1983. L'uomo seduto nella macchina blu è nuovo di quelle parti, ma Remo non ha paura, non sa che cosa sia un estraneo. L'uomo ha tra le mani un passerotto caduto dal nido, almeno così dice, e chiede a Remo di aiutarlo a prendersene cura. Il bambino, sette anni passati quasi tutti per strada, che i genitori hanno altri pensieri, non esita neppure per un attimo. E sale. Tre giorni dopo viene restituito alla famiglia, illeso nel corpo e nell'anima; racconta di un uomo biondo, bellissimo, che lo ha riempito di regali e che ha giocato con lui, come nessun adulto aveva mai fatto. Non è la prima volta che succede e non sarà l'ultima. Trentadue bambini in sedici anni. Tutti tenuti per tre giorni da un uomo che cerca di realizzare i loro desideri e li restituisce alla famiglia, felici. Quando la polizia comincia a collegare i rapimenti lampo, l'uomo scompare.
2015. Il padre di Greta non è mai arrivato una sola volta in ritardo a prenderla. Ma lo sgomento negli occhi della maestra gli fa capire che qualcosa non va, perché Greta a scuola non è mai entrata. Scompare così, la figlia di Remo Polimanti, come lui era scomparso trent'anni prima. Anche lei viene subito restituita alla famiglia, ma priva di vita. Greta non è che la tappa iniziale di una scia di sangue che collega i figli dei bambini rapiti anni prima. Ma perché il rapitore "buono" si è trasformato in un assassino? O forse c'è qualcuno che intende emularlo. O sfidarlo. O punirlo.
In un'inquietante e tormentata danza di ombre e luci, Paola Barbato ci conduce fin dentro le nostre paure più grandi, facendo sanguinare ferite mai guarite davvero.
La Barbato è bravissima! E' il suo primo libro che leggo e mi ha piacevolmente fulminata! Una trama molto complessa e originale che non lascia spazi vuoti. Personaggi descritti così bene che pare di vederli,una scrittura piacevole e scorrevole che non ti lascia un solo attimo per annoiarti,anzi,l'ho iniziato ieri, stamattina presto mi son svegliata con il pensiero di riprendere da dove avevo lasciato , e pochi minuti fa ho finito. Qualche lettore dice che in fondo il mostro non è veramente mostro, se parliamo di chi ha rapito la prima volta i bambini sono d'accordo, ma un mostro in questo libro c'è ,ed è chi inizia ad uccidere bambini innocenti senza scrupolo alcuno.
Che fatica. Leggere questo libro mi ha proprio provato psicologicamente. Innanzitutto perché è un libro disperato, di una disperazione che nella mia percezione è stata del tutto gratuita. E' un libro ripieno di cattiveria, di odio macerato per anni, che mi è rimasto appiccicato addosso anche dopo la lettura. Io leggo per evadere e questo libro mi ha riempito di angoscia: capisco che possa esserci chi apprezza questi temi e ne fa spunto di riflessione, ma con me proprio non ha funzionato così. L'idea di partenza era buona e anche abbastanza originale: il rapitore "buono" mi ha incuriosita e mi sono avvicinata con entusiasmo alla storia, che però ho sentito pesante fin dall'inizio. Ho trovato che il libro si trascinasse, lentamente, a fatica, come se portasse fisicamente su di sé tutto il peso della disperazione e della profonda tristezza che contiene, e mano a mano che proseguivo nella lettura questo peso si trasferiva sulle mie spalle. Ho trovato lo stile della Barbato freddo e asettico, forse era voluto ma anche questo non mi ha aiutato per nulla a farmi amare il romanzo. Parecchie parti sono state a mio avviso trattate in modo troppo prolisso e potevano essere abbreviate senza nulla togliere al romanzo. Non sono riuscita neanche ad affezionarmi ai personaggi, se non a Bianca, chissà perché, e al padre di Daniele, l'unico sostegno a cui mi sono aggrappata per arrivare indenne alla fine. Mi ha infastidito inoltre il trattamento riservato alla Pautasso e alla sua vice: non sono femminista ma l'autrice le ha dipinte come due imbecilli, incapaci davvero di fare due più due e impegnate solo a scornarsi. Tra l'altro alcuni passaggi li ho trovati piuttosto forzati (vivere in Italia traducendo scartoffie dal portoghese? Auguri). La Barbato sarà anche una brava scrittrice, ma non fa per me. Giudicatemi un'oca superficiale, ma adesso ho proprio bisogno della Kinsella.
Col senno di poi non si sa mai definire quale sia stato il momento in cui qualcosa di te è cambiato. Manipoliamo i nostri ricordi e attribuiamo quell’istante a qualcosa di romantico o epico o comunque giustificato dagli eventi, fosse anche una cosa stupida, minore. Ma in realtà il momento in cui cambi avviene a tua insaputa, è la scollatura del picciolo dal ramo prima che la mela cada, è la crepa che si apre da un’angolazione irreparabile, è la frattura di un filamento infinitesimale di tessuto prima che il cuore ci pompi dentro l’emorragia.
