Storie partigiane trattate con piglio disincantato, antiretorico, talora epico-burlesco; storie di Alba e delle Langhe, vicende sanguigne e beffarde, drammi di miserie antiche e di speranze impossibili: con quel suo linguaggio preciso e vero Fenoglio scrive per penetrare il «mistero» della spietatezza dei rapporti umani.
I ventitre giorni della città di Alba, rievocanti episodi partigiani o l'inquietudine dei giovani nel dopoguerra, sono racconti pieni di fatti, con una evidenza cinematografica, con una penetrazione psicologica tutta oggettiva e rivelano un temperamento di narratore crudo ma senza ostentazione, senza compiacenze di stile, asciutto ed esatto». Italo Calvino
Beppe Fenoglio (born Giuseppe Fenoglio) was an Italian writer. His work was published in a critical edition after his death, but controversy remains about his book Johnny the Partisan, often considered his best work, which was published posthumously and incomplete in 1968. The works of Fenoglio have two main themes: the rural world of the Langhe and the partisan war; equally, the writer has two styles: the chronicle and the epos. His first work was in the neorealist style: La paga del sabato (this was published posthumously too in 1969). The novel was turned down by Elio Vittorini who advised Fenoglio to carve out stories and then incorporate them into the The twenty-three days of the city of Alba (1952). These stories were a chronicle of the Italian Partisans or of rural life. One of such works was La malora (1954), a long story in the style of Giovanni Verga.
Partisan Beppe Fenoglio captures in these twelve impressive stories just as much the peasant culture and way of life in the hilly region of The Langhe as he does the conflict between the Italian resistance and the fascists in and around Alba. He also doesn't make the resistance - or at least certain members: mostly arrogant, petty criminal young men and boys - to be heroes and saints. The most dramatic, battle-filled story was easily the title story, but I take nothing away from the rest of them. They were all, there or thereabouts, just as good. A writer that had only moderate success during his lifetime - he died in the early 60s aged 41, but I did see a resemblance here with the great Italo Calvino; who was also Fenoglio's friend. Had I not known who wrote this collection, my first thought would have been Calvino. Surprisingly, I learned that Fenoglio wrote first in English and then translated to Italian. He also had a thing for Oliver Cromwell, and wished he could have served in his army. There were even English characteristics in some of his Partisans. Still, this is very much the work of an Italian writing about WW2 Italians. I'll definitely be reading him again.
Gianfranco Contini definì questo testo una “trascrizione prettamente esistenziale” della Resistenza. Sono racconti dal sapore e gusto barbarico che in linea con una poetica della brevitas drammatica descrivono la lotta di liberazione sulle Langhe, tra attacchi, rastrellamenti, imboscate, fucilazioni, insieme al contesto, la natura, le colline, le stagioni, la memoria, in un processo artistico e letterario di continua riscrittura e rifacimento. Si può dire che Fenoglio sulla pagina dia vita ad un incessante ripensamento di un io che si sente partecipe di un noi, un testimone immediato del dolore della mortalità che mai si arrende alla natura selvaggia e primitiva della guerra e della storia. Convivono nel suo dettato orchestrazione e essenzialità, nobiltà ideale e incoerenza del reale, semplicità della volontà e ferocia del coraggio. Il partigiano di queste storie è indagato con oggettività psicologica e intensità visiva, in un doloroso dare avere con la morte nel quale la sofferenza disorganizzata e l'inesperto valore vengono percepiti e trattati con sensibilità e ironia profondamente umani e appassionati. La fisicità del paesaggio rappresenta il teatro di una molteplicità di voci in uno stile aspro e secco e marcato da una tonalità epica, con un punto di vista sempre antieroico e antiretorico. La fluidità e l'energia della lingua sono strumenti per inscenare il presente in metafore e allegorie di carattere assoluto, tragico e esemplare. Non c'è altro modo di rivivere il passato al quale apparteniamo che la testimonianza autenticamente etica di una vocazione nella quale si identificano letteratura e vita, eroismo e sconfitta, coraggio e disillusione, finitezza e destino.
