«Fu quello il momento in cui "cominciò", in cui la mia vita si separò da tutto quello che precedentemente ne aveva costituito la condizione e il senso, in cui qualcosa in me morì, e io allo stesso tempo rinacqui, come se fossi morto per la vita e nato per la morte». A poche ore dal confine italiano, nel vagone letto di prima classe di un treno diretto a Firenze, Z. – il grande, celebre pianista atteso in Italia per un concerto – capisce che nulla sarà mai più come prima: che forse non rivedrà più E., la donna alla quale è legato da un rapporto ambiguo e morboso, in un triangolo il cui terzo vertice è un marito consapevole e benigno; che forse quella sera suonerà per l’ultima volta (e suonerà Chopin, perché la radio ha appena dato la notizia della caduta di Varsavia); che tutto, insomma, sarà «diverso». Ma diverso come? Gli ci vorranno mesi per capirlo: quelli che trascorrerà, colpito da un rarissimo virus, in un ospedale di Firenze dove verrà condotto subito dopo il concerto. Di rado un romanzo ha saputo raccontare la malattia con tale precisione, tensione, crudezza, in una osmosi allucinatoria tra fisico e psichico. Stremato dalle feroci, subdole aggressioni del dolore, o stordito da misericordiose iniezioni di morfina, Z. compirà un vero e proprio attraversamento della morte. Ad accompagnarlo «sull’altra sponda» saranno quattro entità femminili – «angeliche ruffiane», presenze vigili e benefiche ma anche inquietanti, a volte, e sempre sfuggenti –, quattro suore. E nel momento in cui sembrerà che Z. abbia definitivamente rinunciato a lottare sarà proprio una di loro a dirgli: «Non voglio che lei muoia». Ma quale? Per quante ipotesi faccia, Z. non riuscirà mai a stabilire con assoluta certezza a chi appartenga la voce che una notte, nel buio della stanza, gli ha chiesto di vivere. Eppure sarà proprio quella «forza femminile», quella energia che agisce mascherata, a lottare per lui, e a ricondurlo alla vita – anche se con tracce indelebili di quel che ha patito.
Sándor Márai (originally Sándor Károly Henrik Grosschmied de Mára) was a Hungarian writer and journalist. He was born in the city of Kassa in Austria-Hungary (now Košice in Slovakia) to an old family of Saxon origin who had mixed with magyars through the centuries. Through his father he was a relative of the Ország-family. In his early years, Márai travelled to and lived in Frankfurt, Berlin, and Paris and briefly considered writing in German, but eventually chose his mother language, Hungarian, for his writings. He settled in Krisztinaváros, Budapest, in 1928. In the 1930s, he gained prominence with a precise and clear realist style. He was the first person to write reviews of the work of Kafka. He wrote very enthusiastically about the Vienna Awards, in which Germany forced Czechoslovakia and Romania to give back part of the territories which Hungary lost in the Treaty of Trianon. Nevertheless, Márai was highly critical of the Nazis as such and was considered "profoundly antifascist," a dangerous position to take in wartime Hungary. Marai authored forty-six books, mostly novels, and was considered by literary critics to be one of Hungary's most influential representatives of middle class literature between the two world wars. His 1942 book Embers (Hungarian title: A gyertyák csonkig égnek, meaning "The Candles Burn Down to the Stump") expresses a nostalgia for the bygone multi-ethnic, multicultural society of the Austro-Hungarian Empire, reminiscent of the works of Joseph Roth. In 2006 an adaptation of this novel for the stage, written by Christopher Hampton, was performed in London. He also disliked the Communist regime that seized power after World War II, and left – or was driven away – in 1948. After living for some time in Italy, Márai settled in the city of San Diego, California, in the United States. He continued to write in his native language, but was not published in English until the mid-1990s. Márai's Memoir of Hungary (1944-1948) provides an interesting glimpse of post World War II Hungary under Soviet occupation. Like other memoirs by Hungarian writers and statesmen, it was first published in the West, because it could not be published in the Hungary of the post-1956 Kádár era. The English version of the memoir was published posthumously in 1996. After his wife died, Márai retreated more and more into isolation. He committed suicide by a gunshot to his head in San Diego in 1989. Largely forgotten outside of Hungary, his work (consisting of poems, novels, and diaries) has only been recently "rediscovered" and republished in French (starting in 1992), Polish, Catalan, Italian, English, German, Spanish, Portuguese, Czech, Danish, Icelandic, Korean, Dutch, and other languages too, and is now considered to be part of the European Twentieth Century literary canon.
“La menzogna” riprese “è quella che fino al giorno prima si chiamava lavoro, o dovere, o ambizione, o amore, o famiglia. Ci vogliono mille, diecimila giorni e notti, affinché in un corpo, e al suo interno in un sistema nervoso, nei centri sensori, quella menzogna si trasformi nell’unica insopportabile realtà; finché un giorno l’organismo, l’intero individuo, con un atroce rantolo, si mette ad urlare al mondo sotto forma di malattia quella menzogna, che nel frattempo si è tramutata in un’intollerabile sensazione di panico. Urla che non tollera più il proprio ambiente, o la propria vanità, o la routine con cui ha cercato di stordire, come con un narcotico, il vuoto esistenziale; che non tollera più quell’esercizio meccanico in cui si è trasformato il talento che Dio gli ha donato.[…]La vita è un veleno se non crediamo più in essa, quando non è che un mezzo per saziare la vanità, l’ambizione, l’invidia”.
