Da sin Goffredo Fofi, Grazia Cherchi e Piergiorgio Bellocchio.
Voglio bene a Grazia Cherchi, l’ho sempre stimata, sia per aver letto la sua raccolta di racconti Basta poco per sentirsi soli - credo ormai pressoché introvabile – averla letto l’anno della sua morte, sia perché tra i vari scrittori che ha aiutato e sponsorizzato c’è Massimo Carlotto, il cui esordio Il fuggiasco deve probabilmente parte del suo eccellente smalto al lavoro editoriale di Grazia.
Grazia Cherchi
Grazia non si nasconde: è lei, l’io-narrante è proprio Grazia Cherchi, senza sottrarsi al riconoscimento. Organizza un weekend di “reunion” senza passare per Facebook – che all’epoca (1993) ancora non era apparso -, raccoglie nove amici dei tempi storici, con i quali il filo s’è interrotto da un quarto di secolo, li invita in una villa di campagna che s’è fatta prestare da un’altra amica. Sono nove più Grazia.
Dal film di Nanni Moretti “La cosa”.
La villa è nella campagna piacentina (per forza, i Quaderni Piacentini). La trattoria locale provvederà al cibo per i pasti: ma l’appello prevede di riunirsi nei pomeriggi a partire dalle 17 e condividere la cena (che Grazia vezzosamente con gusto antico chiama il pranzo). Per il resto, gruppo sciolto, tutti liberi di fare e/o non fare quello che preferiscono: passeggiate a piedi o in bici, bagno nel fiume, ecc.
Cherchi e Baricco.
Chiaro che se non altro il primo impatto è dedicato a riconoscersi, e soprattutto a riconoscere i passaggi del tempo sul corpo e sul viso: chi è più in carne, chi invece s’è smagrito, chi ha più rughe e chi meno, chi ha mantenuto più smalto e chi invece ne ha ceduto allo scorrere degli anni, chi ha contratto nuove abitudini e manie e chi invece ha conservato quelli vecchi, chi beve troppo e chi mangia poco, chi è rimasto tristanzuolo, chi invece lo è diventato, e chi si pasce del suo successo sociale ed economico. Si sa, gli eroici furori si sono stravolti in nevrosi.
L’obiettivo di Grazia in partenza è così descritto nella lettera d’invito a ciascun ospite: Sento urgente il bisogno di discutere con voi dell’attuale situazione italiana: se ci sia ancora uno spiraglio, qualcosa su cui puntare, per cui battersi (alla nostra età non si emigra). È ancora possibile avere uno straccio di speranza? Tutti gli amici sono fratelli maggiori dei sessantottini, provengono dalle lotte di quell’aria della sinistra critica col Partito, che generò gruppi e movimento. L’anno fa ricordare che la Guerra Fredda era un ricordo recente, Mani Pulite era esplosa, Berlusconi minacciava di candidarsi, il partito storico della sinistra italiana aveva cambiato nome… Nella stessa lettera d’invito Grazia annuncia (e avverte) che la rimpatriata fornirà materiale per un libro che intende scrivere. E ciò suona un po’ come un commiato, un testamento (la Cherchi è morta due anni dopo l’uscita di questo suo primo, ergo ultimo, romanzo).
I riferimenti fioccano: il film The Big Chill – Il grande freddo, il Decamerone – che qui diventa Decamerino per non sentirsi troppo importanti – il film di Scola C’eravamo tanto amati, Pirandello e nove, o dieci, personaggi in cerca d’autore, e così via. Grazia Cherchi c’è dentro tutta: i nove amici rimangono solo col nome di battesimo, ma quelli dei Quaderni Piacentini vengono nominati anche per cognome - Piergiorgio Bellocchio, il fratello e non il figlio del regista, Franco Fortini, Goffredo Fofi, Giovanni Giudici, Gad Lerner. C’è una foto dell’epoca dove compaiono i “nostri”, alquanto più giovani, in compagnia di un buon numero di quelli diventati celebri, nominati ma non invitati alla rimpatriata. E fra i nove si scopre che qualcun altro sembra avere avuto la stessa idea di Grazia, scrivere un libro su questo weekend.