Non mi ricordavo fosse tanto avvincente la scrittura di Fenoglio (lessi Una questione privata diversi anni fa, ancora al liceo). Specialmente nel format del racconto breve credo sia molto efficace lo stile dell'autore. Quasi tutti i racconti mantengono un livello molto alto, anche per i contenuti. Fa impressione perchè a leggere oggi le avventure o disavventure dei partigiani sembrano così distanti, quasi irreali; insomma è emozionante sapere che si è davvero combattuto in quel modo per la libertà. Sono rimasto entusiasta di questa raccolta di racconti; chissà che un giorno non mi venga davvero voglia di leggere il partigiano Johnny.
Una raccolta di racconti ambientati nelle Langhe, alcuni dei quali durante la Resistenza partigiana, altri invece dopo la Guerra. Altri, come il racconto NOVE LUNE oppure ETTORE VA AL LAVORO sono poi confluiti, opportunamente ampliati, nel romanzo LA PAGA DEL SABATO.
Ma i migliori racconti della collezione sono, a mio avviso, quelli sui partigiani. In questi Fenoglio dà il meglio di sé mentre descrive in modo estremamente dettagliato la disorganizzazione delle truppe partigiane, rosse e azzurre che fossero, la mancanza generale di certezze, sia in fatto di organizzazione sul campo che di rifornimento e di fiducia in sé stessi e nei compagni: il senso di giustizia è infatti molto relativo, per cui molte volte scoppiano litigi, fino a giustiziare in seguito a processi sommari gli stessi compagni.
Fenoglio si distingue per la sua abilità di dipingere la realtà cruda e complessa dell'essere partigiani. La sua scrittura è priva di eccessi e idealizzazioni: una rappresentazione autentica e penetrante soprattutto delle psicologie dei suoi personaggi.
La narrazione storica come piace a me. Staccata dalle fredde dissertazioni degli specialisti e, invece, calata nella realtà delle persone e delle azioni che la originarono. E qui Fenoglio dà, a mio parere, una delle sue prove più alte. Nessuna apologia, nessun settarismo. La vita partigiana è mostrata in tutte le sue sfaccettature, nel bene, come nel male, durante la lotta e negli anni successivi, attraverso gli occhi di chi scelsero consapevolmente di farne parte, di chi scelse per timore del giudizio altrui, di chi scelse e poi si pentì. C'è lirismo nelle prose che compongono questo libro, c'è la vita nelle sue contraddizioni, c'è, soprattutto, il desiderio di astrarre dalla figura partigiana la singola persona e restituirla al lettore per ciò che fu: un semplice uomo.
اولی رو بیشتر دوست داشتم؛ «اتوره سرکار میرود» اتوره یه پسر جوانی هست که با پدر و مادرش زندگی میکنه و اونا در تلاش هستن که برای اتوره یه شغلی پیدا کنن که حداقل چند روزی توی اون شغل دووم بیاره. ولی اتوره اهل کار کردن نیست و یه جای متن میگه: «اتوره فکر میکرد که آنها هشت ساعت از بهترین ساعتهای روز، در آن چهار دیواری، خودشان را حبس میکردند؛ و در این هشت ساعت بیرون اتفاقها میافتاد، در کافهها و در ورزشگاهها برخوردهای به یاد ماندنی اتفاق میافتاد. زنها و ماشینها و قطارها میرفتند. تابستان رودخانه و زمستان تپههای برفی. آنها آدمهائی بودند که هیچ چی نمیدیدند و همه را باید برایشان تعریف کنند. آدمهائی که باید برای رفتن به بالین مرگ پدرشان و زایمان زنشان اجازه بگیرند و غروب از آن چهار دیواری بیرون میآمدند، با یک مشت پول مطمئن آخر ماه، و یک خرده از خاکستر چیزی که روز بوده است.»
