8 settembre 1943: uno dei momenti più difficili della nostra storia. Il momento in cui una generazione si trovò davanti a un bivio che l’avrebbe segnata in maniera indelebile. La vicenda di Johnny, futuro partigiano del capolavoro di Fenoglio, riassume tutta la confusione di quell’attimo incredibilmente lungo; tutto il peso delle scelte prese quando infuria la battaglia. Primavera di bellezza (1959) è il terzo e ultimo libro pubblicato in vita da Beppe Fenoglio. «Il romanzo venne concepito e steso in lingua inglese. Il testo quale lo conoscono i lettori – dichiarò provocatoriamente – è quindi una mera traduzione».
Con L’estate del ’43 di Oreste Del Buono e la cronologia della vita e delle opere.
Beppe Fenoglio (born Giuseppe Fenoglio) was an Italian writer. His work was published in a critical edition after his death, but controversy remains about his book Johnny the Partisan, often considered his best work, which was published posthumously and incomplete in 1968. The works of Fenoglio have two main themes: the rural world of the Langhe and the partisan war; equally, the writer has two styles: the chronicle and the epos. His first work was in the neorealist style: La paga del sabato (this was published posthumously too in 1969). The novel was turned down by Elio Vittorini who advised Fenoglio to carve out stories and then incorporate them into the The twenty-three days of the city of Alba (1952). These stories were a chronicle of the Italian Partisans or of rural life. One of such works was La malora (1954), a long story in the style of Giovanni Verga.
Non so perché Beppe Fenoglio continui a rimanere uno degli autori meno celebrati della nostra narrativa italiana: forse perché nelle sue pagine non c’è traccia della retorica ideologica che ha trasformato chi ha combattuto la guerra civile italiana in eroi senza macchia e senza paura (eh sì, gli eroi son tutti giovani e belli). Invece con onestà intellettuale Fenoglio ricrea nei suoi scritti quella che è forse stata la pagina più buia della nostra storia, la storia di un paese lasciato allo sbando dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, la storia di una generazione destinata a combattere e a morire sui cigli delle strade, molto spesso in azioni avventate e suicide contro un nemico che tiene in scacco una nazione piombata improvvisamente nel caos. Un uso inventivo della lingua unito a una prosa asciutta, personaggi umanissimi (nel bene e nel male), lucidità nel raccontare un’epoca… sono tante le qualità di Fenoglio che ne fanno il mio scrittore italiano preferito, ma la cosa più sorprendente è che non riesco a spiegarmi come mai, pur raccontando la durezza della vita (la guerra, la violenza, la fame, la fatica, il dolore, i disagi...), nessuno riesca a commuovermi e a scaldarmi il cuore più di lui. Roba da matti…
Chissà se esiste un disturbo specifico dell’apprendimento che causa enormi difficoltà nello studio della storia. Ti pare. E che magari comporta anche grossi problemi con la lettura dei quotidiani, la visione di telegiornali e di programmi televisivi con dibattiti (chiamiamoli così) su temi politici o d’attualità. Se esistesse questo disturbo, io sarei un caso clinico a dir poco eclatante. (Non che ne vada fiera, tutt’altro…)
“Allora, C., quando c’è stata la guerra di/la pace di/l’armistizio di …?” “ehm… cioè… (cercando di sbirciare le pagine del libro, che ricambiavano con gelida indifferenza) … mi sembra nel millesettecentoses...umh…” “Non ti deve sembrare! lo devi sapere!” tuonava impietosa l’insegnante tra le risatine dei compagni. Questa la scenetta che puntualmente si ripeteva alle mie interrogazioni di storia.
Il problema non era memorizzare le date, piuttosto capire cosa era successo nella data in questione. E’ scoppiata una guerra… c’è stato l’armistizio… cioè? in termini più precisi? non sapevo riempire di significato parole che esprimevano interi mondi di esperienze lontane dalla mia quotidianità.
Negli ultimi mesi ho provato a colmare alcune mie vertiginose lacune con la letteratura. E ho scoperto che, ebbene sì, la letteratura può anche questo (almeno in parte).
