«Voce leggera, pochissimo bisognosa di appoggi, essa tende a bruciare le sillabe nello spazio bianco della pagina.»Eugenio Montale«È terribile essere una donna e avere diciassette anni. Dentro non si ha che un pazzo desiderio di donarsi». Antonia Pozzi
«Le alte maree della malinconia e della stanchezza di vivere sono testimoniate dai suoi diari e dalle sue lettere, ma esse riemergono con icastica, dolorosa bellezza nelle sue poesie, che leggiamo ogni volta stregati dalla loro innocenza e dalla loro gentilezza, dalla loro magica fascinazione e dalla loro grazia, e nelle quali intravediamo la corsa disperata di Antonia Pozzi alla ricerca di un amore assoluto che si inaridiva nell'indifferenza, o almeno nell’inconsapevolezza, delle persone amate». Eugenio Borgna
Antonia Pozzi ha lasciato più di trecento composizioni, mai pubblicate in vita. Le sue poesie rinascono ‘luminose e temerarie’ da questa nuova antologia che, a ottant’anni dalla sua morte, aggiunge un prezioso tassello nel cammino della sua riscoperta. Percorrendo il meglio della sua produzione poetica sin dai primi componimenti adolescenziali, questo libro racconta la storia di un’«anima palpitante, ridente, nostalgica e appassionata», come lei stessa si definì.
Eccomi qui a scrivere qualcosa sulla lettura di questa raccolta di poesia di Antonia Pozzi. Quando si tratta di scrivere le mie impressioni su libri di poesie, mi trovo sempre in difficoltà, perchè la poesia è una forma di scrittura così personale, intima e particolare, che non è facile riuscire a connettersi con essa. Qui ancora di più, perchè la poetessa non aveva mai pubblicato, in vita, le sue opere, quindi elemento che decreta fortemente, una nota autobiografica ed estremamente intima. Le poesie sono così dense di significati, sarebbero da centellinare e da rileggerle, perchè custodiscono una predilezione per la Natura, per la vita e la morte, per l'amore universale, per i sentimenti genuini. Non scade mai nell'ovvio, nel banale, nella noia o nell'artificiosità. Il tutto è ammantato da un sottile, ma persistente, strato di malinconia e di tristezza per le banalità e crudeltà della società del suo tempo.
Il cielo in me
Io non devo scordare che il cielo fu in me.
Tu eri il cielo in me, che non parlavi mai del mio volto, ma solo quand’io parlavo di Dio mi toccavi la fronte con lievi dita e dicevi: – Sei più bella così, quando pensi le cose buone –
Tu eri il cielo in me, che non mi amavi per la mia persona ma per quel seme di bene che dormiva in me.
E se l’angoscia delle cose a un lungo pianto mi costringeva, tu con forti dita mi asciugavi le lacrime e dicevi: – Come potrai domani esser la mamma del nostro bimbo, se ora piangi così? –
Tu eri il cielo in me, che non mi amavi per la mia vita ma per l’altra vita che poteva destarsi in me.
Tu eri il cielo in me il gran sole che muta in foglie trasparenti le zolle
e chi volle colpirti vide uscirsi di mano uccelli anzi che pietre – uccelli – e le lor piume scrivevano nel cielo vivo il tuo nome come nei miracoli antichi.
Io non devo scordare che il cielo fu in me.
E quando per le strade – avanti che sia sera – m’aggiro ancora voglio essere una finestra che cammina, aperta, col suo lembo di azzurro che la colma.
Ancora voglio che s’oda a stormo battere il mio cuore in alto come un nido di campane. E che le cose oscure della terra non abbiano potere altro – su me, che quello di martelli lievi a scandere sulla nudità cerula dell’anima solo il tuo nome. 11 novembre 1933
Tenerezza ferita candore vorace struggente nostalgia grazia sommessa un linguaggio morbido e acquatico, che si sfalda in immagini liquide e assorte
È stato un incontro bellissimo :) (Tante sottolineature, difficile scegliere)
Prati
Forse la vita è davvero quale la scopri nei giorni giovani: un soffio eterno che cerca di cielo in cielo chissà che altezza.
Ma noi siamo come l’erba dei prati che sente sopra sé passare il vento e tutta canta nel vento.