Tullio Pericoli e Grazia Cherchi
C’è l’ironia della Cherchi, che a volte può diventare sarcasmo ma sempre con affetto, c’è un sottile velo di nostalgia e uno forse meno sottile di malinconia, c’è una scrittura efficace, che tiene sempre a mente il lettore, non cerca l’effetto, non cerca il passaggio difficile, non sfoggia l’abilità. C’è l’amore per i libri, e il rispetto del lettore, sempre davanti a tutto e tutti. Si sorride, magari s’affaccia un accenno di lacrima sotto le palpebre, ci si diverte, ci si sente invasi da tenerezza e affetto. E pure se non si direbbe, l’impressione è che uno straccio di speranza è possibile averlo.
alla fine ho letto la postfazione di Daria Bignardi, piena di affettuoso rimpianto per l'autrice, che se n'è andata troppo presto, e mi è dispiaciuto quello che ho pensato di questo libro. Ma l'ho pensato e lo penso: questa riunione fra persone molto adulte, che sono state molto legate nella loro gioventù sessantottina e si sono perse per anni (tantissimi, se ho capito bene) è il manifesto dell'inutilità. E sarebbe un peccato veniale, se i personaggi non fossero irrimediabilmente detestabili, tutti a lamentarsi di un mondo che si ostina a non corrispondere alle loro aspettative ("Era un'Italia terribile, quella, tragica, al sud si moriva ancora di fame o di malattie infettive, ma il mondo ci era meno estraneo: oggi non si riesce più a condividere niente": frase rivelatrice di una scala di valori preoccupante, per cui è meno grave che da qualche parte si muoia di fame, se questo non impedisce che noi possiamo condividere le nostre esperienze) e a non riconoscere i loro meriti, al punto di avere costretto qualcuno a saltare il fosso ("A Milano avevo visto condannare compagni innocenti, a Roma imparai a far assolvere ricchi colpevoli"). E poi pronti a fregare qualcuno (quello che vuole trarre un libro dalla cronaca di quei giorni, rubando l'idea all'autrice; quello che se ne va portandosi via due casse di vino, dopo avere anche provato ad attribuirsi una poesia altrui), e tutti sempre insopportabilmente pronti a citare qualcuno (Noventa, il Don Giovanni, Gaber, Dostoievsky). Ammetto di provare una punta di invida per chi vive in un ambiente in cui uomini letterati dedicano a donne letterate poesie ed epigrammi, ma capisco che in quell'ambiente ci siano anche tanti aspetti che mi respingerebbero (e comunque non sono una letterata). Per cui no, mi dispiace, ma questo libro non mi è piaciuto affatto.
”Aver desiderato le stesse cose e non averle avute, in qualche modo continua a unirci.”
Una casa di campagna presa in prestito vede la reunion di una decina di amici dei bei vecchi tempi: stiamo parlando del Sessantotto e di tutte le sue fatiche d’amor perdute. L’ideatrice dell’incontro e narratrice della storia è Grazia, quegli amici e amiche ritrovati hanno avuto vite diverse, intrapreso carriere diverse, gli audaci ideali sono drammaticamente tramontati. Che cosa resta della spavalda speranza di allora? Degli obiettivi di uguaglianza e giustizia e delle lotte per realizzarli?
Lo scopriremo leggendo i racconti individuali che i protagonisti di questa storia si scambieranno strada facendo, insieme ai ricordi pieni di humor e forse anche di amara nostalgia di Grazia stessa. Questo infatti è un “romanzo di conversazione” dove ciascuno mostra agli altri una parte intima e dolente di sé, dove il confronto impietoso tra ieri e oggi (siamo nel 1993) non lascia scampo a possibili illusioni, dove il fallimento conclamato del tentativo di cambiare il mondo segna le vite di quei giovani ribelli, ora maturi e più o meno integrati in quel sistema che tanto avevano odiato e combattuto.
“È ancora possibile avere uno straccio di speranza?” è la domanda che ha spinto Grazia a riunire i suoi amici storici. Ma la risposta non c’è. O forse, chissà? Perduta nel vento sarà.
"Era nata a Piacenza nell’estate del 1937, il 19 luglio. L’essenzialità che amava nelle pagine di un autore la adottò anche nella vita."
"Le sue convinzioni le riassunse per tutti Stefano Benni, in pochi versi:
«Grazia ha telefonato:
“Finalmente mi hai mandato
un vero romanzo
asciutto e stringato”.
Grazia, da mesi di dirtelo tento,
era la lettera di accompagnamento».
Stare sempre dalla parte del lettore, quella era la sua visuale: da una recensione o un saggio pretendeva onestà e spirito di servizio, la irritavano il servilismo, le lodi incorporate, i preamboli pretestuosi per parlare di tutt’altro fuorché del libro in questione. Il suo principale spauracchio era la noia, subita o inferta (a cui opponeva la convinzione che si possa essere seri senza essere noiosi). E poi i dogmi, le verità uniche e dominanti, l’omologazione."
Tra le pagine di questo romanzo, il suo unico romanzo pubblicato, si incontra una donna che si intuisce essere stata eccezionale.
Per acume e ironia. Intransigenza e spirito di osservazione. E grande intelligenza.
