דויד קרנובסקי, סוחר תלמיד-חכם צעיר, עוזב בכעס עיירה יהודית בפולין, שהיא קנאית וחשוכה בעיניו, הולך אל ברלין המעטירה, בירתה של גרמניה הקיסרית, שהיא בעיניו עיר האורה והתרבות, ושם הוא שוקד להתערות בארץ החדשה ולהיפטר מכל זכר וסימן למוצאו במזרח; בנו, גיאורג, יליד גרמניה, גבר יפה-תואר, גיניקולוג ומנתח נודע, נושא לו גויה לאשה; ובנם יֶגוֹר, שעצם הדבר שהוא בן תערובת עושה שַמות בנפשו בימים של השתוללות תורת-הגזע ועליית הנאצים לשלטון, נעשה בן אובד. בכל דור משלושת הדורות, בגרמניה ולאחר זמן באמריקה, שהם אנוסים להגר אליה מפני הרדיפות, מתגלם בעָצמה רבה צד של הגורל היהודי.
סאגה יהודית רחבת-יריעה ומקיפה יבשות; על רקע של חיים יהודיים תוססים וססגוניים בכל יפיָם וכיעורם והטרגיות שבהם, כתובה בכוח רב, בחֶמלה ובהבנה עמוקה.
Israel Joshua Singer was a Yiddish novelist. He was born Yisruel Yehoyshye Zinger, the son of Pinchas Mendl Zinger, a rabbi and author of rabbinic commentaries, and Basheva Zylberman. He was the brother of Nobel Prize-winning author Isaac Bashevis Singer and novelist Esther Kreitman. His granddaughter is the novelist, Brett Singer.
Singer contributed to the European Yiddish press from 1916. In 1921, after Abraham Cahan noticed his story Pearls, Singer became a correspondent for the leading American Yiddish newspaper The Forward. His short story Liuk appeared in 1924, illuminating the ideological confusion of the Bolshevik Revolution. He wrote his first novel, Steel and Iron, in 1927. In 1934 he emigrated to the United States. He died of a heart attack at age 50 in New York City in 1944.
«La vita è una burlona, rabbi Karnowski, ama giocarci qualche tiro mancino. Volevamo essere ebrei in casa e uomini in strada, è arrivata la vita e ha messo tutto sottosopra: siamo goyim in casa ed ebrei in strada».
Israel J. Singer visse in una famiglia di scrittori, figli di un rabbino erudito e giudice in un tribunale religioso e della figlia di un rabbino hassidico. Rappresentante autorevole della letteratura in lingua yiddish, coniuga nelle sue pagine tradizione e modernità, ebraismo delle radici con il nuovo illuminismo giudaico (haskalah). Israel fu fratello maggiore di Isaac Bashevis, premio Nobel 1978, che gli dedicò l'opera maggiore indicandolo come modello spirituale, morale e letterario. La sua crescita e l'adolescenza avvennero a Varsavia; poi fu artista bohémien e attivista letterario, visitò la Russia bolscevica e dopo un iniziale entusiasmo ne prese le distanze, infine emigrò in America nel 1934. Questo romanzo contiene un mondo di avventure, percorsi e tematiche: l'identità plurale ebraica, l'antisemitismo europeo, l'Europa del primo Novecento, l'integrazione e l'assimilazione, lo sradicamento e l'esilio, la ricerca della salvezza. Nei personaggi della famiglia che discendono e crescono verso una possibilità di libertà e felicità, c'è una fuga da se stessi e da un destino di sciagura e intolleranza, e il ritorno in un viaggio di conversione, insolito e profondo, una Teshuvah che è pentimento e redenzione. I ritratti femminili sono vivaci e marcati, donne coraggiose e indipendenti: Lea, tenerezza ostinata e orgogliosa, Elsa idealista e passionale che rinuncia al privato, Teresa delicata risorsa di femminile dolcezza e equilibrio. Singer dipinge la drammatica rappresentazione di tre generazioni di uomini, David, Georg e Jegor, nell'incontro con il mondo, il sapere, la storia e i suoi fantasmi: ma soprattutto in dialogo con se stessi e con le persone che amano, per dare un senso di umanità alla propria esistenza. Dalla Polonia di antichi shtetl alla moderna Berlino, fino alla multietnica New York, terra promessa difficile e ritrovata, in fuga da quella Germania che la follia nazista ha reso un inferno. Come ricorda Pietro Citati, qui c'è il volto di un popolo complicato e contraddittorio, che ebbe l'infinita arte della sopportazione della sofferenza, cantato da una voce originale e multiforme, con una profondità inimitabile. L'impressione è che si intreccino culture e sensibilità differenti e versatili; i crimini nazisti sono presagiti, ma ancora ignoti. La comunità ebraica di Berlino ci viene mostrata con tutto il mosaico di civiltà, mestieri, professioni, conoscenze familiari, ambizioni e rivalità, aspirazioni e conflitti. La nostalgia per il prima e la speranza per il futuro attraversano le pagine con il vento di un amore non corrisposto e di un successo disatteso e deluso, nell'interazione tra privato e sociale, in un'epoca tragica e incomprensibile. Gli eventi vanno dalla fine '800 al 1940 (il libro fu pubblicato nel 1943, un anno prima della prematura morte dell'autore). La madre e il fratello minore di Singer morirono in un campo di concentramento. La storia investe il corpo e la memoria con violenza e negatività, segna il destino con turbamento, lutto e sconfitta e, mentre crollano le certezze e sorgono orrori e fanatismi ariani, un conflitto generazionale oscuro e muto entra nelle vicende di padri e figli. Ciò che viene raccontato è il desiderio degli ebrei di essere come gli altri, andando contro se stessi, precipitando nella paura e nell'incredulità, come simboleggiato in estremo nella figura del figlio Jegor, mescolanza di sangue, dramma di una appartenenza doppia e perseguitata. Jegor, chiuso e instabile, rifiuta la parte ebraica di sé e ha la sindrome della vittima come se si identificasse con i carnefici, naufragando in odio, umiliazione e disprezzo. Die Mishpohe Karnovsky è una storia di famiglia, costituita da fantasia e coraggio, è un romanzo corale indimenticabile e pieno di vita, di gioia e di speranza. Un presagio traumatico e infinitamente doloroso, ma contemporaneamente popolare, essenziale e gioioso. Per riscoprire ciò che tutti noi siamo e siamo stati.
“Se avessero idea di che macchina straordinaria sia l'uomo, di quale materia pregiata sia costituito il suo corpo, con quale immensa intelligenza e razionalità sia fatto ogni organo, quale meraviglia sia un cuore umano, un cervello, un occhio, non acconsentirebbero al massacro con tanta leggerezza. Ma sono ignoranti, ottusi, non sanno e non capiscono niente di niente, a parte la loro stupida politica e l'ammirazione per corone e galloni. Per questo diventano così facilmente una banda di assassini e macellai”.
Mi unisco ai commenti entusiastici già ampiamente scritti da altri lettori su questo romanzo, che ritengo la mia lettura più bella del 2013. Mi è piaciuto sia per la scrittura armonica che per il denso contenuto, che costituisce un importante documento circa la storia del popolo ebraico che dagli shtetl in terra polacca o ucraina si sposta ad Occidente, in un cammino non solo geografico verso Berlino, la grande capitale germanica, ma anche intellettuale e spirituale, passando dall’ortodossia più stretta ad un ebraismo illuminato, secondo la massima “sii ebreo a casa tua, sii un uomo in strada”. David, Georg e Jegor Karnowski incarnano questo cammino che volge sempre più ad Occidente, fino ad arrivare a New York, attraversando il primo conflitto mondiale, la crisi postbellica e l’iperinflazione che colpì la Germania negli anni ’20, per giungere infine all’avvento delle camicie brune e del loro capo. La situazione oramai è degenerata e gli ebrei sono costretti a vivere secondo una massima che non è altro che il capovolgimento della precedente, “sii goyim in casa ed ebreo in strada”. Israel Singer scrisse i Karnowski nel 1943, morì nel 1944, non fece in tempo a scrivere della shoah e dei campi di sterminio, ma gli accenni che nell’ultima parte del libro vengono fatti a quanto accade “laggiù”sono più inquietanti che se ne fosse parlato apertamente. Un romanzo bellissimo, il cui pregio, oltre al valore storico sopra descritto, è anche nella trama avvincente e nella perfetta costruzione dei personaggi, che sono così vivamente descritti, sia nelle caratteristiche fisiche che nel carattere, da stagliarsi dinnanzi ai nostri occhi come se li vedessimo lì, avvolti nella tragicità del loro destino, ognuno diverso nell’affrontare le avversità dell’esistenza; di alcuni di essi, di Solomon Burak o del dottor Landau, non mi dimenticherò di certo.
Tre generazioni e la vita da loro vissuta assecondando il costante bisogno d'elevarsi dalla condizione che la sorte sembrava aver predisposto (e imposto). Se il contrasto generazionale quasi sempre rinviene la strada giusta per appianarsi e consentire rapide o tarde riappacificazioni, ben diversamente avviene per i singoli contrasti esistenziali, che solo in extremis ritrovano una propria forma di pace e che, in alcuni casi, scontano i dissidi che causano con il rifiuto di sé, con l'autonegazione, con il perseguimento di un altro sé, un sé diverso, migliore, eroico, capace di suscitare la stima altrui. Una delle tante chimere, insomma, che, attraverso le sue astratte visioni, allontana dalla concretezza, dal buonsenso, dall'apertura mentale che solo concedono di compiere appieno il tortuoso viaggio della vita.
