Alto o basso, aulico o prosaico, formale o colloquiale, disadorno o ampolloso: l’italiano può assumere così tante forme da sembrare, alla fine, inafferrabile. Più che una lingua unica potremmo definirlo una coralità, una polifonia: il suono di un’orchestra. Chiunque si trovi a scrivere un testo – per tradurre il più ardimentoso degli autori o dire quello che vuole dire, per mandare un messaggio o chiedere un permesso aziendale – deve fare i conti con un complesso sistema di regole, tradizioni e usi che chiedono incessantemente di essere aggiornati. C’è la lingua imparata a scuola, quella delle serie televisive, quella burocratica e quella gergale. La lingua assimilata da bambini e quella assorbita dalla lettura delle grandi opere letterarie. Il risultato è un mondo di parole appartenenti agli ambiti più diversi: regionalismi, dialettismi, echi romanzeschi, vocaboli ed espressioni tipiche di un determinato gruppo sociale, lessici specialistici e voci che rimandano a differenti posizioni ideologiche. Un insieme variegato che siamo spronati a comporre e ricomporre, seguendo le regole o, a volte, trasgredendole con fantasia. La lingua è un’orchestra di Mariarosa Bricchi è uno strumento indispensabile per chiunque voglia cimentarsi nella scrittura dell’italiano: tra documenti storici e linguaggi del web, l’autrice ci mostra i molti modi di costruire una frase, i giochi combinatori possibili e quelli impossibili, le antilingue, gli strascichi della «congiuntivite» di cui l’italiano si è ammalato, gli accorgimenti per maneggiare correttamente la punteggiatura. Un viaggio da affrontare insieme a maestri e autori contemporanei che hanno passeggiato nella lingua muovendosi tra limpidezza e oscurità, come Manganelli e Primo Levi, Gadda e Walter Siti, Manzoni e Beppe Fenoglio – ma anche Joyce e Joan Didion, Jane Austen e Philip Roth nelle voci dei loro traduttori: insieme a tutti loro Mariarosa Bricchi rivela la chimica, i prodigi e gli orrori di chi scrive nella lingua più bella del mondo.
Dopo la prefazione pomposa e "fastidiosa", il libro offre una buona panoramica sulla storia della lingua italiana in maniera diacronica. Inoltre, sono presenti alcuni aneddoti di traduzione editoriale. Consigliato per chi ne vuole sapere di più sull'italiano più che sulla traduzione.
Un libro utile e di cui rileggerò alcune parti molto spesso. Incredibilmente preciso senza mai essere noioso o prolisso. I temi affrontati secondo me sono anche molto vari.
Banalotto fino al quinto capitolo perché davvero non sapeva se essere una grammatica oppure un manuale di traduzione.
Il quinto capitolo, invece, faceva al caso mio: una delle mie ex studentesse mi ha chiamato dicendo che i suoi professori dell'uni le dicono che fa tanti errori di grammatica quando consegna i pochi testi che gli universitari devono scrivere oggigiorno. Contando che è uscita con il cento (in anno di Covid, come ci tiene a precisare) e l'anno prossimo deve fare la sua prima tesi, non è un buon viatico.
Il suo stile di scrittura è come quello descritto dall'autrice nel capitolo cinque. Egli ed ella da tutte le parti. Frasi convolute che si perdono tra participi e gerundi. Un sacco di passivi inutili...
[E che caspita, convoluto non esiste in italiano nel senso che volevo dargli io, per descrivere un testo poco chiaro. Per la Treccani, le foglie del banano, che si attorcigliano su se stesse, possono essere convolute; i testi no. Però ci sono 45 occorrenze di "stile convoluto" su Google. Il che mi porta a dire, a spanne, che sia un calco dall'inglese.]
Comunque, per tornare a noi. Tutti segni che lo scrivente ha poca dimestichezza con la lingua scritta ed è incerto su che registro usare.
Dal quinto capitolo in poi, specialmente i paragrafetti finali, il volume migliora e raggiunge tranquillamente le tre stelline.
Più che una grammatica per traduttori, lo considerei una sorta di mini manuale di linguistica e di lingua italiana adatto anche al pubblico ampio che fornisce anche qualche consiglio sulla traduzione. Per gli "addetti ai lavori" o per chi ha studiato lingue non dice niente di nuovo secondo me. Non è male e credo appunto che sia interessante per chi non ha mai affrontato queste questioni, ma personalmente ho deciso di mollarlo perché è un po' la solita minestra per me. Per chi è interessato più al tema della traduzione, in particolare letteraria, consiglierei piuttosto "La voce del testo" di Franca Cavagnoli.
Un libro davvero utile per scrivere e parlare con consapevolezza, direi indispensabile per chi con la lingua italiana ci lavora. Spiegazioni semplici ed efficaci, esempi di buona letteratura, di buone traduzioni, di buone revisioni (e anche meno buone, tutte e tre) e commenti puntuali lo rendono un manuale che si legge con piacere e che riesce nel proprio intento di restituire in pieno il senso del suo bellissimo titolo.
Non è un manuale di traduzione, non è un manuale di scrittura e non mi pare che sia neppure una “Piccola grammatica italiana per traduttori (e scriventi)” come recita il sottotitolo. Che cos’è, dunque? Non saprei definirlo. Così come non saprei definire che cosa mi resta dopo averlo letto: non mi pare che contenga materiale che non si possa trovare altrove (per di più scritto meglio e di maggiore aiuto). Qualche aneddoto storico interessante sì, ma alla fine – mi ripeto – che cosa mi resta?