L’esistenza umana può essere sconvolta all’improvviso da una malattia che separa la vita da tutto ciò è avvenuto prima. Un celebre musicista narra minuziosamente, in un diario, il periodo del ricovero in ospedale, le conversazioni, le cure di quattro suore (sorelle), le sofferenze, la pace data dall’oppio, i momenti di euforia. Non c’è niente di patetico o di non detto nell’analisi, non c’è l’intenzione di commuovere né essere delicato. Scrive per capire cosa gli succede, per conoscere la malattia, per capire da quale menzogna di tutta una vita essa è nata.
“Quando si prende in mano la penna per fissare il ricordo di esperienze private si vuole sempre parlare ad altri uomini, anche quando si sceglie una forma di comunicazione pudica come il diario; sì, la letteratura ci insegna che i diari più famosi furono redatti perché il pubblico li leggesse.”
E la malattia diventa anche uno strumento attraverso cui riflettere sul legame che la morte e la vita hanno con l’amore, la fede, la passione, la musica, la forza di volontà. Due sono i filoni principali del libro: il rapporto di odio/amore del musicista con la musica e la storia di amore del musicista con una donna sbagliata.
In conclusione l’autore sembra dire che “forse la malattia sia una condanna”, ossia la naturale punizione per non aver saputo affrontare in modo equilibrato e consapevole qualche cosa nella nostra vita.
La scrittura di Marai è limpida, lucida, precisa, acuta, profonda, potente, malinconica e suscita una emozione profonda. L’introspezione dei personaggi attenta e minuziosa. Ogni frase, pensata e ponderata, è certamente frutto di una notevole meditazione interiore. Il romanzo mi ha assolutamente catturato dall’inizio alla fine, nonostante il procedere della storia sia abbastanza lento. E’ un libro che va apprezzato leggendolo lentamente per apprezzarne tutte le sfumature della scrittura.
Sorprendente rilettura di un libro molto affascinante, davvero bello e profondo. Qui la scrittura di Marai è al meglio. Un capolavoro.
Un celeberrimo musicista, di amabile riserbo, è misteriosamente scomparso dalle scene. I primi due capitoli hanno un carattere introduttivo, in un clima di giallo d'autore. Poi il fulcro d'interesse si sposta in una clinica di Firenze, nel 1939, con l'artista ricoverato, due medici e quattro suore infermiere. Un caso clinico decisamente speciale, enigmatico, con probabile attinenza alla sfera psico-somatica, forse esistenziale : "quella notte era accaduto qualcosa (...) qualcosa aveva avuto inizio".
I confini ben presto si dilatano : "cominciavo a capire che dietro la 'terapia' e la 'guarigione' succedeva qualcosa (...) che riguardava soltanto me". E' l'occasione per sperimentare "una condizione di assenza del desiderio", "di coscienza della realtà informata dalla gratitudine e e dall'umiltà", una condizione che "assomiglia alla felicità" . La consapevolezza che "la vita diventa un veleno se non crediamo in essa, quando non è che un mezzo per saziare la vanità, l'ambizione, l'invidia" .
Nobody writes books like that anymore. How fortunate that we can still read them! These are difficult novels, requiring concentration and dedication, but worth every single drop of appreciation.
The last thing you can expect from a book by Sándor Márai, is that it will be as obvious as its title. The very identity of the titular “Sister” turns out to be, if not the premise for the story, then at least a cause of many sleepless nights for the main character who, as part of this convention on the pages of this novel, will function only as Z. This is not the end of dissembling, which seems to be a deliberate move by the author. Peculiar circumstances from almost the beginning determine progress in this story; from the ambiguous exposition to the disturbing events precipitating the main twist in the story, to the forced hospitalisation and everything it entails.
We are able to meet the main character, once a sought-after, outstanding pianist, unexpectedly disappears from the musical scene of pre-war European high society without a sound or ripple, both from within and from without. Z. is first introduced by another individual, whom we initially think the main protagonist, only to take over the scene via his own writings in a form of a memoir, which constitute an integral part of the book.
Z. is recounting the events taking place a few years earlier in Florence. At that time, Z. experienced an existential crisis, when he succumbed to a mysterious illness, as nameless as himself. Here begins a meticulous study of the disease, its symptoms, treatment, and ramifications. From now on the musician’s reality is suffused with an amalgam of suffering, morphine intoxication, and the hospital regime, something between an ascetic paradise and a pristine inferno. Other figures are introduced, those of doctors and nurses, who are religious sisters. It is precisely the four sisters who have a special role in the recovery of the famous patient.
It is a philosophical study of a sick man, so to speak. Do not expect particulars, diagnoses, and other medical details. These are scant and even if they appear, accidental or intentional (?) inaccuracies in the names render them obsolete. In the end, we are reading about a morphine addict. Meanwhile, Sándor Márai floats above such mundane, pragmatic matters and instead he focuses on sensations and senses, perceptions and projections, skillfully moving between suffering and offering. “Sister” has much to offer in this regard; explains the illness and its causes in its own way through allegories to artistic passion, love, lies and deceptions.
The language, as usual when it comes to Márai, is magnificent, flawless, simply delightful. The story is captivating, though from a certain moment it is entirely focused on the inner states of the main protagonist. Sándor Márai gives into our hands subtle and sophisticated prose, and at times so intimate that it puts to shame the contemporary shenanigans of celebrity starlets who, when they bare their lives naked, reveal only emptiness.