Questa storia inizia negli anni ’80 quando tantissimi bambini vengono rapiti e restituiti alle loro famiglie dopo tre giorni. I bambini non sono stati molestati, anzi, durante quei giorni giocano, si divertono, vanno in giro per negozi e tornano felici e sereni a casa. Dopo trent’anni scopriamo che il rapitore, Vincenzo, è un uomo ormai vecchio, solo e pieno di ansie e paure. Vincenzo vive isolato in un piccolo paesino del centro Italia e si ricorda ogni particolare di quei bambini che, secondo lui, ha salvato da brutte situazioni.
«Io volevo solo che capissero tutto quello che non avevano. Che potevano essere felici, ed essere amati, che qualcuno li poteva ascoltare e proteggere…» Si coprì gli occhi con una mano. «Erano cattivi genitori. Tutti quanti, tutti cattivi genitori. Ma hanno imparato. Io gli ho insegnato. Io.»
Infatti i bambini rapiti erano abbandonati a se stessi, trascurati da genitori troppo impegnati o incuranti dei propri figli, o vittime di genitori violenti e assenti. Vincenzo, rapendoli, voleva puntare ai genitori per impaurirli così tanto da comprendere l’importanza di quei bambini.
Daniele non ricordava proprio niente di quelle quarantotto ore, anche se sapeva a memoria quanto aveva detto allora alla polizia, perché aveva dovuto ripeterlo infinite volte a tutti, medici, parenti, amici, per giorni, settimane. Un uomo bello, alto e biondo. Un uccellino in una gabbietta. Il mare, che non aveva mai visto, e dormire in roulotte. Una cosa dolce fatta arrosto che aveva un sapore stranissimo. Tante carezze e tanti sorrisi senza un perché, così tanti da averne abbastanza per sempre. Ma ricordava invece benissimo cosa era successo quando la portiera si era chiusa e l’auto ripartita. Ricordava il grido di una vicina che l’aveva visto dal balcone, la gente che si riversava in strada, la paura, terribile, verso quelle persone che sembravano volerlo divorare, poi il varco, alcuni che cadevano come birilli mentre suo padre si faceva strada e arrivava a lui. Gerardo Burati aveva preso in braccio suo figlio e non lo aveva lasciato toccare da nessuno per due ore, nemmeno dalla moglie. In quelle braccia fino ad allora quasi estranee il bambino si era sentito prigioniero, mentre la voce del padre all’orecchio gli ripeteva sempre le stesse domande, non importava cosa rispondesse. Da allora non aveva mai smesso di toccarlo, come per accertarsi che fosse ancora lì.
La disperazione si fa strada nell’animo di Vincenzo quando tre bambini in vari luoghi d’Italia vengono rapiti e restituiti cadaveri alle famiglie. Vincenzo capisce da subito che c’è qualcosa che li lega e rimane schiacciato dal senso di colpa perché i bambini uccisi sono figli proprio di quei bambini che ha salvato tanto tempo prima. Il suo bisogno di salvarli e di salvare anche se stesso dalla colpa, lo sprona a fare qualcosa e la sua strada si incrocia con un gruppo di persone, gli ex-salvati, che sono sulle tracce dell’assassino.
Paola Barbato accoglie il lettore in una serie di date, rapimenti e informazioni, saltando tra passato e presente che creano un’atmosfera soffocante, serrata e difficile da gestire.
Lo stile è sostenuto, molto scorrevole e immediato. Si comprende anche ciò che intende l’autrice nell’intervista: la narrazione è in terza persona e il linguaggio è condizionato dalla persona che si osserva in quel momento.
Ci sono diversi personaggi che accompagnano Vincenzo. Prima di tutti la Nives, una donna molto forte, determinata e amorevole che ha preso sotto la sua ala protettiva Vincenzo.
Poi ci sono i bambini ex-salvati: Daniele, Giacomo, Bianca, Mariangela.. tantissimi bambini che si ricordano ancora di Vincenzo e che pensano a lui ancora con tanto affetto.
«Lui sta bene?». E per un attimo era stata tentata di risponderle che sì, era vivo, ma no, non stava bene, era in pena per loro, era sempre stato in pena, da prima che li prendesse, perché anche lui era stato un bambino abbandonato a se stesso tanto quanto, solo che a lui era andata male e l’avrebbe pagata tutta la vita, per questo si era messo in mente di salvarli, perché li credeva uguali a lui, si credeva uguale a loro anche adesso che aveva cinquantasei anni ed era rimasto lì, solo con i morsi dei suoi pensieri.
Vincenzo è il personaggio che mi è rimasto nel cuore. Ha commesso degli errori, è un criminale ma è proprio l’eroe di cui parla Paola nell’intervista: un bambino che ha subito traumi che nessuno dovrebbe mai subire, un bambino cresciuto che ha pensato solo di fare del bene e di salvare altri bambini da situazioni negative. Nonostante ne sia convinto, sente ancora il senso di colpa per ciò che ha fatto e per ciò che ha provocato trent’anni dopo e farà di tutto per poter rimediare e trovare riscatto nelle sue azioni.
Vincenzo aveva sempre avuto paura. Sempre, ogni singolo giorno della sua vita. A Vincenzo la vita stessa sembrava una spugna intrisa di terrore.
