In una mattina di febbraio del 2004 un uomo fa irruzione in un ospedale di Imola. Il suo nome è Jean Lautrec. Incurante di sorveglianti e infermieri si precipita nella stanza in cui è sdraiato un uomo sedato e intubato. È un sacerdote, padre Marco Giraldi, che è riuscito a sfuggire ai sicari assoldati dalle multinazionali contro cui si è messo per fermare la distruzione della foresta amazzonica e dei suoi popoli. Ma la sua fuga ha avuto un prezzo. Ora giace nel letto, avvelenato e tenuto in vita dalle macchine. Ha continuato a combattere la causa dei deboli, a dare speranza a chi non ne ha. Jean Lautrec a denti stretti ringhia: "Cosa ti hanno fatto, comandante?". Padre Marco e Jean si erano conosciuti tanti anni prima, in un altro continente, in un altro tempo. In Congo, proprio mentre il Paese stava per ottenere l'indipendenza dal Belgio. Ma gli eventi erano precipitati. Il discorso di un giovane rivoluzionario, Patrice Lumumba, aveva incendiato gli animi e il Congo aveva preso fuoco. Era scoppiata la guerra civile, gli scontri tra le etnie, la caccia ai colonizzatori. Padre Marco però decide di non scappare. Resterà in Congo a difendere i confratelli innocenti in quel Paese in preda al caos, le vittime di un odio e di una violenza feroce che non risparmia né vecchi, né donne, né bambini. Ma non può riuscirci da solo. Ha bisogno di una squadra, composta da quello che in quel momento può trovare. E sotto le parvenze di professionisti in disarmo, di giovani ansiosi di avventura, di relitti umani, troverà degli eroi. Nasce così il Quinto Commando: guerrieri, mercenari, tra cui Kazianoff, un medico russo alcolizzato ex Spetsnaz, Louis, un prete vallone rinnegato per amore, Rugenge, il leopardo nero, giovane cacciatore congolese dalla mira micidiale, lo stesso Jean Lautrec imbattibile con il mitra, tutti agli ordini di padre Marco, il Templare di fine millennio...
Valerio Massimo Manfredi is an Italian historian, writer, archaeologist and journalist. He was born in Piumazzo di Castelfranco Emilia, province of Modena and is married to Christine Fedderson Manfredi, who translates his published works from Italian to English. They have two children and live in a small town near Bologna. Valerio Massimo Manfredi defines himself as an "Ancient World Topographer". Since 1978 he spends his time teaching in several European universities, digging ruins in the Mediterranean and in the Middle East, and writing novels. The Professor of Classical Archaeology in the "Luigi Bocconi" University of Milan and a familiar face on European television, he has led scientific expeditions, excavations and explorations in Italy and overseas. In addition to this, he has published a number of scientific articles and essays as well as thirteen novels, including the Alexander trilogy and The Last Legion. Alexander was published in thirty-six languages in fifty-five countries and The Last Legion was sold for a major film production in the USA. The Last Legion film was released in 2007.
soffro un po' a mettere solo due stelle di valutazione a un opera di Manfredi. Tuttavia questo libro non mi ha proprio entusiasmato. La narrazione della storia è troppo piena di dettagli cronistici e giornalistici, e ho trovato la trama a volte ripetitiva. Inoltre continuo a sperare che in prossimo suo libro possa esserci una protagonista femminile, ma anche in questo ahimè i personaggi femminili restano relegati a essere bellissimi e eterei, che al massimo sono il premio per i personaggi maschili. Provaci ancora VMM....