While “Sister” is not my usual playing ground, I read it enticed by the incomparable Mr de Vries who believes that my penchant for fantasy is some medical condition that can surely be cured if only I start reading “normal books” and not “your dragons, elves and other fables, dear” (recently, I introduced him to unicorns, he found the idea very offensive). And if even I, the reader of low-literature wannabes, can enjoy a book as dense ad this one, it means that high literature has its own magic. And I do believe Sándor Márai to be a magician of words. Thus, my heartfelt recommendation to try his spells.
Un’altra grande dimostrazione della grandezza di Márai: un viaggio nel dolore di una malattia invalidante, tra morfina, paralisi, delirio e lucida consapevolezza. Una discesa all’inferno e ritorno, sotto la guida di quattro “angeliche ruffiane”, unici personaggi ad avere un nome nel romanzo. Un’analisi profonda, a tratti forse un po’ prolissa, della sofferenza fisica e di quella morale di un amore non realizzato se non attraverso la seduzione esercitata dalla musica.
Leí esta novela breve hace más de quince años, estimulado por la fascinación que me produjo El último encuentro.
El término de hermana no se refiere a un familiar, sino a una monja, quienes fueron las primeras enfermeras, tal es así que en algunos lugares a las enfermeras se las sigue denominando de esa manera. La primera enfermera de profesión fue la británica Florence Nightingale, que asistió a los heridos en la Guerra de Crimea, y es considerada la fundadora de la enfermería profesional.
No recuerdo gran cosa, salvo que la novela está rodeada de una sensación de extrañeza, posiblemente provocada por la enfermedad (fiebre) del narrador (o tal vez mío).
Tiendo a confundirla con La extraña, que leí por la misma época. Ninguna de ellas dejó una impresión muy durable, evidentemente. De todos modos, como siempre, tiene la muy buena narración de Marai.
Sándor Márai não me é desconhecido, afinal, já é o terceiro livro que leio do autor. E para quem já leu outros livros deste autor húngaro, já sabe com o que pode contar em termos do seu estilo de escrita. Livros curtos, mas densos, que retratam inquietações humanas de forma original e profunda, quase como se fossem estudos filosóficos sobre uma temática. Escrito em 1946, já no pós-guerra, este romance ainda revela as marcas dessa época, uma vez que a narrativa se passa durante o período da guerra e antes dela, para descrever determinados contextos e estados de alma que influenciam cada personagem.
Inicialmente, temos um encontro entre a personagem principal, Z., e o narrador da primeira parte do livro. Conhecidos de longa data, mas que não se falam há muitos anos, encontram-se por acaso num hotel isolado nas montanhas por conta do mau tempo na altura do natal. Aí, Z. revela que padeceu de uma doença misteriosa que acabou por afastá-lo dos palcos e o atirou praticamente para o anonimato. Após este encontro, e passados alguns meses, o narrador do livro receber um manuscrito no qual Z. relata aqueles meses depois de adoecer, em Florença.
Não sabemos muito sobre a doença de Z., mas isso também não é importante. Neste manuscrito temos reflexões sobre a vida e a morte, a doença, a solidão, a sanidade e a loucura, a paixão, as mentiras, o amor, quase como se a doença fosse uma manifestação de uma crise existencial vivida pelo protagonista e que o forçou a parar para avaliar a sua vida. Por isso, apesar de curto, este é um livro denso com um grande carácter existencialista e algo filosófico, através das discussões que Z. tem com o seu médico e com as pessoas que tratam dele quando está internado.
Não é um livro fácil de ler, exige atenção, concentração e disponibilidade mental para o entender no seu todo. Márai consegue criar um tipo de atmosfera que nos coloca imediatamente num determinado local e estado de espírito para interiorizarmos, em nós, as inquietações das personagens, fazendo com que nos questionemos com elas. A certa altura, o livro é só sobre os pensamentos e os estados mentais de Z., tornando esta narrativa profundamente intimista e até solitária, por vezes.
Gostei deste livro pelas questões que coloca e que nos põem a pensar também. Eu acho que Sándor Márai tem uma escrita algo enigmática, que esconde significados para além da palavra escrita e eu gosto bastante disso, por nos revelar verdades que não são assim tão óbvias. No entanto, não consegui criar ligação com a personagem principal e isso é muito importante para mim, uma vez que é através das personagens que eu começo a criar uma ligação ao próprio livro.
Não é que a personagem esteja mal construída ou seja inverosímil, eu é que não me identifiquei com aquele estado de Z., apesar de ter gostado das reflexões que o seu estado convida. Lembrei-me muito do Johnny Got His Gun, do Dalton Trumbo, que não consegui ler por ser muito claustrofóbico e, de certa forma, senti um pouco isso neste livro também, uma vez que passamos muito tempo na mente de Z., numa cama de hospital durante vários meses, quase sem se conseguir mexer, num quarto que só tem uma janela que dá para um muro. O ambiente é muito fechado, tanto a nível exterior como interior, e isso mexeu comigo durante a leitura, de vez em quando até parecia que me sentia cansada e precisava de espairecer.
Mas os bens livros também fazem isso connosco: mexem com as nossas emoções e provocam reacções fortes que podem chegar a ser físicas. Se gostam da escrita de Márai, aconselho este livro. Se nunca leram nada dele, comecem antes pelo As Velas Ardem Até Ao Fim, que é belíssimo.