“Non ti faccio niente” è un romanzo intenso che mi ha trasmesso un sottile senso di paura e mestizia.
Se la bellissima intervista all’autrice non vi ha convinto, spero di averlo fatto io con questa recensione perché questo romanzo è da leggere.
Boh...ho acquistato questo libro rapita dalla trama, ma poi...credo di poter definirlo tutto "troppo": troppe pagine, troppi personaggi, trama troppo improbabile, troppi dubbi, troppi avvenimenti assurdi e descritti con troppa confusione. Peccato perche' davvero sembrava prometter bene ma poi la trama e' diventata cosi pesante e assurda da risultare a tratti cosi noiosa da perdere la voglia e l'entusiasmo di continuare a leggere...e va beh...comunque alla fine sono arrivata e se ne avro' l'occasione sicuramente provero' a leggere qualcos altro di questa scrittrice.
Ha alcuni pregi non banali: è scritto bene, senza sciatteria; alcuni personaggi (il rapitore seriale tenero, goffo, buono; la sua donna energica, brusca, leale; la bella biondina solo apparentemente svagata e fragile) restano nella memoria; l'intreccio acchiappa di pancia. Però i personaggi sono francamente troppi: tanti bambini rapiti, le loro famiglie di origine, le loro relazioni da adulti sono difficili da memorizzare per il lettore e difficili da caratterizzare per l'autore. Però l'antefatto in cui risiede la motivazione dell'assassino ci viene servito a tre quarti abbondanti del libro, come una storia a sé stante, con una tecnica che ho sempre ritenuto vagamente sleale, perché l'autore non mi mette e disposizione i dati per capire. Però le evoluzioni psicologiche sono farraginose e poco spiegate. Però il finale mi è parso precipitoso, dopo che la storia si è dilungata attraverso tante scene splatter. OK, io sono incontentabile, però non è uno dei libri che rileggerò.
La storia è interessante e il genere si colloca tra giallo e drama, si complica, si stabilizza e poi si districa con una certa facilità, però il tutto è scritto con uno stile abbastanza maccheronico, discutibile, che spesso ti allontana dalla storia stessa, nella parte centrale trascinata ma che ha il pregio di parlare delle "colpe" e delle conseguenze di un dolore che la disposizione umana non è capace di assorbire, metabolizzare, razionalizzare.
La storia è tra le più accattivanti che io abbia mai letto, però lo stile di scrittura si addice più a Wattpad (dove è nato) che a un romanzo (nella mia modestissima opinione)!
E' un ritorno in grande stile quello di Paola Barbato, sette lunghissimi anni separano "Non ti faccio niente" dalla sua precedente ottima prova "Il filo rosso", romanzo che instillò in me la consapevolezza di avere a che fare con una scrittrice unica nel panorama letterario italiano. Quello che a prima vista potrebbe fare pensare all'ennesimo romanzo sull'abusata tematica della pedofilia, si rivela invece un viaggio psicologico molto più sottile, seminato e germogliato nel cuore di una madre e nelle sue paure ataviche di perdere un figlio. In questo romanzo la colpa non è l'abuso, ma l'abbandono, il peccato di una società paradossalmente votata alla creazione di una culla opulenta di benessere famigliare, ma che dimentica la vicinanza e l'amore di cui necessita un figlio affacciato alla vita. Leggo tanti thriller e un aspetto che trovo davvero fastidioso ed irritante è la ruffianeria, quella compiacenza gentile funzionale ad arrivare ad un ampio target di utenza, diluendo e semplificando giocoforza lo spessore narrativo. Spesso la storia diventa puro pretesto per raccontare le gesta e le evoluzioni di personaggi seriali imbolsiti e stanchi, come i loro narratori, la classica carota che trascina l’asino per forza d’inerzia. Per Paola Barbato la storia è il nucleo, il brodo primordiale, la tela di ragno accattivante in cui il lettore rimane catturato ed invischiato. Lei come l’abile burattinaio dipana i fili, pianifica trappole e infine divora. La storia muove i personaggi, non viceversa, il personaggio assorbe buio e luce dalla storia, non viceversa. Una storia di straordinario fascino, quasi ipnotica, addirittura capace di sovvertire, sotto certi aspetti, le regole e gli stereotipi di genere, una storia che pone di fronte a riflessioni importanti, che bene o male ci riguardano tutti e che interroga le nostre paure più grandi. Una storia che non fa sconti, a partire dalla sua stessa costruzione, articolata, complessa, cervellotica, ostica, a tratti respingente ed urticante. ”Non ti faccio niente” non si fruisce in maniera passiva, frettolosa e distratta, richiede forte partecipazione attiva da parte del lettore, proprio come le cose più belle richiedono dedizione ed impegno. Il prezzo da pagare per la più soddisfacente ricompensa.