Scrittori come Fenoglio non ce ne sono più, purtroppo. Un grande. Anche in questi brevi racconti è riuscito a coinvolgermi con la semplicità e la crudezza delle scene di vita partigiana che rendono i suoi romanzi dei capolavori. Ci sono racconti stupendi, che tolgono il fiato e fanno battere il cuore, perché tragici e veri come fu la Resistenza e come furono i partigiani, con tutti i chiaroscuri della storia di quel tempo.
riflettete, ragionate con la vostra testa e continuate la nostra lotta … Fenoglio racconta episodi della resistenza, e non solo. Ne esce un quadro vivido, a tratti crudo, di quel periodo; narrato però con un tono asciutto, privo di fronzoli e senza far sconti a nessuno. La lettura ti proietta in quei luoghi, quel clima, quella temperie morale che ha caratterizzato gli anni della Resistenza. Leggi anche degli eccessi e dei soprusi commessi in quella che mi sentirei di definire – tanto per restare nell’ambito dell’Asse - come l’infinita notte dei lunghi coltelli italiana. Si coglie l’anelito di libertà e giustizia che ha spesso animato l’azione di tanti, ma anche le lacerazioni di un’intera società, di famiglie e anche dei singoli individui. Lacerazioni che ancora oggi tante incomprensioni provocano, tanto da lasciar spazio ad un furbo revisionismo che pretende di mettere sullo stesso piano la guerra di liberazione con l’azione dei nazisti e dei repubblichini. Leggendolo, non ho potuto fare a meno di andare col pensiero a “Al Dievel” dei Modena City Ramblers. La canzone è dedicata a Germano Nicolini, detto "il comandante Diavolo". Alla fine della canzone, Nicolini dice: “E noi sognavamo un mondo diverso, un mondo … un mondo di libertà, un mondo … di giustizia, un mondo di pace e un mondo di fratellanza e di serenità. Ho ottantacinque anni, da allora ne sono passati sessanta e purtroppo questo mondo non c’è. E allora, riflettete, ragionate con la vostra testa e continuate la nostra lotta.” Ecco, se ne aveste voglia, leggete il libro, magari ascoltando in sottofondo le canzoni di Appunti partigiani …
I borghesi ruzzolarono in cantina Tutti i racconti si riferiscono agli anni quaranta in Piemonte, alcuni alla guerra partigiana, altri alla vita che, dopo, deve riprendere a scorrere. I protagonisti sono persone umili che, sotto gli occhi del lettore, incontrano il loro destino, ruvido e ineluttabile. Ci sono i partigiani per caso, che però vengono fucilati sul serio, i partigiani che credono di poter derubare la popolazione e vengono giustiziati dai compagni, ci sono i capi partigiani che alla fine della guerra non riescono ad accettare la normalizzazione e un lavoro sottoposto e preferiscono fare i banditi. Ci sono tanti partigiani di 15 anni, con il misto di arroganza e infantilismo che si può prevedere. C’è il giovane uomo che nel giro di qualche pagina passa dalla giovinezza spensierata all’assunzione di responsabilità verso la ragazza che ha messo incinta e che andrà a trattare con la famiglia di lei, dove verrà malmenato e accettato come ripiego. C’è il tenero suicida che si distrae brevemente a guardare i traffici di un uccellino. L’incipit de “I ventitré giorni della città di Alba” da solo è folgorante: ” Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in 200 il 2 novembre dell’anno 1944” e da solo introduce il disincanto di Fenoglio su quel momento della storia italiana che possiamo tranquillamente estendere al resto della storia nazionale. Il racconto ha un tono molto godibile: l’ingresso trionfale dei partigiani in città, “solamente di divise ce n’era per 100 carnevali”, le donne partigiane che avevano ricevuto l’ordine di rimanere in collina ma avevano voluto prender parte alla festa e venivano guardate dai cittadini con scherno e strizzatine d’occhio, in un’epoca in cui non bisognava allontanarsi dal focolare. Il tono bonario diventa feroce sarcasmo verso i borghesi tremebondi (che ruzzolarono in cantina) e alla guarnigione fascista che patteggiò l’uscita dalla città per non doversi difendere e poi subito fuori salutava la città in lacrime e con parole di eroica sfida, come se ci avesse versato il proprio sangue. Ce ne fossero decine di scrittori come Fenoglio, per prosa e contenuti: è una foto in bianco e nero della condizione umana, sullo sfondo delle Langhe anni ’40.