Marai si riconferma per me un narratore MERAVIGLIOSO (evocativo, profondo, intrigante...) Probabilmente mi ripeto, non è l'originalità dei temi che tratta ma la modalità con cui li tratta, che fa partire la riflessione...
Protagonista di questo romanzo è sicuramente la Malattia, da scrivere con la maiuscola in quanto connotata come un personaggio "solido", tangibile...
La Malattia si avvale dell'ottima compagnia di Dolore, di Vuoto, di Male di Vivere o forse di Viver Male di chi si concentra sull'inessenziale (tecnica, disciplina, manie perfezionismo scevre di passione), su relazioni sterili che hanno scarso senso di essere, e che, in ogni caso, non danno alcun senso, anzi avvelenano la vita di chi le vive... Chi mette in scena questi grandi temi, è Z. un pianista che, all'apice del successo, è preda di una malattia neurologica che gli impedisce i movimenti, che lo allontana dalla musica, ma che forse lo riavvicina alla vita ...
"La malattia ci dona esattamente quanto ci toglie"
Il percorso salvifico di Z. si compie tramite le cure instancabili di quattro sorelle e forse grazie all'estremo sacrificio di una di esse. Le sorelle vengono tratteggiate in modo talmente suggestivo da parere di averle davanti agli occhi nel loro muoversi incessante, nel loro accudimento continuo, nella loro cinica devozione nei confronti del malato, ovvero nel compimento della relazione di reciproca necessità che si crea tra chi cura e chi è curato...
A fine lettura mi sono chiesta: quale il messaggio di Marai tramite questo romanzo? Mi piace rispondermi così, citandolo: "Forse ci sarà chi leggerà questa storia come l'ultima composizione di un musicista, in cui la melodia è persino piu' importante del testo. La "melodia" non ha mai senso. Eppure esprime cose che a parole non si è capaci di esprimere."
E poiché ero già vecchio, e nella malattia ero ulteriormente invecchiato, sapevo di apprezzare appieno, con tutta l'anima, la forza e la grandezza di quella confessione. Talché le parole che i giovani si sussurrano all'orecchio, il balbettio ansimante con cui un uomo e una donna si mormorano il loro ardente segreto, tutto ciò appariva come un farfugliare imperfetto e primitivo a me che ancora una volta, dopo tante confessioni, menzogne, entusiasmi e illusioni, avevo vissuto l'istante nel quale un'anima, attraverso un corpo, chiama alla vita, con tutte le sue forze, un'altra anima... Sapevo che era quello il miracolo - l'unico miracolo possibile tra esseri umani.
Lo había empezado hace mucho y por fin lo terminé. Me gustó volver a leer a Marai, de inmediato recordé la capacidad que tiene para describir aspectos profundos de la vida de una forma tan comprensiva y amena. No es de mis favoritas, pero tiene unas partes muy buenas que perduraron en mi memoria a través del tiempo, como la relación de la perfección vs la pasión en la música y la relación del enfermo con el cuerpo. Lo que me resultó interesante fue la relación de la enfermedad y la historia personal del protagonista, me gusta que se haya abordado de forma reflexiva y que invite a ver la enfermedad más allá del diagnóstico, además descrito de forma sensible y cercana. 👍
Aquí una cita que me gustó : " Me había extraviado de la música en los ejercicios, en la ansia de perfeccionamiento, en la atención escrupulosa a los detalles :si, había muy poca gente que, como yo, se dedicará a la música con tanta imparcial fidelidad, que sirviera a la música con tanto sacrificio físico y espiritual. Sin embargo había perdido su esencia divina, su suprema vibración (...) ".
È mia precisa e ferma volontà recuperare qualsiasi cosa abbia scritto Sandor Marai e devo dire di essere a buon punto. Tra le diverse letture fatte fino ad ora mi illudevo che non ci potesse essere un libro superiore a Le braci, forse il mio libro preferito in assoluto, ma ecco che il buon Marai arriva a smentirmi con La sorella. Ho amato tutto a partire dalla storia, dalla solita prosa “Maraiana” elegante e fluente, dalla profondità di pensiero, dagli argomenti trattati, dalla musica alla spiritualità, dalla medicina alla psicologia.. che dire?! Si, in qualcosa questo libro è superiore a Le braci e mi lascia completamente estasiata. Le pagine in cui il musicista Z descrive le sue reazioni alla morfina sono incantevoli .. Chapeau Sandor, for ever yours..
(PT) Z. um famoso pianista, vai a Florença para um concerto quando é acometido por uma doença, que o deixa na cama, a tal ponto que fica em risco de vida. No meio das injeções, ouve vozes que, aparentemente, o fazem com que não desista e saia do seu estado.
Anos depois, numa estância de montanha, e durante as férias de Natal, conhece o narrador, que depois de terem testemunhado o suicídio de um casal, lhe confia um manuscrito sobre os seus dias de doença em Itália, onde conta as suas impressões.
Muito bom. Desde que li As velas ardem até ao fim, quis conhecer melhor as obras deste escritor, é o terceiro livro que leio de Sándor Márai e como nos anteriores são livros que nos fazem refletir sobre algo, neste caso sobre a doença e a cura da mesma. Temos influência, quer numa, quer noutra? Um pianista famoso, que sempre viveu para atingir a perfeição na sua arte, fica gravemente doente, vamos acompanhar, durante os meses de isolamento no hospital, a sua relação com a doença, as dores agonizantes, a morfina e as conversas com os médicos, tudo isto nos leva à reflexão.