Israel Singer, fratello de celebre Isaac Singer (Premio Nobel per la Letteratura), ebreo polacco emigrato negli USA dal 1934, pubblica "La famiglia Karnowski" nel '43 . Le vicende si snodano dagli albori del '900 al trionfo del nazismo in Germania e sono ambientate in Polonia, a Berlino e New York. In circa quattro decenni, i personaggi protagonisti coprono tre generazioni di una famiglia ebrea.
Il romanzo, nell'insieme risulta ben strutturato, anche se si nota qualche forzatura nell'evoluzione di uno dei protagonisti (Georg). Lo scrittore, comunque, si dimostra capace di delineare, attraverso le vicende dei Karnowski, un grande affresco, rispecchiamento del destino di molti ebrei nei decenni considerati, in particolare nella Germania degli anni '30 . Lo sfondo storico è filtrato quasi esclusivamente attraverso il vissuto dei personaggi, per cui si richiede la conoscenza essenziale delle vicende tedesche nel ventennio fra le due guerre.
E' evidente la cura della caratterizzazione dei personaggi durante la loro evoluzione nel tempo ; particolarmente riuscito l'approfondimento psicologico dell'ultimo protagonista, il giovanissimo Jegor, nei suoi rapporti col padre. La scrittura risulta densa, 'pesante', termine da intendersi qui esclusivamente come contrapposto a 'lieve' . Ma io amo la lievità. L'opera rimanda al romanzo realistico ottocentesco : l'autore un po' come un Balzac del mondo ebraico (quando però la grande stagione del Realismo è ormai archiviata). L'impronta 'ottocentesca' fa sì che la narrazione offra un buon grado di leggibilità (rispetto alla complessità di forma della letteratura del '900). Questo, però, non è necessariamente un dato di eccellenza letteraria.
Alla fine, sei sempre e comunque uno "sporco ebreo"
Questo bellissimo romanzo, un capolavoro direi, scritto nel 1943 in yiddish, narra la storia dell'Ebraismo in Occidente con le sue varie ramificazioni attraverso le vicende di tre generazioni della famiglia Karnowski e coprendo un periodo storico di circa 60 anni.
Il libro si può dividere in tre parti, contraddistinte dalla descrizione della vita dei protagonisti maschili delle varie generazioni della famiglia, David, Georg e Jegor. Ma le tre parti possono corrispondere anche ai paesi in cui è ambientato il romanzo: Polonia, Germania e Stati Uniti, oppure ai tre modi diversi di vedere l'ebraismo: praticante e tradizionalista, indifferente e infine completo rifiuto.
La scrittura, puramente narrativa senza accenni di considerazioni da parte dell'autore, esalta i personaggi e lo svolgimento delle azioni e ci mostra in modo preciso e avvincente le dispute religiose, i rituali, le citazioni talmudiche, i conflitti di pensiero del mondo ebraico, l’ambientazione berlinese e la sua contrapposizione a quella americana.
Singer sembra evidenziare come per questi ebrei un senso pieno di appartenenza non sia realizzabile da nessuna parte. Non in Polonia, non a Berlino, dove David conia il motto "ebreo tra gli Ebrei, tedesco tra i Tedeschi", e alla fine neppure a New York; sempre comunque è necessario nascondere la propria cultura ebraica.
"Sii forte, figlio mio, come lo sono io e tutti gli ebrei della vecchia generazione," disse "ci siamo abituati da sempre e lo sopportiamo, da ebrei".
Il destino è determinato non tanto da come ciascuno vede sé stesso, ma da come viene percepito dagli altri. Non ha importanza non essere osservanti, essere convertiti al cristianesimo, aver combattuto per la Germania restando magari paralizzati o aver perso i propri figli. Non ha importanza essere banchieri, stimati medici o scienziati di fama internazionale: sei sempre e comunque additato come “uno sporco ebreo”. (Mi viene da dire che oggi, fortunatamente, questo non sia più valido).
Nonostante la narrazione sia fondata sui protagonisti maschili, sono in realtà le figure femminili ad emergere con notevole forza nel romanzo (che mi è sembrato notevolmente attuale in materia di emancipazione femminile), declinate in vari modi; si incontrano la moglie devota e mansueta, la donna emancipata, efficiente e aperta alla carriera politica e tante altre ancora. Quasi sempre figure positive sul piano etico e morale, in opposizione alle principali figure maschili che riflettono invece le fratture e i contrasti del rapporto tra padri e figli, tra ebraismo e tradizione, tra ebraismo ed innovazione.
Il romanzo è molto bello, interessante, a tratti anche ironico, specialmente nella prima parte, dove le descrizioni, i tempi, gli stati d'animo sono tratteggiati in modo pressoché perfetto. Singer è capace di descrivere le situazioni facendoci "entrare" nello svolgimento delle azioni. Verso la fine invece mi ha un pochino deluso, forse per i tempi che tendono a dilatarsi troppo, le descrizioni frettolose e, forse, anche per la difficile credibilità del personaggio di Jegor.
Impossibile non fare il confronto con I fratelli Ashkenazi e La famiglia Moskat, che a mio parere si collocano su un gradino superiore. Anche se si tratta indubbiamente di tre libri meravigliosi.
Quando si pensa al termine “saga familiare” si è portati ad associarlo, erroneamente, a un tomo, a una lettura pesante, magari infarcita di fatti storici, dettagli e descrizioni. Almeno, è uno degli errori che in passato ho fatto io. Ecco, “La famiglia Karnoswki” di Singer spazza via in un baleno questo sciocco pregiudizio e si rivela un romanzo grandioso, da leggere senza parsimonia, tutto d’un fiato! I protagonisti sono tre membri appartenenti alla stessa famiglia ebraica e dei quali si seguono le vicende in un lungo arco temporale, che si snoda dal 1860 al 1940. David, Georg e Jegor. Tre uomini associati a tre luoghi e a tre periodi diversi. David nasce in un paesino della Polonia che trova retrogrado e limitante per il percorso di crescita intellettuale cui aspira, e così decide di trasferirsi in Germania, la “culla della civiltà”, patria di grandi letterati, studiosi, filosofi, dei quali apprezza il pensiero e l’apertura mentale (ironia, se si pensa a ciò che accadrà qualche decennio dopo!). In realtà in Germania si comincia già a respirare un’aria pesante, figlia del sospetto e del pregiudizio, anche tra gli ebrei stessi: gli ebrei provenienti dai paesi dell’Europa orientale vengono infatti guardati con diffidenza da quelli che già risiedono a Berlino da generazioni, e sarà soprattutto Georg, figlio di David, a vivere questo clima, cosmopolita ma teso attorno a sé. Georg, un adolescente ribelle in contraddizione rispetto al padre, sposa una “shikse” (una donna non ebrea) ma poi si riscatta agli occhi della famiglia studiando e diventando un medico affermato. Jegor, figlio di Georg e della moglie ariana, nasce in uno dei periodi peggiori in cui il figlio di un ebreo poteva nascere in Europa. Sono gli anni dei primi slogan dei nazisti, delle parate, delle leggi razziali, della paura. Il piccolo Jegor capisce poco, si pone domande cui non sa darsi una risposta, lacerato tra il lato paterno (al quale sente di non appartenere veramente) e quello materno (al quale sente, suo malgrado, di non appartenere del tutto) . Un episodio traumatico , vissuto a scuola in età adolescenziale, segnerà per sempre la sua vita, anche quando partirà, con la famiglia, per gli Stati Uniti, bloccato fra un passato incancellabile e un futuro che non riesce a scrivere, con una psiche ormai rovinata da quel lavaggio nel cervello che nel suo paese nativo, gli è stato fatto….viene voglia di provare antipatia per Jegor, un personaggio fragile e difficile, ma in realtà non si prova che pena. Un meraviglioso affresco di questi anni a cavallo fra due secoli, una scrittura enigmatica e mai pesante e dei personaggi diversi eppure in fondo tanto simili, legati dallo stesso destino, sono gli ingredienti che rendono questo di Singer un miracolo letterario. Il tema dell’Olocausto, in maniera diretta, sembra non esserci eppure è onnipresente, dall’inizio alla fine s’insidia fra le pagine del romanzo come una serpe, pronta a mordere i nostri personaggi. Lo stesso Singer era figlio di un rabbino ma è riuscito a trasferirsi negli Stati Uniti negli anni 30, evitando dunque le deportazioni, e probabilmente il clima che ci descrive fra le pagine è quello che egli stesso ha avvertito, il che rende il romanzo ancora più meritevole e prezioso! In conclusione, addio pregiudizio sulle saghe familiari se sono tutte come questa! Un grandioso romanzo nel senso vero e proprio della parola, capace di trasportarci in un tempo e un luogo lontano (ma mai così tanto, in tutti i sensi) e di farci respirare la sua atmosfera. Chapeau!
