Apri il tuo portafoglio. Cosa vedi? Scontrini, tessere della palestra, del discount, fotografie di tuo figlio, della donna o dell’uomo di cui sei innamorato, la patente, il documento d’identità, la carta di credito, i biglietti da visita. Tutti oggetti che descrivono perfettamente chi sei, cosa fai, che persona ambisci a essere. Anche la tua casa, se ci pensi bene, dice molto di te: hai una tv nuova, i quadri di un artista che credi ti rappresenti, sul balcone hai costruito un piccolo orto verticale – va di moda, e poi è un’ottima strategia per risparmiare qualche euro sulla spesa. Da anni desideravi avventurarti in qualche località esotica e pericolosamente sperduta: hai già ricaricato la prepagata, scelto il volo più economico, confermato la stanza di un albergo a due stelle, ma con piscina. Ricorda di chiedere le ferie, ma prima devi pagare le bollette, il mutuo, l’assicurazione, il tagliando, la benzina. Quando sarai partito, non dimenticarti di scrivere a mamma e papà: non farli preoccupare. Il prossimo mese comincia il corso di nuoto: hai fatto l’iscrizione? Hai prenotato la visita medica? Lo stipendio ha iniziato il suo inesorabile countdown: il cinema, il sushi all-you-can-eat, i giochi per i bambini, la crema per la pelle liscia, il sapone per la pelle grassa. Beni indispensabili che dicono tutto di te. Oppure no? Forse sei intrappolato dalle cose che desideri, lettore, e sfortunatamente non ho trucchi da mostrarti. Non ti insegnerò a vivere con pochi euro al giorno, e comunque non ti basterebbe. Però posso fare molto di più per te: farti conoscere l’arte di non avere niente. È una pratica antica professata da filosofi e mistici orientali, pellegrini e cantori. Ed è l’unico sentiero che può condurti a riscoprire la vita nella sua essenza, sotto il velo delle illusioni, della nostalgia, delle maschere, dei rimorsi e dei bisogni indotti. Solo così potrai riconquistare la tua libertà, vivere senza rimpianti e rispondere alla più antica e impossibile delle domande: Chi sei?
Illustra ma non spinge all'azione, La Porta. Fino a che non si arriva all'epilogo troviamo analisi interessanti di libri e film, con disamine didattiche e godibili, ma fatte con piu' testa che cuore. Alla fine effettivamente da' qualche sprone e cerca di far riflettere, ma più sbilanciato su una dimensione sociale, di confronto, che non personale, di inutilità del possesso. Che poi non è il possesso che svilisce, ma l'attaccamento: non sempre sono la stessa cosa.
Ehm..NO! Non è il mio genere, mi aspettavo un libro che facesse riflettere ma, allo stesso tempo, fosse pragmatico. Sembra quasi un libro filosofico, dice tutto ma senza dire nulla. L'introduzione dura quasi 30 pagine...! È un continuo di citare e rimandare ad altro libri, autori, personaggi storici. Si meriterebbe una stella, ma do due stelle perché mi ha fatto scoprire due libri (il paradiso delle donne e l'arcipelago gulag) che ho inserito nella wishlist. L'autore critica tutto: il lavoro, la casa, qualsiasi bene (inteso nel più ampio del termine).
Se il titolo fa pensa ad un vademecum sul riordino, non è così È una lettura piacevole con forte senso del reale,un saggio filosofico che non parte dal risparmio ma dall’abbandono, dallo stato di necessità, ricco di esempi e analisi su Rimbaud, Gaugin, Jack London, Proust, Gauguin Cosa abbiamo scelto di tutto quello che ci circonda ? La fame di certezze i vuoti esistenziali, la fame d’amore dopo un abbandono portano ad accumulare, perché il vuoto fa paura come l’eco di una stanza spoglia Il possesso è una risposta ma può essere una trappola
“Ci facciamo delle idee su come vanno le cose nella vita e le difendiamo con forza. In tutto questo patrimonio (di averi, affetti, ruoli e idee) cerchiamo qualcosa che consenta una risposta chiara alla domanda «chi sei?».”
