Nella vita di Rebecca la fuga a un certo punto è l'unica trama possibile. Il suo matrimonio con Thomas probabilmente è arrivato al capolinea, meglio non assistere alla consunzione dell'amore. Per questo accetta l'incarico dell'organizzazione internazionale per cui lavora: destinazione Tirana. Non è mai stata in Albania, ma di quel paese sa molte cose. Sa per esempio che l'ospite è sacro e che la parola data viene presa seriamente. Quello infatti è il paese che ha dato ospitalità a sua madre Esther in fuga dalla Berlino nazista, il paese che le ha salvato la vita. Ma proprio nell'Albania di re Zog, che accoglieva gli ebrei durante la Seconda guerra mondiale, Esther ha perso sua sorella Abigail – catturata dai nazisti e deportata a Dachau. E quello strappo mai ricucito è ancora troppo doloroso per essere raccontato. Ad accoglierla a Tirana, Rebecca trova un ragazzo dalla voce rauca ma che con le parole sa fare vertiginosi ricami: Andi sarà il suo assistente, e forse qualcosa di più. Rebecca farà così i conti col passato della sua famiglia ma anche con Thomas, che la raggiungerà per provare a dare un nuovo corso alla loro storia. Sarà proprio lui, fotografo di fama, a riannodare i fili di quelle vite spezzate ricostruendo in un documentario le vicende degli ebrei salvati da re Zog, e delle due sorelle Esther e Abigail. Anilda Ibrahimi torna a raccontare la Storia con la forza narrativa e la poesia di Rosso come una sposa, regalandoci personaggi emozionanti, legati indissolubilmente dalla promessa dell'ospitalità e della cura.
L'Albania ai tempi del nazismo ha accolto gli ebrei in fuga e da questo contesto l'autrice prende spunto per ambientare questo romanzo. Una famiglia ebrea fugge dalla Germania e dopo alcune peripezie si rifugia in Albania, le protagoniste sono due sorelline che si devono adattare a una nuova situazione insieme ai genitori e alla nonna. La Storia entra nella narrazione e condizionerà le loro esistenze, fortunatamente la letteratura può donare epiloghi positivi. Una bella scrittura, scorrevole.
Anilda Ibrahimi racconta la sua Albania dal punto di vista degli ebrei che vi si sono rifugiati per salvare la propria vita durante le leggi razziali del '38. Un pezzo di storia poco conosciuto, ma che la scrittrice riporta alla memoria con delicatezza ed eleganza e per questo mi ha conquistato. La poesia è la cifra in questo romanzo: il mare, il cielo, i colori ...ma anche versi di Hikmet, Lorca, Kavafis, di un professore di lettere albanese, tutto concorre a dare bellezza e vibrazioni a un romanzo che piace. Unico neo, a mio avviso, il finale un po' troppo romanzato: coincidenze, soluzioni sopra le righe quasi imbarazzanti. Basta poco per scivolare in un un romance, peccato.
Mi è piaciuto molto questo romanzo: racconta di un periodo storico molto trattato (seconda guerra mondiale/nazismo e persecuzione ebraica) in un paese che conosco poco, ossia l'Albania. La famiglia di Rachel e Abigail (ebrei tedeschi) per fuggire al nazismo trova rifugio in Albania e qui incontra un popolo che li accoglie senza fare troppe domande. Qui imparano usanze e lingue nuove, fanno nuove amicizie, affrontano separazioni e dolori. Impareranno ad amare questa nuova casa, anche se con gli anni ne rimarranno poi delusi. Un libro delicato, che mi ha coinvolto molto
Delicato eppure potente. Poetico eppure crudo. Racconta luoghi devastati ed una storia truce, eppure riesce a toccare corde profonde dell'emozione e del pensiero. Uno stile strano, dialoghi così lontani dalla narrativa che conosciamo e siamo abituati a leggere. E personaggi tratteggiati appena, ma vividi, così vividi da sembrare di conoscerli davvero.
Leggi razziali e persecuzione degli ebrei viste dal punto di vista di un paese, l'Albania, che ammetto di non conoscere granché. Ho trovato la storia un po' confusionaria con i suoi salti avanti e indietro nel tempo e con il passaggio da un personaggio all'altro, ma delle parti mi sono piaciute molto.