Durante la seconda guerra mondiale un bombardamento distrugge un intero quartiere di Milano. Tre ragazzini, Carla, Giulia e Daniele, ci mostrano con le loro vite gli orrori della guerra e l'assurdità della violenza.
Giuseppe Berto (27 December 1914 – 1 November 1978) was an Italian writer and screenwriter. He is mostly known for his novels Il cielo è rosso (The Sky Is Red) and Il male oscuro.
Tragico e malinconico romanzo pubblicato nel 1948 che racconta una storia in tre tempi: prima, durante e dopo la guerra (la seconda). Protagonisti quattro adolescenti: le due cugine Carla e Giulia che uniranno le loro esistenze a quelle di Tullio e Livio.
Siamo a Treviso. Città tagliata dalle acque del fiume Sile. Un quartiere ai margini, come tanti, dove si sopravvive ognuno a suo modo, è il contesto della storia. E' il quartiere di Sant' Agnese che tradisce la dolcezza del suo nome facendosi covo di miseria e delinquenza.
Arriva il 7 aprile del 1944 e il cielo si tinge di rosso.
” Tutti urlarono per il terrore, e nessuno badò agli urli degli altri”
È il bombardamento che spazza via tutto il quartiere lasciando il suo strascico di morte.
Morte per chi non c'è più e morte per chi rimane: al freddo, senza casa, senza cibo e, alcuni, come i quattro protagonisti, senza genitori.
La guerra manda in rovina anche chi prima stava bene e fa arricchire chi specula e gioca a suo favore le carte sul tavolo.
Carla, Giulia, Tullio e Daniele camminano tra le macerie sotto un cielo rosso.
Quattro adolescenti che proveranno a stare in piedi ma senza sostegni è cosa quasi impossibile.
L'inutile brutalità della guerra. L'omicidio uomo contro uomo.
Un po' zoppicante nei dialoghi trova il suo equilibrio nel contesto.
” Per quanto si sforzassero gli uomini non potevano più essere gli stessi di prima. E non era solo per la miseria e la fame, e per l’odio e le vendette e la paura, che non potevano più essere gli stessi di prima. Non sapevano bene neanche loro la ragione per cui si sentivano sempre stanchi e cupi nel fondo e scontenti di sé e di vivere. Forse quella parte del male universale che era loro toccata si era accumulata dentro di loro, e restava senza poter più andarsene. Forse era la certezza di aver perduto per sempre cose di tutta la gente, che avevano trascurato prima. Si erano smarriti nella grande guerra, e non riuscivano più a ritrovarsi.”
Once I started reading this novel, I simply couldn't put it down. Published in 1947, this novel is set in Italy during the Second World War period. Focused on a group of young orphans trying to survive the war on their own terms, this novel is a haunting but rewarding tale of humanity. In particular, the psychological portrayal of its four young protagonists is exceptionally well done. In addition, the author did a great job with conveying the atmosphere of the extreme poverty, moral degradation, unlawfulness and the general chaos of the Second World War. The writing is consistent and on point, with the descriptions of war time being so vivid and realistic they become haunting. Moreover, the novel is at times wonderfully poetical. The Sky is Red is quite an accomplished work of literature. You can read my full review by following the link bellow. https://modaodaradosti.blogspot.com/2...
"Il cielo è rosso" segna l'esordio ufficiale di Giuseppe Berto: un alieno si affaccia nel mondo della narrativa italiana. Lo fa con un romanzo ambientato in una città che non ha nome, anche se con un po' di immaginazione capiamo di trovarci in Veneto. Protagonisti sono quattro adolescenti, due ragazzi e due ragazze: Daniele, Giulia, Carla e Tullio; in più, altri personaggi si muovono sullo sfondo di una guerra agli sgoccioli, ma che ancora sgancia le sue bombe sui civili. E i giovani, tra amori, passioni, fame, paure, ansie, alla ricerca continua di riparo, cibo e sicurezza, si muovono tra le macerie: prima di un'Italia distrutta, poi di un'Italia da ricostruire. Daniele e Giulia sono la debolezza, l'insufficienza; introversi, insicuri, ma innamorati. Carla e Tullio, innamorati pure loro, ma più combattivi, sicuri e determinati.
Il lettore in seguito capirà quanto queste figure siano tra loro complementari, quanto si compenetrino nelle loro carattestiche, in superficie opposte; i loro destini saranno comunque diversi, ma tutti qui dentro, non solo loro, sono accumunati dall'essere dei disgraziati, ritratti spietati di una guerra assurda che tende, come sempre, a colpire ingiustamente il più debole. La perduta gente.