Con questo libro, Valerio Massimo Manfredi ci strappa via gli occhiali rosa dal volto e ci costringe a guardare il mondo per quello che è: un posto orribile, in cui prevale la dura legge di homo homini lupus. Ma allo stesso tempo ci ricorda che, anche laddove ci sembra che tutto sia perduto, rimane sempre una flebile speranza a cui aggrapparsi. E in questo scenario di violenze, torture, morte, la speranza è rappresentata da Padre Marco Giraldi. Dimenticatevi quindi unicorni rosa, dolci fate madrine o principesse in pericolo; nessun lieto fine è previsto per chi si trova a incrociare la strada dei sanguinari Simba, in particolar modo i missionari cattolici europei, perché in fondo si sa, sono sempre i più deboli e indifesi i primi a pagare le conseguenze delle atroci follie di chi è disposto a tutto per il potere e tanti, in Congo, sono gli interessi in gioco nel momento in cui il Belgio decide di concedere l’indipendenza al Paese. . " Queste notizie provocavano in Marco una collera nera e impotente che finiva per implodere nel suo animo con effetti devastanti. Più volte aveva confessato a Renzo che gli sembrava in quei momenti di avere un gatto vivo nello stomaco. «Mi è sempre stato insegnato fin da piccolo» diceva «che chi assiste a un sopruso, a una violenza su innocenti e non reagisce per proteggere la vittima è complice della violenza.» «Attento, Marco» rispose una volta Renzo. «Stai dicendo che Dio è complice del male nel mondo.» «Non pretendo di descrivere né le sue azioni né le sue inerzie» rispose Marco. «Fa parte del mistero. Ma non ho mai capito cosa sia il libero arbitrio. Mi sai dire che libertà di decidere hanno quegli ostaggi atterriti che aspettano la morte e la tortura ogni giorno e ogni notte?» . Padre Marco viene inviato in Congo col preciso compito di convertire quante più anime possibile, tuttavia, non troverete lungo la narrazione sermoni, morali cristiane o invocazioni a Dio da parte sua. Non ne ha il tempo; da uomo di preghiera, infatti, si trasforma ben presto in uomo d’azione. Dal diffondere la parola del Signore al diventare esso stesso strumento di Dio il passo è breve. . «Tu sei un guerriero, hai l’istinto del combattente, l’Urinstinkt. Ti darò la benedizione, ma tu promettimi di non violare il Quinto comandamento.» «Farò il possibile, eccellenza, ma lei mi benedica.» Marco gli baciò la mano e scese in strada. Stava per accendere il motore della jeep quando si aprì la finestra e udì la voce di monsignore: «Marco!». «Sì, eccellenza.» «Degli altri nove non ti preoccupare!» «Grazie, monsignore!» rispose Marco sorridendo. . Il suo incessante viaggiare su e giù per il Paese, prima da solo e poi con uno squadrone di uomini micidiali ai suoi ordini, il Quinto comando, per salvare i suoi confratelli e consorelle, non gli dà un attimo di tregua, ma neanche una volta, dinnanzi gli orrori di cui è reso testimone, la sua fede vacilla. Anzi. Laddove assiste a dolore e morte, non rimane inerme ma è subito pronto a mettere gli altri, gli ultimi, innanzi a se stesso e alla propria vita, anche a costo di andare contro gli ordini diretti dei propri superiori. . "Marco sentiva in cuore una tempesta di emozioni, di sentimenti contrastanti. Indossava un’uniforme molto diversa dalla tonaca bianca, imbracciava un fucile mitragliatore e la mano destra andava di tanto in tanto al calcio della Colt 45 che teneva nella fondina: se si fosse reso necessario sparare o uccidere, che cosa avrebbe fatto? E se ne sarebbe poi pentito? Avrebbe combattuto a fianco di mercenari, uomini pagati per uccidere, possibilmente al primo colpo. Ma c’era un altro modo? Pensava che era stato il vescovo che aveva condannato a morte gli ostaggi, pur serbando le mani pulite. Ma qualcuno avrebbe pur dovuto fare il lavoro sporco. “Perché io, Signore?” diceva dentro di sé. C’era un motivo? Forse perché sia lui che Thiago a Kasongo avevano desiderato la stessa cosa: un’arma per falciarli tutti, quei bastardi. Questo avevano confessato l’un l’altro in articulo mortis. Di questo si erano assolti. Anche Pietro, principe degli apostoli, aveva impugnato un’arma. “Chi di spada ferisce di spada perisce.” E allora? Era pronto a colpire, era pronto a morire." . Ho molto apprezzato il crudo realismo con cui viene descritta la guerra civile in Congo, pur utilizzando un linguaggio e una narrativa semplice e scorrevole, al lettore non viene celato proprio nulla, viene trasportato in uno scenario brutale in una terra lontana. Tuttavia, il lettore è portato inevitabilmente a chiedersi se si tratta di un luogo e un tempo effettivamente così lontani da sé, data l’incredibile capacità dell’uomo di percorrere sanguinarie strade già battute e interpretare copioni brutali già recitati più e più volte in passato, nel presente e ahimè, molto probabilmente, anche in futuro. . Mumu' - per RFS
“Nel 1958, padre Angelo Pansa, appartenente all’ordine dei Saveriani, viene aggregato al primo gruppo saveriano destinato alla nuova missione del Congo Belga. Lì lavorò impegnato nell’attività pastorale: vice parroco a Kiringye (1958-1959), vice parroco a Kamituga (1959-1961), parroco a Baraka (1961-1962), economo locale a Mwenga (1962-1964 e 1965-1966), vice parroco a Uvira (1964-1965), rettore nella casa saveriana di Uvira (1966-1967). In questo periodo partecipò attivamente alla liberazione di ostaggi (sacerdoti e suore) in mano ai ribelli. Per questa sua azione ricevette un riconoscimento dal governo italiano”.