Questo romanzo di Fenoglio mi ha aiutato a capire qualcosa di quello che è successo l’8 settembre 1943. Dice, era più facile prendere un qualunque libro di storia. No, per me è meglio la lingua difficile e spumeggiante e fantasiosa ed elaborata di Fenoglio, e il punto di vista di un tipo come Johnny, uno studente, un intellettuale, uno che si ritrova ad un corso per ufficiali, e poi a Roma proprio durante l’armistizio dell’8 settembre, e che assiste al disfacimento dell’esercito italiano, cerca di tornare a casa e poi si unisce ad alcuni ribelli, i primi partigiani; e tutto questo come per caso, con distacco, come qualcuno che a quel mondo non appartiene ma ci si trova in mezzo (eppure non è un’ameba, Johnny è uomo di grande dignità, assomiglia a Milton, a Fenoglio stesso probabilmente). Bellissima la parte del rocambolesco ritorno a casa, dopo la disperata ricerca di abiti borghesi, su treni che scoppiano di gente, attraverso stazioni dove i tedeschi sparano a vista. Un quadro molto eloquente.
Ecco, la mia ignoranza in materia non mi permette di scrivere un commento più calzante. Volevo solo dire che questo libro per me è stato importante. Illuminante. Lo metto sullo scaffale accanto ad altre piccole-grandi luci: Un anno sull’altipiano, Se questo è un uomo, La tregua, Una questione privata.
Alte, altissime aspettative per il Partigiano Johnny, che occhieggia ammiccante dallo scaffale.
La superficie silicosa della galletta derideva i suoi denti allentati.
A distanza di settimane ripenso alle frasi di Fenoglio e ai verbi di Fenoglio.
Scorrevano i giornali di ieri. I vuoti della censura desolavano la carta granulosa.
E mi ritorna in mente Johnny, che ascolta di notte, in caserma, il suono di un pianoforte proveniente da un luogo indefinito. E i soldati in preda alla diarrea, condotti in aperta campagna e accoccolati su un trincerone, come tanti rondoni su un filo del telegrafo; oppure di servizio alla polveriera, in spasmodica e inutile attesa per tutto il giorno (l’8 settembre 1943) di un rancio che non arriverà mai; oppure in giro per le piazze di Roma, nei giorni di mercato. Le massaie invasero il mercato, lo saturarono di un frinìo acre e unito. Johnny le osservava e sentì che le madri di famiglia rimanevano le uniche persone serie in Italia.
E ripenso alla comicità amara, a quel sentimento del contrario nella bellissima scena alla stazione, a ruoli invertiti, tra il padre che parte e il figlio che resta.
Su quel treno Johnny sarebbe salito prima di sera, un treno destinato a deragliare, quel treno era l’esercito italiano. Suo padre sbirciò l’orologio e si schiarì la gola. “Johnny, vedo che qui la fate lunga ed io avrei un buon treno alle 16,45. Se lo desideri io resto ben volentieri a terra e prendo quello delle 19. Sai, è unicamente per tua madre che è sola”. “Parti col primo, figurati, parti”, gli concesse Johnny, ma con una amara impetuosità. “Sia chiaro che …” ma Johnny già lo sospingeva verso la brulicante stazione. Il vecchio si affacciò al finestrino, il cappello arretrato per maggior aerazione, le sue mani si giungevano e disgiungevano intorno alla sbarretta metallica. Il treno soffiò, suo padre lo salutò, piuttosto femminilmente, Johnny sollevò appena le due dita che stringevano la sigaretta. Ecco che suo padre se ne tornava alla pacifica casa, su un treno di tutto riposo, che certamente non sarebbe deragliato.
Johnny, un giovane piemontese, vive i mesi precedenti l'armistizio del 8 settembre 1943 tra scuola allievi ufficiali e vita da caserma alla periferia di Roma; il ribaltone del governo Badoglio spinge Johnny, dopo un difficile viaggio attraverso la penisola verso i luoghi natii, a una presa di coscienza che lo spinge ad entrare in una banda partigiana. Nella prima parte il racconto è un po' lento e privo di brio, successivamente l'azione si anima e il racconto si accende e ti prende fino all'inatteso epilogo.