"La perduta gente" è il titolo - dantesco - che Berto avrebbe voluto dare all'inizio a questo romanzo. Non piacque a Leo Longanesi, l'editore, che decise in partenza di cambiarlo. Il libro uscì col titolo (biblico) "Il cielo è rosso", senza che l'autore ne sapesse nulla; ne rimase comunque soddisfatto, essendo un titolo evocativo e al contempo non slegato dal racconto. La perduta gente, però, è un titolo che serve a capire il taglio che il Nostro voleva dare all'opera. L'intento era senz'altro quello di rappresentare la tragedia con dolorosa umanità, senza piagnistei di sorta - ma non mancano momenti divorantemente "romantici" -, senza inutili politicizzazioni atte a creare altrettanto inutili schematismi: poiché siamo tutti uguali e tutti uniti sotto le bombe; tutti uguali nel dolore, come lo siamo dinanzi alla morte.
Come in "Le opere di Dio", lo stile essenziale e scorrevole di Berto, alla maniera degli americani (Mr Hemingway!), conferisce forza alla storia e ai personaggi, profondi nella loro semplicità. Nella loro umanità. Mi si perdoni l'abuso della parola, ma è di fatto tra quelle che meglio descrivono le prime prove dello scrittore, con le quali egli si ritrovò a essere inserito, contro la sua volontà, nel filone neorealista. E nel Neorealismo si ritrovò a credere fermamente, tanto da portarlo alle estreme conseguenze nel "Brigante" e a ritenerlo morto una volta morto Cesare Pavese, avvenimento che lo sconvolse e lo segnò anche più dell'insuccesso in patria del suo brigante.
Tra le altre cose, penso che un "pavesiano", riferito a Il cielo è rosso, al buon Bepi non sarebbe affatto disgarbato.
Indicazioni editoriali Durante la Seconda guerra mondiale, un intero quartiere della città di Treviso viene distrutto da una bomba e quattro ragazzi si ritrovano sulla strada, senza casa, senza parenti, senza protezione. Comincia per loro una dura lotta per sopravvivere senza perdere la speranza. Giuseppe Berto scrisse Il cielo è rosso mentre era prigioniero nel campo di concentramento di Hereford, in Texas. Terminata la guerra, lo scrittore tornò nella natale Mogliano Veneto ed ebbe la possibilità di sottoporre il suo lavoro a Giovanni Comisso, che si fece tramite con Longanesi, indirizzando il plico al numero 5 di via Boschetto a Milano. Era l’indirizzo sbagliato. Perduta la pazienza di attendere ancora una risposta, Berto decise di recarsi personalmente dall’editore, scoprendo così che gli uffici di Longanesi erano in realtà in via Borghetto. Da quel viaggio nel capoluogo lombardo nasce il libro: Indro Montanelli stava salendo le scale per andare dall’editore quando per poco non venne travolto dall’usciere. Berto aveva appena consegnato il dattiloscritto e se n’era andato: l’usciere doveva rincorrerlo perché nel frattempo Longanesi aveva cominciato a leggere il romanzo restandone folgorato: «Curvo su un voluminoso manoscritto su cui teneva minacciosamente librato un paio di forbici, scrive Montanelli, senza dirmi cos’era e chi era, via via che finiva di leggere una cartella me la passava. Dopo un’ora di questo esercizio mi chiede che cosa ne pensavo. “Un romanzo sulla Resistenza. Ne abbiamo tutti le scatole piene”. “E invece è un colpo” replicò Longanesi, “parli di Resistenza, ma questo giovanotto ha il vantaggio di averla descritta senza avervi mai partecipato, anzi, senza averla nemmeno vista”». -------------- Il libro è bellissimo, intenso, toccante. Non ho assegnato tutte le stelle a disposizione solo per un motivo di tipo, come dire, grammaticale. Grammaticale, ma non scorretto, intendiamoci. Berto utilizza generosamente i pronomi soggetto "egli, essa, essi". Li ho trovati un po' pesanti ed oramai inusuali. Qualche soggetto sottinteso, o qualche "lui, lei" secondo me avrebbero giovato. Quattro **** e mezzo
