Uno fra i più autorevoli storici dell’arte dei nostri giorni si interroga sul perché l’idea stessa di immagine, il suo fascino e la sua potenza siano temi sempre attuali. Questo dipende in primo luogo dall’inedita predominanza del visuale in tutti gli ambiti del nostro quotidiano. Ma dietro si annida un problema più profondo e paradossale: le immagini, in quanto artefatti, non possiedono vita propria, eppure sviluppano una presenza che le differenzia e le eleva rispetto alla materia inanimata. Da qui l’aspettativa che la riflessione possa spingersi oltre il livello del puro sguardo, della mera contemplazione. Nell’apparente conflitto tra fissità e vitalità sta il vero potere attivo delle immagini. Partendo da questo presupposto, Horst Bredekamp sviluppa una teoria dell’atto iconico complementare a quella dell’atto linguistico e distingue tre aree in cui le immagini operano attivamente: la vita artificiale, lo scambio di immagine e corpo e l’energia autonoma della forma. Il volume rappresenta la summa di decennali ricerche sulla fenomenologia delle immagini e sulla loro forza intrinseca.
Saggio complesso, devo ammetterlo. Apre tuttavia una finestra sul senso profondo di opera d'arte, termine questo quasi mai menzionato nel testo a cui si ricorre invece al più generico (ma non meno pregnate) "atto iconico". Il termine sottende una certa dinamicità del gesto artistico e, più in generale, della produzioni di immagini. Immagini che, attraverso menzioni di natura storico-artistica, l'autore dimostra il possedere un'energia propria, qualcosa che sempre interagisce con l'osservatore, motivo per cui l´opera d'arte va protetta, analizzata, criticata. Dato il taglio trasversale di questo saggio, facili sono gli sconfinamenti nella cultura pop, nell'antropologia, nelle scienze biologiche. Un testo che meriterbbe sicuramente una rilettura più attenta.