La ferocia dell'infanzia non conosce tempo, né confini. Ogni giorno è pronta a esplodere. Anche se a tutti fa comodo pensare sia per gioco, altro non è che il primo irrompere della violenza nella vita degli uomini. In questo romanzo asciutto e teso, Piergiorgio Paterlini torna ad affrontare le passioni dei ragazzi, nel loro tratto piú oscuro e inquietante.
Metà anni Sessanta. È il Venerdì Santo in un paesino della Bassa Padana e, come da tradizione, si rappresenta la Via Crucis. Anche i personaggi sono quelli della tradizione: le Pie Donne, il Sommo Sacerdote, il Cireneo, la soldataglia. E Pilato. I protagonisti, però, sono tutti bambini e nessuno di loro sta recitando, nemmeno il piccolo Cristo che viene trascinato sul Golgota. Gli adulti guardano, ma non vedono. Cinquant'anni dopo, il ragazzo che allora era Pilato ritorna in paese. Tutto è rimasto come quel giorno, i cambiamenti hanno intaccato soltanto la superficie. I bambini feroci di un tempo sono ora uomini sconfitti e rancorosi, e quel povero Cristo invecchiato ha imparato a portare la sua croce. La resa dei conti sarà crudele come allora fu spietato il gioco. Anche oggi è il giorno della Passione.
Due settimane di Passione: una di oggi ed una di cinquant’anni fa. Riti e personaggi della Pasqua e chi racconta questa volta è Pilato.
Un ritorno al paesello in occasione di una rimpatriata di quelli che furono ragazzini e alla quale l’unico che da un senso è l’antico Pilato.
Nella mente degli ex compagni non resta ricordo di un’antica crudeltà, anzi sono meravigliati della pervicace memoria di Pilato. Solo lui e colui che fu il Cristo di turno serbano l’orrore di quella Pasqua lontana. Solo uno di loro ha trasformato l’oscuro piacere di allora nel vizio celato di oggi.
Gli adulti che guardano e non vedono, che da sempre e per sempre liquidano la ferocia dei fanciulli con la definizione bambinate.
La conclusione è forse romanzesca, ma le domande che pone il racconto, anche se non nuove, sono tante. E leggendo i giornali, la stanchezza di sentire luoghi comuni di giornalisti, opinionisti, psichiatri, madri e padri schierati a difesa sempre e comunque, mi toglie anche la voglia di pensarci o commentare.
Una sorpresa. Una grande e piacevole sorpresa. Un libro che non ti aspetti, senza retorica e senza giustificazioni. I bambini possono essere feroci. C’è una citazione di Pasolini nel libro: "I tuoi coetanei hanno in mano un’arma potentissima: l’intimidazione e il ricatto. Cosa, questa, antica come il mondo. Il conformismo degli adulti è tra i ragazzi già maturo, feroce, completo. Essi sanno raffinatamente come far soffrire i loro coetanei: e lo fanno molto meglio degli adulti perché la loro volontà di far soffrire è gratuita: è una violenza allo stato puro. […] La loro pressione pedagogica su te non conosce né persuasione, né comprensione, né alcuna forma di pietà, o di umanità." A bambini feroci corrispondono adulti ciechi, adulti assenti, che hanno dell'infanzia un'immagine ideale e, per questo non proteggono. Molto potente ed evocativa è la metafora che l'autore usa, di raccontare gli eventi come se fossero una Via Crucis con tutti i protagonisti, da Gesù a Pilato. È Pilato proprio, poi, a ritornare dopo cinquant'anni per scoprire che non esiste riscatto, che si può solo soccombere o coltivare rancore e vendetta. Quale lezione allora trarre da questo libro? Cito da Gilioli, Espresso- Repubblica: “Che cosa sono l'etica, la morale, l'empatia, la tendenza a migliorarsi, l'interiorizzazione del rispetto per gli altri, l'attenzione e la solidarietà verso il più debole? Sicuramente non qualcosa di innato. Non qualcosa che ci viene naturale, istintivo. Non qualcosa che appartiene quindi all'infanzia. Al contrario, può essere il frutto di un lungo, difficile e tutt'altro che scontato, percorso culturale ed esistenziale.” Piergiorgio Paterlini, Bambinate. Consigliato.
Piergiorgio Paterlini - Bambinate Un uomo torna nel paese della sua infanzia dopo moltissimi anni, ora è un chimico affermato che lavora in America. Torna per assistere alla Via Crucis del Venerdì santo, ma torna soprattutto per chiudere i conti con una storia che lo ha segnato per tutta la vita. La scusa è quella di un invito a cena della quinta elementare Marconi del 1965 per festeggiare i 50 anni, ma l'uomo ha altri programmi, userà la cena per riallacciare alcuni contatti e vedere come si è evoluta la vita dei suoi compagni. Vuole far capire a una persona quanto male è stato fatto a Denis, un ragazzo con un ritardo mentale che subì le vessazioni psichiche e fisiche dei suoi coetanei. C'è un solo modo per rimediare al senso di colpa che l'uomo prova per non aver mai fatto nulla contro quella forma di violenza. La prima parte del libro racconta i ricordi dell'uomo, della sua vita in campagna, delle giornate a scuola e delle avventure con gli amici del paese. La seconda parte è il ritorno al paese e l'incontro con alcuni personaggi della vicenda. Mi è piaciuta la decisione dell'uomo per rendere giustizia a Denis, il resto molto meno.
Episodi di bullismo vero e proprio declassati dagli adulti a delle semplici "bambinate". Ecco la cosa che più mi ha fatta arrabbiare nel leggere questo breve romanzo. Posso capire che i bambini riescano ad essere parecchio crudeli verso chi vedono fragile e diverso da loro, ma non posso tollerare gli adulti che si girano dall'altra parte. Nel libro viene descritto un episodio increscioso accaduto quando i protagonisti erano alle scuole elementari a danno di Denis, un bambino con un ritardo, che viene fatto oggetto di vessazioni verbali e fisiche. A distanza di cinquant'anni il protagonista, che al tempo dei fatti aveva assistito senza dire o fare nulla, preda dei sensi di colpa, decide di tornare al suo paese natale e di reincontrare i suoi vecchi compagni di classe. In realtà ha in mente un piano ben preciso per vendicare ciò che è stato fatto a Denis... Onestamente mi ha un po' deluso la vendetta perpetrata dal protagonista perché penso che l'autore avrebbe potuto pensare a qualcosa di più elaborato ed originale ed è per questo che non metto cinque stelle. Per il resto il libro merita indubbiamente la lettura per le riflessioni che suscita.
L’infanzia non è sempre così innocente come piace ricordare agli adulti, la cattiveria dei bambini può essere fine e tagliente come la lama di un coltello. «Sono solo bambinate» quelle che poi segnano l’animo di una persona a vita.
lo sguardo sul bullismo mi è parso acuto e dolente, come di chi l'ha provato in prima persona. la cecità di chi assiste e non viene toccato, la rivelazione quando te lo trovi in casa, tutto giusto credo. la storia però non convince.
A quanto può arrivare la crudeltà dei bambini/ragazzi nei confronti dei coetanei più deboli? A tanto e spesso non viene neanche notata dagli adulti. Un bel racconto dove il finale ...
Un libro particolare. Non lo si ama, non lo si odia, lo si utilizza per riflettere. Trasmette un messaggio forte, brutale, che già dalle prime pagine riesce ad emergere. Non gira intorno ai concetti, non si perde in descrizioni o artifici letterari: dice quello che deve dire con chiarezza.