Mi ha toccato il cuore. Profondamente. Durante la seconda guerra mondiale un bombardamento distrugge l'intero quartiere di una città italiana causando molti morti e diversi feriti. Inizia così la lotta alla sopravvivenza dei più deboli dei deboli, i ragazzi, ai quali vengono rubati i sogni e negata l'innocenza. Saranno quattro di loro in particolare i protagonisti della nostra storia: Carla, che ha 15 anni ed è già una donna, costretta a fare il lavoro più antico del mondo per poter mangiare, Giulia, orfana dolce, dalla salute cagionevole e dall'animo delicato, Tullio, il più grande, che ostenta una sicurezza che in realtà non gli appartiene, e Daniele, timido e ingenuo, che trova negli altri tre l'affetto e il calore della famiglia perduta. Si riuniranno e cercheranno di darsi forza e sostentamento l'un l'altro, ma non sarà facile. Perchè la vita chiederà loro un conto salato. Insomma, un panorama che potrebbe prestarsi facilmente alla lacrima facile, e invece no. Perchè Giuseppe Berto descrive la desolazione con estrema dignità, oltre che con estremo realismo: sembra di essere dentro a un capolavoro del Neorealismo in bianco e nero, un'analisi perfetta, perfettamente aderente alla realtà, cruda e dignitosamente commuovente. Un piccolo grande gioiello narrativo. Giusppe Berto ha vinto il Premio Campiello con "Il male oscuro". Anche questo romanzo, però, avrebbe meritato a pieno titolo un riconoscimento di merito.
Romanzo bellissimo, malinconico e struggente. Berto sa essere profondo e versatile, sa sperimentare e spaziare nella vita e nella letteratura, dall'empiria al verosimile, eppure sa essere sempre molto riconoscibile. E questo è talento. Si conferma uno dei più grandi (e ingiustamente meno conosciuti) autori del Novecento italiano.
Le vite di quattro giovani orfani si intrecciano quasi per caso dopo un pesante bombardamento in una città del Nord Italia (Treviso?), durante la seconda guerra mondiale.
Vita e morte, disagio e speranza, miseria e sentimenti, trasudano dalle parole di Giuseppe Berto in questo romanzo coinvolgente che testimonia, se mai ce ne fosse bisogno, l’orrore e la crudeltà della guerra e del degrado che questa comporta, avvolgendo sotto un cielo rosso donne e uomini, giovani e adulti, privandoli della loro umanità.
Ho apprezzato lo stile di Berto che mi ha trasmesso l’ansia e le emozioni di quei ragazzi alle prese con la sopravvivenza, ma anche con gli amori, i desideri e le nuove scale di valori della loro nuova condizione, circondati dal degrado e dalla violenza. E dalla morte.
Scritto durante un periodo di prigionia lontano dall’Italia, sembra dopo aver appreso da altri prigionieri del bombardamento di Treviso, è frutto di pura immaginazione in quanto Berto non ha vissuto gli eventi italiani di quei tragici mesi narrati. Ma la fedeltà alla storia passa in secondo piano dinanzi al reale sgomento per le tante vite spezzate, che non era difficile immaginare. E forse al senso di colpa di chi aveva combattuto dalla parte sbagliata.
quattro ragazzi attraversano la storia: il cielo rosso dei bombardamenti svela loro il male universale - oscuro e nebuloso - che una volta venuto allo scoperto non permette retrocessioni. i buoni e i cattivi si confondono tra le rovine del gelo invernale. eppure Tullio, Carla, Giulia e Daniele camminano, e tentano di tenersi al riparo dalla ferocia ritagliandosi lo spazio per volersi bene e per soffrire. ma può non bastare: alcuni dicono che le striature nel cielo - quando pure guardare il cielo dà smarrimento - siano segno di un tempo che sta cambiando, ma poi arriva un altro inverno, che porta altra miseria, segno di un male che una volta scoperto non si nasconde. vivere - e non morire, vale uguale - non consente lo spazio materiale per sentirsi perduti, e poi forse ritrovarsi.