Fuoco d'artificio 1943. Johnny è allievo ufficiale dell’esercito italiano, poi, dopo l’otto settembre, partigiano in Piemonte. La prima parte racconta la noia della naja, l’impazienza dei giovani allievi che si sentono cani alla catena e non vedono l’ora di fare qualcosa fuori dalla caserma, le esercitazioni ginniche così intense che rischiano di sterminare la camerata. Gente di provenienza molto varia, si studiano, osservano gli ufficiali e sembra che non smettano mai di fumare. Fenoglio racconta di Johnny, che doveva somigliargli molto, un giovane colto, solitario, un po’ sprezzante della vita nel modo in cui lo sono i giovani. Dopo l’otto settembre, l’assenza di qualunque catena di comando e informazione ai soldati italiani, l’esercito allo sbando. Parte dell’esercito tenta di resistere allo sfacelo e fra questi Johnny. Il destino di Johnny ha un’accelerazione improvvisa e si chiude con un lampo ed un sorriso. Leggendo Fenoglio rimango sempre incantata dall’eleganza assoluta dello stile e dal suo personaggio maschile, sempre simile a se stesso, un giovane eroe che vive sobriamente, con la grazia di certa scultura greca dell’epoca classica. Mi viene in mente Patroclo, il fiore reciso nel pieno della giovinezza. Se Fenoglio fosse vissuto più a lungo, forse anche i suoi Johnny si sarebbero lasciati l’adolescenza alle spalle e avrebbero avuto un destino più compiuto, ma Fenoglio purtroppo ci ha lasciati troppo presto: ciao Beppe, è stato molto bello leggerti.
Terzo e ultimo libro pubblicato da Fenoglio in vita, il primo con Garzanti (per i malumori con Vittorini da un lato e l’interesse di Citati dall’altro). Johnny, dopo la formazione militare a Roma, con l’8 settembre fugge in Piemonte e si unisce alla Resistenza sulle colline sopra Alba. Idealmente, non in questa versione ripulita e dall'epilogo forzato, costituisce la prima parte de Il partigiano Johnny - che si piazza chilometri al di sopra per miscuglio linguistico, tensione, epica ed affascinante incompiutezza. Poche storie: i libri di Fenoglio da leggere a tutti i costi sono quelli che non è riuscito a vedere stampati. In linea di massima tralasciabile.
Cosa successe esattamente l'8 settembre del 1943? Sì, sappiamo cosa successe, perchè sappiamo che Badoglio, dopo la destituzione estiva di Mussolini, firmò l'armistizio, ma, esattamente, cosa successe? Come si comportavano gli italiani in quei giorni? Qual era il sentimento diffuso? Fenoglio fa luce proprio su questo cono d'ombra, e lo fa in modo sorprendente. Johnny in realtà non è un eroe della resistenza, o quantomeno lo diventa suo malgrado. Johnny è uno che si ritrova, da ex soldato costretto a mimetizzarsi in abiti civili per sfuggire alla furia tedesca, a dover combattere per la propria vita e per quella di chi gli sta accanto, quando lui voleva solo passare il tempo a leggere l'amata letteratura inglese e insegnarla ai giovani, in barba all'indottrinamento fascista. La storia di Johnny è una storia di sopravvivenza prima ancora che di resistenza, profondamente umana, toccante e illuminante come un giornata di sole di primavera, raccontata con barocchismi, inglesismi ed estro linguistico da uno straordinario scrittore.
“Primavera di bellezza” (1959) è il terzo e ultimo romanzo di Beppe Fenoglio (1922-1963) pubblicato in vita: la maggior parte delle sue opere usciranno postume. Il suo personaggio emblematico, il piemontese e anglofilo Johnny, qui è dapprima un soldato dell’esercito italiano investito nel 1943 dal sommovimento del 25 luglio (caduta di Mussolini) e soprattutto dallo sfacelo dell’8 settembre (post-armistizio), poi un partigiano della prima ora. Johnny vive dunque sulla sua pelle gli avvenimenti cruciali e le atmosfere forti dell’anno chiave '43: il tutto arriva al lettore in modo molto diretto e schietto, ed è proprio questa, imperfezioni comprese, la caratteristica più apprezzabile del romanzo. (“Il partigiano Johnny”, noto e più corposo seguito, vedrà le stampe nove anni dopo, nel 1968.)