E' in corso questa curiosa coincidenza per la quale molti dei libri che sto leggendo durante il 2016 mi trasportano esattamente al centro di quell'immenso calderone di storia e cultura che è stata l'Europa centrale a cavallo tra Ottocento e Novecento. Ne esco veramente impressionato, perchè mi rendo conto solo ora di quanto sia stato decisivo sotto molti aspetti quel momento storico, ed allo stesso tempo di quanto poco ne sapessi. E, come sempre, tra i protagonisti indiscussi ci sono gli ebrei: con la loro cultura, con la loro storia di sofferenze ma anche di successi, con la spaventosa ombra che si stende sul loro destino, un'ombra che i protagonisti non sanno riconoscere ma chi legge la riconosce eccome. E' la storia di una famiglia ebrea che si snoda lungo tre generazioni, dalla fine dell'Ottocento all' inizio delle persecuzioni naziste e della seconda guerra mondiale. colpisce in modo durissimo il fatto che l' Olocausto sia stato lasciato giusto fuori della porta di casa, la scelta davvero non può essere casuale, e credo che questa arditissima ellissi sia uno degli elementi vincenti di quest'ottimo libro. Non se ne parla mai, ma in realtà si sta parlando solo di quello. Si possono trovare non dico spiegazioni ma sicuramente impressioni su come sia potuto accadere, sulla ragione di certe scelte, certe divisioni, certi colpevoli compromessi. In realtà è falso che il libro parli solo dell'annuncio dell' Olocausto, perchè "La famiglia Karnowski" è anche un appassionante dramma familiare che racconta in modo molto vivo il rapporto tra genitori e figli soprattutto nel periodo difficile dell'adolescenza; un resoconto senza veli del difficile tema dell'integrazione, tema quanto mai attuale che viene sbandierato con superficialità avvilente anche dai politici di oggi, di fronte ad una migrazione di livelli mai visti e col pericolo di un nuovo olocausto davanti a tutti. "Minacciano le nostre risorse, non vogliono integrarsi", dice il populista di turno. Ma lo sappiamo poi veramente noi qual'è il prezzo dell'integrazione? Il trovarsi sospesi a mezz'aria tra la storia dei nostri padri che decidiamo di abbandonare ed un nuovo mondo culturale che prima ci attrae e poi d'improvviso sembra rifiutarci come indesiderati sembra essere una sfida impossibile di fronte alla quale tutte le risposte sembrano sbagliate. Sbaglia David Karnowsky a fondere le due culture tdesca ed ebraica per mezzo di un ottimistico, liberale razionalismo e credendo possibile essere ebrei in casa e tedeschi in strada? Sbaglia il turbolento Georg a rinnegare completamente la fede del padre ed ad affrontare il mondo e la prima guerra mondiale a viso aperto e senza difesa, uscendone distrutto e trovando la pace solo nella carriera? Sbaglia il disperato e confuso Jegor che compirà un altro passo avanti pr quel vicolo cieco, finendo sedotto dai nazisti e per vergognarsi della stirpe alla quale appartiene? Non in pace nè con se stesso nè con gli altri, reso inetto alla vita dal disprezzo degli altri che diventa disprezzo di se stesso, a volte Jegor Karnowski mi ha ricordato Athos Fadigati degli "Occhiali d' oro" di Bassani, anch'egli segregato e disprezzato nello stesso periodo dalle stesse persone, sia pure per motivi diversi. Vero è che a differenza del medico romagnolo Jegor è giovane e quindi infiammato dalla passione, ma il tedesco e l'italiano sono accomunati dall'ansia di accettazione, dal disprezzo di sè, dal perverso gusto dell'autolesionismo. Ed entrambi finiranno per cedere alla tentazione del suicidio. Il finale della "Famiglia Karnowsky" forse è l'unica vera risposta positiva a questo drammatico percorso. Georg, messe da parte le sue turbolenze ed i suoi vizi, messo davanti al figlio che sta morendo suicida, torna ad essere padre e si concede completamente al tentativo di salvare la vita al suo figliolo. E forse solo il nostro cercare di essere figli e genitori prima che ebrei, tedeschi, italiani o altro, ci potrà salvare dagli scontri a venire. E' davvero difficile trovare un difetto ad una storia così ben concepita e così ben scritta. Non posso però non dire che tanto complessa e profonda è la descrizione della comunità ebraica (alcuni personaggi secondari sono autentiche opere d'arte), quanto sciatta, tirata via e stereotipata è la descrizione dell'altra metà del sipario di questo dramma, quella tedesca. E la storia dell'abbandono del mondo germanico alla barbarie nazista, anche se prefigurata da Nietzsche, non può essere buttata li in questo modo. Resta comunque un libro che ha davvero troppo da raccontre per essere condensato in un giudizio, e che a merito va conservato nella libreria e nei ricordi di tutti.
• Dal 1860 al 1940 il romanzo segue le vicissitudini della famiglia ebrea dei Karnowski, partendo dal capostipite David che dalla Galizia Polacca emigra a Berlino convinto di trovare un ebraismo più illuminato e colto, uomo ostinato che la vita renderà decisamente più umile e devoto.
• Accanto a lui la moglie Lea, arrendevole, sottomessa e nostalgica che si sente 'a casa' solo quando è in compagnia della famiglia Burak, famiglia che ruolo fondamentale avrà nel dipanarsi della storia.
• I vecchi Karnowski avranno due figli di cui il primogenito Georg, caparbio e ateo ragazzo segnato dall'esperienza di medico in guerra, interromperà i rapporti con il padre dopo aver scelto come moglie Teresa, umile infermiera cattolica cristiana.
• Proprio durante l'ascesa del Nazismo cresce Jegor, il figlio di Georg, bambino prima e adolescente dopo convinto di essere un puro ariano grazie alla parte materna del suo albero genealogico e alla totale ammirazione per lo zio Hugo, fratello della madre, antisemita convinto; proprio per questo incolperà il padre per le sue origini ebree.
• Nonostante le sue convinzioni, Jegor subirà l'odio razziale, angosciante e fatale, che lo seguirà anche a New York, dove la famiglia si trasferirà per fuggire all'antisemitismo tedesco; gli eventi, il carattere e le sue idee lo condurranno a una follia autodistruttiva che tutto fagociterà.
• I personaggi sono scolpiti nei più reconditi dettagli da Singer, sono intensi e, nel bene e nel male, del tutto veri.
• I temi sono molti, la gelosia, il rimpianto, il rapporto genitori-figli, la crescita spirituale, l'affrancamento dalle origini, la patria, le differenze e le incomprensioni tra diverse fedi religiose, tradizione e innovazione, femminismo e ovviamente antisemitismo e il montare della deriva nazista.
• Su questo ultimo tema l'autore scrive pagine agghiaccianti e incredibili, e nonostante su questo periodo tra i più terribili della Storia moltissimi libri e film abbiano scandagliato ogni sfaccettatura, la lettura che ne fa Singer, le descrizioni che qui propone, riescono a sconvolgere il lettore come se affrontasse quelle assurde e folli atrocità per la prima volta rimanendo ammutolito e scioccato da quanto la realtà possa superare ogni immaginazione o distopia. Ne fa un racconto crudo e sarcastico e vivido e tangibile che, chiuso il libro, non si può che rimanere destabilizzati.
La famiglia Karnowski I. J. Singer Traduzione: Anna Linda Callow Editore: Adelphi Font: medio-piccolo Voto: 5/5
Un autentico capolavoro. Bellissimo. Grazie a questo libro ho imparato tanto della cultura ebraica, con le loro tradizioni e le loro feste. Mi ha sorpreso la rivalità con le comunità provenienti dall'est Europa. Viene tratteggiato un affresco impeccabile della Germania, dai primi anni del ventesimo secolo agli anni difficili del quaranta. Personaggi corposi, profondi, con una personalità ben definita. Impossibile non affezionarsi.
Una bella y emotiva novela que no pierde el pulso en ningún momento, escrita por Israel Yehoshua Singer (1893-1944) entre 1940 y 1941. Este escritor había pasado inadvertido para mí y en este primer encuentro me ha dejado casi embelesado. Israel Singer tuvo otros dos hermanos escritores: Isaac (ganador del Premio Nobel de Literatura en 1978) y Esther. La talentosa familia judía Singer, oriunda de Polonia, se fue desplazando hacia otros lugares de Europa y finalmente a Norteamérica, tal y como lo hicieron miles de familias judías y tal y como lo hace la familia Karnowsky en esta obra.
Esta narración de Israel Singer es realmente espléndida, con una muy bella y accesible prosa, una gran imaginación y creatividad, tanto en la creación como en el desarrollo de los personajes que llegan a ser entrañables. El diseño y progreso de la trama es sencillamente soberbio, con una estructura sencilla y lineal en el tiempo, un ritmo vibrante y un sentido narrativo extraordinario; en fin, que se trata de una novela muy bien lograda en todos sentidos.
El autor judío crea un gran tejido familiar que abarca tres generaciones de la familia Karnowsky, cuyo origen se remonta a un "shetl" (pueblo o ciudad) de Polonia y de ahí seguimos todos sus avatares hacia otros países bajo entornos totalmente diferentes, adversos en muchas ocasiones, en donde la tenacidad y las ganas de vivir los sacan a flote y lograr adaptarse a toda clase de infortunios. La acción la ubico a finales del siglo XIX y transcurre hasta la primera mitad del siglo XX, desarrollándose básicamente en Berlín y Nueva York a donde emigra la familia Karnowsky huyendo del nazismo.
El relato está fincado sobre tres personajes principales: David, Georg y Yegor, abuelo, padre e hijo respectivamente, constituyéndose en los tres ejes sobre los cuales gira esta narración que, entre otras cosas, nos da cuenta de las costumbres, la religión y la cultura judías; digamos que nos transporta al mundo judío de aquel tiempo en esa Europa a punto de colisionar. A través de esas tres generaciones asistimos a una transformación del mundo occidental y a una metamorfosis en la forma de entender e interpretar ese nuevo orden existencial; en primer lugar el de la Alemania nazi y posteriormente el de Norteamérica que por sí misma constituye una forma de vida extraña.
La idiosincrasia de nuestros personajes se ve trastocada en todos sus aspectos y los caracteres son desarrollados maravillosamente a través del tiempo y de las circunstancias que los dominan, llegando incluso a enfrentarlos en muchos sentidos. Singer ha creado un pequeño universo judío en estas páginas.
