Nel giugno del 2015, tre giudici della Corte distrettuale israeliana di Tel Aviv hanno sentenziato che, dopo oltre novant’anni di peripezie, spostamenti e vendite dei manoscritti di Kafka, i suoi lavori – contro la volontà stessa dell’autore, che li aveva affidati a Max Brod chiedendogli di distruggerli – sono di proprietà della Biblioteca nazionale di Gerusalemme. Dopo la morte di Kafka l’amico Brod raccolse e mise al sicuro i suoi manoscritti, prima di fuggire in Israele per salvarsi dallo sterminio nazista e morirci nel 1968. In seguito, i manoscritti passarono alla segretaria, Esther Hoffe, a cui Brod aveva chiesto di donarli ad un archivio pubblico. Parte di questi lavori finirono all’Archivio della Letteratura Tedesca, che poi chiese alle figlie di Esther Hoffe di acquistare il restante lascito di Max Brod.
La decisione della Corte distrettuale di Tel Aviv giunge a conclusione di una serie di processi iniziati nel 2007 che hanno visto l’Archivio della Letteratura Tedesca, la Biblioteca nazionale di Gerusalemme e le figlie di Hoffe darsi battaglia per l’eredità di Kafka. Un’eredità singolare, quasi aporetica, impossibile, di chi lascia scritti chiedendo che scompaiano dopo la sua morte. Nella sentenza del giugno 2015 i tre giudici hanno
Per quel che concerne Kafka, è giusta la messa all’asta dei suoi scritti personali, che l’autore aveva ordinato di distruggere, da parte della segretaria del suo amico e delle sue figlie? La risposta ci sembra scontata.
Sullo sfondo di un contenzioso tra soggetti privati e un’istituzione culturale tedesca, in sostanza, i giudici israeliani trasformano la “cattiva gestione” e l’arricchimento della famiglia Hoffe in una giustificazione per la nazionalizzazione di Kafka.
Ma di chi è Kafka? A chi appartiene? Cosa significa trasformare in patrimonio nazionale israeliano gli scritti di un autore che proprio con i suoi lavori sembra aver costantemente cercato di produrre una poetica diasporica e del non arrivo? Come può coesistere la nazionalizzazione dei testi di Kafka, da parte di Israele, con la sua ambivalenza nei confronti del progetto politico sionista? Quali sono gli scopi e gli effetti politici della trasformazione dei suoi lavori in una proprietà statale?
A questo quanto mai attuale intreccio di domande Judith Butler prova a rispondere nel 2011, mentre il processo è in corso, con uno scritto apparso sulla London Review of Books che il lavoro culturale oggi pubblica in continuità con l’ampio spazio che negli scorsi anni ha dato alla filosofa americana – con articoli, interviste e recensioni dei suoi testi, ma anche con i saggi A chi spetta una buona vita? (pubblicato nel 2013 da Nottetempo in collaborazione con il lavoro culturale) e Sulla crudeltà (il lavoro culturale 2014).
Combinando ricostruzione storica, filosofia, teoria politica e critica letteraria, Di chi è Kafka? offre in fondo a Judith Butler l’occasione di svolgere, nuovamente, alcuni dei temi a lei più il rapporto tra linguaggio e soggettivazione; la costituzione di soggettività politiche attraverso il disfacimento di presupposti e punti di approdo identitari; la tensione tra condizione diasporica, messianismo e Stato nazione; lo spinoso rapporto tra ebraismo, sionismo e spossessamento del popolo palestinese. Temi, a ben guardare, tutti tipicamente kafkiani. Di qui la bellezza del testo, e del gesto, che vi proponiamo. Un testo del (e per) il non arrivo.
Saggio tratto dalla rivista «London Review of Books» Vol. 33 No. 5 · 3 March 2011 pages 3-8 | 8626 words
«Il lavoro culturale», italian ebook (epub, pdf) →
Judith Butler is an American post-structuralist and feminist philosopher who has contributed to the fields of feminism, queer theory, political philosophy and ethics. They are currently a professor in the Rhetoric and Comparative Literature departments at the University of California, Berkeley.
Butler received their Ph.D. in philosophy from Yale University in 1984, for a dissertation subsequently published as Subjects of Desire: Hegelian Reflections in Twentieth-Century France. In the late-1980s they held several teaching and research appointments, and were involved in "post-structuralist" efforts within Western feminist theory to question the "presuppositional terms" of feminism.
Their research ranges from literary theory, modern philosophical fiction, feminist and sexuality studies, to 19th- and 20th-century European literature and philosophy, Kafka and loss, and mourning and war. Their most recent work focuses on Jewish philosophy and exploring pre- and post-Zionist criticisms of state violence.