"...e così 'Amico fragile' fu completato. Uscì, piacque. Ne andavo fiero e un, poco, per proprietà transitiva e per complicità fraterna, lo eri anche tu. Né avrei immaginato che, otto anni dopo, avrei dovuto aggiungervi un nuovo episodio. Fu nel gennaio del '99, tu avevi preso congedo dall'unica malattia, dicevi, da cui si guarisce sempre, la vita. Tornai dal tuo funerale stremato nell'animo, mi dissero che il libro sarebbe stato ripubblicato, mi concedevano poche ore per aggiornarlo. Scrissi tre nuovi capitoli, in una notte, le dita che dolevano, figuriamoci il cuore. Oggi "Amico fragile" rinasce, per la terza volta. Tu, tra una dozzina di mesi, compiresti settant'anni. Come saresti? Non diverso, credo, da com'eri nel '64, quando ci conoscemmo e io non sapevo nulla di te. Perché un artista, lo diceva Orio Vergani, può invecchiare fin che si vuole, e perfino morire. Ma ha sempre vent'anni." (Cesare G. Romana)
Non sono una seguace di De Andrè da tempo immemore. La mia sintonia è sempre stata su frequenze musicali (molto più) rock. Mi sono avvicinata al cantautore genovese principalmente per i suoi testi scoprendo una grande affinità soprattutto inerente all’Idea anarchica.
“Amico fragile” è il titolo di una sua canzone del 1975, titolo che il giornalista e caro amico Cesare G. Romana scelse per questo ritratto biografico.
Si procede dall’infanzia alla morte e si procede per temi (la guerra, la gente per bene, i randagi…) in cui il lettore è accompagnato alla conoscenza principalmente dell’uomo e attraverso gli amori, la famiglia, le amicizie e tutto il contesto della Genova balorda dei vicoli, dei bar e dei bordelli fino alle sale d’incisioni e la case discografiche.
De Andrè figlio di un imprenditore e politico così avverso alle logiche dei partiti e, per contro, così attento e sensibile all’umanità e alle ingiustizie. Una figura molto spesso mitizzata nonostante lui esibisse come sua peculiarità il suo essere in continua contraddizione e quindi non un essere senza macchia.
Molto belle le pagine che riguardano il sequestro. «Mi sentivo un soggetto osservatore più che una vittima»
Un itinerario veramente molto interessante e in cui la voce del giornalista e quella del cantante sembrano fondersi: intervistato e intervistatore hanno un’unica voce.
Figlio di un temporale, è così che nasce Fabrizio De André — animo irrequieto che tuona e porta scompiglio in una famiglia ligure altolocata. La storia dell’artista maudit genovese è sapientemente condensata da Cesare G. Romana (amico del cantautore) in questo testo, che ripercorre la genesi, la lavorazione e l’uscita dei suoi — rigorosamente concept — album, scandagliando la ragion d’essere di tutti i suoi lp. Nel corso della lettura si prende coscienza che ogni canzone non è slegata dalle altre, ma è un tassello essenziale dei suoi numerosi puzzle musicali con cui delizia il nostro udito. Alla fine della lettura necessariamente sovviene alla mente una delle frasi più pregnanti della carriera di De André: è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati.
Leggere questo libro mi ha permesso di entrare con delicatezza nella vita dell'Uomo e dell'Artista consentendomi di comprendere i temi delle sue canzoni che per me sono poesia allo stato puro.