La fuerza de la religión, las ideologías y el choque de culturas juegan un papel importante en el entorno de nuestros personajes; además es de observar el tratamiento que el autor da al rol de las mujeres en las diferentes etapas de ese medio siglo y cuyo desarrollo nos es narrado de una forma muy esclarecedora.
El choque más dramático se da en el personaje de Yegor, que representa la tercera generación de esta familia, en él reside la dualidad y el choque de dos razas magníficas: la alemana y la judía, en aquellos años confrontadas a muerte y él lo padece intensamente. Yegor es un ser escindido por esas dos corrientes sanguíneas que luchan denodadamente dentro de su ser; dos fuerzas, tan admirables como irreconciliables combaten y se desagarran dentro de él. Este combate es producto de la herencia y los genes de su padre, un respetable médico judío asentado en Berlín, así como por los de su madre, una mujer aria de pura cepa.
Además de los tres personajes que constituyen el eje de la narración, Israel Singer crea varios caracteres más, a los cuales disecciona en todos sentidos y los desarrolla a través de los años que abarca la narración y a la luz de las cambiantes circunstancias a las cuales tienen que irse adaptando provocadas por esos punzantes cambios derivados de los prejuicios y arbitrariedades que los seres humanos sabemos construir tan bien.
Varios de esos personajes me han parecido fabulosos, mención especial merece el papel de Elsa Landau que representa a la mujer nueva que se ha producido a través de muchos años y que en el siglo XX se aprecia con mayor contundencia trayendo consigo, entre otras cosas, la emancipación de la mujer. En este personaje se hace patente el triunfo de la vocación sobre la tradición, representada esta última por un matrimonio convencional que generalmente conduce a una vida confortable de ama de casa pero con sus resignadas limitaciones y la imposibilidad de desarrollo en otros sentidos.
Otro personaje que marca diferencia, es el entusiasta y sagaz comerciante llamado Salomón Burak, quien a diario disfruta intensamente su actividad, su familia, sus amigos y su casa; las adversidades de esos tiempos no son suficientes para hacerlo retroceder y siempre mantiene su determinación y entusiasmo. Salomón Burak representa la astucia, la tenacidad, la confianza en el trabajo pero también la bondad.
Además de la capacidad narrativa del autor que nos lleva tanto a una prodigiosa correría por la primera mitad del siglo XX, como a una especie de pequeño éxodo de Berlín hacia Nueva York, ciudad en la cual se vuelven a encontrar muchos personajes que huyeron de Berlín y recalaron en el Nueva York de los años 40 del siglo XX, Israel Singer toca nuestro corazón describiendo con su pluma cargada de emoción la voluntad de enfrentarse a un mundo adverso, los desacuerdos familiares, los dramas personales, las controversias ideológicas y religiosas y las querellas entre las clases sociales dentro de ese mundo judío. Por si fuera poco, Israel Singer sabe deleitarnos con la forma en que juega con las relaciones personales y cómo éstas constituyen el tejido social y moral narrado con una prosa que no pierde firmeza y que hechiza al lector.
Una historia llena de belleza y sabiduría, salpicada por el perdón y el arrepentimiento, inundada por el amor, por el esfuerzo y la resignación, todo esto revelado con una fuerza expresiva que nos conduce de manera inexorable a esa emoción de vivir a través de los libros.
Si bien es cierto que Israel Singer nos presenta un drama humano, una historia épica de lo que significa ser judío; también es cierto que la historia contiene una profunda humanidad, la cual destila los odios, los enconos, las rivalidades e injusticias, los orgullos pisoteados, pero también la sabiduría, el arrepentimiento y el perdón y sobre todo la esperanza y la ilusión de vivir una existencia digna y gozosa. Una constante renovación de la vida. Vivir y dejar vivir, como dice el vivaz e inefable Salomón Burak.
La traducción fue elaborada conjuntamente por Rhoda Henelde, nacida en Varsovia en 1937 y su esposo Jacob Abecasís, nacido en Tetuán, también en 1937. El trabajo realizado por este matrimonio ha contribuido a un disfrute total de esta obra maestra de Israel Singer.
Una narrazione spumeggiante, piena di ironia, attenta ai particolari, quasi vibrante, vividissima e condotta con polso fermo e vigoroso. Una maestria da affabulatore di razza, quella Israel J. Singer, meglio conosciuto come il “fratello (scemo) di Isaac B. Singer”, di fronte alla quale non si può fare altro che togliersi il cappello. Infatti me lo tolgo: chapeau.
Tuttavia, perché c’è un “tuttavia”, l’ultima parte mi ha un po’ deluso. Era partita benissimo, tant’è che anche io, come gli altri personaggi che stavano sbarcando dalla nave che li aveva condotti a New York, mi sono sentita frastornata per il viaggio, appiccicosa per il caldo e un tantino nauseata dagli odori del porto. Questo per dirvi quanto sia incisiva e coinvolgente la prosa dell’autore. Poi, si perde un po’, sino a rifilarci qualche “macchietta” e qualche stereotipo di troppo.
Dunque, in verità, sarebbero state 3 stellette e mezzo, ma si sa soldo più, soldo meno, vivi e lascia vivere, come diceva Solomon Burak. Per cui, per questa volta, mi abbandono spudoratamente all’eccesso. :-D
Dopo aver letto I fratelli Ashkenazi l'anno scorso mi sono sentita orfana e ho comprato alcuni ebook di Israel J. Singer, fra cui questo che è un altro dei suoi romanzi più famosi. Ed è successo di nuovo, mi sono sentita orfana di nuovo, e di più: ho l'impressione che dopo aver letto Israel J. Singer niente più sarà lo stesso, e che tutti i libri da ora in poi non potranno che sembrare scialbi al confronto, tutti gli autori mediocri. Israel J. Singer fa questo effetto.
Di nuovo, così come ne I fratelli Ashkenazi, ci troviamo di fronte a una saga familiare che è tanto più di questo. La famiglia questa volta è Karnowski, una famiglia ebrea di Melnitz, in Polonia, il cui capostipite David decide di trasferirsi a Berlino a seguito di una disputa religiosa. Il romanzo segue la storia di David, di suo figlio Georg e del figlio di questi, Joachim Georg detto Jegor. La maggior parte del romanzo si svolge a Berlino, ma la terza parte si svolge in America.
David, andando a Berlino, decide di vivere "come un ebreo in casa, e come un tedesco fuori casa", il che significa che in casa sarà un ebreo devoto, ma fuori il suo obiettivo è conformarsi in tutto e per tutto ai tedeschi: nella lingua, nello stile di vita, nel modo di esprimersi, insomma in tutto. A suo figlio Georg trasmette questo concetto fondamentale, ma Georg è un ribelle. Jegor sarà ancor più ribelle, anche se il termine giusto che potremmo usare per descriverlo è disperato, plagiato da suo zio, il fratello ariano di sua madre (Georg sposa infatti una gentile). Jegor è infatti bambino e adolescente nella Germania nazista subito prima della seconda guerra mondiale (il romanzo è stato scritto nel 1943 e Singer è morto nel 1944).
La descrizione di questa famiglia è semplicemente meravigliosa, i personaggi sono caratterizzati in maniera superba, anche i comprimari; ad esempio non credo di aver mai trovato in letteratura una figura tanto sfaccettata e ben rappresentata come Elsa Landau, che non ho potuto fare a meno di amare. Anche Jegor è caratterizzato in maniera eccellente, l'evoluzione o meglio l'involuzione del personaggio è estremamente verosimile in quelle circostanze e in quel contesto. Jegor è un personaggio odiosissimo, ma molto sofferente, e tutto questo è ben rappresentato e si evolve alla perfezione nel corso del romanzo.
Oltre alla storia della famiglia Karnowski, l'autore ci racconta il clima che si respirava in Germania fra le due guerre: gli eroi tornati in patria subito dopo la prima guerra mondiale e che si sentivano orfani senza la guerra, il risentimento contro i "nemici della patria", il nascente odio nei confronti degli ebrei che sfocia in persecuzioni, pestaggi, uccisioni, discriminazioni di ogni tipo. In questo, La famiglia Karnowski è quasi meglio di un libro di storia, perché immerge il lettore in un'atmosfera asfissiante di odio, di disperazione, di caccia al più debole; il tutto visto attraverso le vicende di una famiglia di ebrei illustri anche se immigrati, e attraverso le vicende di un ragazzo figlio di una coppia mista e perciò lacerato. Jegor viene plagiato dal fratello di sua madre, che gli infarcisce la testa di teorie razziali e sogni di gloria in guerra, e questo sarà la rovina del ragazzo.
Ma in fondo al libro c'è uno spiraglio di luce, seppure piccolissimo, e tuttavia non ci è dato sapere il prosieguo della vita di questa famiglia. Cosa che mi è dispiaciuta molto, perché avrei potuto leggere altre 400 pagine senza alcun problema e anzi con grande interesse. Questo fanno i libri di Israel J. Singer: sembrano sempre troppo corti anche quando corti non sono affatto.
Ora passo a leggere altro, ma come dicevo, con la consapevolezza di aver "perso" degli amici, con la consapevolezza di vette inarrivabili, con la consapevolezza che tutto non potrà che essere in scala di grigi per un po'.