(Available in English as 'The Twenty-Three Days of the City of Alba')
Poignant, harrowing scenes from the bitter war between partisans and Fascists in Piedmont's hill country are told by Fenoglio in spare, simple prose, eschewing all embellishment and superfluity. The final stories, which take place after the war, are not quite as strong.
*** Una collezione di scene toccanti e strazianti dell'aspra guerra tra partigiani e fascisti nelle Langhe, raccontate da Fenoglio in una prosa semplice e scarna, che rifugge da ogni abbellimento e superfluità. I racconti finali, che si svolgono nel dopoguerra, non sono altrettanto forti.
La seconda parte penso sia decisamente meno riuscita della prima. Libro godibile, a tratti ben scritto, buono come lettura leggera ma nulla di eclatante.
Quando i miei figli portano a casa delle proposte di lettura fatte dai loro insegnanti, ho sempre l'abitudine di dare subito una sbirciatina. Se vedo libri che non ho ancora letto, non posso fare a meno di cimentarmi nella loro lettura. E così ho fatto, per questo breve libro di Fenoglio.
Dodici racconti, gran parte dei quali sulla resistenza partigiana. Scrittura chiara, cruda, lucida e ineccepibile. Puro realismo.
Una cronaca di alcuni avvenimenti della resistenza, rappresentata tramite una immagine del partigiano non proprio eroica nella sua lotta fatta con mezzi di fortuna contro fascisti e tedeschi. Persone comuni, con i loro difetti e con le loro debolezze che si cimentano in una guerra spesso personale.
Non ci sono atti di eroismo nei racconti, non ci sono ideali. I protagonisti sono ragazzi incoscienti, opportunisti, ladri, persone senza ideali e che uccidono quasi con piacere. Una rappresentazione quindi tutta in negativo (o forse semplicemente fedele?) dell'opposizione armata al fascismo.
Non sono quindi racconti celebrativi (e meno male, se no sarebbe propaganda), non sono racconti storici, non sono racconti particolarmente toccanti, non sono racconti emozionanti, non sono racconti educativi.
Non so che racconti siano, visto che non sono sicuro di averne capito il senso. Ma (sarò fucilato per questo, lo so) mi hanno annoiato a morte. Mi domando perché la lettura di questo libro sia spesso consigliata nelle scuole. Se è solo per mostrare l'orrore della guerra, credo ci siano centinaia di libri migliori di questo.
ho amato moltissimo “Una questione privata”, non solo per la totale assenza di retorica, giustamente evidenziata praticamente da tutti, ma anche per la figura di un giovane uomo che, nel mezzo di una guerra e di tutti i suoi orrori, tiene lo sguardo fisso non sul gioco tragico a cui sta giocando, di cui pure conosce ed accetta le regole, ma sulla vita vera che stava vivendo prima ed a cui vorrebbe tornare dopo. E per l’energia vitale strabordante di quello stesso giovane uomo, che non conosce stanchezza o altri limiti per arrivare a sapere quello che gli preme, a proposito della ragazza che ama. Qui, nonostante la parziale coincidenza dello scenario, perché molti racconti sono ambientati durante la guerra partigiana (tanto che faccio un po’ fatica a cogliere la ragione, se non puramente editoriale, per cui alla fine troviamo racconti di altra ambientazione, collocati nel dopoguerra), non riesco a trovare lo stesso slancio che c’è nel libro. Poiché il libro è stato scritto in seguito, è il segno di come l’autore sia stato capace di progredire, ma la raccolta di racconti ne esce non troppo bene.