Lamentablemente el libro no fue de mi agrado, el mundo onírico que nos presenta el autor no logró atraparme, los personajes me parecieron poco naturales y planos, no es algo que recomiendo en lo personal, pero para quienes disfrutan un mundo onírico centrado exclusivamente a las interrogantes surrealistas, entonces denle una oportunidad, pero en lo que respecta a mi, no lo recomiendo.
Romanzo incentrato sul tema della malattia. Malattia improvvisa, senza nome e di origine sconosciuta. La tesi è suggestiva: si cade in una seria patologia non tanto per colpa di questo o quel germe infettivo, di questa o quella cellula impazzita. Ci si ammala perché malata è soprattutto la nostra vita, la nostra anima. “Forse la malattia è una condanna”, dice il protagonista, un famoso musicista magiaro. Una punizione per non aver saputo/potuto affrontare in modo equilibrato e consapevole un qualche deragliamento della nostra vita, per non aver voluto affrontare a brutto muso la “menzogna”. "La menzogna (...) è quella che fino al giorno prima si chiamava lavoro, o dovere, o ambizione, o amore, o famiglia. Ci vogliono mille, diecimila giorni e notti, affinché in un corpo, e al suo interno in un sistema nervoso, nei centri sensori, quella menzogna si trasformi nell’unica insopportabile realtà; finché un giorno l’organismo, l’intero individuo, con un atroce rantolo, si mette a urlare al mondo sotto forma di malattia." Libro scaricato quasi per caso, a scatola chiusa. Non ne conoscevo né la trama, né la tesi di fondo. Adesso che l’ho letto, potrei integrarlo con un “saggio” tutto mio, da autentica esperta. Pubblicato da Amazon il 3 maggio 2012. Mi aspettava. ------------ * Sándor Márai, La donna giusta
Il romanzo di Sandor Màrai ci trascina nel cuore dell’esistenza di Z., un pianista la cui vita viene sconvolta da una malattia improvvisa e misteriosa che lo inchioda a un letto d’ospedale.
Z., abituato a vivere attraverso la musica, si ritrova improvvisamente prigioniero di un corpo che non gli obbedisce più. La sua arte, la sua identità, vengono strappate via, lasciandolo a combattere una battaglia silenziosa contro l’ombra della malattia che divora non solo il suo corpo, ma anche il suo spirito.
In quella stanza d’ospedale, lontano dal mondo e dal suo passato, Z. si aggrappa ai ricordi come a un’ancora in un mare in tempesta. Tra questi, emerge con dolorosa chiarezza l’immagine di E., una donna che ha amato profondamente, sebbene il loro legame non abbia mai trovato compimento.
Questo amore inespresso, che rimane solo un sussurro tra le pieghe della sua memoria, diventa una ferita viva, un rimpianto che lo tormenta nell’oscurità delle notti insonni. Z. è solo, prigioniero del proprio dolore, incapace di fuggire dai pensieri che lo assillano e dalla consapevolezza che la sua vita, così come la conosceva, sta scivolando via.
Màrai descrive la malattia con una delicatezza crudele, esplorando la sofferenza non solo come una condizione fisica, ma come un lento disfacimento dell’anima. Z. è un uomo spezzato, che vede tutto ciò che amava e che lo definiva come persona sgretolarsi davanti ai suoi occhi.
Eppure, in questo abisso di disperazione, c’è una speranza sottile, quasi impercettibile, che si insinua tra le righe. Anche quando tutto sembra perduto, Z. trova in sé una forza nascosta, una luce fievole che lo guida attraverso il buio.
“La sorella” è un romanzo che esplora il dolore più profondo con una delicatezza rara, trasformandolo in una sorta di catarsi. L’autore ci porta attraverso l’oscurità, ma ci lascia intravedere una luce lontana, un’idea di rinascita che, pur fragile e quasi invisibile, persiste.
Il romanzo, a mio avviso, si erge come un tributo alla dignità del malato e alla forza interiore che si scopre quando tutto sembra perduto.
Marài è uno scrittore unico, capace di prendere storie lontanissime da me, da noi, e renderle vivide e tangibili solo con la forza delle parole.
"Forse ci sarà chi leggerà questa storia come l'ultima composizione di un musicista, in cui la melodia è più importante persino del testo. La melodia non hai mai 'senso'. Eppure esprime cose che ha parole non si è capaci di esprimere."
"Wszystkich rozumie: chorych, którzy nie chcą być zdrowi i zdrowych, którzy chętnie zachorują, poniewaz nie są w stanie unieść odpowiedzialności za zdrowie i życie". W 1946 roku Sandor Marai publikuję te nie wiedzieć czy powieść, czy wspomnienie, o tym jak wiele w życiu człowieka może zmienić powiernictwo brzemienia w przyjaźni nawiązanej w górach. Opowieść o roli lekarza, o neurologu specjaliście który opuka i zdiagnozuje, o lekarzu profesorze którzy złączy prowadzenie terapii z dialogiem z pacjentem i o asystencie-rezydencie-szamanie, który ukazuje wiele warstw choroby.
