La biografia del santo di Pietrelcina scritta da Antonio Pandiscia, considerato "il" biografo di Padre Pio. Prefazione di Alberto Bevilacqua.Padre Pio da Pietrelcina divenne novizio cappuccino nel 1903, all’età di 15 anni. Ordinato sacerdote nel 1910, poco dopo ricevette il dono delle stimmate. Ai dolori fisici e ai tormenti spirituali si alternarono i conforti di Gesù: dapprima solo voci, poi vere e proprie apparizioni. Presto la notizia si diffuse e il convento di San Giovanni Rotondo divenne meta costante di pellegrinaggio da parte dei fedeli, che gli attribuirono grazie, conversioni e guarigioni inattese. Nel 1956 diede vita alla Casa Sollievo della Sofferenza, importante struttura sanitaria di elevata specializzazione. Autore di un cospicuo epistolario, Padre Pio si spense il 23 settembre 1968 all’età di 81 anni. Giovanni Paolo II lo proclamò beato il 2 maggio 1999 e santo il 16 giugno 2002.
Non è una biografia esaustiva e dettagliata, e alcune parti sono noiose perché l'autore ripropone articoli scritti da lui per vari giornali e pubblica anche lettere di encomio indirizzate a Padre Pio da politici e religiosi dell'epoca. Dopo i primi capitoli ci sono quasi esclusivamente scritti o testimonianze che elogiano Padre Pio. Il tutto manca quindi anche di scorrevolezza. Ho notato anche un leggero egocentrismo dell'autore che più di una volta sottolinea la sua vicinanza e amicizia con Padre Pio. Alla fine del libro c'è persino la lettera in cui ad Antonio Pandiscia, l'autore, viene concordata la cittadinanza onoraria di San Giovanni Rotondo. Che ci azzecca con Padre Pio? Non lo so. Era necessario aggiungerla? No. C'è anche una lettera che esalta la religiosità e la fede di un fratello dell'autore. Anche questa c'entra ben poco con Padre Pio tranne per il fatto che il fratello dell'autore era un grande devoto del santo. Il fratello era stato nominato in un capitolo precedente e penso fosse sufficiente. Un'altra cosa che non ho apprezzato è la morbosità giornalistica dell'autore. Spiega con orgoglio come spesso riusciva ad intrufolarsi con l'inganno nel convento o nella cella di Padre Pio mentre questi stava male. Non ci andava da solo, ma accompagnato da un fotografo. Più di una volta Padre Pio lo cacciava via perché non voleva essere fotografato e non gli piacevano i giornalisti, ma Pandiscia, invece, ne scrive come se fosse una cosa di cui andarne fieri perché lo faceva per i lettori. Fino a un certo punto capisco il mestiere del giornalista che vuole dare resoconti dettagliati ai lettori, ma questa curiosità morbosa (sia del giornalista sia del lettore) deve fermarsi davanti alla sofferenza e la dignità delle persone. Pandiscia racconta anche come una volta in segno di saluto ha stretto la mano a Padre Pio per vedere se le stimmate gli procuravano dolore, o come lo andasse a trovare disturbare per vedere quanto stava male per poter informare i lettori del suo giornale. Queste cose non le capisco e non le apprezzo. Forse è grazie alla sua curiosità e impertinenza se molte informazioni sono trapelate, ma a tutto c'è un limite.
Alcune parti sono interessanti, ma nel complesso non è una biografia che consiglierei.