Leggi Fenoglio per la prima volta a 37 anni senza sapere nulla se non che Fenoglio ha raccontato i Partigiani delle Langhe e ti aspetti il mito, la celebrazione, la Storia con la S maiuscola, il sacrificio dei nostri eroi. Hai già tutta una idea in testa e invece quello che era un libro sulla Resistenza si scopre essere una raccolta di storie di ragazzi. Ragazzi che vivono nel loro modo disordinato, che diventano uomini, che muoiono - a volte fisicamente ma spesso no- nel cammino per diventarlo.
Dodici racconti, in ognuno c’è una storia che merita di essere letta. Personaggi tratteggiati da Fenoglio con la sua scrittura lucida, diretta. Nessuna "celebrazione" o eroismo dei partigiani ma visione disincantata e vera.
Sono stato ad Alba per la fiera del tartufo, e documentandomi sulla città ho scoperto quanto fossi ignorante circa l'importanza storica della città di Alba durante la Resistenza. Affascinato dalle storie intorno ai 23 giorni in cui Alba riuscì a liberarsi dei nazifascisti, la prima città libera d'Italia, ho scoperto Fenoglio. Ho cominciato a leggere in contemporanea Il Partigiano Johnny e questo, scoprendo un grande scrittore e due libri dagli stili opposti. Del resto da una parte il giovane Fenoglio e il suo primo romanzo (in realtà una raccolta di racconti) e dall'altra un gigantesco romanzo postumo. Uno (questo) molto asciutto, essenziale, l'altro così complesso ed ermetico. È innegabile la maggior importanza del partigiano Johnny, ma ho trovato questo personalmente più godibile. Asciutto di tutte le forme retoriche e complesse che contraddistinguono il partigiano Johnny, in questo risalta tutta la capacità narrativa di Fenoglio . Davvero consigliato.
L'esordio di Fenoglio nel 1952: dodici racconti sulla Resistenza e non, storie brevi o molto brevi narrate con grande realismo, capacità introspettiva e scrittura essenziale. Ho apprezzato particolarmente “Un altro muro” e “Ettore va al lavoro”.
Inutile, per me Beppe Fenoglio è sempre una certezza! Siamo nati nella stessa città e ho frequentato tutti i luoghi che lui descrive nei suoi racconti, per una volta posso dire di non dover sforzare l'immaginazione. Di questo libro ho amato i racconti "L'andata", "Gli inizi del partigiano Raoul", "Un altro muro" e "Nove Lune". Lettura perfetta per il mese della resistenza!
Cinque, sei, sette, otto stelle a questo straordinario libro di racconti. Fenoglio era un fenomeno della lingua, un osservatore delle pieghe più minute, degli spazi meno battuti dalla luce. Un libro bellissimo.
Normalde öykü kitaplarına karşı mesafeli olsam da Fenoglio yine harikaydı. Öykülerin toplamda oluşturduğu bütünlük ve derinlikse bir romandan çok daha fazlasıydı. Grazie
Fra i libri del mio adorato Fenoglio, forse quello che mi ha convinto meno. Ora non mi si fraintenda, questi racconti si leggono sempre con piacere anche se il risultato, come per tutte le raccolte di racconti, è discontinuo. I racconti partigiani mi hanno, in questo caso, convinto più dei racconti langaroli che solitamente amo. Fenoglio ha, infatti, avuto il grande merito di raccontare come pochi altri quel che davvero è stata la guerra civile in Italia, senza idealizzazioni né falsi eroismi. Descrive, sì, l'eroismo quando c'è. Descrive gli ideali. Ma descrive anche il freddo, le pulci, i ladri, quello che si è fatto partigiano solo perché ci andavano gli amici, le mani che tremano quando si sta andando a morte. Descrive ragazzi e tanta, troppa gioventù spezzata da una parte e dall'altra. Descrive - e benissimo! - il senso di smarrimento che si prova nel tornare alla pace, alla vita quotidiana in famiglia, dopo aver trascorso mesi o anni da partigiano sulle colline. "Io comandavo venti uomini!", dice Ettore, ma cosa