disperato e bellissimo, come lo sono le storie al crepuscolo
Romanzo di un esordiente Berto, che lo scrive a 30 anni. La storia parte da lontano, uno zoom progressivo ci porta lungo il fiume fino ad arrivare alla città protagonista di questa storia. Partiamo da lontano nello spazio, e anche lontano nel tempo. Nelle prime scene, delle due protagoniste una è in fasce, dell’altra sappiamo solo che dovrà nascere, figlia di prostituta. Distanza, questo è forse l’aggettivo con cui potrei raccontare questo romanzo. Distanza tra i destini delle persone, distanza anche nella condivisione forzata di spazi e vicende. Tullio si mantiene distante da tutti, ha i suoi segreti, si preoccupa per Carla, per Giulia, per Daniele, ma non li lascia mai avvicinare. Daniele è distante perché non capisce, resta a guardare un mondo che si muove senza che lui possa partecipare. Carla ha la distanza di chi è cresciuta troppo in fretta, di chi ha dovuto distaccarsi dal suo corpo per mantenere sé stessa e i suoi amici. Giulia ha il distacco della malattia e dell’amore. Quattro solitudini che restano unite, e intorno a loro un deserto di adulti disillusi, o peggio, approfittatori. Tristezza, nessuna guarigione possibile, nessuna grazia. Vorresti abbracciare questi poveri ragazzi, salvarli, ma sai che inesorabilmente non sarà possibile. Un grande romanzo, che non cerca di mentire. Difficile resuscitare a nuova vita dopo una guerra così devastante, dopo tanta rovina, tanta povertà. Difficile restare o tornare ad essere bambini.
Berto scrisse questo romanzo da un campo di concentramento per prigionieri di guerra in America dopo essere venuto a conoscenza per caso del bombardamento su Treviso. Poco importava a lui scrittore, e effettivamente poco importa a noi lettori, la precisione storica, la veridicità di ogni singolo fatto: non è un romanzo storico, è un romanzo profondo, tragico su cosa fa la guerra alle persone, ai cuori forti come ai deboli, ai caratteri delicati come agli intraprendenti. Ormai a guerra quasi terminata i quattro ragazzi protagonisti, due giovanissime cugine e due ragazzi che non potrebbero essere più diversi tra loro, ne hanno vissute e viste di ogni genere e resistere diventa ogni giorno una battaglia immane e inumana che spegne la luce della speranza. Leggete Berto! Leggete Berto! Leggete Berto!
Intenso e commovente, un libro che deve essere letto soprattutto dagli adolescenti di oggi per capire e valorizzare il benessere in cui vivono raffrontandolo con la miseria del dopoguerra. Capolavoro assoluto, da conservare nel cuore e nella mente...
Il romanzo è indubbiamente notevole, soprattutto se si considera che è stato pubblicato nell'immediato dopoguerra quando era ancora difficile ed estremamente doloroso parlare del conflitto e delle sue drammatiche ripercussioni sulla popolazione civile. Penso che Berto sia stato uno dei primi a trattare questo argomento, per di più scegliendo come protagonisti quattro ragazzi alle soglie dell'adolescenza. Per loro la guerra diventa il punto di svolta che segna la fine dell'infanzia e l'improvviso entrare nella vita adulta. Una crescita repentina e traumatica, segnata dal dolore per la perdita dei propri familiari e della propria casa. Giulia, Carla, Tullio e Daniele trovano la loro forza nello stare insieme. Con mille espedienti riescono in qualche modo a tirare a campare, anche se c'è chi è costretta a vendere il proprio corpo e chi rinuncia ai propri ideali di onestà per rubacchiare qualcosa qua e là. Il destino non sarà clemente, nemmeno al termine del conflitto. Leggendo questo libro mi è venuto spontaneo il paragone con "La storia" di Elsa Morante ed è per questo che assegno solo tre stelline a Berto. Mentre i personaggi della Morante mi sembravano vivi, quasi tangibili, ho vissuto con un certo distacco i personaggi di Berto. Non posso dire di essere riuscita ad empatizzare con loro e per questo non riesco a dare una valutazione maggiore ad un romanzo che comunque merita di essere letto.
Negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, quattro adolescenti rimangono orfani e senza casa dopo un bombardamento. Sostenendosi l’un l’altro devono trovare un modo per andare avanti in mezzo alle macerie, nella desolazione che li circonda e li invade. Questo romanzo mi ha trasmesso un’enorme tristezza. Mi sono commossa per la forza e il pragmatismo di Tullio e Carla, disposti a fare ciò che è necessario per sé e per coloro a cui tengono, e per la fragilità e la dolcezza di Daniele e Giulia, così impreparati ai colpi della vita. Avrei voluto abbracciarli tutti e trovare il modo di confortarli. Mi ci vorrà qualche giorno per riprendermi.