Questo bellissimo libro di Israel Singer, fratello maggiore del piu' famoso e premio Nobel Isaac e di Esther Kreitman, anch'essa scrittrice, e' la storia di tre generazioni della famiglia Karnowski, David, Georg e Jegor. David lascera' il suo villaggio polacco per trasferirsi a Berlino ed essere un "tedesco in strada ed ebreo in casa"; Georg dopo una adolescenza ribelle diventera' un medico famoso, ben integrato nella societa' e sposera' una "gentile", ed insieme avranno Jegor che odiera' il suo lato ebreo e quindi se stesso e la sua famiglia. Sullo sfondo l'ascesa di Hitler e del nazismo ("gli uomini con gli stivali") e le prime persecuzioni contro gli Ebrei (e qui vorrei aprire una parentesi in quanto la mia impressione e' che Singer abbia voluto dirci che l'antisemitismo era ben radicato in Germania anche prima, probabilmente piu' nascosto ma presente) e lo sforzo quotidiano della popolazione ebraica di integrarsi senza pero' tradire la loro religione, uno sdoppiamento che sara' quasi fatale a Jegor e rischiera' di portarlo alla pazzia. Proprio per aiutare Jegor e sfuggire ai nazisti i Karnowski lasciano tutto ed emigrano negli Stati Uniti, dove alla fine si adattano alla loro nuova vita (meno Jegor, ovviamente, che continua la sua lenta discesa negli inferi). E' gia' stato detto cosi' tanto su questo libro che l'unica cosa che posso dire e' che e' decisamente da leggere, e da meditarci sopra.
La storia della famiglia Karnowski attraversa tre generazioni ognuna delle quali si confronta con momenti fondamentali della Storia.
Si parte dal capostipite, David Karnowski, che rappresenta quella generazione d’immigrati che si stabilirono in Germania, nei primi anni del ‘900, con il preciso intento di recidere ogni legame con le province d’origine (nel suo caso la Polonia). Il suo motto è: “ebreo tra gli ebrei, tedesco tra i tedeschi”. Diventerà così un uomo d’affari di successo e, al contempo, un apprezzato studioso all’interno della comunità semita.
La seconda generazione è incarnata dal figlio Georg che si ribellerà ai dettami della religione e diventerà ateo ed un professionista di successo così come molti ebrei che, negli anni’20, realizzarono grandi successi non solo nel commercio ma anche nella scienza e nelle arti.
Intanto il primo dopoguerra vede germinare vecchi rancori che dopo i Patti di Versailles trovano modo di radicarsi e intensificarsi. La crisi economica e la disoccupazione concentrano l’odio s’un nemico tangibile e di vecchia data: l’ebreo.
Georg sposando la tedesca Teresa violerà, pertanto, leggi che di lì a poco saranno scritte e fatte rispettare con la violenza. Da questa unione nascerà Joachim Georg da tutti chiamato Jegor:
” Come il suo nome, l'aspetto del bambino era un misto dei due ceppi da cui traeva origine. Aveva gli occhi azzurri e la pelle chiara degli Holbek, i capelli neri e il naso marcato dei Karnowski.”
Una terza generazione, dunque, che tenta l’innesto tra due origini e che cresce parallelamente all’infuocarsi dei nazionalismi. Arrivano tempi duri che costringono ad aprire gli occhi su ciò che si crede inverosimile e invece sta accadendo. Le chiacchere di malumore nei bar si spostano per strada; i piccoli gruppi si allargano a vista d’occhio uniformandosi in gesti ed abiti che distinguano per far sapere chiaramente che la razza ariana è superiore a chiunque. Gli uomini con gli stivali sfilano gridando slogan minacciosi e la tensione sale finché chi può vende tutto e fugge.
La scena, allora, si sposta, allora, sul suolo americano registrando un nuovo inizio per il popolo ebraico che si rimbocca le maniche ripartendo da umili lavori. Così sarà per i Karnowski escluso Jegor che ha un crescente disprezzo per la sua metà ebraica. Vivrà la tormentata illusione di un glorioso ritorno in patria e che gli venga riconosciuta la sua parte ariana. Il tentativo di unire ebrei e tedeschi è dunque fallimentare:
Non vedeva più alcuna speranza in questo mondo. Nessuno lo capiva. Era respinto da tutti, umiliato, debole, balbettava. Fin dalla nascita era condannato a soffrire perché era una disgraziata mescolanza di due razze opposte che si combattevano a vicenda, e così sarebbe stato per il resto della sua vita, non poteva aspettarsi altro se non eterni conflitti e fallimenti.”
Un affresco mirabile. Scritto nel 1943 mentre tutto ciò stava accadendo. Una sbalorditiva dimostrazione di forza, di lucidità e capacità di osservare il proprio presente.
Molti sostengono che I Fratelli Ashkenazi di Israel Joshua Singer sia un libro straordinario. Non l'ho ancora letto; fatico tuttavia a pensare che possa esistere un libro più completo, coinvolgente, più totalizzante e intenso de La Famiglia Karnowski, dello stesso scrittore. Israel, dovunque si trovi in questo momento, spero stia gioendo nel constatare che questa sua magnifica opera, arrivata solo ora (dal 1943) al lettore italiano (*), è attualmente - se non erro - alla terza edizione, e sta contribuendo a rendere indimenticabile l’esperienza di lettura di molti. Che romanzo, e che denso piacere La Famiglia Karnowski. Ho impiegato tanto tempo a terminarlo, solo perché non volevo terminarlo; non riesco a condensarne neanche un frammento, uno scorcio della trama, perché mi sembrerebbe di svilirlo. Perché ammiro e rispetto questo romanzo, e il suo creatore, fratello del peraltro valente Isaac, premio Nobel per la letteratura nel 1978. Valorizzato da un’ottima cura editoriale dell’Adelphi e dalla smagliante traduzione dall’yiddish di Anna Linda Callow, La Famiglia Karnowski è lì in libreria. Non indugiate ulteriormente
Eine großartige Geschichte einer jüdischen Familie, zuerst im Schtetl in Polen, dann mit kaufmännischem Aufstieg in Berlin vor dem Ersten Weltkrieg. Der Niedergang folgt mit der Inflation in den 1920er Jahren und dem Aufstieg der Nazis am Anfang des Dritten Reiches. Hauptpunkt war für mich die Schilderungen des jüdischen Enkels Karnovski im Schulalltag durch seinen Biologielehrer und Schuldirektor. Das, wie auch der gesamte Roman, erinnert an die Geschwister Oppermann von Lion Feuchtwanger. Eindrucksvolle Schilderungen über den Zustand New Yorks in der 1930er Jahren.
Perché sbattersi a cercare romanzi contemporanei da cinque stelle - mosche bianche nell’oceano di due o tre stelline - quando la letteratura dei secoli scorsi ci offre diamanti come i libri di Israel Singer? Israel era il fratello maggiore del premio nobel Isaac Singer e, a detta della stessa famiglia Singer, lo scrittore addirittura più dotato tra i due. Purtroppo morì di infarto nel 1944, un anno dopo aver scritto questo libro, se no chissà quali altre opere ci avrebbe lasciato, con il suo stile "forte", con la sua scrittura coraggiosa che guarda la realta' dritta negli occhi.
Questo romanzo racconta la vita di tre generazioni della famiglia Karnowski, partendo da David, uomo molto colto e appassionato di teologia, che si allontana all'inizio del '900 dallo shtetl polacco dal quale era originaria la sua famiglia per trasferirsi a Berlino, allora capitale dell'Impero tedesco e ai suoi occhi capitale del pensiero libero moderno e luogo di immensa cultura per tutti i popoli, ma soprattutto (per David) patria del fondamentale filosofo ebreo tedesco Moses Mendelssohn.
David ha un carattere forte e deciso, è molto intelligente e presto si costruisce una gran bella reputazione a Berlino, nei circoli degli ebrei intellettuali.
Suo figlio Georg ha un carattere altrettanto forte, e si allontana ben presto dai valori e dalla fede ebraica arrivando al punto di sposare una gentile, e diventando uno stimatissimo e celeberrimo medico ginecologo.
Insieme alla nascita del figlio Joachim Georg, conosciuto più come Jegor, inizia l'ascesa del Partito Nazista e di Adolf Hitler (il quale non viene MAI nominato nel libro), cosa che influenzerà molto negativamente il piccolo, già ipersensibile di per se’, e in cerca di un'identità in cui riconoscersi ed essere rispettato.
Sconvolto dal disprezzo di sé e per le origini del padre, il povero Jegor porterà la famiglia a trasferirsi a New York, che si presenterà non meno straniante e nemica del Terzo Reich.
Dopo aver letto “I fratelli Ashkenazi” un po’ di mesi fa, dello stesso autore, posso dire che questo è un romanzo un tantino più “leggero” di quello e forse un po’ meno intenso, nonostante ci siano parti di incredibile intensità. Entrambi sono dei capolavori indiscutibili. Questi sì che sono romanzi storici a varie dimensioni e con grande profondità, altro che Ken Follett (anche se poi posso anche leggere Follett e divertirmi, ma non c’è neanche paragone).
Lo stile è di un’eleganza incredibile, e, nonostante ci sia uno sforzo conscio di evitare qualsiasi sentimentalismo (sforzo che entrambi i fratelli Singer fecero esplicito in varie interviste), ogni capitolo finisce con un paragrafo o una frase che ti fa quasi sentire una musica.
Che gran maestro!!
p.s. Nota per il creatore della copertina di questa collana “i mini Mammut”: disegnare il terzo personaggio (Jegor) con la svastica al braccio è svelare un dettaglio della storia che il lettore dovrebbe scoprire solo a 40 pagine dalla fine. Una caduta di stile. Te possino....!