te ne fai di venti uomini quando devi tornare a lavorare in fabbrica? E anche la vita quotidiana, in tutta la sua durezza e barbarie. Una vita quotidiana spesso violenta, si pensi al destino di "quell'antica ragazza" o la vicenda di Ugo e della sua fidanzata o ancora quella del protagonista de "L'odore della morte". Una vita alle prese con povertà e miseria, che non si fa fatica a definire "barbara" ed ecco perché il titolo "Racconti barbari" sarebbe stato azzeccatissimo. L'incipit del primo racconto, "I ventitré giorni della città di Alba", è probabilmente uno dei più folgoranti della letteratura italiana del Novecento. Tuttavia, penso che Fenoglio abbia scritto di meglio. Questi racconti, in particolare, rispetto ad altri mancano del suo peculiare slancio linguistico e della sua inventiva in tal senso. Probabilmente in vista della pubblicazione Fenoglio preferì attestarsi su un linguaggio più "tradizionale", a scapito di quello che è il suo maggiore punto di forza. Rimane comunque un caratterista eccezionale, che pennella un mondo intero con pochi essenziali dettagli. La sua scrittura è cinematograficissima. Si vede quello che si legge. In questo senso, il buon Beppe è l'ideale per immergersi nella vita di un'Italia che non c'è (quasi) più e per rendersi conto di quanto davvero i tempi siano cambiati. E di quanto siamo fortunati a vivere in un'Italia che, con tutti i suoi difetti, almeno non è ancora, di nuovo, sotto le bombe. E lui, timido e apparentemente un po' burbero, rimane sempre una persona che avrei voluto conoscere. (Ritorna inoltre, sempre, la gioia di leggere Fenoglio e i suoi partigiani e di avere in mente ogni volto e pecurialità perché li si è letti altrove e li si è visti in fotografia. Penso a Set, "il monello delle Langhe", e al fatto che si riconosca Nord senza che venga nominato per nome, solo per quel certo tipo di divisa che indossava. Ogni volta è come tornare a casa, fra vecchi amici.)
Agile libro che immerge il lettore nel contesto delle Langhe, in Piemonte, a cavallo tra gli anni '40 e i primi anni '50. Fenoglio produce sei racconti, dove il tema della resistenza partigiana è preponderante, lasciandoci vedere al contempo uno spaccato della cultura dell'epoca. In ognuno dei racconti domina la povertà ed il senso di precarietà delle persone, soprattutto quando messi di fronte alla prospettiva della morte. Un libro non facile, non certo allegro, ma molto ben scritto da un autore che, è evidente, ha vissuto in prima persona gran parte delle situazioni raffigurate nei racconti.
É il primo libro di Fenoglio che leggo, comprato durante una vacanza nelle Langhe. Ho adorato ritrovare nel libro i paesi che avevo visitato! Di solito non amo le raccolte di racconti, ma Fenoglio ha saputo stupirmi e coinvolgermi negli episodi di vita dei partigiani e dei paesani. Acuto, crudo e straordinariamente vero!
Dodici racconti di grande impatto narrativo. Il primo, quello che da il titolo alla raccolta, è praticamente una cronaca della caduta della città di Alba. Non vengono introdotti personaggi e ci sono pochissimi dialoghi. Nei racconti successivi (che sono cronologicamente consequenziali), Fenoglio presenterà diverse figure di partigiani che parteciparono alla occupazione e alla difesa della città, molte delle quali rimarranno impresse nella memoria del lettore. Penso in particolar modo al giovane e neo arruolato Raoul, al quale si contrappone il quarantenne Blister; a Max e Lancia, compagni di prigionia, a Ettore che dopo la guerra non si ritrova più nella quotidianità della vita e a Negus che ammirando i vapori del mattino che si alzano adagio sulle colline dell’Oltretanaro dice: “Questo mondo è fatto per viverci in pace”. Ma nessuno lo ha ascoltato.