Opowieść o tym jak w 1940tych friendzona mogła być równie toksyczna jak dziś, kiedy o toksycznych relacjach damsko-męskich piszę się jeśli już to z perspektywy krzywdzonych kobiet. O tym jak złe skutki może dla mężczyzny mieć relacja z zimną kobietą ni to kochanką ni to towarzyszką intelektualnych romantycznych zachwytów, niby muzą niby przyjaciółką. Wreszcie o chorobie, o odnalezieniu się i zagubieniu, o ćwiczeniu w doskonałości i utracie sprawczości. Pomiędzy górskimi oknami, florenckimi pasażami i szwajcarskimi szpitalami przewija się cień demontażu kultury Europy: "Świat w ostatnich latach słuchał zupełnie innych, potwornych melodii".
Polecam, ksiązka napisana jest doskonale, wewnętrzne przeżycia oddane są w seriach wciągających monologów, które ustępują tylko i wyłącznie jeszcze lepszym dialogom między bohaterami intelektualistami kończącego się porzadku.
En La Hermana, Marai, como Thomas Mann antes, establece un paralelo entre la enfermedad del individuo y el deterioro de Europa, entonces en las garras del fascismo. La novela se abre sobre el doble suicidio en Nochebuena de una pareja ilegitima en un hotel perdido en las montañas de Transilvania. Desde el primer instanto, el tono es oscuro y la atmósfera cargada y amenazante. De a poco el relato se enfoca en el personaje de Z, famoso pianista retirado, reconocido sólo del narrador, narrador que luego se borra para dejar lugar al manuscrito de Z, el libro en el libro.
Testigo y cronista desesperado de la desaparición del mundo burgués del siglo 19, Marai pasea su lector de un hotel en Rumania a un hospital en la Italia fascista, pasando por embajadas en Hungría o Grecia. Una condición itinerante, pero siempre por lugares interiores, cerrados, donde se dan conflictos y reflexiones internas.
Z es la figura del artista, el representante de la cultura, impotente frente a la barbarie. Desde el principio de su relato, se presenta como un artista en crisis, ya desconectado de su arte:
“Me había extraviado de la música en los ejercicios, en el ansia de perfeccionamiento, en la atención escrupulosa a los detalles: sí, había muy poca gente que, como yo, se dedicara a la música con tanta imparcial felicidad, que sirviera a la música con tanto sacrificio físico y espiritual. Sin embargo había perdido su esencia divina, su suprema vibración.”
En ese contexto, Z se entrega con pasión a la enfermedad y la prosa introspectiva y sensual de Marai describe en detalles el goce ambiguo del dolor, el esperado ritual de la morfina, las “citas químicas” y el sentimiento de extrañeza a sí mismo y al mundo. Alrededor del músico enfermo se desenvuelvan otras figuras de un mundo desromantizado y decadente: suicidas, secuaces del régimen fascista, chamanes fracasados y mujeres lejanas, frígidas y peligrosas.
TRAMA Siamo all'inizio della guerra quando, in un'Italia ancora neutrale, il musicista di fama mondiale Z. raggiunge Firenze per tenere un concerto, senza sapere tuttavia che quello sarà l'ultimo concerto della sua vita. Veniamo infatti a sapere, fin dalle prime pagine del libro, che Z. non è più in grado di suonare, a seguito di una tanto grave quanto misteriosa malattia che lo ha colpito proprio durante il viaggio a Firenze. Attraverso le memorie lasciate da Z. viene ricostruito l'intero decorso della malattia, l'improvvisa manifestazione dei sintomi prima, e i lunghi mesi passati in clinica in balia delle cure delle sorelle.
"La sorella" non è stata una lettura facile, non lo è stata perché mi sono trovata a dover affrontare tutta l'angoscia della malattia, in quanto Márai non risparmia al lettore nessun dettaglio sullo stato d'animo del protagonista di fronte al dolore, e riesce invece con le proprie parole a far interiorizzare al lettore il male di Z.
Uno dei maggiori interrogativi posti nel romanzo riguarda la natura della malattia e la sua formazione. Per Márai la malattia fisica è solo la manifestazione esterna della malattia dell'anima, di quel male di vivere che non permette di condurre una vita autentica ma costringe a nasconderci dietro espedienti (che siano essi la musica, il lavoro o l'amore), in quest'ottica la malattia non è altro che l'espressione che dà voce alla menzogna. Quando la menzogna viene scoperta, nel caso del protagonista ciò accade nel momento in cui prende fisicamente le distanze dalla propria vita "malata", ormai è troppo tardi e Z. è lucidamente conscio della scissione avvenuta tra la vita condotta fino a quel momento e la nuova e diversa vita che lo aspetta da ora in avanti.
Ma se la vita è una menzogna e la malattia porta via la speranza di farvici ritorno, cosa spinge il protagonista verso la guarigione? È qui che entra in gioco la sorella citata nel titolo, sarà infatti una di queste figure riservate e piene di abnegazione, con il proprio amore puro e senza secondi fini, ad infondere in Z. la forza e determinazione necessaria per tornare a vivere.
Una malattia che si nasconde; sciamani e ombre bianche e nere.
"- [...] finché un giorno l'organismo, l'intero individuo, con un atroce rantolo, si mette a urlare al mondo sotto forma di malattia quella menzogna, che nel frattempo si è tramutata in una intollerabile sensazione di panico. Urla che non tollera più il proprio ambiente, o la propria vanità, o la routine con cui ha cercato di stordire, come un narcotico, il vuoto esistenziale; che non tollera più quell'esercizio meccanico in cui si è trasformato il talento che Dio gli ha donato. E allora geme, e urla, ed è assalito dalla nausea come se l'avessero avvelenato. [...] - E cosa può fare lei, il medico, quando di notte entra in una casa estranea dove, sotto forma di un calcolo renale, sente urlare la menzogna di una vita? O il talento che si è inacidito nella noia e nella disgustosa meccanicità dell'esercizio? Scosse il capo con un gesto senile, pudico: - Gli palpo l'addome. E poi gli prescrivo un farmaco."