Bella la parte dedicata alla nostalgia che per natura e con l’andare degli anni, porta a desiderare quel che non c’è più: un amore finito, la terra natìa, le speranze, i sogni costringendo chi la prova a vivere un limbo, un eterno ritorno che fa da scudo al presente
Ho apprezzato l'attualità, gli esempi letterari, la semplicità della scrittura e dei ragionamenti in modo che il messaggio sia fruibile a tutti. L'ho trovato però un po' semplicistico e frettoloso.
Less is more. Sull'arte di non avere niente Salvatore La Porta Editore: Il Saggiatore Pagine: 176 Voto: 3/5
"Divorare ogni cosa del mondo, accumulare averi, ruoli, nascondendo in ognuno di essi quel che possiamo di noi, stringendo i fianchi della nostra identità in busti così stretti a costo di affamare una buona parte dell'umanità, svuotando il pianeta delle sue viscere per costruire i nostri cellulari, per nutrire il flusso di forme in cui si incarnano ogni due, tre anni, e poi ritrovarci a disagio, disorientati, spaventati dal vuoto che lambisce i piedi del nostro letto?"
Less is more, un libro interessantissimo sull'arte di non avere niente. Non è un manuale su come risparmiare, ma è pieno di esempi di personaggi che hanno vissuto la loro vita a pieno, possedendo poco o niente. Descrive il viaggio come esperienza di libertà, slegato dai tour operator e dai viaggi organizzati. Descrive il modo di vivere degli Hippie degli anni 70, contrapposti agli yuppies degli anni successivi. Descrive Eros, da noi visto erroneamente come il dio dell'amore, come "il demone del non avere niente". Parte dalla nascita, dai mille giocattoli che possediamo e che ci regalano, e termina con l'età adulta e la vecchiaia, dove possediamo un lavoro, una casa, una macchina: tutte cose che, prima o poi, siamo destinati a perdere o che, peggio, si trasformeranno nella nostra prigione. Il libro è scritto in termini chiari e va dritto al punto, specie nella parte finale, dove viene descritta l'inutilità del verbo "avere" come sinonimo di possedere e offre gli strumenti per combatterlo o, per lo meno, per non esserne del tutto schiavi.
Un libro che aveva tutte le premesse per essere un'ottima spiegazione dello stile minimalista, in realtà un lungo sproloquio su film, libri e politica.
Il saggio è ricco di spunti di riflessione molto interessanti; tuttavia spesso mi è parso un esercizio intellettuale fine a se stesso. In ogni caso, è ben scritto.
Mi ha stimolata moltissimo come lettura, anche se non era esattamente come mi aspettavo, e forse è anche meglio: i vademecum lasciano il tempo che trovano, gli spunti di riflessione, invece, sono sempre validi e ben accetti. Avvalora la sua tesi sull’arte di non avere niente con esempi di letteratura, cinema, attualità, e già per questo mi è piaciuto parecchio, ha saputo dare spunti culturali e spunti di riflessione.
Tuttavia, non sono arrivata a quattro stelle perché mi aspettavo un’ulteriore profondità, che forse sarebbe risultata un po’ pesante, ma che doveva sviscerare un tema complesso. In soldoni: mi stai invitando a spogliarmi di un po’ di averi, ne hai l’occasione, vai più a fondo senza paura di appesantirmi. L’invito l’ho colto perché sono sempre stata affascinata da questa « filosofia » e la lettura di questo libro é stato un piacevole surplus.
Volume dal contenuto inaspettato (preso "a scatola chiusa"). Interessanti gli esempi tratti dal mondo letterario ma l'analisi è davvero tanto sbilanciata verso il mondo esterno piuttosto che verso un'introspezione personale in grado di dare un valore diverso, "più alto" all'inutilità del possesso.
Smettiamo un atteggiamento per non perdere il rispetto degli altri, evitiamo di frequentare una persona interessante perché temiamo il giudizio dei nostri amici, accettiamo un posto da impiegato perché abbiamo paura che la carriera desiderata sia un’irraggiungibile assurdità, rinunciamo a corteggiare l’estranea con cui condividiamo il vagone ferroviario per paura di un rifiuto, ci costringiamo a vedere i giusti film, indossiamo i vestiti adeguati, ci conformiamo fino all’infelicità: perdiamo noi stessi per non perdere i nostri averi e il nostro ruolo.