“La gente tornò dalle campagne e dai colli, dai luoghi dove s’era rifugiata, e riprese a salutarsi e a chiacchierare insieme, andando avanti e indietro nel tratto di via principale che non era stato completamente demolito dalle bombe. La guerra era come se fosse finita, ed essi erano arrivati vivi a quel punto, e tuttavia non erano gli stessi di prima. Per quanto si sforzassero, gli uomini non potevano più essere quelli di prima. E non era solo per la miseria e la fame, e per l’odio e le vendette e la paura, che non potevano più essere gli stessi di prima. Non sapevano bene neanche loro la ragione per cui si sentivano sempre stanchi e cupi nel fondo, e scontenti di sé e di vivere. Forse quella parte del male universale che era loro toccata si era accumulata dentro di loro, e restava senza poter più andarsene. Forse era la certezza di aver perduto per sempre cose di tutta la gente, che avevano trascurato prima. Si erano smarriti nella grande guerra, e non riuscivano più a ritrovarsi.”
"Gli uomini pensano, volando nella notte. Sotto c'è la terra scura, non si vede niente. Sopra ci sono le stelle, e le stelle aiutano a pensare. Così volando nella notte quegli uomini hanno pensieri, di cose lontane."
Che sorpresa questo Giuseppe Berto! Noto soprattutto per "Il male oscuro", qui si cimenta con una storia di guerra e sopravvivenza, in una città italiana che sembra molto la sua Treviso, tra il 1944 e il 1945. Ce ne sono molte di storie così, potrebbe pensare qualcuno; il Neorealismo ne è pieno. Eppure questa è diversa, perché i protagonisti sono adolescenti, che sfidano l'assurda vita degli adulti arrabattandosi come possono e soprattutto trovando una potente solidarietà reciproca. Il romanzo si legge d'un fiato, perché la narrazione è costantemente portata avanti, anche se in modo irregolare. Si aprono ogni tanto spazi di poesia pura, soprattutto quando Berto decide di descrivere paesaggi e ambienti, spesso in chiave fortemente impersonale, come se il contesto prendesse vita propria e fosse isolato dalle vicende degli uomini. E poi poco alla volta i personaggi vi si insinuano, arrivando sempre da un angolo che sembrava nascosto e insignificante. Il titolo riprende una citazione dal vangelo di Matteo, ma è chiaro che il rosso del cielo rimanda anche al fuoco dei bombardamenti più volte raccontati nel romanzo; così come, idealmente, anche alla speranza comunista del protagonista Tullio. La lingua di Berto è semplice; talvolta eccede nelle ripetizioni e utilizza il termine "gente" in modo poco usuale (ad esempio "un gruppo di gente"); la sintassi è piana e a ciò contribuiscono anche i dialoghi, indiretti ma molto asciutti.
Di Giuseppe Berto avevo trovato, tempo fa, rovistando come sempre nella libreria di mio padre, due suoi libri: “Il male oscuro” e “La cosa buffa”. Ricordo bene che, a quel tempo, mi aveva colpito molto la distanza, evidentemente apparente, tra due titoli che sembravano divergere così tanto, ma che erano invece – avrei scoperto più avanti – le due facce di quella stessa medaglia che tormentò lo scrittore per il resto della sua esistenza: una depressione profonda, rimasta latente per molti anni e scatenatasi, poi, in seguito alla morte del padre; quel male che Gadda, ne “La cognizione del dolore”, aveva definito oscuro: [continua al link sotto]
Il fondamentale autore del "Male oscuro" esordì con questo romanzo. Cronaca di una Milano bombardata prima e occupata poi, nella miseria sempre, laddove sempre è la forbice 1943-1946, quella della guerra militare, civile e per la sopravvivenza (mangiare). Tullio, Carla, Maria, Giulia e Daniele sono adolescenti uniti dal disastro. Sì fa quel che si può ma non basta, il mondo prima solo cattivo adesso si è incattivito, sono gli sciacalli a saper sopravvivere così come in un conflitto nucleare resteranno in piedi solo gli scarafaggi. In buona parte autobiografico, è l'esistenzialismo di chi non aveva ancora scoperto che la vita è bella, al 2 Megots con un cafè-creme.
Sullo sfondo della fine della seconda guerra mondiale, quattro giovani si barcamenano per sopravvivere in una Treviso distrutta dai bombardamenti. Il cielo è rosso per due terzi è un grande romanzo: la vicenda è tesa e credibile e i personaggi sono plausibili nelle loro motivazioni; il tutto narrato con uno stile asciutto e ammirabilmente distaccato. Peccato solo per il trionfo dei sentimenti finale dove fra morti, malattie e suicidi sembra di esser capitati in una telenovela (il fatto di aver scritto il libro in un campo di prigionia americano probabilmente non ha aiutato Berto con l'ottimismo). Prepararsi per tristezza a palate.