Una novela con grandes reflexiones acerca del arte, la enfermedad y la relación entre los pacientes con sus médicos y enfermeros. Pero se siente demasido lenta, talvez si hubiera una mejor condensación de la trama y se le eliminaran una cuantas paginas mejoraria demasiado.
«Prima di tutto» e alzò l’indice giallo di nicotina «perché non si deve mai ritornare da una persona dalla quale ci siamo allontanati definitivamente. È una regola di vita. Ci sono pochissime regole di vita, e questa è una. Certi ritorni sono pericolosissimi».
Opowieść o znanym kompozytorze, który zapada na tajemniczą chorobę. Historia o tłumionych namiętnościach i skutkach nieprzemyślanych porywów serca. Uwielbiam sposób, w jaki Marai snuje swoje opowieści, gdzie stawia akcenty i jak portretuje ludzi. Warto sięgnąć po tego węgierskiego autora.
"Forse ci sarà chi leggerà questa storia come l’ultima composizione di un musicista, in cui la melodia è più importante persino del testo. La melodia non ha mai “senso”. Eppure esprime cose che a parole non si è capaci di esprimere." In questo ancora una volta Márai si dimostra un vero maestro, nel comporre con le parole una melodia capace di prendere il sopravvento su tutto, anche quando, come in questo caso, ogni nota altro non è che un grido di dolore. Questo piccolo, prezioso esperimento di partitura letteraria si compone di due parti, la prima delle quali si svolge in un remoto rifugio di montagna, dove in piena guerra mondiale un gruppo eterogeneo di turisti, presi in ostaggio dal maltempo, si trova costretto a vivere gomito a gomito una strana notte di Natale. Tra di loro c’è il narratore ed il misterioso Z., celebre musicista ritiratosi dalle scene per via di un’altrettanto misteriosa malattia. Il “diario” di questo male e dei picchi di dolore che raggiunge va a costituire la seconda parte del romanzo, che procede un po’ per tappe: dal terrore di veder mutare di colpo la propria vita al disperato bisogno di dare un nome a questo nemico insidioso, dall’inaspettata scoperta di una resistenza che non si sarebbe mai creduto di possedere alla caduta in uno stato di assoluta indifferenza, perché la malattia in questo caso è fisica quanto morale, e la guarigione non può prescindere dalla forza di volontà. Pericolosamente coinvolgente sul piano emotivo (tanto da potersi sorprendere ad osservare le dita della propria mano con insolita attenzione), il romanzo mette in scena un dramma banale e nello stesso tempo commovente ed insondabile, perché quello che di straordinario manca nelle ore trascorse in un letto di ospedale, lo si ritrova in quel filo sottile che lega una persona all’altra. "Ogni profondo rapporto umano- amicizia, amore e quello strano legame che unisce, per la vita e per la morte, due nemici- comincia con la sensazione che qualcuno ci sfiori: una sensazione surreale, simile a quelle che si hanno in sogno. A un tratto, in mezzo alla folla estranea, ti sfiora uno sguardo, una voce, e ti senti svenire, ti sembra di aver già vissuto quell’istante e di sapere quello che poi accadrà, persino le parole e i gesti: ed è la realtà più seria e fatale, e al tempo stesso è come un sogno… Così cominciano i legami più importanti" 3* e 1/2
Descubrí a Sándor Márai por casualidad hace ya unos años con su libro "El último encuentro", una historia maravillosa escrita además de una manera tan delicada que me atrapó desde el primer momento. Casi hermano de aquel libro es este otro, escrito en la misma época y con ecos similares.
Es innegable la capacidad que tenía Márai para escribir con el alma para el corazón. Sus novelas hay que leerlas en clave centroeuropea (como Zweig o Mann) y siempre teniendo en cuenta que pertenecen a otra época en cuanto a paisajes y usos y costumbres, pero lo que en ellas se narra es atemporal y da igual en qué momento se lean porque su mensaje es universal y su vigencia permanente.
En 'La hermana' Márai nos envía a un hospital donde un artista muy reconocido debe recuperarse de una enfermedad repentina que le lleva a plantearse, mediante diálogos magistrales y de una profundidad moral y ética tremenda, el sentido de la vida, el poder salvador del amor y hasta la propia existencia de Dios. Y todo esto narrado con ese estilo tan delicado y maravilloso que hace que el lector quede mecido a merced de lo que Márai quiera.