Questo è quanto (poco) il sito ufficiale dei Saveriani dice sul periodo congolese di don Angelo Pansa, nato nel 1931 nel bergamasco e morto nel 2022.
In seguito al Congo, Don Pansa partecipò ad altre missioni ed avventure, soprattutto nell’Amazzonia. Delle sue esperienze nel Congo raccontò che lo stesso Mobutu l’aveva fatto “colonnello” e gli aveva affidato un gruppo di mercenari professionisti (da Inghilterra e Sud Africa) con lo scopo di penetrare zone controllate da milizie molto spesso fatte di giovani sbandati e drogati che uccidevano e torturavano chiunque volessero, e portare in salvo i religiosi che vi erano rimasti bloccati (soprattutto preti e suore).
È chiaro che, per uno scrittore di fiction storica, questa storia è pura manna dal cielo. Ed è per questo che Manfredi ha deciso di scriverla, nella forma di un romanzo storico, rapido, avvincente, con molte scene di azione e poche riflessioni.
Per quanto riguarda la veridicità della storia di don Pansa, che ormai non è possibile confermare o negare, bisogna prendere il tutto un po’ con le pinze. Sono convinto che don Pansa abbia visto molti degli orrori descritti nel libro, e che abbia partecipato a molte di queste missioni para-militari con cui i mercenari salvarono molti religiosi “ostaggi”. Che poi a lui fosse stato dato il titolo di “colonnello”, e che mercenari stranieri dovessero prendere gli ordini da un prete senza alcuna preparazione militare, be’, questo è molto meno plausibile. Questo, fra l’altro, è stato espressamente contestato da un vero ex-mercenario italiano, sg. Tullio Moneta, che ha rilasciato varie dichiarazioni negli ultimi 20 anni a proposito del fatto che nessuno, nel giro dei mercenari in Congo degli anni ‘60, aveva preso ordini da un prete fatto “colonnello”, e non l’avrebbero comunque mai fatto.
Detto questo, gli eventi del libro furono raccolti in una serie di interviste che Manfredi fece a don Pansa prima di scrivere il libro, e poco altro. Sicuramente non una conferma dei fatti narrati, che non era e non è possibile.
Manfredi, diventato uno scrittore famoso ovviamente non per mancanza di furbizia, in varie interviste quando gli chiesero “quanto c’è di vero?” in questo libro, ripetè: “Una buona parte”, senza andare nei dettagli. Una volta disse: “Circa il 70-80% è vero”. Il che però, attenzione, si riferisce alla percentuale in cui il suo libro ricalca la narrazione fatta da don Pansa nel suo diario, e non la percentuale in cui la narrazione di don Pansa ricalca la verità.