L'arte di non avere niente è una filosofia che ha come idea di base un'idea semplice ma allo stesso tempo potente, e soprattutto, completamente innaturale per una persona che vive nella nostra società capitalistica.
Non è libro pratico, non ha a che fare con il minimalismo, l'autore si focalizza sui vari aspetti del "possesso" e su come ogni giorno influenza le nostre vite, e per far ciò si basa sulle vite di grandi scrittori (e i loro personaggi), come Jack London, Marcel Proust, Kafka, Dostoevskij. Mi ha fatto riflettere molto.
Se diventiamo solo quel che possediamo, perdiamo irrimediabilmente la nostra umanità.
Mi ha ispirata. Forse perché è arrivato proprio al momento giusto, nel bel mezzo di una personale ricerca interiore che mi ha fatto riposizionare certi contetti nella mia scala di valori: qualità e non quantità, esperienza e non intrattenimento, verità e non performance. Una scrittura semplice ma non semplicistica, fluida ma non accomodante, intelligente in modo filosofico. Tanti riferimenti letterari importanti e interessanti spunti di lettura. Vero che, come leggo in alcuni commenti, non dà indicazioni o linee guida, ma d'altronde non è questo lo scopo prepostosi dall'autore. Personalmente, sono contenta dell'ispirazione - ora l'azione spetta a me.
Non c'entra nulla con la trama riportata sul libro. Si tratta di voli pindarici completamente sconnessi, paroloni di cui l'autore si riempie la bocca, un'ostentazione culturale su vite di altri personaggi e autori, Molto poco concreto e troppo filosofico, a tratti politico. Per non parlare del contesto atroce in cui rappresenta la vecchiaia.
Mi aspettavo un manuale, o anche un saggio filosofico. Invece, ho trovato tanti riferimenti letterari (la parte migliore) ed a idee politiche. Se si cerca un manuale di self help non è il caso di questo libro.
"Non avere niente significa indipendenza e libertà, significa capacità creativa, nessuna sudditanza al principio di autorità, essere critici verso la realtà nel senso più nobile del termine."
Nella società capitalistica il possesso è la legge e questa legge afferma che più possiedi più sei felice. Ma è realmente così? Il volume "Less is more" di Salvatore La Porta vuole essere la risposta a questa domanda. Pagina dopo pagina l'autore esamina alcuni aspetti della proprietà e ne definisce chiaramente i presupposti esistenzialisti: possedere oggetti, "avere" comporta impegno emotivo, tanto che possedere significa essere posseduti. I beni materiali appaiono così come piccole catene che avvolgiamo attorno a noi una dopo l'altra; e così ci ritroviamo incastrati in un mondo dal quale non riusciamo ad affrancarci, perché ogni acquisto è una direzione che ci obbliga a guardare solo avanti. Ogni capitolo del libro è l'esame di un caso, un esempio di vite che sono state costruite sul non-possesso e sulla libertà dall'acquisto. Tuttavia, il limite più forte del testo è che non c'è né una narrazione sequenziale né una progressione logica. Tutto sembra accatastato senza un ordine ben preciso, sia nell'alternanza dei capitoli sia all'interno dei capitoli stessi: la variazione dei temi è confusionale e il lettore fatica a comprendere il senso finale delle informazioni in esso contenute. Gli esempi portati sono pochi e quasi autoreferenziali e manca inoltre anche una problematizzazione critica sul presente. Insomma, il titolo e il sottotitolo lasciano intendere più di quanto le pagine non dicano. Peccato!
“Smettiamo un atteggiamento per non perdere il rispetto degli altri, evitiamo di frequentare una persona interessante perché temiamo il giudizio dei nostri amici, accettiamo un posto da impiegato perché abbiamo paura che la carriera desiderata sia un’irraggiungibile assurdità, rinunciamo a corteggiare l’estranea con cui condividiamo il vagone ferroviario per paura di un rifiuto, ci costringiamo a vedere i giusti film, indossiamo i vestiti adeguati, ci conformismo fino all’infelicità: perdiamo noi stessi per non perdere i nostri averi e il nostro ruolo”.
