Se suele invocar la idea de libertad para justificar la acción política. Presidentes estadounidenses tan dispares como Woodrow Wilson, Franklin D. Roosevelt, John F. Kennedy, Ronald Reagan y George W. Bush han cimentado sus políticas en alguna variante del noble ideal de la libertad. Sin embargo, en la práctica, los proyectos suelen chocar con las circunstancias específicas que se dan sobre el terreno. Tal como prueban Abu Ghraib o Guantánamo, la búsqueda de la libertad puede conducir a la violencia y la represión más severas, y socavan nuestra fe en las teorías universales del liberalismo, el neoliberalismo y el cosmopolitismo. Aunando sus dos pasiones, la política y la geografía, David Harvey bosqueja un orden cosmopolita más acorde con una forma emancipatoria de entender la gobernanza global. Cuando los proyectos políticos ignoran la complejidad de la geografía, suelen fracasar. Incorporar el saber geográfico en la formulación de las estrategias políticas y sociales es una condición necesaria para alcanzar una democracia genuina.
Harvey comienza con una aguda crítica de los usos políticos de la libertad, en especial durante el gobierno de George W. Bush. A continuación, mediante la investigación ontológica de las nociones fundacionales de la geografía –el espacio, el lugar y el medio–, reconstruye de una manera radical el conocimiento geográfico para reformular la teoría social y la acción política sobre nuevas bases. Como Harvey deja meridianamente claro, esa transformación alumbra un cosmopolitismo que está arraigado en la experiencia humana, no en ideales ilusorios, y nos pone en camino de alcanzar la liberación que necesitamos
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David Harvey (born 1935) is the Distinguished Professor of Anthropology at the Graduate Center of the City University of New York (CUNY). A leading social theorist of international standing, he graduated from University of Cambridge with a PhD in Geography in 1961.
He is the world's most cited academic geographer (according to Andrew Bodman, see Transactions of the IBG, 1991,1992), and the author of many books and essays that have been prominent in the development of modern geography as a discipline.
His work has contributed greatly to broad social and political debate, most recently he has been credited with helping to bring back social class and Marxist methods as serious methodological tools in the critique of global capitalism, particularly in its neoliberal form.
Soltanto tre stelle, perché il testo non risponde a tutte le domande che pure è capace di porre ed elaborare con grande consapevolezza critica. L'analisi è ottima, insomma, per molti versi davvero illuminante, ma sono carenti le proposte - al solito: perché temo che questo sia un difetto ricorrente "a sinistra" dell'accademia globale. E' il nostro tallone d'Achille. Sono stata a lungo indecisa fra le tre e le quattro stelline, perché forse la mia insoddisfazione dipende da fattori soggettivi. Non ho trovato nel testo quel che stavo cercando e questo è in gran parte un problema mio, non di Harvey. D'altro canto però è vero che l'autore butta sul piatto una questione cruciale quale quella del doppio limite del cosmopolitismo e del localismo, ne rintraccia le origini partendo dalla "Pace Perpetua" di Kant, da un lato, e dal concetto di "dimora" di Heidegger, dall'altro, s'addentra quindi in un'analisi molto puntale, ma poi in un certo senso elude il problema. La posta in gioco, ridotta all'osso e in parole povere, è la seguente: nella nostra costruzione mentale del mondo, siamo presi fra due fuochi. Se ci appelliamo all'universalismo, facilmente cadiamo nella trappola di ritenere universale (e quindi imponibile agli altri, con le buone o con le cattive maniere) il nostro sistema valoriale e politico; al contrario, se abbracciamo l'ottica ristretta del locale - le politiche del territorio e sul territorio che tanto vanno di moda adesso, sia a destra che a sinistra - perdiamo del tutto di vista la dimensione globale (cosa che di questi tempi non è ammissibile) e inoltre rischiamo di fomentare, anche inconsapevolmente, le dinamiche di esclusione dell'Altro. Infatti, se la mia identità dipende interamente dal rapporto con la mia terra / casa / patria / Padania / comune anarchica in Toscana e chi più ne ha, più ne metta, che spazio rimane al dialogo con l'Altro, con chi sta fuori e vive al di là dei miei orizzonti? E' un domandone che riguarderebbe tutti, non solo i professori universitari come Harvey. Il quale - sorprendentemente, trattandosi di un eminente studioso del marxismo - cita appena di sfuggita l'internazionalismo dei secoli XIX e XX. Quell'esperienza storica potrebbe forse dirci qualcosa che abbiamo dimenticato. Bah, chiudo il libro con più dubbi che certezze: la qual cosa non è del tutto negativa, anzi, tuttavia mi aspettavo di più. Comunque, raccomando questa lettura a chiunque sia interessato ad un approccio critico allo studio della geografia.
The latest effort on the part of Harvey, whose effort to reimagine Marxist dialectics in terms of space and geography stretches back to the seventies. This book also represents a critical intervention in the various liberal and neoliberal debates about globalization and cosmopolitanism
Great essays on modern political economy and cultural theory and a break down of the relational space based on the work began by Henri Lefebvres reading of Euclidean, Aristotelian and Cartesian conceptions/ representations of space.