più profonde sebbene lo si comprenda chiaramente solo verso la fine. È un bel libro ancora ma molto diverso dai precedenti e per questo motivo tende a lasciarti un pò come se ti mancasse qualcosa una volta finito. Ad ogni modo è sempre scritto molto bene con piacevoli battute ed un'ottima narrazione. Grazie Alessandro.
Un discreto poliziesco nostrano forse raccontato con il piede troppo pigiato sull'acceleratore ma con personaggi simpatici e credibili: mi viene spontaneo il paragone con Antonio Manzini da cui, almeno per questo romanzo, il Robecchi esce, a mio parere sconfitto anche se con onore! La trama è presto detta: Milano è sconvolta da una serie di omicidi misteriosi caratterizzati dal fatto che sui cadaveri delle vittime spicca la presenza di una pietra dal significato ignoto; le forze dell'ordine brancolano nel buio ma la caparbietà dei sovrintendenti Ghezzi e Carella e della loro squadra di segugi porterà alla soluzione del caso.
Ahi! Che storiaccia che imbastisce questa volta il caro Robecchi. Ancora una volta, presi per mano e portati in visita nella "capital ben vestida", dei ricconi, delle ville, dei macchinoni, degli agganci e degli accordi, dei palazzoni, degli ultimi, dei poveracci, degli invisibili. Uno storiacccia, che lascia poi un bocca un saporaccio, perché sai che non hai letto qualcosa di campato per aria, ma qualcosa invece di fin troppo vero e autentico. Una storiaccia, perché poi alla fine quando il protagonista dice "Non si ammazza la gente!" e gli viene domandato "Perché?", beh, alla fine di sta storiaccia, non si sa mica bene cosa rispodere.
Alessandro Robecchi scrive dei gialli che si leggono con grande piacere. Questa volta, più di altre, la trama ci immerge nell’eterna contrapposizione tra chi ha tutto e chi niente ricollegandosi ad un episodio dei cosiddetti “anni di piombo” quando a Milano la contesa si faceva a colpi di P38. Il finale, come sempre in queste storie che coinvolgono Carlo Monterossi produttore di successo della “grande fabbrica della merda”, è scontato: il poveraccio che ha sbagliato paga, la riccona che ha sbagliato la fa franca. In fondo, purtroppo, la realtà è questa e non basta la retorica di ultra sinistra dell’autore a modificarla anche se in certi tratti un pochino stanca ed infastidisce.
Alla fine la stessa sensazione provata al termine di "Follia maggiore". Se la lettura di un giallo risulta troppo frammentaria, se ci sono troppi cali di palpebra, forse non è tutta colpa del lettore. Una volta può essere, un periodo di stanchezza può non favorire, ma due su due... Sicuramente Robecchi non scrive male, ma scrivere gialli non è la stessa cosa che fare il giornalista. La profondità dei personaggi, il ritmo, la tensione... ecco queste cose sono merce rara nelle pagine dei suoi libri. Quindi mi spiace ma per me è un no. Magari tra qualche anno gli darò una terza chance...
Il mio secondo giallo di Robecchi - e di nuovo, mi e' veramente piaciuto. Bella e credibile la storia, ben delineati i protagonisti, e buono il ritmo. Il lettore onniscente puo' identificare l'assassino a mio avviso senza difficolta', ma rimane sempre viva la curiosita' di scoprire se anche Ghezzi e Carella riusciranno a tirare le fila della vicenda e ad identificarlo, e ad assicurarlo alla giustizia. Poi a me affascinano le descrizioni di Milano, quella bene dei salotti, quella clandestina delle case occupate dell'Aler. Un bel libro
Ennesima avventura di Carlo Monterossi, nella quale -insieme ad Oscar- è impegnato a ritrovare la refurtiva sottratta alla mamma della sua agente e parallelamente vede Carella e Ghezzi alle prese con una serie di omicidi, dalla firma insolita. Come al solito non manca l'ironia, il sarcasmo, la brillantezza di tutti i personaggi. Ci ho messo tanto a leggerlo, perché l'ho abbandonato in virtù di altre sfide di lettura. Robecchi è autore anche di comici e si vede. Inoltre è citato un luogo storico della città di Gallarate, dove vivo e lavoro! Non vedo l'ora di leggere il successivo!