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Ci sono tutti gli ingredienti del grande romanzo di formazione in questo capolavoro scritto da Singer: l’epopea di una famiglia ebrea che vive gli esordi del nazismo nel cuore della capitale tedesca, la conseguente partenza verso la terra della speranza con la rimessa in gioco di intere esistenze e antiche umiliazioni, il desiderio di riscatto che si fa strada in modi e forme diverse, sgusciando tra le vite dei vari personaggi. Questa ricca testimonianza yiddish, combina sapientemente gli intrecci, si snoda come un fiume pacato e maestoso lungo un argine ben delineato, fino ad un estuario, l’epilogo, che più di tutto sancisce la riabilitazione dei protagonisti, pur lasciando una foce aperta alla libera interpretazione.
È inevitabile il confronto con lo scrittore della cultura ebraica per eccellenza Philip Roth: anche qui si respira la stessa sontuosa maestria nel descrivere e tratteggiare le tradizioni e i costumi sionisti, ma a differenza del celebre scrittore americano la trama è più scorrevole, meno ricca di approfondimenti, e soprattutto il punto di vista è chiaramente di stampo europeo, con un preciso e significativo intento: rendere il pubblico consapevole dei tempi bui che stavano attraversando i contemporanei di Singer, i popoli di cui si faceva narratore, pur non menzionando mai apertamente i veri orrori della Seconda Guerra Mondiale: “Nessuno pensava che la bella vita sarebbe finita. Nessuno voleva crederci. Come avviene spesso quando è in arrivo una catastrofe, la gente si autoconvinceva del fatto che se qualcosa doveva succedere, sarebbe successo agli altri.” Questa massima, più di tutte le altre, ben sintetizza quanto la Storia sia spesso non solo cornice, ma vera e propria protagonista delle vicende di intere famiglie e soprattutto è più che mai calzante per i nostri tempi, che pur dominati dall’intelligenza artificiale e dall’avanzamento tecnologico, risultano sempre più freddi e indifferenti alle questioni umane, sempre più confusi da false notizie che annientano la nostra sensibilità nel comprendere quali siano i veri pericoli che ci minacciano e che spesso banalmente si confondono con il colore della pelle o il credo religioso per mancanza di analisi critica ed empatia.
Dopo l’entusiasmante lettura dello scorso anno del romanzo “I Fratelli Askenazi” pubblicato dallo scrittore Israel Joshua Singer [1893-1944] nel 1937, ho terminato di leggere in questi giorni quest’altro suo romanzo, “La Famiglia Karnowski” romanzo del 1943 in cui lo scrittore ripete lo schema narrativo incentrato nelle figure maschili di tre generazioni di una famiglia ebrea tedesca, i Karnowski, iniziando da David e proseguendo con suo figlio Georg e il nipote Jegor e raccontando le esperienze personali, familiari e affettive non soltanto dei tre protagonisti ma di tutta la schiera di personaggi in qualche modo legati ai personaggi principali e la realtà quotidiana, sociale e politica della popolazione ebrea tra la fine dell’ottocento e gli anni precedenti la seconda guerra mondiale.
Un romanzo eccellente, di piacevole e scorrevole lettura che, senza arrivare alla qualità del precedente, gli arriva molto vicino grazie all’abilità narrativa dello scrittore in grado di coinvolgere il lettore, raccontando la realtà quotidiana, le trasformazioni sociali, le difficoltà dell’emigrazione e dell’integrazione.
Un romanzo meraviglioso del quale è già stato detto tutto, ma forse quel tutto non è ancora abbastanza, dimenticato così come è stato dal tempo per tutti questi anni, e quindi che se ne parli ancora, e ancora, e ancora.
Israel Singer scrive nel 1943 una storia che narra le vicende di tre generazioni di ebrei polacchi, di padre in figlio, i Karnowski dalla Grande Polonia, che attraversano la storia d'Europa sin da quando David, il capostipite, ai primi del Novecento decide di lasciare Melnitz, lo shtetl dove vive con la famiglia dei ricchi suoceri, per trapiantare sé e la moglie Lea a Berlino, città fiorente e rigogliosa, dove a tutti, ebrei progressisti compresi, è consentito avviare redditizie e innovative attività commerciali e, in qualche modo, integrarsi, conservare le proprie abitudini e usanze, ed entrare a far parte, nonostante le differenze, a tutti gli effetti della società tedesca. «Sii un ebreo in casa tua e un uomo quando ne esci», augura David al figlio Georg il giorno della sua circoncisione, senza sapere che, in qualche modo, quello che lui gli augura di essere è solo l'inizio della fine per la sua generazione e per quella successiva; due generazioni dal destino inizialmente opposto, ma unite nella disfatta, che se da una parte godranno di un periodo di successi e soddisfazioni, è il caso di Georg che arriverà a trarre ogni beneficio da un breve ma intenso momento di gloria professionale, che lo porterà a diventare il ginecologo più famoso della città, a sposare una goy e a conquistare i prestigiosi salotti culturali e gli ambienti diplomatici della città, dall'altra, con Jegor, l'introverso e problematico figlio di Georg e Theresa, con un'accelerazione improvvisa e devastante, vedranno discendere la fortunata parabola che aveva permesso ai Karnowski e a molti ebrei di credere di essere diventati proprio quello che il capostipite aveva augurato alla sua stirpe di poter essere: tedeschi in mezzo ai tedeschi, ma senza dimenticare di essere ebrei. I Georg e gli Jegor, ciascuno con le sue delusioni paure rinunce e umiliazioni, saranno vittime e artefici nel contempo, del crollo dei sogni e delle aspettative dei vecchi David, in un mirabile viaggio esistenziale, che finisce per essere anche simbolico, e che accompagna il lettore in un'evoluzione che per molti versi è sinusoidale e circolare, e in cui, generazione dopo generazione, i figli abbandoneranno la casa paterna, contesteranno e deluderanno i genitori, e alla fine, all'alba di una nuova vita, e in un nuovo mondo che accoglierà tutti indistintamente, come la Statua della Libertà che sembrerà abbracciarli idealmente al loro arrivo a New York, dopo la dolorosa fuga dall'Europa nazista ormai ostaggio degli uomini con gli stivali, in un finale di rara bellezza in cui si respira sin dalle primissime battute l'ispirazione alla parabola della riconciliazione che vede il figlio, immerso nel fango fino alle ginocchia, tornare all'origine, saranno capaci di tornare alla casa del padre per riconciliarsi con loro, con la vita e con il proprio sangue.
Questa l'architettura del romanzo, ma quella che abbaglia e illumina tutto la lettura è la capacità di Singer di arricchire la narrazione di personaggi, secondari forse, ma assolutamente indispensabili per realizzare un'opera in cui quello che appare come il pregio maggiore è l'equilibrio perfetto; personaggi come il negoziante Solomon Burak, venditore di stoffe e abiti (di stracci, insomma, quegli stracci che sembrano essere anche alla fine il destino già scritto per gli ebrei nel mondo), il saggio erudito libraio Efraim Erwald che vede i suoi preziosi testi essere rosicchiati dai topi giorno dopo giorno, ma che non abbandona né lo studio né la meditazione, né la consapevolezza del fatto che il mondo sarà sempre fatto di lupi e agnelli ma che le idee non potranno mai essere abbattute, il Dottor Landau e la figlia Elsa, entrambi completamente assorbiti dalla propria missione, la medicina l'uno la politica l'altra, ma così pieni di umanità da essere capaci di destare continuo stupore e talmente speciali da non poter essere raccontati o descritti con poche parole, lo zio Harry, che ha fatto la sua fortuna all'America, e poi ha perso tutto, e poi ha ricominciato in quel grande shtetl che è New York, o anche personaggi talmente negativi da risultare più farseschi più che reali, come l'ariano zio Hugo Holbek di Jegor o il diplomatico dottor Zerbe, o, per finire, la descrizione di due mondi opposti: l'Europa che affonda lentamente, ostaggio della follia, e gli Stati Uniti d'America, dove tutto può ricominciare e dove il futuro può essere costruito anche grazie alle mani e alle idee di una comunità che altrove, invece, cesserà di esistere per sempre.
Considero «La famiglia Moskat» di Isaac B. Singer, il fratello più famoso, un vero e proprio capolavoro, mentre «I fratelli Ashkenazi», di Israel J., letto quest'estate, per alcuni versi, inferiore sia al capolavoro di Isaac che a quest'opera successiva di Israel. Invece, confrontando solo a livello di emozioni trasmesse le due famiglie, i Moskat e i Karnowski, credo che la differenza stia soprattutto nella percezione che le due storie sono riuscite a trasmettermi: con i Moskat, purtroppo, siamo di fronte a un mondo che affonda e che scompare, alla descrizione di un'epoca che si inabissa per sempre, di una Varsavia che non sarà mai più la stessa, e questo lascia inermi e impotenti, colmi di rabbia e di dolore, trasmette purtroppo un senso di resa per contrastare il quale nulla si può fare, mentre con i Karnowski, pur arrivando allo stesso punto, provando le stesse sensazioni e lo stesso senso di rabbia, c'è la speranza di un futuro dove c'è ancora spazio per costruire e per ricominciare, quello stesso futuro che avrebbe potuto essere possibile anche per i Moskat, se solo avessero lasciato Varsavia.
«La vita è una burlona, rabbi Karnowski, ama giocarci qualche tiro mancino. Volevamo essere ebrei in casa e uomini in strada, è arrivata la vita e ha messo tutto sottosopra: siamo goyim in casa ed ebrei in strada»
Pubblicato nel 1943, il romanzo di I. J. Singer racconta la vita di tre generazioni della famiglia Karnowski, una famiglia ebraica proveniente dalla Galizia polacca. Il libro ha avuto moltissimo successo tra il pubblico yiddish e ancora oggi è considerato una delle saghe famigliari più importanti del mondo ebraico scritte nel XX secolo.