Non ho mai letto un romanzo del genere. Trama originalissima, stile prettamente italiano e soprattutto nordico, flussi di coscienza e ritmo incalzante. Un uomo rapisce i bambini trascurati dalle loro famiglie, per tre giorni li vizia, li coccola, li ama e li rende felici, poi li restituisce ai genitori, tanto disperati da cambiare vita, cambiare atteggiamento. Li rapisce per salvarli. Ma ora, trent’anni dopo, i figli di quei bambini vengono a loro volta rapiti. Ma non faranno mai ritorno alle loro famiglie. I loro corpi senza vita generano dubbi, paure, domande. Vincenzo, il vecchio rapitore, si sente in colpa e cerca di fermare quella spirale di morte insieme alla Nives, sua amante ma anche governante, l’unica che sa del suo segreto, migliore amica, tosta, sbrigativa, leale e disposta a tutto pur di impedirgli di finire in prigione. Ma non sono gli unici a indagare sul caso: oltre alla polizia, oltre a un ispettore in pensione che torna sul campo, ci sono anche gli ex bambini, che si rendono conto di essere al centro di qualcosa di brutto, si coalizzano e cercano di salvarsi e tutelarsi a vicenda. L’identità dell’assassino mi ha colpita come un fulmine a ciel sereno: insospettabile, scioccante, perfetta. Mi ha un po’ irritato il continuo uso di termini colloquiali e dialettali, di parole come ravanare, rognare, moroso, l’articolo davanti ai nomi, ma la storia è troppo avvincente per punirla con un punteggio più basso. Leggerò sicuramente altri romanzi di questa autrice nostrana.
Letto integralmente su Wattpad, dove la cover è più azzeccata, ma la stesura poco curata: invece di È maiuscolo la Barbato scriveva E' con l'apostrofo, cosa davvero poco elegante per una scrittrice, e la punteggiatura tra i dialoghi era piuttosto esotica, per modo di dire. Per il resto, pensavo che questo thriller fosse un capolavoro di originalità, almeno per come è strutturato, ma andando avanti il libro si è affollato sempre di più. Una miriade di personaggi e una vita in wall text infiniti per ognuno di questi, che ha rallentato molto la narrazione. Tutto spiegato nei minimi particolari, anche le quotidianità più inutili ai fini della trama (ma che, d'altro canto, hanno aumento il realismo delle cose). Ma se per l'autrice erano proprio necessari... allora va bene così. Poi, credevo che la scoperta dell'assassino/a dei bambini sarebbe stato un bel plot twist, invece no. In generale, il movente dell'assassino/a più che essere credibile è forzato, ci può stare fino a un certo punto. Devo dire però che la realisticità dei dialoghi è deliziosa, la prosa a tratti è molto coinvolgente. Nel complesso, l'idea originale e accattivante ne fa un buon libro.
Adoro la Barbato sceneggiatrice di fumetti e sono felice di vedere che è anche un'ottima scrittrice di romanzi. Non ti faccio niente è un ottimo giallo, forse non il migliore che abbia letto e forse non è il mio genere, ma l'intreccio narrativo e la scrittura dell'autrice sono una trappola efficacissima, e costringono il lettore a restare incollato fino all'ultima pagina.
Se siete amanti del genere, qui potete andare a colpo sicuro.
Ci ho messo un sacco di tempo a finire questo libro, che evidentemente non è riuscito a conquistarmi. Erano buone le premesse, ma non sono riuscita a entrare in sintonia con la scrittura, con i personaggi, con le vicende. Non era il libro per me, magari non in questo periodo, chissà?!
Sarò cattiva o forse solo molto critica, ma questo libro non mi ha presa per niente. Ho odiato lo spiegone incentrato su un personaggio che si trova verso la fine della durata di 50 pagine circa. I presupposti erano buoni..però mi ha annoiato troppo già ad un quarto del libro.
Giorni di lettura che mi sono sembrati settimane! Confusionario con un affollamento eccessivo di personaggi e dettagli, qualcosa ce la poteva risparmiare! Non le perdono il finale.
Quattro stelle per la trama. Onestamente potevano probabilmente essere cinque ma lo stile di narrazione è poco scorrevole e mi ha reso la lettura più lenta. Bella l'idea di descrivere lo stesso evento raccontato però da personaggi diversi così sembra di vedere un film e la scena è più completa.
E niente, con la Barbato per me è sempre così, arrivo ad un punto che mi rilasso un attimo e penso ok, il peggio per forza deve essere passato...ma è lì che mi piomba addosso la "mazzata" peggiore 😅...ho letto quasi tutti i suoi libri ma ancora non mi capacito di come riesca ad elaborare trame e personaggi da lasciarti col fiato sospeso fino alla fine 😳
Per la terza volta quest'anno mi sono confrontata con un libro della Barbato e posso asserire che non mi sono ancora stancata di lei. All'inizio ho fatto un po' fatica a seguire la storia in quanto ci sono tantissimi personaggi, poi però una volta fatto amicizia coi vari nomi/storie non riuscivo a staccarmi dal libro. Non ti faccio niente è una di quelle letture travolgenti, ogni parola è al posto giusto, non ci sono parti non essenziali o solo riempitive, tutte le informazioni che ti vengono date sono necessarie per ricostruire il puzzle di quello che stai leggendo. Ancora una volta mi sento di dire all'autrice "ottimo lavoro", ci vediamo al prossimo libro!