"Para amar no hay que se guapo, para amar no hay que ser listo, para amar basta un flechazo, un flechazo y estás listo..." 27
"Tuve que volver a admitir que la materia prima de mi oficio, la palabra, no es un elemento tan imprescindible de la comunicación humana como a veces suponen los escritores cegados por el orgullo; en momentos críticos, la gente capta la esencia con muy pocas palabras o incluso sin ninguna." 31
"En ese momento tan particular sentí que no había esperanza para los hombres. ¿Por qué esperar, pensé, por qué creer que grandes pueblos puedan entenderse, convivir en paz en las distintas regiones de la tierra, cuando todas las personas son víctimas desesperadas y causales de pasiones ciegas e impulsos irracionales?" 41
"Después de todo lo hablado, aquella reserva me hizo pensar que se arrepentía de su locuacidad. Como si lo torturara una especie de resaca. En ocasiones excepcionales a veces la gente, embargada por el -phatos- de una situación, revela en un arranque de sincera confidencia sus ideas más secretas ante desconocidos, y al día siguiente disimula —malhumurada y mostrando una reserva exagerada— el sentimiento de culpa que la martiriza a causa de su franqueza." 69
"Cuando una persona recrea con la pluma experiencias peronales siempre se está dirigiendo a un público, aunque opte por el género íntimo del diario; sí, la literatura nos enseña que los grandes diarios se han escrito para el público." 73
"...la calumnia tiene la particularidad de hacerse realidad aunque carezca de fundamento." 77
"...ya está harto de ese cuerpo y no piensa perder el tiempo buscándole acomodo en el mundo." 128
"...el ser humano es más infinito que su destino. Es más infinito, más intrépido, más dispuesto a todo..." 149
"...me sentí absolutamente tranquilo. ¿También feliz? No lo diría, porque ignoro en qué consiste la felicidad. Pero si la ausencia de deseos y el conocimiento agradecido y humilde de la realidad no se parecen a la felicidad, prefiero no llegar a conocer dicho estado de ánimo." 152
“—La mentira que el día anterior aún se llamaba trabajo o deber, ambición o amor, o vida familiar —prosiguió—. Han sido necesarios miles o decenas de miles de días y noches para que en el interior de un cuerpo, en su sistema nervioso, en sus sentidos, esa mentira se transformara en una única realidad insoportable, hasta que un buen día el organismo, todo el individuo, anuncia con un gemido penoso que la mentira se ha convertido en una intolerable sensación de pánico. Grita que ya no soporta su entorno o su propia vanidad, o la rutina con que ha pretendido tapar el vacío de su vida, que no soporta la mecánica repetición en que se ha transformado el talento que un día le fue concedido por Dios. Y entonces sigue gimiendo y gritando, porque ya no aguanta la mentira transformada en enfermedad. Y siente náuseas, como si lo hubieran envenenado. Y en efecto, lo han envenenado con un veneno pertinaz y desconocido incluso por los curanderos de los Médicis o los Borgia… La vida es veneno si no creemos en ella, si ya no es más que un instrumento para colmar la vanidad, la ambición y la envidia. Entonces uno empieza a sentir náuseas, como…” 179
“Maestro, su alma está sana, pero su cuerpo ha reaccionado a una mentira, a una especie de intoxicación. Y yo ignoro cuál es esa mentira que se ha ensañado con su cuerpo y su sistema nervioso. La mayoría de las veces no llegamos a aclararlo. El enfermo muere o se cura, pero sobre la mentira no llegamos a saber nada. Piense. Piense con más determinación que nunca, con más determinación incluso que ante el piano en una sala de conciertos repleta. No puedo recetarle la vida en forma de medicamento. Un día se levantará de esta cama… pero sólo cuando quiera hacerlo. Debe querer hacerlo; de lo contrario, a partir de esta enfermedad le sobrevendrán otros estados patológicos de los cuales, a su vez, surgirán nuevas enfermedades.” 183
“Las fantasías más mórbidas, las perversiones y los deseos sexuales descritos en los libros de psiquiatría desconocen la confianza que se forja entre un cuerpo enfermo y la persona que lo cuida. Porque los perversos, los insaciables, los impotentes, los que traspasan todo límite moral y estético, de algún modo, en algún detalle, se esfuerzan por conservar su personalidad; ése es el secreto que los diferencia, a lo que no renuncian, lo que son ellos y que los distingue de los demás. Pero el cuerpo enfermo no tiene secretos. La necesidad de evacuar, el dolor, la incapacidad, es un estado más desinhibido que la desnudez voluptuosa de los amantes, que la tierna unión entre madres e hijos; esta intimidad sobria y triste sólo puede surgir entre el enfermo y su cuidador. La enfermedad es un estado ancestral que desconoce el pudor.” 201
“...uno nunca debe volver con la persona de quien se ha alejado definitivamente. Es una de las pocas reglas inviolables de la vida. Esta clase de vuelta atrás constituye un peligro mortal. Usted ha dejado a esa mujer y se ha despojado de todo aquello que proliferaba malignamente en esa relación. Ahora se encuentra aquí, casi recuperado del todo, en condiciones de regresar al mundo. Así pues, ¿para qué querría volver a la enfermedad? ¿Qué espera encontrar allí? Es una necedad.” 222
“La superiora es una mujer excepcional que entiende de todo, particularmente del alma de los enfermos que no quieren estar sanos y de los sanos que prefieren enfermar porque no soportan la responsabilidad de la salud y la vida. Vivir exige mucha responsabilidad.” 250
“—Oh, vivir es una gran responsabilidad. Imagínaselo, vivir entre la gente… Muchos no lo soportan. ¡Cuántos intereses! El tedio, la vanidad, la ambición, los sentidos; y detrás de todo, la muerte… ¿Quién puede soportarlo sano siempre, durante toda una vida? Pocos, muy pocos.” 250
Me ha pasado otras veces con el autor (por ejemplo, con la Mujer Justa). Difícil valorarlo. No puedes dejar de leerlo y, a la vez, no lo encuentras especialmente relevante. Reflexión sobre la enfermedad, las relaciones personales y la muerte. Un estilo sobrio. Típico libro que crees que olvidarás pronto. Sin embargo te asaltan detalles de su lectura tiempo después.