Primavera di Bellezza è un libro strano. Non capita spesso di leggere un romanzo senza un protagonista, ma se ce ne fosse mai uno al mondo, beh, questo è quel romanzo. Johnny, il soldato menzionato più di frequente nella storia, in realtà è mero spettatore durante almeno i primi due terzi del libro. Vediamo attraverso i suoi occhi, come in un film vediamo attraverso una macchina da presa. Gli eventi capitano, e Johnny assiste senza prendere parte attiva. Partecipiamo così assieme a lui, quasi suoi commilitoni, agli ultimi giorni di attività dell'esercito regio, prima delle dimissioni di Mussolini e del conseguente sbandamento delle truppe, in balìa di ordini contrastanti da parte del generale Badoglio e del comando militare. Un non-romanzo quindi, certamente non un saggio, né tantomeno un documentario o una trattazione, ma nemmeno una "storia" in quanto tale, giacché carente di un inizio e di una conclusione. A fare da collante, l'inconfondibile stile diretto, schietto, senza filtri di Beppe Fenoglio, che questi momenti li ha vissuti in prima persona.
Il libro è sfilacciato, diciamolo subito. Eppure che emozione! vedere comparire nella storia - magrolino, impaurito e superintellettuale, come lo definiscono i suoi comminilitoni - niente poco di meno che il Partigiano Johnny! L'epica fenogliana sta prendendo corpo. La sua lingua astrusa, difficile, disincantata e metallica è agli esordi, talmente agli esordi che spesso il testo risulta difficilmente comprensibile, a scosse, a sbalzi, eppure è vivido, pulsante, vivo.. che bello vedere che pure Fenoglio ha iniziato, a modo suo. E che bravura a descrivere lo sbando dell'esercito prima dell'armistizio, uno sbando che è declinato in tante teste, in tanti piccoli profili e macchiette quante sono le minute identità delle nostre molteplici e mutevoli identità nazionali.
Pubblicato nel 1959, questo libro racconta un momento cruciale per la storia d'Italia: l’armistizio dell’8 settembre, un evento che segna non solo la fine ufficiale dell’alleanza con la Germania, ma anche la disgregazione dell’identità militare italiana. In questo contesto, Johnny, il protagonista vive il proprio percorso di formazione.
Fenoglio descrive con uno stile crudo e incisivo il caos che segue la dichiarazione dell’armistizio. Johnny e i suoi compagni, privati di ordini e guida, si trovano a dover decidere autonomamente il proprio destino. È qui che il protagonista, abbandonata ogni illusione, prende la strada della Resistenza, un percorso di maturazione che però non conduce a una consolazione, bensì a una consapevolezza amara e dolorosa.
Uno degli aspetti più affascinanti del romanzo è l'uso della lingua. Fenoglio impiega un’originale alternanza tra italiano e inglese, che non è solo un vezzo stilistico, ma riflette il mondo interiore del protagonista. Johnny, influenzato dalla cultura anglosassone, utilizza espressioni in inglese quasi come uno schermo emotivo, un modo per mantenere una distanza dalla dura realtà che lo circonda. Questo elemento linguistico accentua il tono asciutto e tagliente del romanzo, rendendo il racconto ancora più crudo e disincantato
Il titolo stesso riprende ironicamente un inno fascista, "Giovinezza", contrapponendo la propaganda ufficiale alla crudele realtà vissuta dai giovani soldati. Il sarcasmo dell’autore è evidente nei dialoghi e nelle descrizioni, che smontano sistematicamente l’apparato retorico del regime. La bellezza, infatti, non è quella della primavera promessa dal fascismo, ma quella di una generazione che lotta per un futuro diverso, senza certezze né illusioni. Johnny, con la sua evoluzione, rappresenta proprio questo disincanto: non è un eroe classico, ma un ragazzo catapultato in una storia più grande di lui, costretto a confrontarsi con la durezza della realtà.
Johnny non giunge a una maturità felice, ma a una consapevolezza drammatica di cosa significhi vivere in un mondo che cambia senza garanzie. La narrazione, densa di azione e movimento, lascia un senso di inquietudine e riflette lo smarrimento di un’intera generazione.