"Prima editor freelance della nostra editoria, e interpreta questo ruolo come un mandato morale. Celebre e riepilogativa questa sua definizione: «L’editing è un lavoro che richiede una forte dose di masochismo. Bisogna infatti tuffarsi nell’altrui personalità (anche stilistica) abdicando alla propria; [...] è un lavoro che resta rigorosamente anonimo, di cui si è ringraziati solo verbalmente»."
"Il suo contributo alla letteratura italiana contemporanea è tutto ancora da studiare e documentare."
(*) I corsivi vengono dalla prefazione di Fabio Stassi.
dopo tanto cercare, ho trovato una copia di questo libro su un banco di porta portese; la forma romanzo non è quella che si addice di più alla straordinaria grazia cherchi, la storia non è originalissima e a in certi punti è poco elaborata. tuttavia, la lettura è piacevole, lo stile è semplice e incisivo, ci sono alcune osservazioni argute e intelligenti e alla fine mi sono regalata qualche ora di svago. grazie grazia, ovunque tu sia.
«Sono commosso: anche per me l’amore è soprattutto compassione», interloquisce Antonio. «Nel senso etimologico, di patire insieme, di darsi conforto l’un l’altro. E di provare pietà del corpo, quando lo si accarezza, lo si offre, lo si riceve in dono. O anche nel sentirlo gioire, stringersi al tuo chiedendo di essere conosciuto, di conoscere. «La prima donna con cui sono andato a letto è stata la mia insegnante di Lettere al liceo. Non ho più dimenticato la frase che mi ha detto prima di fare l’amore: “Vedi, Antonio, quello che stiamo per fare lo possono fare anche i poveri, tutti quanti lo possono fare: in questo, siamo tutti uguali”».
Mi sento fortunato ad avere trovato una copia di questo gioiellino. A qualcuno non sembrerà niente di che, ma questo delizioso racconto di un ritrovo di ex amici e intellettuali è pieno di osservazioni interessanti e argute sulla politica, il confronto tra generazioni, l'amore... e anche di squarci sulla personalità e il gusto di Grazia Cherchi. Non c'è abbastanza azione? Secondo Cherchi, quando c'è azione, ci si distrae sempre. Molto meglio le conversazioni, le idee, l'immobilità nervosa.
"LA MIA È UNA INFELICITÀ CON DESIDERI" Un gruppo di amici che, da giovani, hanno condiviso le passioni politiche, su invito della autrice/narratrice Grazia, si ritrovano in un fine settimana di settembre (il periodo è il 1993, prima della discesa in campo di Silvio Berlusconi), in una grande casa di campagna nel piacentino, "per discutere dell'attuale situazione italiana: se ci sia ancora uno spiraglio, qualcosa su cui puntare, per cui battersi (alla nostra età non si emigra) e delle vicende private", posto che "il privato è politico" (Grazia Gherchi, Fatiche d'amore perdute, Minimum Fax, 1993 prima uscita, 2023, edito da questa casa editrice, pag. 19). L'intenzione della autrice/narratrice, cofondatrice dei Quaderni Piacentini, è quella di scrivere un libro. La costruzione di questo "romanzo di conversazione", come lo definisce Daria Bignardi, viene lasciata agli ospiti/narratori con le loro esperienze politico-personali. Aleggia una sorta di nostalgia/rassegnazione dettata anche dalla maturità (e consapevolezza). "Fatiche d'amore perdute è il libro testamentario di una <>, ma non soltanto per le sconfitte e le delusioni della Sinistra. Termina con la bravata di una bandiera rossa sull'antenna della villa [...], ma la chiusa è più personale (profilo bio-bibliografico di Fabio Stassi, pag. 11). Grazie Gherchi è scomparsa dopo due anni dall'uscita del libro, ristampato quest'anno da minimum Fax (che non è l'edizione dell'immagine). La foto è stata scattata a Stoccolma nel bar del museo dei relitti di mare. [16/2023]
Un gruppo di amici viene riunito in una villa in campagna, 15 anni dopo il loro ultimo incontro (era il 1977, è il 1993). Sono ex '68ini portati nello stesso luogo da una di loro, per fare il punto sullo stato di una certa sinistra (che lottava per l'uguaglianza) e, inevitabilmente, si trova a fare i conti con cosa è diventata. Un po' Il Grande Freddo, un po' Compagni di scuola, a leggerlo vent'anni dopo la sua pubblicazione, si vedono le crepe della sinistra tutta (all'epoca non percepibili) e si trovano alcune delle ragioni della situazione attuale.
Letto in un giorno. Più che i personaggi (molto maschili, molto in dinamiche maschili), avrei voluto sapere di più di Grazia, l'autrice - che narra la storia e che sembra il personaggio più interessante. Grazia Cherchi è anche l'unico motivo per cui mi è venuta voglia di leggere questo libro. Peccato che i personaggi femminili in questa storia sembrino fare solo da contorno in modi diversi.