In un’intervista a “Soul” con Monica Mondo, Manfredi glissa in maniera poco elegante sulla domanda “quanto c’è di vero?”, e risponde depistando: “Io ho scritto un’epica. L’importante sono le emozioni degli uomini”. Dico “poco elegante” perché se scrivi un libro che dici sia basato su eventi realmente accaduti, su un prete di Bergamo che comanda uno squadrone di commandos in Congo col mitra in una mano e la croce nell’altra…. diciamo che quella domanda, come minimo, dovresti aspettartela, e dovresti darle una risposta più seria.
Detto tutto questo, il libro è molto leggibile e apre la mente ad una fetta di storia di cui nessuno parla, cosa che già in sè è un pregio immenso. La storia dei congolesi degli ultimi 200 anni, nel suo complesso, è probabilmente addirittura più tragica e triste di quella degli ebrei, per lo meno come quantità di morti, eppure l’occidente questo non lo sa, perché nessuno ha i soldi per finanziare grandi operazioni culturali (tipo “Schindler’s List” per il popolo ebreo) per rendere l’occidente più consapevole di quello che veramente ha dovuto subire il Congo.
Ad ogni modo, don Angelo Pansa resta un uomo più unico che raro: un prete “combattente”. Un uomo di azione, uno forte e deciso, che guarda alla sostanza più che alla forma, un uomo, insomma, coraggioso: del tipo che si trova sempre più raramente… soprattutto, ahimè, all’interno della Chiesa.
Riposi in pace.
p.s. i recensori che parlano solo di come “la storia non li ha entusiasmati” e di come “questo non è il Manfredi che ha scritto quei bei libri lì” non si rendono conto dell’enorme differenza fra fiction e realtà. Credo che dovrebbero avere un po’ più di rispetto per il grande coraggio di don Pansa.
Il libro di VMM che mi è piaciuto di meno e allo stesso tempo quello che mi ha fatto riflettere di più. Nonostante gli eventi tragici (e in parte attuali) che vengono narrati, si vive il libro in maniera distaccata. un po' per la ripetitività degli avvenimenti e un po' per il carattere unidimensionale del protagonista. sembra quasi di leggere un diario.
e, nonostante questo, non si può non ammirare il protagonista, a maggior ragione sapendo che la storia è ispirata a fatti realmente accaduti. un esempio di coraggio e dedizione che trovano pochi eguali in tempi moderni.
Non terminato Avevo un bellissimo ricordo di tanti libri di questo autore, ma non so se è cambiato lui o sono cambiata io, ma questo libro è lento, ripetitivo con un stile poco coinvolgente. Sono arrivata a fatica verso la metà, ma niente da fare, non riesco a finirlo.
C'era una volta VMM. Purtroppo gli ultimi due suoi libri (questo e Quaranta Giorni) sono stati una delusione. Mentre l'altro era stato uno spreco di pagine e di carta, questo è stato una spreco di tempo, il mio. Storia che si esaurisce in una sorta di "missioni" a tappe dove il povero Padre Marco viene mandato a salvare altri confratelli o suore. Ciclicamente si ripete la solfa "Padre Marco, vada là" "Ok vado". Il racconto non decolla mai, i personaggi sono dimenticabili e concluderlo è stato veramente impegnativo. Peccato
Trama un po' troppo ripetitiva, è un continuo andirivieni da una parte all'altra di vari personaggi, infinite missioni di salvataggio in luoghi dove la brutalità è la normalità, così pare, e a parte i personaggi principali, i nomi si scordano facilmente. Tantissimi nomi di luoghi o personaggi africani che non restano nella memoria. Succedono sempre le stesse cose quindi non è così avvincente come speravo, come per dire Congo di Crichton (mostro sacro), ma l'evoluzione del prete Marco è interessante. Da agnellino di Dio a Terminator, pur rimanendo sempre fedele ai suoi principi. L'autore poi fa sapere che il romanzo è stato fortemente tratto da vicende vere di veri personaggi, di fantasia c'è ben poco. Ed è proprio questa forse la cosa che fa più rabbrividire.
Galeotta fu una presentazione e il mio scarso autocontrollo nel comprare libri. Questo libro è riuscito nel raro evento di farmi incazzare: la trama, infatti, sarebbe stata anche molto interessante, ma la realizzazione! Lunghissime premesse, qualche dialogo passabile, tre quarti di libro dedicati alla costruzione di un climax che poi viene letteralmente gettato alle ortiche in scene raccontate sbrigativamente. Raccontate, mai mostrate. Ma come? Non dico altro, se non: peccato per il mio tempo sprecato.