Desiderio di cose leggere
Desiderio di cose leggere nel cuore che pesa come pietra dentro una barca –
Ma giungerà una sera a queste rive l’anima liberata: senza piegare i giunchi senza muovere l’acqua o l’aria salperà – con le case dell’isola lontana, per un’alta scogliera di stelle –
Nevai
Io fui sui monti come un irto fiore – e guardavo le rocce, gli alti scogli per i mari del vento – e cantavo fra me di una remota estate, che coi suoi amari rododendri m’avvampava nel sangue –
Ed eccomi qui ancora a leggere poesie. Io che la poesia l'ho conosciuta solo al liceo, io che non ho mai apprezzato questo genere, io che le poesie le imparavo a memoria solo per prendere un bel voto. Mi ritrovo a qusi 40 anni ad apprezzare parole scritte con il cuore, cuore tormentato quello di Antonia Pozzi, poetessa milanese, nata a Milano il 13 febbraio 1912 e morta suicida a 26 anni, il 3 dicembre del 1938. Non c'è molto da dire ma tanto da leggere.
Cencio C’era uno straccetto celestino sopra il muro tutto sgualcito di ditate rosa tenuto su da due borchie di stelle ed io lì sotto come un cencio cinerino in cui la gente incespica ma che non val la pena di raccogliere – lo si stiracchia un po’ di qua e di là coi piedi e poi a calci lo si butta via – Milano, 8 aprile 1929
Un’altra sosta a L.B. Appoggiami la testa sulla spalla: ch’io ti carezzi con un gesto lento, come se la mia mano accompagnasse una lunga, invisibile gugliata. Non sul tuo capo solo: su ogni fronte che dolga di tormento e di stanchezza scendono queste mie carezze cieche, come foglie ingiallite d’autunno in una pozza che riflette il cielo. Milano, 23 aprile 1929
Pudore Se qualcuna delle mie povere parole ti piace e tu me lo dici sia pur solo con gli occhi io mi spalanco in un riso beato ma tremo come una mamma piccola giovane che perfino arrossisce se un passante le dice che il suo bambino è bello. 1º febbraio 1933
Antonia scriveva a L.B sua amica Lucia Bozzi.....vuole il caso che siano le mie stesse iniziali ed alcune delle sue poesie le ha scritte 1 febbraio, data del mio compleanno....sarà questa la connessione con lei?
Antonia Pozzi è un mondo. Un mondo molto lombardo, tra una città dove non si sente a proprio agio nonostante l’estrazione sociale che le permette di frequentare alcune delle menti più brillanti della sua epoca, e il paesaggio di Pasturo in Valsassina (ne I promessi sposi è il paese d’origine della famiglia di Lucia, scusate il divagare), dove la famiglia aveva una villa secolare e Antonia trascorse i momenti più felici della sua esistenza. Sulla sua tristissima vicenda biografica non mi sto a dilungare.
Questa antologia delle sue poesie è senz’altro un’opera da conoscere, secondo me. Anche se mi resta il dubbio del perché l'editore l'abbia catalogata come 'poesie per giovani innamorati' - io ho trovato solo una malinconia e desolazione e solitudine immense.
Apprezzata, tra glia altri, dal sommo Montale, lascio qui sotto qualche verso dei (tanti) che ho sottolineato.
*Ripresa* Un cespuglietto di fiamme lambisce a linguacce scottanti la bruna mucosa delle mie viscere e sfrigge, solcando la bava viscida che le ricopre; sferza, rovente, la putrida vigliaccheria brulicante nel nero; avvince, con fili tenacissimi di spasimo, la volontà rannicchiata e la trascina, a stratte turbinose di purezza, verso l’alto.
*La vita*
Alle soglie d’autunno in un tramonto muto
scopri l’onda del tempo e la tua resa segreta
come di ramo in ramo leggero un cadere d’uccelli cui le ali non reggono più.
*Capodanno*
Se le parole sapessero di neve stasera che canti - e le stelle che non potrò mai dire…
Volti immoti si intrecciano tra i rami nel mio turchino nero: osano ancora, morti ai lumi di case lontane, l’indistrutto sorriso dei miei anni.
GRIDO Non avere un Dio non avere una tomba non avere nulla di fermo ma solo cose vive che sfuggono – essere senza ieri essere senza domani ed acciecarsi nel nulla – – aiuto – per la miseria che non ha fine 10 febbraio 1932
Raccolta di poesie scritte tra il 1929 ed il 1938, anno in cui Antonia Pozzi si suicidò. Di un suicida si dice (spesso) che “non ha retto il peso della vita”. Mi domando, leggendo questi versi: «e se, invece, fosse la vita quella connotata da fragilità? E se, al mondo, ci fossero persone di tale forza interiore da rompere gli argini dell’esistenza? E se questo impeto facesse desiderare cose leggere?» Una morte, la sua, a cui fu negato, per decenza, il valore della verità. I numerosi componimenti furono tutti pubblicati postumi. Piccole fotografie di paesaggi: molti di montagna, alcuni di città. Ognuna un’immagine panoramica del suo sentire... --------------------------
1934
DESIDERIO DI COSE LEGGERE
Giuncheto lieve biondo come un campo di spighe presso il lago celeste
e le case di un’isola lontana color di vela pronte a salpare –
Desiderio di cose leggere nel cuore che pesa come pietra dentro una barca –
Ma giungerà una sera a queste rive l’anima liberata: senza piegare i giunchi senza muovere l’acqua o l’aria salperà – con le case dell’isola lontana, per un’alta scogliera di stelle 1° Febbraio 1934 ---------------------------------------------------
VICENDA D’ACQUE
La mia vita era come una cascata inarcata nel vuoto; la mia vita era tutta incoronata di schiumate e di spruzzi. Gridava la follia d’inabissarsi in profondità cieca; rombava la tortura di donarsi, in veemente canto, in offerta ruggente, al vorace mistero del silenzio.