Con il suo stile lucido ed essenziale, Fenoglio ha dato vita ad un racconto profondo e amaro, che non contiene solo un episodio storico, ma comunica anche una condizione umana senza tempo: il disincanto di una generazione che si trova a fare i conti con la dura realtà della guerra e della lotta per la sopravvivenza.
Arrivato a metà della sua opera omnia, Fenoglio riesce ancora a sorprendermi. Una lingua attualissima e insieme barocca, uno stile molto più moderno di tanti autori di oggi. La trama sembra un Pao Pao di Tondelli ambientato nei giorni terribili dell’armistizio, la chiusura ci porta nel mito e nella tragedia della lotta partigiana vista dalle Langhe. Tutto con una coerenza, un’intensità incredibili.
Sono tre stelle e mezza perché secondo me non è il migliore Fenoglio, nonostante questo, quanto bisogno abbiamo di leggere Fenoglio. Quanto. Più Fenoglio per tutti!
Un giovane militare si ritrova lontano da casa nel marasma post 8 settembre 1943. L' esercito è sbandato, nessuno da' ordini precisi e le incompetenze del regime vengono a galla. Assenza di retorica e un linguaggio asciutto ma poetico, rendono questo libro una piccola perla. È assurda l'assenza di Fenoglio dai programmi scolastici.
La vita di Johnny e di un gruppo di soldati -poi disertori- prima, durante e dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, quando il protagonista si unirà ai partigiani. L’odio verso Badoglio e verso Graziani, il disprezzo naturale verso il fascismo che ha creato quella guerra con tutto l’orrore di fango e cieli freddi, bombe e morte per forza di cose resa quotidiana. Primavera di bellezza è un libro breve. Non c’è una trama particolarmente forte, la forza del libro è soprattutto nel linguaggio: in primo luogo l’inglese di Johnny, un segno di ribellione alle formule del fascismo. Poi anche l’italiano inventato, termini realistici che ne ricalcano altri già esistenti, presi a volta come per assonanza o immediatezza, per rendere subito l’idea di azioni, stati dell’animo o dell’ambiente. Ma questa è una caratteristica comune a tutta l’opera di Fenoglio. Questo romanzo non ne è la migliore espressione, a mio avviso (più bello, sicuramente, “una questione privata” o il secco “la paga del sabato”). Eppure è un ottimo romanzo per capire l’Italia di quei giorni, quando si avvicinava la fine della guerra e il Paese, e i soldati, erano allo sbando. Interessante, anche, vedere come nel romanzo Fenoglio non dimostri una precisa coscienza antimilitarista, anzi, l’esercito è, in linea generale, considerato come forza possibilmente alternativa al fascismo. A rovinarlo sono gli ufficiali, che lo rendono un corpo destinato al fallimento (percezione che si ha, per esempio, anche in Rigoni Stern, anche se in lui la guerra è descritta in modo ancora più atroce, dunque la condanna è più forte, mentre qui in Fenoglio risulta, in fin dei conti, più accidentale o, meglio, legata alle congiunture). E’ questa percezione che spinge Johnny a unirsi poi a una banda di ribelli.
Primavera di bellezza può essere considerato il prequel di Il partigiano Johnny, anche se Fenoglio stesso in una lettera al suo editore aveva espresso la volontà di renderlo autoconclusivo: per ragioni quasi esclusivamente legate alla tempistica delle scadenze, quello che in principio doveva essere un romanzo molto consistente è stato riadattato e accorciato, dando quindi vita a due romanzi distinti. Il libro narra la vicenda di un giovane piemontese, soprannominato Johnny per via della sua laurea in lingua inglese e della perfetta padronanza della lingua. Di lui non sappiamo altro, nemmeno il vero nome, ma lo seguiamo alle prese con il corso per allievi ufficiali del regio esercito italiano, poi con lo sbandamento seguito all’armistizio dell’8/9/1943 e con il lungo viaggio verso casa che lo porterà, a pochi passi dalla meta, a unirsi a un gruppo di ribelli sulle colline piemontesi. Lo si impara a conoscere a poco a poco, grazie ai suoi pensieri e alle sue azioni che Fenoglio ci presenta in qualità di narratore onnisciente; sullo sfondo, un’Italia allo sbaraglio in cui non si sa più di chi fidarsi. Lo stile è leggermente più ostico di quello di altri libri di Fenoglio, vuoi anche per il fatto che questo è stato scritto inizialmente in inglese e poi tradotto in italiano per la pubblicazione; dopo aver fatto fatica per le prime 50 pp però si ingrana e la macchinosità non si percepisce quasi più. Fa sempre piacere rifugiarsi nella propria comfort zone e anche quest’anno non poteva mancare un libro di Fenoglio, autore capace di immergermi completamente nel passato della mia terra e di rievocare i ricordi dei racconti di vita partigiana che hanno costellato e arricchito la mia infanzia.