L’idea di base è forte e di certo interessante. Ma l’esecuzione, beh... è semplicemente tutto sbagliato. Pochissimi i fatti mostrati in presa diretta; per lo più il narratore onnisciente non fa che riferire in toni saccenti vita, morte e miracoli delle più marginali comparse. Salvo nascondere colpevolmente ai lettori le informazioni necessarie per risolvere il mistero. Ogni momento di climax è ucciso da lunghi flashback che spiegano quello che avrebbe dovuto essere mostrato prima. No, decisamente no.
Bellissimo, avvincente e ben scritto. Le 4 stelle sono perché ho trovato diverse parti ridondanti o inutili (la nascita di Pina Pautasso e in genere tutte le parti relative a lei e Flavia). Considerata la vasta pletora di personaggi, forse ci si poteva risparmiare qualcosa. Ma tutto sommato ho trovato geniale l'idea alla base del romanzo e ottima la realizzazione.
In Lilo e Stich, ad un certo punto, si dice che ”famiglia vuol dire che nessuno viene abbandonato o dimenticato”. La famiglia dovrebbe essere così, dovrebbe essere una certezza, un porto sicuro; i genitori dovrebbero vegliare sui propri figli, accertarsi che siano al sicuro. Ma il condizionale è d’obbligo… Un'altra frase, di un altro bellissimo film (almeno per chi come me ama gli spaghetti westrn e Clint Eastwood) ci ricorda che ”il mondo è piccolo e anche molto cattivo” . Leggendo la storia di Vincenzo e dei suoi 32 bambini è a queste parole che sono tornata più volte a pensare. Vincenzo è stato un bambino spezzato, sporcato dal più orribile dei crimini, accaduto perché è stato lasciato solo, per due schifosissime ore in cui nessuno si è accorto della sua assenza. E da quel momento si è ripromesso che quel che è accaduto a lui non sarebbe dovuto accadere mai più. A nessuno. Così si è messo ad osservare i dimenticati, quelli lasciati troppo soli, per troppo tempo. Non guardati, non considerati, per i più svariati motivi. E a rapirli, regalando loro tre giorni di spensieratezza, di quell’infanzia che non hanno avuto e che nella maggior parte dei casi non avranno comunque mai più. E i genitori? A loro deve restare la paura, quella che fa alzare la soglia dell’attenzione, e non solo per tre giorni. Per sempre. Ai genitori resta la colpa muta e il compito di migliorare la vita dei propri figli. Per sedici anni Vincenzo ha fatto quel che ha fatto, fermandosi di punto in bianco dopo Marina, quando è diventanto sempre più difficile passare inosservati. E mentre il mondo è andato avanti lui si è ritirato nel casolare di famiglia, con la Nives che ogni tanto lo va a trovare e si sincera che stia bene; a vivere di ricordi e di dubbi
” sono un uomo cattivo? Sono un uomo sbagliato? Sono un mostro?” si chiede. E non sa darsi risposte e pace.
Meno che mai quando iniziano a morire i figli dei bambini che lui, anni prima, ha rapito/”salvato”. L’assassino usa lo stesso modus operandi di Vincenzo- una paperella di gomma, di quelle da vasca da bagno, lasciata sul luogo del rapimento-, perché? È una dichiarazione rivolta a lui? E chi c’è dietro tutto questo? Dopo l’ennesimo omicidio Vincenzo dovrà decidere se e come affrontare i propri mostri, più uno: quello che lo sta sfidando, lasciando dietro di sé una scia di sangue che, forse, vuole solo essere fermata.
Leggere la Barbato è fare un viaggio nelle angosce, nelle paure, in quella zona grigia e malmostosa che ci portiamo dentro e a cui malvolentieri facciamo visita. Lei ce lo racconta senza fronzoli. Èd è anche uno sguardo sul mondo visto come un luogo potenzialmente micidiale, una giungla dove restare vivi e integri ha del miracoloso. Dove non incappare nell’uomo nero è un attimo e se non si finisce nelle sue grinfie è solo un fortunato capriccio del caso. Perché l’uomo nero può essere chiunque e colpisce senza avvisare, agisce indisturbato sotto la maschera della nonnina o del cassiere che ci ha sorriso mentre ci dava il resto della spesa augurandoci buona giornata.
Paola sfida il lettore a sfatare i luoghi comuni, a confrontarsi con le ataviche paure di ogni genitore, a rivalutare il bene e il male e, ultimo ma non ultimo, a cercare di capire il colpevole e il movente dei delitti. È un giallo? Sì, in parte. È un thriller psicologico? Anche. È un grande insieme di queste cose e anche di più: una riflessione sull’animo umano, uno sguardo acuto e lucido sulle parti scomode e su come affrontarle grazie ai protagonisti del romanzo. Una su tutti la Nives, che ho adorato. Non dico che vorrei esser lei, ma aver la metà del suo “savoir faire” sicuro. E per tornare alle domande di Vincenzo -e dopo aver letto il libro- io gli direi: “sei, semplicemente, un uomo che ha cercato di fare il meglio che poteva, con quello che aveva”.
Trama originalissima, svolgimento pazzesco e una scrittura magnifica mi fanno dare a questo romanzo 5 stelle. Se siete amanti del genere, non potete perdervelo!