Penso che questa sia la frase che racchiuda al meglio la tematica del libro. In questo saggio, La Porta ci spiega l’importanza e la difficoltà di vivere mettendo in atto “l’arte di non avere niente”, liberandoci dagli averi, dai ruoli e dalle imposizioni sociali, affinché si possa realmente essere sé stessi. L’autore utilizza come esempio la vita di molti personaggi di spicco, come scrittori, da Rimbaud a Proust, cantanti, come Kurt Cobain, artisti, come Gauguin, e diversi protagonisti letterari, da Huckleberry Finn a Raskol’nikov. Questo libro offre sicuramente degli spunti di riflessione sul modo in cui la maggior parte di noi è abituata a vivere e su ciò che questo comporta non soltanto nelle nostre vite private, ma anche a livello sociale.
Prima di leggerlo guardando la valutazione media degli utenti Goodreads, ho pensato che potesse essere così bassa per via della romanticizzazione frequente e inappropriata della povertà e della nullatenenza, scoprendo poi che le persone si aspettavano solamente un manuale sullo stile di vita minimalista come quello di Marie Kondo.
Il nucleo centrale della mia critica massimalista è che mi fa piacere che l'autore metta in luce gli aspetti positivi del non aver nulla, o meglio "l'arte di non avere niente" (arte, come se nella maggior parte dei casi fosse una scelta e non una condizione in cui la gente si ritrova), è vero che non avendo nulla, è più facile pensare che non si abbia anche nulla da perdere nel slegarsi da abitudini e oggetti, ma come spiegare ad una persona che si sente occlusa nelle sue cose, nei suoi legami, nei suoi affetti, nei suoi ruoli la sensazione di casa, comfort, stabilità che porta una esistenza fatta di collezionismo? Il piacere di costruirsi tramite i nostri legami esterni?
Forse è un piacere che solo le persone che non hanno avuto modo di sviluppare un guscio esterno che riflettesse il loro mondo interiore e che non hanno avuto nulla di tangibile ed esteriore a dargli un senso di appartenenza a cui aggrapparsi possono comprendere appieno.
Ho ascoltato questo libro in 4 h e devo dire che mi è piaciuto molto infatti ho dato 5 🌟 Un libro molto interessante che ci spiega l’arte di non avere niente. Premessa !: non è un manuale su come risparmiare, attenzione ; vi descriverà solo alcuni esempi di personaggi che hanno vissuto la loro vita a pieno possedendo poco o nulla.
Mi è piaciuto molto perché tocca molto momenti storici come gli anni 70 con gli Hippie, per poi passare agli Yuppies negli anni successivi.
Descrive anche parte di ognuno di noi dalla nostra nascita, fino all’estate adulta e alla vecchiaia , dove possiamo un lavoro una casa una macchina …
Il libro è scritto in termini chiari e va dritto al punto, specie nella parte finale, dove viene descritta l'inutilità del verbo "avere" come sinonimo di possedere e offre gli strumenti per combatterlo o, per lo meno, per non esserne del tutto schiavi.
Molto molto interessante se ci si vuole liberare di un’eccesso che è sempre con noi.
Libro sull'arte di non avere niente. Che non è affatto facile da realizzare. Fa riflettere molto sul perché più cose possediamo e meno siamo felici, sempre alla ricerca di quel qualcosa in più che alla fine non troveremo forse mai. Ricco di spunti per altre letture, rimanda a molti libri e autori del passato, tra cui Delitto e castigo, La metamorfosi, Le avventure di Tom Sawyer, Il Simposio di Platone, Alla ricerca del tempo perduto, solo per citarne alcuni. Tocca argomenti attualissimi come la tecnologia moderna che ci ha fatto perdere il contatto umano e tanto altro. In ultimo parla del momento della vecchiaia, con i ricordi nostalgici dei tempi andati e delle persone che davvero non hanno nulla. Scritto bene anche se infine forse troppo affrettato.
Uno dei regali del 'Il Saggiatore' durante la quarantena. Volevo leggerlo dal Salone del Libro di Torino dell'anno scorso. Riferimenti letterari e cinematografici rendono decisamente più semplice l'approccio alla scelta di ridurre il nostro consumismo. 'Less is more è un vero e proprio manifesto di vita: si va dalle ragioni dietro ai nostri acquisti compulsivi, alle case troppo piene di oggetti inutili, ai viaggi fatti per evadere da una realtà che ci imprigiona. Mi ha fatto pensare a quanto la mia vita sia piena di elementi che hanno il solo scopo di appesantirmi. Viaggiare con un bagaglio leggero è una metafora che si applica a tutta la nostra vita. Ed ora ci aspetta un repulisti.