Vorrei che Fenoglio fosse letto a scuola e diventasse libro di testo come lo è I promessi Sposi di Manzoni. Perchè la lettura di Fenoglio non è solo un piacere dell'anima (che è già tanto), ma anche una finestra sulla vita senza retorica e fronzoli. E' un libro estremamente attuale, perché fa pensare alla perdita delle illusioni di fronte alle assurdità della storia, che può essere devastante per un giovane come Johnny, oltre che per molti italiani in quel momento storico. Uno Stato che non c'è, che fugge di fronte alle proprie responsabilità e abbandona milioni di persone in balia degli ex-alleati. Una grande responsabilità, una ferita profonda che è sempre pronta ad aprirsi ad ogni passaggio cruciale della storia nazionale. Fenoglio è uno dei miei preferiti, senz'altro. Una prosa essenziale e asciutta caratterizza i suoi libri. Primavera di bellezza fa un po' eccezione a questa regola. Contiene invece una prosa molto ricercata, quasi retorica in alcuni momenti, ma ciononostante molto efficace. Johnny, studente piemontese delle langhe, attraversa tutto il periodo dall'entrata in guerra fino all'8 settembre passando da uno spontaneo rifiuto del fascismo fino alla disperazione per la disfatta dello stato. L'amore per la letteratura inglese è la sola ancora di salvezza nello sfascio totale. E la scrittura di Fenoglio segue questa evoluzione: dapprima ironica e lenta poi sempre più essenziale e incalzante.
Vorrei che Fenoglio fosse letto a scuola e diventasse libro di testo come lo è I promessi Sposi di Manzoni. Perchè la lettura di Fenoglio non è solo un piacere dell'anima (che è già tanto), ma anche una finestra sulla vita senza retorica e fronzoli. E' un libro estremamente attuale, perché fa pensare alla perdita delle illusioni di fronte alle assurdità della storia, che può essere devastante per un giovane come Johnny, oltre che per molti italiani in quel momento storico. Uno Stato che non c'è, che fugge di fronte alle proprie responsabilità e abbandona milioni di persone in balia degli ex-alleati. Una grande responsabilità, una ferita profonda che è sempre pronta ad aprirsi ad ogni passaggio cruciale della storia nazionale. Fenoglio è uno dei miei preferiti, senz'altro. Una prosa essenziale e asciutta caratterizza i suoi libri. Primavera di bellezza fa un po' eccezione a questa regola. Contiene invece una prosa molto ricercata, quasi retorica in alcuni momenti, ma ciononostante molto efficace. Johnny, studente piemontese delle langhe, attraversa tutto il periodo dall'entrata in guerra fino all'8 settembre passando da uno spontaneo rifiuto del fascismo fino alla disperazione per la disfatta dello stato. L'amore per la letteratura inglese è la sola ancora di salvezza nello sfascio totale. E la scrittura di Fenoglio segue questa evoluzione: dapprima ironica e lenta poi sempre più essenziale e incalzante.
"Primavera di bellezza" è il terzo e ultimo libro che Beppe Fenoglio ha pubblicato in vita (gli altri sono usciti postumi) e racconta dell'8 settembre, cosa ha significato l'armistizio per l'Italia.
Il libro si divide idealmente in due parti. La prima in cui il protagonista Johnny (sì, lo stesso partigiano Johnny del libro più conosciuto di Fenoglio) e i suoi commilitoni, allievi ufficiali, vivono la naja e i giorni di addestramento con noia, con la voglia imbracciare le armi ed entrare in azione. In una dimensione sospesa che ricorda le attese del "Deserto dei tartari", o di "Aspettando Godot". Poi però arriva l'8 settembre 1943, l'armistizio, e le pedine sullo scacchiere della seconda guerra mondiale si mischiano, si confondono i ruoli. Prende forma il caos. Nessuno sa più da che parte stare, come operare, l'esercito italiano è allo sbando. È adesso che Johnny, per un riscatto sociale, decide di diventare partigiano.