"Non ti faccio niente" è il libro che Paola Barbato ha pubblicato su Wattpad, la famosa piattaforma social di narrativa digitale, dove è possibile leggere libri gratuitamente! 🙂 Questo è il primo libro che leggo della Barbato, e mi ha veramente colpito, infatti l'ho divorato in 2 giorni... ed ho già in Wish tutti gli altri suoi romanzi! 👍🏻 La trama segue due linee temporali collegate tra loro, la prima ambientata in Italia negli anni '80, nella seconda linea temporale invece siamo nel 2015!
Nel 1983, un uomo misterioso è seduto in una macchina blu, con un pretesto rapisce bambini, li tiene per tre giorni e poi li restituisce alla famiglia, illesi nel corpo e nell'anima 🧐 ...e felicissimi, perché l'uomo, biondo e bellissimo, li riempie di cibo, di regali e gioca con loro, come mai nessun adulto ha mai fatto!! 🥰🎈 In sedici anni, saranno trentadue i bambini rapiti in varie parti d'Italia, ma quando la polizia inizia a collegare i vari casi, l'uomo misterioso scompare ...e non ci saranno più rapimenti 🤔 Fino al 9 ottobre del 2015, quando sparisce la piccola Greta, è la figlia di Remo Polimanti, uno dei bambini scomparsi trent'anni prima. E come il padre, anche lei viene subito restituita alla famiglia, ma ahimè, senza vita 😨 e questo tragico evento collega tutti i rapimenti avvenuti anni prima. Ma cosa sta succedendo? Perché il rapitore "buono" si è trasformato in un assassino?? O si tratta di un emulatore? 😱
Ho veramente amato questo thriller psicologico, dalla trama avvincente che mi ha tenuta col fiato sospeso e incollata alle pagine dalla prima all'ultima, Paola Barbato ci trascina in una folle caccia al serial killer, una vera corsa contro il tempo. Bellissimo, una lettura che ti coinvolge totalmente anche per l'argomento trattato, si parla di bambini rapiti, di bambini che, pur vivendo all'interno della propria famiglia, soffrono di profonda solitudine o sono in uno stato di abbandono! 😔 Ho amato Vincenzo, il rapitore "buono" -che voleva solo "salvare" i suoi bambini- ❤️ ho amato la Nives, una donna meravigliosa! I personaggi sono tantissimi e tutti ben delineati e realistici, ci sono delle ambientazioni e delle situazioni al cardiopalma (il bosco o il vecchio mattatoio... leggevo con la tachicardia 😬) la narrazione in brevi tratti è cruda e violenta, ma il romanzo è scritto bene, è stata proprio una lettura scorrevole e piacevole. Consigliato 👍🏻
Recensione a cura di Kayla Swarte per Feel The Book
La storia comincia negli anni Ottanta, quando alcuni bambini scompaiono l’uno dopo l’altro. Mancano singolarmente da casa per tre giorni e, poi, vengono restituiti alle loro famiglie senza un graffio. Non sono vittime di abusi, non hanno subito maltrattamenti. Tutti non hanno molti ricordi di quei giorni lontani da casa, ma buone sensazioni sì: hanno ricevuto attenzioni e cure da parte di uno sconosciuto, “un uomo alto, bello e biondo”, quando spesso a casa per i genitori troppo impegnati erano creature trasparenti.
Tre giorni per una vita intera. Tre giorni di assenza per una vita restituita all’affetto e alla presenza: è così che pensa Vincenzo, il rapitore. Prelevava bambini lasciati soli, all’incuria, alla disattenzione, non guidati, abbandonati; e faceva provare ai genitori la paura dell’assenza, della perdita. Perché anche lui era stato quel genere di bambino. E “A Vincenzo la vita stessa sembrava una spugna intrisa di terrore”.
In sedici anni, Vincenzo rapisce trentadue bambini senza essere scoperto.
Confesserà Vincenzo dopo trent’anni, ormai cinquantenne, pieno di paure e sensi di colpa per quello che ha fatto, malgrado l’intenzione nobile. Sensi di colpa e rimorsi perché c’è un emulatore in giro che ha deciso di portare una variazione al suo disegno: i bambini prelevati vengono, sì, restituiti alle famiglie, ma morti; e quei bambini sono i figli dei rapiti da Vincenzo, trent’anni prima. Alcuni di loro si metteranno alla ricerca dell’assassino, compiendo un passo indietro e rivivendo i giorni del loro rapimento, di cui ricordano poco o niente, ma fondamentali per tentare di salvare i propri figli. Con l’aiuto della compagna di Vincenzo, la Nives, e un ex poliziotto in pensione, tutti cercheranno di fermare la ferocia di qualcuno che sembra stia attuando una vendetta crudele.
Non ti faccio nulla di Paola Barbato è un bel thriller dal ritmo sostenuto e non banale, soprattutto nella prima parte e nell’epilogo “soft”; la seconda parte zoppica un poco e non pagano i frequenti salti temporali che rendono l’esperienza di lettura confusa, specie a chi non è avvezzo al genere.
