Nel 1993 l'Italia fu sconvolta da un caso di omicidio familiare senza precedenti: Rosalia Quartararo uccise la figlia diciottenne e ne occultò il cadavere in una roggia della Bassa lodigiana. Per gli inquirenti il movente fu passionale: la donna si sarebbe innamorata del fidanzato della giovane e, in preda a un furioso attacco di gelosia, avrebbe eliminato la "rivale" con ferocia inaudita. Rosalia fu condannata all'ergastolo e inserita nei trattati di criminologia tra le assassine più spietate. Per cancellare l'etichetta di mostro attribuitale dai media, Gianluca Arrighi ne ha ricostruito la complessa vicenda processuale cercando di rispondere a una domanda cruciale: cosa scatta nella mente di una madre che uccide la figlia? Con una prosa secca e incisiva Arrighi accompagna il lettore nella difficile esistenza di Rosalia, tra Palermo e Milano, costellata di drammi e violenze, fornendoci uno spaccato della vita carceraria femminile, segnata dai soprusi e dall'indelebile marchio d'infamia che bolla le detenute figlicide. Questo doloroso viaggio ci obbliga a fare i conti con la sofferenza di una donna che in vent'anni di reclusione è morta giorno dopo giorno schiacciata da strazianti sensi di colpa, ma che è tuttavia riuscita a trovare una speranza e una possibilità di redenzione in un luogo dove vige una legge primordiale e inviolabile: quella del vincolo di sangue.
Libro veramente buono, ben scritto, carico di umanità e di considerazioni rilevanti riguardo alla corretta interpretazione della parola “giustizia”, ma terrificante per il tema trattato e per gli ambienti frequentati. Genera sicuramente interesse, ma anche sensazioni fortemente contrastanti. E orrore, chiaramente.
Non è un giallo, non è un legal thriller, è una storia vera, è cronaca, di quella nera che più nera non si può. E dolorosa più che mai.
Non conoscevo il caso (non ho mai letto molto i giornali e la televisione è stata sempre un optional per me), ma delitti così efferati mi sono sempre risultati, e lo sono ancor oggi, incomprensibili. Tra un capitolo e l’altro mi sono documentata e ho letto diversi articoli dell’epoca. I media, più morbosi che mai, non si sono certo risparmiati particolari e conclusioni. Agghiacciante!
Non deve essere stato facile per Arrighi affrontare una situazione del genere. A lui va tutta la mia stima. Soprattutto come persona e come avvocato. Ma anche come scrittore, perché è in questo ruolo che ho avuto il piacere di fare la sua conoscenza. Mi auguro di non incontrarlo mai come penalista...
Buon lavoro, Gianluca!
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