La scrittura di Fenoglio è unica e modernissima. Non semplice, ancora meno in questo scritto, piena di aggettivazioni, termini inusuali e invenzioni linguistiche che rendono la prosa carica, pregna e non sempre immediata. Forse "Primavera di bellezza" non è il miglior esempio della sua scrittura, ma certo è un bel libro, che aiuta a capire meglio cosa ha significato per il Paese l'armistizio che ha segnato di fatto la seconda fase del conflitto e lo smembramento dell'esercito italiano.
In questo romanzo - che doveva essere la prima parte della storia che poi diventò Il partigiano Johnny - Beppe Fenoglio racconta i giorni compresi tra il 24 luglio e l'8 settembre 1943. La prospettiva è quella di un gruppo di soldati, tra cui il giovane Johnny, ancora in fase di formazione che da Moana vengono spostati a Roma. A Roma vivono le tragiche vicende dell'armistizio, la fine del patto coi tedeschi e poi la fuga, verso il Nord, verso le colline. Quelle colline che Pavese aveva cantato fino a qualche anno prima («Tu non sai le colline...») e che Fenoglio rende ancora più sacre.
Lo sguardo di Fenoglio è vicino a Johnny ma sempre un po' onnisciente. Ogni parola sembra scelta col calibro, tutte le frasi sono perfette, sublimi. Il racconto è quindi calato nella dimensione in cui sta svolgendosi e Fenoglio fa quello che i grandi scrittori fanno: descrive per dire. Ci sono momenti in cui l'emozione ti travolge non per pietà, non perché la guerra è brutta, non perché la morte è uno spettro sempre più visibile, no – o meglio: non solo –, ma perché le parole di Fenoglio sono capaci di mostrare qualcosa che pensavi non si potesse dire.
«La sera franava sulla caserma, soltanto sulla caserma, e smoriva l'eco del traffico cittadino che valicava il vecchio muro sbrecciato».
Beppe Fenoglio racconta i giorni appena precedenti l'otto settembre, e quelli appena successivi. Ciò che adoro di Fenoglio, e che ritrovo puntualmente in ogni sua opera, è l'ironia, la coloritura che usa nel descrivere l'ambiente dell'esercito (e quello delle bande partigiane), con una narrazione che mi ha strappato un ghigno più di una volta (assolutamente e volutamente epica la parte in cui racconta l'episodio di dissenteria). I suoi personaggi, comunque, vengono descritti in maniera tanto vivida da parere quasi di sentirli sulla pelle. Magistrale in particolare l'episodio delle ore immediatamente successive all'armistidio, con la sua divisione ignara poiché bloccata nell'Agro a badare a una batteria antiaerea, che sente, dopo il silenzio, il rumore degli spari e degli scoppi di bombe provenienti dalla città. Una scelta narrativa che i più non avrebbero seguito, andando a narrare forse l'episodio dall'interno, ma tanto più azzeccata in quanto spiazza perfino il lettore che, con l'occhio della storia, sa che dopo il sette settembre è successo quel che è successo. Grande prova d'autore di un romanziere sempre troppo sottovalutato.
"Tutto si inazzurrava nella prima sera, dalle case veleggiavano morbide voci di donne e bambini, davano un suono dolce anche le imposte qua e là sbattute."
"Il presente era opaco e miserabile come le impannate cartacee oscuranti le finestre delle case popolari. In certe isole di silenzio che si formavano e trapassavano come isolette in un cielo in siesta, tintinnavano le posate per la cena nelle case più vicine. Ora si cena, accantonato tutto, la storia, re e Mussolini, la guerra, milizia e soldati, ora si cena."
"Prestatemi un libro" disse con voce estenuata e imperiosa. Si meravigliarono. "Un libro qualunque, avanti" "A che serve?" "Io, io ero un universitario."