Nel complesso è un romanzo valido, con uno spunto originale dove non manca l’azione e la suspense, e giunti alla fine non riuscirete a guardare una paperella di gomma come prima.
Editing recensione a cura di Lady Owl per Feel The Book
Curiosa di scoprire questa autrice, ho pescato un pò a caso tra i suoi romanzi. Beh, credo di essere caduta proprio bene. Se anche gli altri sono simili penso di aver scoperto un'autrice di cui vorrò leggere tutto!
La storia ha radici lontane, quando un uomo mistrerioso rapiva bambini per poi lasciarli andare dopo 3 giorni, felici di aver fatto tante esperienze divertenti con lui. Non li ha mai toccati e faceva sentire loro l'affetto che a casa non ricevevano. Sul luogo del rapimento lasciava una paperella di gomma. A distanza di tanti anni, i figli di quei bambini ora cresciuti vengono rapiti ma l'epilogo dei rapimenti non è altrettanto felice. Anche in questo caso una paperella di gomma fa la comparsa sulla scena. chi è che vuole portare nuovamente alla luce una storia di tanti anni prima?
Il libro è interessante e coinvolgente per l'idea di base, che mi è sembrata nuova e fresca in un panorama di thriller che seguono sempre lo stesso schema. anche la struttura del libro è interessante, seppur all'inizio sono rimasta un pò confusa dai tanti personaggi e dal saltare da una storia all'altra. In generale, il modo di raccontare mi è piaciuto: il passaggio da un punto di vista a dun altro, raccontare la stessa scena, o parte di essa da più punti di vista è stato bello da leggere e immagino non facile da scrivere mantenendo una rigorosità del racconto. Il dubbio: fondamentale per un buon thriller è instillare il dubbio sulla colpevolezza di chiunque. e in questo ci riesce molto bene perchè a ruota ho pensato a quasi ciascun personaggio, perfino la Nives sembra colpevole ( e poi chi lo dice che non lo sia :p). I personaggi e i luoghi sono descritti molto bene. Per i primi ci si riesce a figurare la loro fisicità e carattere anche se apparentemente ci vengono forniti pochi elementi sparsi, e questo secondo me è un grande vantaggio perchè poi i personaggi risultano tridimensionali e restano anche più impressi. In alcuni passaggi l'ho trovato un pò lungo, il fatto di dover ripercorrere tutti i delitti, interessante ma non per forza necessario. Certo in questo modo ha sottolineato ulteriormente la psicologia degli atti ma...si era capito, ecco. Insomma, una bella scoperta. Spero di leggere qualcos'altro di questa autrice presto.
La fama della sceneggiatrice di Dylan Dog ha preceduto questo suo romanzo. So che ne ha scritti altri, ma io ho voluto aspettare che venisse pubblicato proprio questo, quasi in attesa della sua opera matura, dopo averne letto dei mezzi capitoli nel sito di whattpad. Mi ha attirato lo stile di scrittura: semplice, sottile, ma con parole azzeccate. Ogni frase, un'immagine. La trama è insolita: un uomo rapisce bambini per spaventare i loro genitori e indurli ad occuparsene meglio. Non li molesta, i bambini, li tratta bene e loro trattengono il buon ricordo. Quasi tutti. Quando tornano a casa, nella maggior parte dei così hanno una vita migliore in una famiglia più attenta. Molti anni dopo, qualcuno rapisce i figli di questi bambini salvati, però li uccide, questi figli. L'uomo che li aveva salvati ne è devastato. Senza scene macabre, senza voyeurismi, più concentrata sulla sofferenza dell'ex-bambino salvato che su altri particolari, la storia resta tesa e non banale. I contorni, però, sono nitidi: luoghi e situazioni improvvisate, personaggi collaterali impreparati. Non c'è nulla di perfetto, in questa storia, e ciò per me è un pregio: finalmente un thriller in cui i "cattivi" sono dei pasticcioni, gli pseudo-cattivi forse sono buoni. Talvolta gli intrecci temporali sono confusi, i personaggi inciampano tra di loro, ma ciò non rende il filo del racconto meno inquietante. La sequenze sono fluide, ti ammaliano e ti rapiscono nel racconto senza timori, tenendoti in sospeso in attesa del prossimo accadimento, senza grosse paure ma con partecipazione. Il finale poi, è assolutamente destabilizzante, ti fa fare un salto di lato lasciandoti senza fiato. Era tanto tempo che non leggevo un libro così tranquillamente appassionante.
Quarto libro che leggo per il gruppo di lettura Toc Toc ci leggiamo su Telegram/Instagram e per ora è quello che mi è piaciuto di meno. Sia chiaro, il libro comunque mi è piaciuto. Trattandosi di bambini avevo paura che fosse troppo crudo per me, di solito quando si affronta la violenza sui bambini io faccio fatica a leggere/ascoltare, pur non amandoli attorno, ne soffro immensamente se viene loro fatto del male, forse perché mi immagino al loro posto i miei figli, senza forse.
