“Di questo mondo e degli altri” (Feltrinelli, 2013) raccoglieva una parte delle cronache scritte da José Saramago tra il 1968 e il 1969 per i giornali di Lisbona “A Capital” e “Jornal do Fundão”. Le cronache sono, come è noto, il primo regolare esercizio della prosa del futuro Nobel: vi si può scorgere, in filigrana, allo stato embrionale, quell’immenso tessuto finzionale dei romanzi, in cui la meravigliosa potenza dell’invenzione permette allo scrittore di sviluppare il disegno ardito di storie che comunicano una nuova visione dell’infinita ricchezza e pluralità dell’uomo e del mondo. È in tale prospettiva che vanno lette quelle lontane cronache, in cui, come afferma lo stesso Saramago, “c’è già tutto”. Valeva dunque la pena di continuare, con l’integrazione di quelle “storie” non contemplate nella precedente raccolta, quella straordinaria avventura, quel singolare viaggio, fino al termine, attraverso il mondo dei ricordi che l’autore ha fissato sulla carta, “perché non si perda nulla di quei minuti d’oro, ore che risplendono come soli nel cielo tumultuoso e immenso che è la memoria. Cose che sono anche, con il resto, la mia vita”.
José de Sousa Saramago (16 November 1922 – 18 June 2010) was a Portuguese novelist and recipient of the 1998 Nobel Prize in Literature, for his "parables sustained by imagination, compassion and irony [with which he] continually enables us once again to apprehend an elusory reality." His works, some of which have been seen as allegories, commonly present subversive perspectives on historic events, emphasizing the theopoetic. In 2003 Harold Bloom described Saramago as "the most gifted novelist alive in the world today."
Es la primera vez que leo un libro de José Saramago, aunque tuve un primer acercamiento con el escritor portugués hace años cuando me encontré para trabajar en el hotel Fataga de Las Palmas, Gran Canaria, lugar donde murió el escritor en 2010. El libro está lleno de capítulos que son desconcertantemente breves. Muchos de ellos son títulos atribuidos a relatos imaginativos, pero si se analizan por sí recogen cuál era la perspectiva de la vida del escritor Josè Saramago. Queriendo atribuir un adjetivo al libro Del resto e di me stesso diría que es introspectivo: desde este punto de vista, al leer el libro el lector asimila la cultura que el autor tiene enfrentado otros escritores portugueses. Dibuja paisajes o cosas imaginarias, que según el autor se mencionan para construir la estructura del libro. Cuando por otro lado el mismo supuesto está confirmando la propia capacidad como escritor: ya que podría ser un libro introspectivo y prematuro, en su controversia, Del resto y di me stesso podría titularse Lo qué será de mí. Juega mucho con el léxico y la ambigüedad que se puede atribuir a algunas palabras. Todo esto lo hace con historias, cosas o paisajes imaginarios.
En conclusión, a pesar de ser un libro escrito a través de su imaginación, editado con cierta calma y reflexión ante cosas que a veces ni siquiera existen, se percibe que el periodista y crítico Josè Saramago se nutre indirectamente del ansia que en el año 1998 le hizo ganar el Premio Nobel le Literatura.
“La vita, si sa, è fatta di piccole e minuscole incombenze. Scrivere è una di queste. Dal punto di vista di Sirio, neppure il viaggio dalla terra alla luna ha così tanta importanza. Ma mettere una parola dietro l’altra, qui sulla superficie della terra, e in particolare in questo cantuccio del pianeta è un atto molto importante. Positivo o negativo. […]. Questa parola speranza, con maiuscola o senza, sarà pertanto meglio cancellarla dal nostro vocabolario. Solo con gli esiliati e i proscritti, che si sono confortanti alla proscrizione e all’esilio devo usarla in mancanza di meglio. Dà loro consolazione e sollievo. I non rassegnati hanno una parola più energica: volontà.” “L’anno va trascorrendo tranquillo tra notti e giorni, tra nuvole e sole, e quando meno ce l’aspettiamo, arriviamo alla fine ed è natale. Per increduli impenitenti quale io sono, l’evento non ha più tanta importanza: è una delle trecentomila date stabilite, di cui si servono intelligentemente i religiosi per ravvivare credenze che col passare del tempo diventerebbero lettera morta o acqua fresca. Ma il Natale (come le prime rondini, il carnevale, l’inizio della scuola, e altre effemeridi del genere) è sempre pronto a cogliere le carenze del cronista perché si ripetano, per la miliardaria volta, le banalità abituali […].” Si tratta di una raccolta di cronache pubblicate nella seconda metà degli anni sessanta, alcune delle quali non sono state per me facilissime e ho dovuto leggerle più di una volta. Questi sono due stralci, tratti da due diverse cronache contenute nel libro, dalle quali si comprende perfettamente la straordinaria capacità narrativa di Saramago nel descrivere fatti, servendosi dell’ironia. È proprio grazie all’ironia che lo scrittore consente al lettore di immergersi in un viaggio nella società cogliendo le condizioni di vita dell’uomo come singolo, in rapporto alla società, alla tradizione, allo Stato. Saramago è sicuramente e si conferma, uno dei miei scrittori preferiti. Consigliato! 🪐
Saramago è sempre una garanzia. Una raccolta di cronache di vario argomento e scritte in diverse occasioni ma rese coerenti da una unità di pensiero di fondo, dalla felice scrittura di Saramago che a volte ci fa sorridere con la sua brillante ironia ma molto più spesso ci fa riflettere: su noi stessi, sulle contraddizioni di ogni uomo e di ogni giorno, sulle fragilità della natura umana e sulle sue meraviglie, grazie alla profonda umanità di cui sono intessute tutte le pagine della sua produzione.