Ed ora la mia vita è come un lago scavato nella roccia; l’urlo della caduta è solo un vago mormorio, dal profondo. Oh, lascia ch’io m’allarghi in blandi cerchi di glauca dolcezza; lascia ch’io mi riposi dei soverchi balzi e ch’io taccia, infine: poi che una culla e un’eco ho trovate nel vuoto e nel silenzio. Milano, 28 novembre 1929
“Desiderio di cose leggere, nel cuore che pesa, come pietra dentro una barca…” una favolosa raccolta di poesie. Sto riscoprendo a 28 anni anche la poesia oltre che i libri, e mi piace tantissimo…
Ancora voglio che s'oda a stormo battere il mio cuore in alto come un nido di campane. E le cose oscure della terra non abbiano potere altro - su di me, che quello di martelli lievi a scandire sulla nudità cerula dell'anima solo il tuo nome.
" Anima, sii come la montagna: che quando tutta la valle è un grande lago di viola e i tocchi delle campane vi affiorano come bianche ninfee di suono, lei sola, in alto, si tende ad un muto colloquio col sole. "
Le poesie di Antonia Pozzi sono immortali, galleggiano sul trascorrere del tempo e rinascono ogni volta che vengono lette. Antonia coglie l'essenziale, il profondo che non si corrode dal tempo. Queste poesie sono incredibili, non ce n'è una che non mi abbia lasciato il segno.
Inoltre, essendo anch'io un'amante della montagna, ogni volta che ne descrive l'essenza è come ritornare io stessa in vetta. Traspariva l'emozione che Antonia voleva trasmettere, attraverso le sue poesie ho sentito accanto l'autrice e anzi, mi sembra di aver stretto un legame con lei. Non è solo la bravura di scegliere le giuste parole, non è nemmeno il messaggio o il sentimento che porta; leggendo la poesia è stato conoscere, amare la stessa Antonia.
Ho altre autrici e autori che adoro, le loro poesie mi piacciono molto e sono ricche di sentimenti; ma trovo una connessione particolare costruita da Antonia attraverso le sue poesie. Oltre alla bellezza delle sue poesie, così limpide e perfette, mi ha molto colpito e stupito riuscire a sentire l'autore. Davvero incredibile.
«E poi — se accadrà ch'io me ne vada — rester�� qualchecosa di me nel mio mondo — resterà un'esile scia di silenzio in mezzo alle voci — un tenue fiato di bianco in cuore all'azzurro —
Ed una sera di novembre una bambina gracile all'angolo d'una strada venderà tanti crisantemi e ci saranno le stelle gelide verdi remote — Qualcuno piangerà chissà dove — chissà dove — Qualcuno cercherà i crisantemi per me nel mondo quando accadrà che senza ritorno io me ne debba andare.»
Milano, 29 ottobre 1930
"Novembre" in «Desiderio di cose leggere», Antonia Pozzi ✨
Questa è la prima raccolta di poesie che io abbia letto per intero. La poesia non è qualcosa che solitamente leggo, mi risulta ostica, il che mi ha messo in difficoltà anche sul come avrei dovuto leggerne un intero volume: ho optato per seguire il numero delle pagine, come fosse un romanzo. Non ho gli strumenti, quindi, per poterla giudicare con cognizione di causa, ma son contento di aver fatto questa lettura. Nelle prime poesie, forse a causa di un riflesso che tendeva a compensare il mio spaesamento, mi è sembrato di ritrovare molte citazioni, più o meno letterali, di alcune delle poche cose che conosco: ho ritrovato d’Annunzio, Rimbaud, Leopardi, temi e figure della poesia latina e molta musica (l’aveva forse studiata?). Quindi, ho iniziato amando la grande cultura di Antonia, ammirato dal constatare quanto fosse vasta già in giovanissima età. Forse, mi sono detto, ciò che lei leggeva, nell’epoca della sua formazione, e che la colpiva diventava materiale fertile per le sue stesure. Poi ho sempre più ammirato, davvero contemplato, immagini di bellezza assoluta, “personali”, che si son fatte via via più numerose man mano che gli anni avanzavano: l’oscurità accompagnata fin sulla terra dalle frange degli alberi, il vento che porta la voce delle foglie cadute, le mani che proteggono e lacerano le ferite. Mai Antonia è stata leziosa, anzi, ho ammirato le caratteristiche di cruda consapevolezza di sé e delle cose. “Consapevole” è la parola che più mi risuona nella testa: di essere donna, del proprio corpo, di essere poeta, della propria solitudine. Certamente ho notato il suo legame con la natura e con la montagna, la sua onnipresente malinconia e, tristemente, il suo precocissimo incamminarsi fianco a fianco con la Morte. Le poesie scritte nel 1934 son quelle che ho più apprezzato ed in particolare, fra queste, “Secondo amore”.