Se gli sciocchi deformano le parole del saggio, ciò non fa di lui un imbecille.
David Karnowski è il capostipite di questa famiglia, che decide di allontanarsi dal piccolo shtetl polacco di Melnitz (uno shtetl indica un insediamento con un’alta percentuale di popolazione di religione ebraica) per trasferirsi a Berlino, fiorente capitale dell’Impero tedesco, spinto dall’amore per il pensiero del filosofo Moses Mendelssohn, tedesco di confessione ebraica. A Berlino David diventerà una delle personalità più influenti e importanti della comunità ebraica del luogo, mentre la moglie Lea avrà sempre delle difficoltà ad adattarsi a questa nuova vita e alla nuova patria.
Poi conosceremo Georg, il cui nome completo è Georg Moses Karnowski; Georg è un nome gentile, perché il padre è convinto che si debba essere tedeschi in strada, ma ebrei in casa e da qui deriva il nome Moses. Durante la giovinezza il rapporto col padre non è idilliaco, e una volta cresciuto Georg decide di servire come ufficiale medico nelle trincee della Prima guerra mondiale, tornandone cambiato.
E infine, conosceremo Joachim Georg Karnowski, soprannominato Jegor, figlio di Georg e Teresa, donna tedesca. Da sempre fragile nel corpo, Jegor sembra fragile anche nella mente, ad influenzare il suo atteggiamento e i suoi pensieri saranno da un lato lo zio Hugo, ariano e antisemita, dall’altro un evento doloroso accaduto a scuola.
David, Georg e Jegor rappresentano anche la macrosuddivisione del libro, diviso in tre maxi capitoli. In realtà la separazione non è affatto netta, perché tutti e tre i Karnowski saranno sempre presenti nelle vite, e nei capitoli, degli altri membri della famiglia, fin dalla loro nascita. Perché questa è la vita, questa è la famiglia, non si possono fare delle separazioni precise, perché le proprie vite saranno sempre intrecciate a quelle degli altri.
Insomma, La famiglia Karnowski accompagna il lettore lungo una storia famigliare di cinquant’anni, attraverso tre generazioni di ebrei, dallo shtletl a Berlino, dal nazismo alla fuga in America.
Passano gli anni, cambia la storia, ma ci sono degli aspetti che rimangono una costante: i figli che si allontanano dalla famiglia, non solo a livello fisico, mettendo a volte chilometri e chilometri di distanza, ma anche a livello sentimentale, umano; i figli, diventati a loro volta genitori, che comprendono gli sbagli e le ragioni proprie e dei propri famigliari, e cercano così una riappacificazione, un riavvicinamento; le madri, mogli, che tentano di portare comprensione e pace tra i maschi della famiglia.
Tema centrale che si riscontra ne La famiglia Karnowski è l’emigrazione. Chi emigra in un altro Paese, un Paese diverso dal proprio, deve fare i conti con una cultura diversa, col desiderio, la voglia e anche la necessità di integrarsi, il desiderio la voglia e la necessità di sentirsi uguali agli altri, sentirsi come a casa propria, adeguarsi, ma senza rinunciare alla propria identità. Queste sono tutte emozioni che probabilmente solo chi vive, o ha vissuto, all’estero, può capire fino in fondo.
Nessuno credeva che tutto ciò potesse cambiare. Nessuno ci voleva credere. E poi, come sempre succede in caso di calamità, ognuno pensava che se doveva arrivare una disgrazia avrebbe colpito il vicino, non lui.
Un aspetto che subito mi ha lasciata incerta, ma che col senno di poi sono riuscita ad apprezzare è il fatto che Singer non è quasi mai esplicito. Certo, racconta l’avvento del nazismo, il progressivo isolamento degli ebrei in Germania, l’aumento della violenza, ma per esempio non ci parla dei momenti trascorsi in carcere da Elsa, donna ebrea e femminista. Alcune cose Singer, morto nel 1944, un anno dopo la pubblicazione del libro, non le saprà mai, ma sembrano lì, sospese nell’aria, tra le righe. Forse perché noi sappiamo, forse perché lo stesso Singer nei suoi peggiori incubi qualcosa se lo immaginava, non possiamo saperlo, ma resta il fatto che La famiglia Karnowski non è una lettura struggente, a parte una scena particolarmente tosta, non è un libro così drammatico come ci si poteva aspettare.
E forse questo è uno dei suoi punti di forza perché fa capire, senza il bisogno di dire.
Insomma, La famiglia Karnowski è “semplicemente” la storia di una famiglia, che ha avuto i suoi momenti bui, sicuramente, ma che non ha mai perso il coraggio, la voglia di vivere, di crescere, di imparare, di amare e respirare.
[…] perdere denaro è perdere nulla, perdere coraggio è perdere tutto.
Letteralmente divorato, rapito dall'avvincente storia di una famiglia ebrea polacca attraverso tre generazioni (fra fine Ottocento e metà Novecento) e tre nazioni (Polonia, brevemente; Germania, soprattutto; Stati Uniti, alla fine).
Singer, non a caso originario dell'Est Europa e non a caso ebreo, raffigura senza il minimo infingimento, ipocrisia o retorica sia la sua stirpe che i gentili tedeschi con cui gli ebrei si trovano a convivere. Vizi e virtù tratteggiati in maniera schietta e sincera nel racconto della difficile, e poi tragica, convivenza fra ebrei e gentili nonché fra ebrei e ebrei.
Vale la pena sottolineare come uno dei bersagli principali di questo libro siano tutte quelle famiglie ebree borghesi che nel tentativo di integrarsi completamente nella società tedesca di inizio secolo (e anche distinguersi nettamente dai meno civilizzati e poveri ebrei immigrati dall'Est Europa) finirono per essere macellati senza capirne il motivo dalla valanga nazista. L'ipocrisia e l'ambiguità (tedeschi nella società civile, ebrei in casa), lo slancio laicista e illuminista verso una - impossibile - conciliazione fra una religione profondamente ortodossa e la modernità, vivendo da "ospiti in casa d'altri", con strati geologici di pregiudizi sedimentatisi nei secoli e sempre pronti da essere utilizzati come humus di crescita a fini politici e ideologici.
Negare le proprie origini, per abbracciare culture sostanzialmente differenti, scimmiottandole e lasciandole penetrare solo in superficie, alla lunga non può che portare a conflitti, implosioni e desiderio (violento) di ritorno alle origini stesse. Purtroppo per gli ebrei tedeschi, il rinculo fu innescato dagli altri e fu più che violento, inumano e catastrofico.
Il primo pensiero nella lettura di questo straordinaria saga familiare che abbraccia i primi 40 anni del Novecento per me è andato a Pastorale americana di Roth, ma non tanto per l'ambiente ebreo nel quale entrambi i romanzi si sviluppano, ma per la sensazione generale di trovarsi su di un piano inclinato che, scivolosamente e ineluttabilmente, conduce di generazione in generazione sempre più in basso. E' come se, da una parte come dall'altra, il peso delle generazioni precedenti - magari più povere, ma più salde e sicure all'interno di un quadro culturale ben definito, e pertanto più felici - si riversasse nel tempo sulle generazioni successive, più ricche e di successo ma fondamentalmente più infelici, in disgregazione a causa della fascinazione verso l'individualismo (e la ricerca della soddisfazione personale su tutto) e nell'atomizzazione della società sempre più enunciato.
E' come se l'attrito o le forze contrarie che mantenevano in quiete il corpo non riuscissero più a eguagliare peso e gravità, lasciandolo scivolare lungo il piano inclinato: fuor di metafora, l'attrito e le forze contrarie sono rappresentate da tutta quella sovrastruttura (origini, usi, costumi, tradizioni) che - anche se sciocche e frutto di superstizione - sono state spazzate via troppo rapidamente dalla vorticosa modernità novecentesca, che in nemmeno cento anni ha stravolto l'Occidente come null'altro nella Storia. Travolgendo anche gli uomini nelle loro basi più profonde.
Qui, in Singer, assistiamo al collasso sociale e culturale dell'Europa; lì, in Roth (Philip, ma anche in Joseph, che avrebbe da dire la sua in materia di crepuscoli), al collasso sociale e culturale americano.
Le tre generazioni dei Karnowski, che raggiungono l'apice sociale con quella di mezzo (il carismatico dottor Georg) e il fondo dell'abisso con l'ultima (il disadattato e problematico Joachim), sono raccontate in maniera meravigliosamente sottile da Singer, abilissimo nell'inquadrarne le piscologie con qualche tratto di penna, con una scrittura piana ma mai noiosa, sintetica ma mai non accurata.
In definitiva, una piacevolissima scoperta. Bellissimo romanzo, utile anche per riflettere.
Una novela colosal que sigue a tres generaciones de tres hombres de la misma familia, cultivados y polemistas: David Karnowsky que sale de su Polonia natal camino de Berlin, su hijo Georg convertido en médico y que a la llegada del nazismo huye con toda su familia a Estados Unidos y finalmente su hijo Yeorg, que a la llegada a Nueva York con su familia, le resulta casi imposible adaptarse a todos estos cambios.