"Il paese figurava come un bastimento in bilico sull'ondata maggiore in quel mare solidificato d'incanto. La nebbia scalava l'enorme collina, rapidamente uncinò l'abitato e lo fasciò tutto. Solo più l cuspide del campanile affiorava, vi si era impigliata, dopo molto vagolare, una ragnatela di vapori nerastri."
Come sempre, Fenoglio è emozionante: ha una potenza narrativa rara, capace di farti vedere davvero le scene che descrive. In Primavera di bellezza riesce a rendere perfettamente lo sbandamento dei soldati dopo l’armistizio dell’8 settembre. La confusione, il senso di smarrimento: tutto è raccontato con una lucidità che colpisce e coinvolge. Rispetto a Il partigiano Johnny, ci sono meno frasi in inglese, e questo rende la lettura più scorrevole e immediata. Anche in questo romanzo emerge, ancora una volta, la brutalità della guerra, spogliata di ogni retorica. Il capitolo che mi ha colpito di più è quello ambientato al liceo: vedere quei ragazzi, poco più che adolescenti, catapultati in guerra dal nulla è qualcosa che lascia il segno. Fenoglio riesce a raccontare quel passaggio con una delicatezza e una verità straordinarie. Un romanzo breve, ma potentissimo.
Libro unico che mi ha fatto conoscere e innamorare della scrittura di Fenoglio. Attraverso le sue parole si riesce a vivere in prima persona l'angoscia lo straniamento e la rapida maturazione di un gruppo di ragazzi di vent'anni che vengono reclutati durante la seconda guerra mondiale. I ragazzi entusiasti della vita piano piano si trasformano in disillusi adulti, il culmine della trasformazione è in quel periodo assurdo post armistizio dove la confusione regna. La scrittura particolare richiede molta concentrazione, a volte non avevo ben chiaro cosa stesse succedendo nel particolare ma riuscivo lo stesso a percepire il sentimento di Jhonny e dei suoi compagni
Probabilmente non è la prova migliore di Fenoglio, sicuramente non tra le mie preferite. La cifra stilistica dell'autore c'è tutta: la prosa asciutta e al contempo l'uso creativo e inusuale del vocabolario, la demitizzazione della vicenda bellica e partigiana, l'ossimoro rappresentato dallo sguardo disilluso e poetico della vita. E' quella stessa cifra stilistica che rende per me la lettura dell'autore sempre piacevole e coinvolgente; ma in quest'opera manca forse qualcosa della vibrazione emotiva che ha reso indimenticabili altri scritti dell'autore.
Pubblicato nel 1959, questo è il terzo ed ultimo libro di Fenoglio edito prima della sua morte, e può essere considerato una sorta di prequel di uno dei suoi libri più famosi, “Il Partigiano Johnny”.
Il protagonista di Primavera di bellezza, infatti, è proprio Johnny, un giovane soldato amante dell’inglese (in cui vediamo l’alterego dello stesso Fenoglio), che si ritrova a vivere l’esperienza della vita militare, lo sconvolgimento dato dall’Armistizio del ‘43 e, successivamente, la guerra partigiana nelle Langhe.
Il romanzo, pubblicato prima interamente in inglese e poi tradotto, conserva al suo interno alcuni termini o intere conversazioni in lingua, oltre che uno stile non proprio lineare e a tratti ostico.
Ammetto di aver fatto parecchia fatica a calarmi nella storia proprio per colpa di questo stile che, probabilmente, è dato anche da una traduzione successiva dell’opera.
Al di là dello stile e del linguaggio non sempre chiari, però la storia di Johnny non può che far riflettere e insegnare tanto della nostra Storia con la S maiuscola che, pur essendo ormai lontana da noi , sembra ripetersi e risultare sempre attuale.
In Johnny, e in generale negli altri suoi compagni d’armi, prevalgono infatti sentimenti eterni come la vergogna e la delusione per il proprio Paese, un distacco dalle scelte scellerate del governo, ma anche la voglia di riscatto morale e di libertà.
Riscatto che, nel caso del protagonista, avverrà solo sul finale, quando deciderà di arruolarsi nell’esercito partigiano proprio per reagire, opporsi al nemico e riacquistare la dignità che l’esercito - e il fascismo - gli avevano violato.