È la primavera del 1977 quando Peppino Impastato, insieme a un gruppo di amici, inaugura Radio Aut, una radio libera nel vero senso della parola. Da Cinisi, feudo del boss Tano Badalamenti, e dall'interno di una famiglia mafiosa, Peppino scuote la Sicilia denunciando i reati della mafia e l'omertà dei suoi compaesani. Una voce talmente potente che poco più di un anno dopo, la notte tra l'8 e il 9 maggio, viene fatta tacere per sempre. Ma pure questo è uno degli errori della pensare corto. Perché, anche se non era scontato, la voce di Peppino da allora non ha mai smesso di parlare, di lottare per la dignità delle persone, di illuminare la strada. È una strada lunga, se si pensa che ancora oggi chi ha depistato le indagini sull'omicidio di Peppino ha fatto carriera, mentre chi invocava la verità non c'è più. Ma è una strada percorsa ormai da migliaia di persone. Per la prima volta, Giovanni, fratello di Peppino, che ne ha raccolto il testimone, fa il punto della situazione delle mafie - e delle antimafie - in Italia, dall'osservatorio di Casa Memoria e del Centro Impastato, da quarant'anni in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata.
È un libro necessario questo di Giovanni Impastato, un testimone autorevole di un concetto molto semplice: l’impegno civile, quello necessario per garantire le condizioni atte a rendere impossibile il continuo attecchire del fenomeno mafioso. È altresì uno scritto necessario per comprendere la figura di Peppino Impastato, ucciso dalla mafia, oltre il film di Giordana che, con il suo successo, ha certamente contribuito a farne conoscere la storia ma che, isolato come strumento di conoscenza, rischia di sigillarla, quella storia, in una semplificazione che il fenomeno mafia non concede. È un libro che trascende inoltre lo stretto vincolo parentale, di un fratello che ricorda il fratello ucciso pretendendo con tutta la sua famiglia la conoscenza oggettiva e dell’uomo e delle condizioni che hanno portato al suo omicidio, facendolo riconoscere come tale dopo l’infame depistaggio volto a farlo passare invece come il suicidio di un terrorista anarchico. Non si tratta neanche di celebrare l’impegno di Giovanni, sarebbe un’autocelebrazione alquanto fastidiosa, quanto di spronare l’impegno di ognuno di noi, di chi minimizza, di chi non conosce il suo territorio, di chi ha smesso di credere nel bene comune, di noi narcotizzati da una cattiva maestra, ancora lei, la TV, o dai falsi miti celebrati dal nostro tempo. È anche la volontà di raccontare come l’esempio di Peppino non sia stato vano e di come esso continui a vivere sempre più spesso nei giovani che sono stati raggiunti dal suo messaggio attraverso l’attività di Giovanni, della mamma Felicia, della famiglia tutta e infine della Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato. Il volume è poi impreziosito dalle illustrazioni di Vauro che con garbata ironia mette in luce i vari aspetti della vicenda di Peppino e della mafia in generale strappando sorrisi intelligenti. È infine anche la testimonianza di come questa dolorosa esperienza personale abbia trasceso i suoi confini naturali, aprendo Cinisi e la Sicilia all’Italia e al mondo e viceversa in un continuo incontrarsi, raccontarsi, impegnarsi di tante persone su fronti diversi, non necessariamente legati alla mafia ma alla legalità intesa come rispetto dei diritti umani, sempre e ovunque. Solo ciò, una vera legalità, porterà alla definitiva sconfitta della mafia, un fenomeno sociale e culturale che si può sconfiggere con l’impegno di tutti noi. Grazie Giovanni.
Peppino ci offre una bella lezione di civiltà: finché non abbiamo la percezione del nostro territorio vaghiamo nel vuoto, anche se coltiviamo i più alti ideali. Dobbiamo sapere se c'è gente che ci avvelena, che sotterra rifiuti, che inquina il mare e non ne risponde, che costruisce case vicino alle spiagge. E per saperlo dobbiamo fare come Peppino: uscire di casa, fare foto, farle circolare e accompagnarle con delle domande. Peppino e i suoi compagni fotografavano le case dei mafiosi, anche dei più noti e rispettati, costruite senza osservare alcuna regola, deturpando ambiente e paesaggio, e poi le ristampavano in grande e le esponevano nelle loro mostre. E così la gente cominciava a riflettere e a farsi domande. Cominciava a chiedersi se non si potesse fare qualcosa.
Bellezza, creatività, libertà: tre parole che la mafia ha sempre odiato e che invece sono nostre, da condividere con tutti.
Contro la mafia libri? Si, sempre. Libri come oggetti -simbolo di una civiltà che non ci sta a farsi distrane dall'attualità, ma soprattutto dalle chiacchiere Libri come esempio di una cura per la conoscenza dei fatti e delle loro motivazioni. Libri come invito aperto al dibattito, al quale ciascuno porti non solo sensazioni, emozioni e sospetti, argomenti, scoperte, proposte. La mafia, lo ripeto, di tutto questo non sa nulla E a ben guardare, neppure i populismi, di qualsiasi colore.
Ho adorato questo libro; interessante e molto stimolante. Giovanni Impastato racconta l'anima del fratello e di Casa memoria con una passione che si può percepire in ogni pagina. Ho avuto la fortuna di incontrarlo durante una conferenza a scuola e mi è sembrata una persona di cuore, con gli occhi che si illuminavano ogni volta che citava Peppino o sua madre. Mi sono appassionata alla storia di Peppino, un giovane intraprendente e senza paura, che credeva nel potere della cultura come strumento per contrastare il fenomeno mafioso. Libro assolutamente da leggere.