“La vida es como un bromista; disfruta jugando malas pasadas. Los judíos querían ser judíos en sus casas y gentiles fuera de ellas. Llegó la vida y volvió las tornas: somos gentiles en nuestras casas y judíos fuera de ellas”
Es casi imposible resumir lo que supone esta novela a menos que sea lea y se disfrute, porque Israel Singer con una prosa fluida y brillante, nos sumerge en los avatares de esta familia de judios, los Karnowsky, que a lo largo de los años consiguen triunfar y establecerse en Alemania, emigrantes provenientes de Polonia, y cuando cambian los vientos politicos y el nazismo comienza a azotar Alemania, se ven obligados a cambiar toda una estructura de vida y a sobrevivir de otra forma. Y viendo esta novela con distancia, no es muy dificil relacionarla con hoy en dia; ya sabemos que la historia es cíclica, pero sobre todo en el último tercio de la novela, con la llegada a Nueva York, dónde se ven obligados a establecerse, adaptarse y buscar trabajo...¿quién no lo identificaría con todos estos movimientos migratorios, desesperados, al límite, que vemos en las noticias a diario??
En este sentido es una novela que sumerge completamente al lector en la vida de estos personajes, no solo los protagonistas, sino los secundarios, toda una gama de personajes llenos de vida e igual de importantes y necesarios que los de la familia protagonista. Desde el pater familias, el abuelo del principio, David Karnowsky, un judio puro y duro, pasando por su hijo Georg, donde ya vemos que la importancia de la religión ya empieza a difuminarse en su vida, pasando finalmente por su hijo Yeorg, que debido a todo lo que se ha visto obligado a vivir, cuestiona la religión de sus ancestros, difuminándola completamente.
Quizás extrañe que Israel Singer no haga mención al Holocausto pero hay que pensar que escribió esta novela en 1941, cuando ya llevaba 4 años establecido en Nueva York, antes de que terminara la 2º Guerra Mundial, con lo cual no se debía tener tanta información como se tuvo luego o él optó por obviarla. Pero está claro que puso sobre el papel muchas de las experiencias por las que tuvo que pasar su familia, ya que su familia formaba parte de estos cien mil judios que llegaron a Estados Unidos huyendo de la quema. Independientemente de una novela soberbia con personajes a flor de piel es ante todo un documento histórico y una crónica de personajes desarraigados luchando por adaptarse al medio continuamente.
"Porque no soporto a quienes dedican su vida a lamentarse, a recriminar y atacar al mundo entero. Lo detesto en las personas y lo detesto en los pueblos!"
La struttura di un grande romanzo del Novecento, comodamente adagiato nel fiume di eventi storici che precipitano, la lucidità di un saggio sociologico sui comportamenti umani paradossali nelle sventure, l’umana profondità nel contemplare ciò che si annoda e si snoda nei rapporti tra padri e figli, basterebbe già ampiamente questo. Ma è molto altro ancora: un racconto sulla trasformazione che ha avuto luogo, repentina, nella Germania hitleriana, da faro di cultura e paese di riferimento per le menti più raffinate a ciò che è diventato. Naturalmente, è anche una tormentata riflessione sulla identità ebraica, attraverso il personaggio irrepetibile dell’ultimo membro dell’affresco, Jegor Karnowsy, colui che si vergogna del nome de padre e di sé stesso. Ed è una iniziazione alla geografia dell’esilio: partiamo dalla Polonia che abbiamo imparato a conoscere nei libri del grande fratello Isaac Bashevis, al seguito di David, il capostipite di questa famiglia, uomo raffinato e desideroso della massima integrazione nel paese più accogliente possibile: la Germania appunto. Seguiamo l’evoluzione di suo figlio Georg, che preferisce dedicarsi alla medicina anziché agli studi talmudici e diventa un luminare, innamorato della scienza, dimentico dell’ebraismo al punto da sposare una “goy”, e con lui, la moglie tedesca ed il figlio furioso di non essere un tedesco, prendiamo la nave dell’ultimo esilio, verso gli Stati uniti dove si consuma tutta la storia. Morto nel 1944, prima di scoprire tutto quello che fu taciuto, Singer racconta nel modo più struggente per noi, racconta come ha raccontato la Nemirovsky, come Anna Frank, racconta non sapendo come andrà a finire e noi, che lo sappiamo, vediamo l’accerchiamento degli indizi nefasti, morbosi, ineluttabili che si addensano attorno ai personaggi. Il testo è perfettamente chiuso in sé: l’autore non appare per fornirci le riflessioni o orientare le nostre, descrive con minuzia, con devozione, con un’attenzione al dettaglio, al carattere che appartiene soltanto ai grandi della letteratura, coloro, come Dostoievski, Proust o Mann che creano mondi, mondi che ci spiegano il nostro. Non è un grande romanzo del novecento o un grande romanzo storico né un grande romanzo yiddish o un grande romanzo famigliare, è un grande romanzo tout court.
Un romanzo importante, dall'altissimo valore storico, che ci fa vedere la nascita del nazismo dall'interno della Germania, che ci racconta le rivalità presenti fra gli stessi ebrei aventi origini geografiche diverse, che ci sottolinea, soprattutto, come essere figlio del proprio tempo, in alcuni casi, può rivelarsi una terribile condanna. Un affresco della società ebraica dal 1860 al 1940 attraverso tre generazioni: David, Georg e Jegor Karnowsky. Singer è impeccabile nel raccontare le vicende di questi tre uomini, molto diversi fra loro, che vivono la propria cultura e le proprie tradizioni in modo completamente differente. Si passa dall'essere un ebreo "illuminista", dedito quasi esclusivamente allo studio dei testi, all'essere un ebreo ribelle, che osa infrangere le regole e le tradizioni, fino ad essere un ebreo che, nel tentativo di rinnegare le proprie origini e il proprio sangue, finisce per perdere se stesso. In realtà tutti e tre cercano, a modo loro, di prendere le distanze dalla loro "ebraicità". La narrazione è accurata, ricca di dettagli, di situazioni, di storia, i personaggi sono ben delineati, anche quelli di contorno. Mi è mancata però la passionalità, la forza trascinante che ti fa entrare "dentro" le pagine, mi sono mancati dei "picchi" di drammaticità . Ho avuto il piacere di una scrittura impeccabile, elegante, fluida, eppure non sono riuscita a sentirmi parte della storia, proprio a causa di quell'eleganza, di quella sobrietà.
This novel, originally published in Yiddish in 1943, tells the story of a family of Polish Jews who move to Berlin around the turn of the century with the stated aim is to be “Jewish in the home and German on the street.” Two generations later, with history closing in, they realize they have only managed to become “German in the home and Jewish on the street.”
I read this for my real-life book club and it’s safe to say I would never have come across it otherwise. It is long out of print in English, although the author is the older brother of the other Singer, the Nobel prize winner. My copy was expensive to track down and then terribly smelly. So I’m glad for the experience, because this was an interesting slice of life, not perfect, but an intelligent and nuanced portrait of wealthier Berlin Jews, their concerns, their infighting, their petty prejudices against different new arrivals, their belief in their exceptionalism and their Germanness.
It's also an astute portrait of how fascist ideology can infect society, and particularly the effects it can have on the young. The last third of the book (it is a multigenerational tale of father, son and grandson) takes an unexpected turn, which elevates this beyond a Holocaust book (and actually it’s not a Holocaust book, if there’s a weakness it’s that the Holocaust never actually arrives on the page; everyone flees to America, which is somewhat underwhelming, given the times).
I took issue with a few portrayals, particularly of women, and there is something missing to elevate this to the level of a classic, but it was both a good read and an excellent book-club pick. Everyone was shouting at each other!
All’inizio si fa un po’ fatica ad entrare nello spirito di questo romanzo, quando l’incipit ambientato in Polonia è lungamente occupato da una diatriba religiosa fra rabbini hassidici ed esponenti “illuministi” della comunità ebraica che ne contestano i dogmi, il tutto a colpi di citazioni, versetti, esegesi di significati religiosi e rituali che francamente annoiano, anche se questo contrasto ha la funzione narrativa di spingere all’emigrazione il primo dei Karnowski.
Poi per fortuna il romanzo prende gradatamente quota e va a strutturarsi in una robusta saga familiare articolata in tre fasi: nonno, figlio, e nipote; Polonia, Germania, Stati Uniti; dall’alba del secolo alla IIa Guerra Mondiale. E’ quindi un efficace e dettagliato affresco della società ebraica che prende corpo, illuminando i caratteri e le vicende dei Karnowski e delle numerose figure di contorno con una precisione che conferisce loro assoluta credibilità e restituisce lo spessore sociale e morale dell’epoca.
Su questo sfondo si muovono, o per meglio dire si agitano, le tre generazioni dei Karnowski inquieti, instabili e perennemente in fuga: il primo dall’oppressiva e dogmatica bigotteria degli hassidici polacchi, il secondo dalla montante e aggressiva ondata del nazionalsocialismo, il terzo dalla sua stessa anima razziale ibrida che lo spinge a rinnegare fino all’autolesionismo la propria identità.
Un romanzo di impianto molto tradizionale (d’altronde pubblicato 70 anni orsono) e privo di qualsiasi artificio stilistico, ma potentemente evocativo, solido e compatto.
Questo libro è stupendo. Cos'altro potrei aggiungere? Ho fin quasi paura di sminuirlo tentando di commentarlo con parole inappropriate. Molto banalmente, si tratta di una saga familiare, tre generazioni, padre-figlio-nipote simboli della storia tragica dell'ebraismo nel Novecento. In realtà è uno di quei libri che ti fa infervorare, che ti fa ribollire il sangue, dal quale non riesci a staccare gli occhi, che ti tocca fin nel midollo. Mai sentimentale seppur drammatico, mai pesante seppur profondo. Magistrali le pagine che descrivono dove attecchisce la radice dell'odio. Unico e indimenticabile ogni singolo personaggio. Da leggere, assolutamente.