Tre stelle giusto perchè è Manfredi, mio eroe. Perchè se dovessi essere più obiettivo, direi che due e mezzo è la valutazione più adeguata.
La mia prima grande delusione di Manfredi. La storia non mi ha preso, probabilmente per via del tempo di narrazione. V.M.M. cerca di immagazzinare in poche righe molteplici eventi, rendendo difficile al lettore appassionarsi ai personaggi.
L'idea aveva il potenziale di un grande romanzo, ma a mio parere è uscito fuori un libro noioso, raramente coinvolgente.
mi piange il cuore a dare solo tre stelle a manfredi, ma questo libro se le merita proprio (e sono tre solo perché è scritto da manfredi)
il romanzo vuole nascere come biografia romanzata di un uomo reale che ha compiuto realmente quanto viene descritto, ma, appunto, con la trama avvincente tipica di un romanzo. il risultato, purtroppo, è un susseguirsi di situazioni identiche raccontate in modo veloce e, quasi, frettoloso per creare nel lettore un senso di suspense che, proprio per la somiglianza degli eventi, non si realizza.
Libro che non mi ha convinto fino in fondo. Ricordavo un altro Manfredi, che mi era piaciuto molto, quello di "Chimaira", de' "L'ultima legione", quello della trilogia "Il mio nome è Nessuno" e via dicendo. In questo romanzo ci sono troppe scene raccapriccianti, troppa violenza per i miei gusti. Appunto gusti, quindi opinione del tutto personale. Alla fine l'autore in una nota ci dice che si tratta di una storia vera, ovviamente romanzata, quindi la realtà supera la fantasia o quasi.
Come primo libro di Manfredi mi è piaciuto molto, seppur la prima parte risulta leggermente lenta, a seguire è frenetico, cruento, coinvolgente e profondo. Essendo per la maggiore una storia vera, affronta temi delicati di luoghi troppo trascurati. Unica nota negativa è la vastità di nomi e di luoghi non facili da ricordare che possono fare un pò di confusione
Sono una grande fan di VMM sin dal liceo, e ho letto ogni suo libro, senza mai rimanere delusa. Fino ad oggi. Un libro un po’ ripetitivo e pieno di scene crude, mi sembra così lontano dallo stile dell’autore che tanto amo.
Non uno dei libri meglio riusciti… forse perché mi aspettavo un risvolto nell’antichità e invece niente! La scrittura è quella che conosciamo, ma in alcuni punti un po’ “labiata andare”
Un giovane missionario dall'animo impetuoso, che ha vissuto gli anni del suo seminario ai tempi della seconda guerra mondiale, viene inviato in Congo in un momento politico delicato, quello che riguarda l'indipendenza del Congo dal Belgio e precede l'ascesa al potere di Mobutu Sese Seko. Là avrà modo di mettere a dura prova sia la sua fede che la sua impetuosità, organizzando missioni per salvare missionari e suore, oltre che civili, agli eccidi che quell'epoca di disordine e di intrighi politici ha comportato. Dovrà infatti vedersela con guerriglieri, politici, uomini corrotti e pavidi anche all'interno del suo stesso ambiente, ma sopratutto dovrà vedersela con sé stesso e con le tante tentazioni che quel mondo gli riverserà addosso. Le più difficili da resistere saranno quelle che riguardano il quinto comandamento.
Manfredi abbandona la storia passata per raccontare dei fatti di metà Novecento prendendo spunto da una persona realmente esistita che ha davvero fatto quanto narrato nel libro. Ciò che ne scaturisce, più che un romanzo, è una biografia (semi) romanzata. Che non è la stessa cosa.
In un romanzo, rispettate eventuali connotazioni storiche, la fantasia dello scrittore può spaziare senza limiti, dalle espressioni e descrizioni dei personaggi ai loro dialoghi e alle loro emozioni. Nella biografia occorre necessariamente mantenersi fedeli e, anche di fronte a momenti che si prestano a essere davvero intensi, lo scrittore non può derogare troppo dalla realtà. E, non potendolo fare, inevitabilmente taglia.