Romanzo bello, molto interessante che parla di quattro ragazzi orfani che si ritrovano a dover sopravvivere in una città distrutta dai bombardamenti. Un libro davvero interessante ed educativo, che racconta in modo estremamente oggettivo tutto ciò che comporta la guerra e delle conseguenze che ha su questi quattro bambini che si ritrovano improvvisamente obbligati a diventare adulti.
realistico, appassionante, coinvolgente, attuale. Una storia di ragazzi soli, di amicizie, di amori, di diversità, accettazione, solitudine e disperazione. In uno stile scorrevole, accessibile, emozionante.
This was probably one of the best novels I have ever had the pleasure of reading. I couldn't put it down. I finished it months ago and am still haunted by it, I can't get it out of my mind. The characters, the story..it embedded itself in me as a brilliant novel should!
non dimenticherò mai la persona che mi ha regalato questo libro. E nemmeno la lotta continua contro una guerra che non appartiene ai giovani, ma che sono i giovani a subire.
Ci sono quei libri, e quegli autori, che sono piacevoli scoperte, quasi casuali, scovati mentre si bazzica tra gli scaffali. Autori sconosciuti, o quasi tali, che difficilmente vengono raccontati sui nostri libri scolastici. Ecco, Giuseppe Berto è uno di questi, ed insieme a lui il suo Il cielo è rosso, titolo scelto dall’editore – Longanesi - alla vigilia della pubblicazione al posto di La perduta gente, titolo del manoscritto che Berto aveva scritto nel 1944 mentre era «prigioniero di guerra» a Hereford nel Texas, in uno di quei campi americani in cui erano reclusi tutti quelli che si rifiutavano di dichiararsi «prigionieri collaboratori»: mosso da «un senso di acuta responsabilità» per la parte di colpa da lui avuta nella catastrofe della guerra, Berto decide mettere nero su bianco le riflessioni a cui è giunto nei mesi di prigionia, raccontando delle vere vittime del conflitto, la popolazione civile, in particolare i giovani, ragazzi e bambini privati dell’infanzia, che dopo aver visto il cielo divenire rosso, la notte del bombardamento di Treviso, perdono casa, famiglia, divenendo bestie il cui unico scopo è sopravvivere, raggiungere il proprio bene, a discapito delle proprie azioni.
Dei principali due contentendi al premio Strega del 1947, ho preferito nettamente Ennio Flaiano. Intendiamoci, quello di Berto e' comunque un romanzo molto buono, su una tematica molto importante (la vita quotidiana in guerra), gestita tutto sommato bene, e che da' la giusta dose di emozioni. Ma manca forse di un po' di realismo che invece Flaiano aveva. Leggendo Flaiano infatto la situazione descritta pareva totalmente verosimile, qui invece, complice anche una scrittura molto semplice e piana, il realismo non traspare, sembra piu' una metafora impiantata su ambientazione reale. Inoltre, c'e' la strana sensazione che i personaggi sembrino in pericolo e in condizioni disagiate, ma contemporaneamente anche un po' troppo rilassati, nonostante la situazione non sia cambiata. Strano inoltre, ma forse corretto e dovuto alle convinzioni politiche dell'autore, la messa in luce negativa dell'esercito statunitense.
La fine della guerra e l'immediato dopoguerra in una città devastata dalle bombe alleate. Berto ce lo racconta attraverso gli occhi di quattro ragazzini, diventati troppo presto adulti, che vivono la loro vita al margine, in mezzo ad un'umanità affamata e decrepita, arida, troppo stanca per i buoni sentimenti. I quattro personaggi non hanno che il reciproco affetto, ma questo in un mondo così cattivo e ingiusto non basterà.
Malinconico questo romanzo che descrive molto bene la miseria dell'uomo, anche quella dell'anima, di fronte ad avvenimenti che ci possono piombare addosso di sorpresa, quale la guerra e la solitudine. Forse la parte centrale l'ho trovata poco coinvolgente ma il finale mi ha un po' spiazzata.
Duro e asciutto come la migliore Morante, con momenti di equilibrata cronaca. Scivola sul privato, non sa essere Fenoglio, ma resta grande narrazione esistenzialista di un dopoguerra a minori.