Invece in questo libro ho trovato dolcezza verso il rapitore, che secondo il suo punto di vista rapiva i bambini per svegliare dal torpore, dall’abbandono che i genitori perpeetravano di giorno in giorno ai loro figli. Infatti dopo tre giorni di giochi, dolciumi e risate, Vincenzo, il rapitore, restituiva, incolumi e puliti, i bambini alle loro famiglie che da quel giorno si sono fatti più attenti alle esigenze dei propri figli. Tutti i bambini conserveranno nei ricordi un uomo buono che ha cambiato loro la vita in meglio.
Sono stata combattuta se amare o meno questo personaggio, perché se da una parte i bambini stavano meglio, mi immagino i genitori cosa abbiano passato in quei tre giorni e per il resto della loro vita con la paura di perdere di nuovo i loro figli e questa volta per sempre, ma non sono riuscita ad odiare Vincenzo. Odio che invece qualcuno ha provato tanto da mandargli un messaggio uccidendo bambini, figli dei bambini, ormai cresciuti, che aveva rapito.
Non vi dirò altro per non rovinarvi il romanzo, che conserva il mistero di questo assassino quasi fino alla fine, in una escalation di avvenimenti.
La storia inizia negli anni ottanta quando una serie di strani rapimenti si susseguono in giro per l'Italia. Perché strani?? Beh innanzitutto perche ogni bambino é restituito dopo 3 giorni o poi perché i bambini rapiti non sono ne maltrattati ne abusati na anzi passano i 3 giorni più bella della loro vita.
30 anni dopo l'Italia é sconvolta da una serie di morte di bambini sospette.. Unico indizio? Tutti i bambini morti sono I figli dei bambini rapiti 30 anni prima.
E il secondo libro che leggo della barbato e devo riprendere l'opinione che mi dono fatta in precedenza ossia che é una scrittrice straordinaria..
Innanzitutto é riuscita a creare una storia molto originale e che si discosta da tutti gli altri thriller. I vari salti temporali rendono il libro ansiolitico. I personaggi poi sono descritti in maniera eccezionale e minuziosamente che ti sembra di vederli materializzarsi li davanti a te.. In realtà devo dire che ogni scena del romanzo é descritta con dovizia di particolari.
In alcune scene mi sembrava di far parte del romanzo stesso.
Il personaggio che mi é piaciuto di più?? Nives. Una donna tutto d'un pezzo che ha preso quest'uomo sotto la sua ala senza mai giudicarlo ma anzi spronandolo ad andare avanti. Una donna coraggiosa che non esita a rischiare la propria vita pur di salvare l'uomo che ama. Una donna fuori dagli schemi che non si ferma ad ascoltare ciò che dicono gli altri e non si fa fuorviare dai pregiudizi.
E un romanzo che straconsiglio
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Forse fra tutti i libri della Barbato questo è quello più surreale, o forse no. Capire come tutte queste persone abbiano deciso di agire in questo determinato modo, sacrificando sé stessi o altri, mi è veramente difficile. Ma chissà, forse ci sono persone abbastanza altruiste da farlo, e ci sono persone sicuramente abbastanza egoiste da fare anche diversamente. So che di quello che dico non si sta capendo molto, ma dovrete leggere il libro per capire! Come sempre i suoi romanzi si leggono benissimo, questo forse è stato quello un po' meno scorrevole, ma non per questo meno bello, anzi.. probabilmente me lo porterò dietro per molto tempo. L'unica cosa che non so se mi è andata a genio sono le motivazioni dell'assassino, capisco che il dolore possa portarti ad agire in modi impensati, capisco l'estremo bisogno di un capro espiatorio per poter andare avanti nella vita, però questa volta mi è sembrato un po' troppo... O forse non lo è.. non possiamo conoscere ogni singolo funzionamento del cervello di una persona, soprattutto in determinate condizioni, quindi magari qualcuno avrebbe potuto davvero reagire così.
Avevo paura di leggere un libro di Paola Barbato, perché sapevo che i suoi libri sono molto forti, vengono definiti crudi, non adatti a tutti. Però ci tenevo a leggere un suo libro, almeno uno. Ho seguito il consiglio di un'amica lettrice di iniziare da questo romanzo. E devo dire che mi ha consigliato proprio bene. All'inizio ho faticato un po' perché i personaggi sono davvero tanti, ma una volta capita la dinamica dei vari personaggi, la lettura si è fatta molto scorrevole e avvincente. È un thriller spietato. Dei bambini vengono uccisi. Quindi, non consiglio la lettura a chi ha figli, soprattutto se sono piccoli. A parte che ho trovato terrificanti questi omicidi, ed è una storia che trasmette angoscia, lo ritengo comunque un bellissimo romanzo. I personaggi sono caratterizzati molto bene, e non vedevo l'ora di arrivare alla fine per capire chi era l'assassino e la sua motivazione, che fosse razionale o meno. Ammetto che mi sono affezionata al rapitore "buono". La sua motivazione è altruistica e mi ha quasi commossa. Ovviamente, non lo giustifico, ma è stato facile comprendere il motivo per cui l'ha fatto. Sicuramente è il mio personaggio preferito e mi è sembrato estremamente reale. Prossimamente mi piacerebbe leggere altri libri di questa autrice, vedremo se ne avrò il coraggio e soprattutto sará difficile quale titolo scegliere.