Ne esce un'opera complessivamente asciutta, dove il sentimento e le emozioni dei personaggi, per quanto presenti, sono sempre ridotti ai minimi termini. I dialoghi sembrano sempre solamente abbozzati e fomati da singole frasi (oneliners, le chiamano gli inglesi). Le azioni sono secche, brevi. I personaggi stessi, in parte compreso lo stesso protagonista, sono modimensionali e un po' cartonati. I buoni sono buoni a 360 gradi, i cattivi sono cattivi fin nel midollo ma ci sono anche quelli che sono del tutto asettici.
Un altro aspetto che non mi ha convinto appieno è il tempo. Anche se il romanzo non perde di ritmo, nella storia talora passano mesi tra un evento e l'altro e non c'è nulla in mezzo. Missionari apparentemente in pericolo di vita resistono settimane quando non mesi senza che succeda nulla. Pertanto, il senso di urgenza che Manfredi vorrebbe indurre nel lettore è ridotto. Ho avuto l'impressione che nella realtà i momenti di vero pericolo andassero a ondate, seguendo l'andamento politico. Per il resto, calma più o meno piatta. Anche in questo caso, lo scrittore ha dovuto rispettare i tempi reali. In un'opera di fantasia, gli eventi sarebbero stati molto più ravvicinati nel tempo e il senso di urgenza ne avrebbe giovato.
A proposito di ambiente politico, forse Manfredi vuole mettere il lettore nelle condizioni del protagonista che, sperduto nelle terre congolesi, ha una conoscenza approssimativa dei giochi politici che si intrecciano sopra il Congo. Si parla di Americani, Sovietici, Cubani, fazioni opposte di milizie congolesi. Eppure, rimangono sempre ai margini della storia. A meno che la cosa non fosse voluta, il libro sarebbe potuto anche diventare un piccolo trattato di storia, aggiungendo così una valenza ulteriore.
Non posso bocciare questo libro: è scritto bene, non ho faticato a leggerlo né a finirlo, ha una storia sicuramente interessante, a tratti talmente inverosimile da sembrare frutto di una fervida fantasia. Non posso però dimenticare i limiti sopra descritti e ciò ne riduce chiaramente il giudizio finale.
La storia si svolge perlopiù nel Congo Belga durante la guerra civile scatenatasi successivamente alla ritirata dei colonizzatori, qui il missionario Padre Marco, conoscendo molto bene il territorio, viene coinvolto nel salvataggio di confratelli, suore e civili ostaggi dei guerriglieri, diventando uno dei punti di riferimento per la liberazione di queste persone e del paese stesso.
Lo stile di scrittura mi è piaciuto abbastanza anche se la sensazione che ho avuto per la maggior parte del libro è che fosse un po' piatto, ossia che mi venissero date tante informazioni per inquadrare bene il contesto storico/culturale del Congo post-coloniale, ma che non accadesse moltissimo a livello di trama, anche se in realtà non è così dal momento che il libro è abbastanza ricco d'azione e di descrizioni crude. Forse questa mia sensazione è dovuta dal fatto che ci sono pochi dialoghi? In questo momento non sono ancora riuscita a capirne il motivo.
Mi ha sorpreso scoprire che la storia è ispirata a fatti realmente accaduti, ho recuperato alcune interviste fatte a Padre Marco e sembra un'uomo dall'aspetto ordinario, è perciò incredibile pensare a lui nelle vesti raccontate in questo libro. Padre Marco, si definisce un prete guerriero, un crociato moderno e credo lo sia.
Non è la prima volta che Valerio Massimo Manfredi racconta una storia ambientata (quasi) ai nostri giorni ma c'erano sempre dei riferimenti ad un passato lontano e misterioso.
Qui invece racconta la vicenda di un moderno Templare, un prete guerriero che durante la Guerra Civile in Congo "userà" la forza come strumento di salvezza e guiderà un manipolo di uomini pieni di difetti quanto di cicatrici.