Spoiler alert: questo NON è un libro sul minimalismo, come il titolo potrebbe far pensare, questo è un saggio di filosofia che parla del possesso e delle conseguenze dell'attaccamento a cose, persone, idee, lavoro, luoghi, case. Un libro che parla di cosa sacrifichiamo per soddisfare l'umanissimo desiderio di possedere e la paura di perderlo. Ho sottolineato intere pagine ma ogni capitolo è denso di esempi illustri e concetti importanti. A volte l'autore è un po' ripetitivo e abbonda di domande retoriche ma gli perdono lo stile non sempre efficace in virtù del contenuto. Da leggere e rileggere in ogni fase della vita.
Non è assolutamente un manuale di auto-aiuto, non ti spiega come rinunciare ai tuoi averi ed essere meno materialista, anzi. A tratti è molto retorico, forse troppo, gira intorno al suo tema fornendo per lo più esempi del passato che spaziano dal cinema alla letteratura alla musica. Alla fine l'obiettivo che emerge è quello di voler dare al lettore una traiettoria immaginaria da seguire, diversa per ognuno, in modo da eliminare o limitare l'eccesso. Un po' prolisso e disorganico, sono andata avanti con fatica pur essendo un testo breve.
Compendio filosofico sull'arte del non avere come metodo per raggiungere felicità e soddisfazione, laddove il possesso va ben oltre i semplici beni materiali. Un testo complesso da comprendere ma costruito sulle vite letterarie o reali di chi ha saputo lasciarsi dietro il possesso e ricercato nella mancanza la vera completezza. Libro sorprendente, molto lontano dalla banalità, e reso coinvolgente dai continui riferimenti culturali o biografici da Twain a Kobain, da Renoir a McCandless
Un saggio ricco di anedotti sull'arte appunto di non avere niente. Sono cose che sappiamo in fondo, ma che è comunque bello ritrovare ordinatamente in un libro. Sul finale si fa un po' ripetitivo nel dire che la maggioranza di queste storie di "vagabondi" e spiriti liberi sono in realtà tantissime, troppe per citarle in un libricino. In ogni caso un saggio piacevole, ma non fondamentale.
La Porta mette tanta carne al fuoco, forse troppa. Sebbene il libro sia ricco di esempi artistici, musicali e letterari (oltre che umani) sull'arte del non avere niente, personalmente a metà lettura ero già ubriaca di nozioni, oltre che incerta su quale fosse il vero focus della narrazione.
Da leggere tutto con ostinazione, per capire il più possibile di ciò che c'è scritto. E per riflettere su ciò che si è capito. Consiglio di leggere prima l'epilogo, insuperabile biglietto da visita per il libro e per l'autore.
Un lavoro di ricerca sulla relazione tra "avere", possedere e identità, con una selezione interessante di storie di letterati e artisti che di questo rapporto hanno fatto esperienza. Bellissimo. La media di tre stelle risultate dalle recensioni è davvero bassa rispetto a quanto vale il contenuto
Saggio ben scritto sulla filosofia del non avere niente con interessanti citazioni di letteratura, musica e cinema. Se cercate un semplice manuale pratico sul decluttering o sul minimalismo passate oltre, questo libro è molto più articolato e profondo!
Mi aspetto un manuale pratico e intelligente e rimango un po' delusa. Il saggio è appassionante, soprattutto nella misura in cui sa sedurre con il taglio filosofico e le introspezioni di artisti e personaggi letterari, come Huckleberry Finn e Arthur Rimbaud. E' molto profondo nell'indagare la tesi per cui chi non si lega ai beni materiali, allo status, ai valori e alle credenze vive con pienezza e felicità; eppure, oltre a questo non c'è nulla di più concreto. Affascinante, ma troppo evanescente per i miei gusti.
2,5/5. l’autore senza dubbio ma un buon patrimonio letterario di letture, infatti riempie questo saggio di citazioni e rimandi a grandi classici letterari, ma l’ho trovato un po’ spoglio del vero succo che volesse dire. una lettura che non mi ha colpita particolarmente