P.S. Visto che Antonia non aveva pubblicato niente in vita mi chiedo: chi è che ha scelto di sottotitolare la raccolta “poesie per giovani innamorati”? Mi sembra quanto di più riduttivo possa essere estrapolato, un appiattimento che per niente rispecchia quello che ho letto. Anzi! Giovane ed innamorata Antonia lo era ma, nonostante questo, ha scritto quello che ho letto: questi son frammenti lacerati di anima, non cioccolatini! Introduzione e biografia finale le ho trovate completamente inutili.
Aveva voce in te l'universo delle cose mute, la speranza che sta senz'ali nei nidi, che sta sotterra non fiorita.
Aveva voce in te il mistero di tutto che presso una morte vuol diventare vita, il filo d'erba sotto le putride foglie, il primo riso del bimbo salvato a fianco di un'agonia in una corsia d'ospedale.
Or quando cade dagli alti rami notturni dei campanili - un rintocco - e in cuore affonda come il frutto dentro il campo arato -
allora hai voce tu in me -
con quella nota ampia e sola che dice i sogni sepolti del mondo, l'oppressa nostalgia della luce.
Come potrei assegnare uno sterile voto ad una raccolta di confidenze così intime e sincere? Mi sembrerebbe di giudicare non solo la penna ma anche l'anima della poetessa che ha avuto il coraggio di mostrarsi nella sua umana fragilità al mondo. Tramite le sue poesie è riuscita a trasmettermi, almeno in parte sicuramente, ciò che vedeva e sentiva. Ogni parola è lì per un motivo ben preciso ed è stata scelta con una attenzione chirurgica. Ci racconta delle sue amate montagne, della vita, della solitudine e dell'amore, in varie sue forme. Lascio di seguito una delle poesie che più mi è rimasta impressa:
Esempi
Anima, sii come il pino: che tutto l'inverno distende nella bianca aria vuota le sue braccia fiorenti e non cede, non cede, nemmeno se il vento, recandogli da tutti i boschi il suono di tutte le foglie cadute, gli sussurra parole d'abbandono; nemmeno se la neve, gravandolo con tutto il peso del suo freddo candore, immolla le fronde e le trae violentemente verso il nero suolo.
Anima, sii come il pino: e poi arriverà la primavera e tu la sentirai venire da lontano, col gemito di tutti i rami nudi che soffriranno, per rinverdire. Ma nei tuoi rami vivi la divina primavera avrà la voce di tutti i più canori uccelli ed ai tuoi piedi fiorirà di primule e di giacinti azzurri la zolla a cui t'aggrappi nei giorni della pace come nei giorni del pianto.
Anima, sii come la montagna: che quando tutta la valle è un grande lago di viola e i tocchi delle campane vi affiorano come bianche ninfee di suono, lei sola, in alto, si tende ad un muto colloquio col sole. La fascia l'ombra sempre più da presso e pare, intorno alla nivea fronte, una capigliatura greve che la rovesci, che la trattenga dal balzare aerea verso il suo amore.
Ma l'amore del sole appassionatamente la cinge d'uno splendore supremo, appassionatamente bacia con i suoi raggi le nubi che salgono da lei. Salgono libere, lente svincolate dall'ombra, sovrane al di là d'ogni tenebra, come pensieri dell'anima eterna verso l'eterna luce.
So che forse noi siamo creature nate tutte daun'ansia eterna: il mare; e che la vita, quando fruga e strazia l'esser nostro, spreme dal profondo un po' del sale da cui fummo tratte.
una delle raccolte di poesia più bella lette fin’ora. ogni singola poesia mi ha fatta sentire viva, mi ha fatta sentire degna di essere in vita antonia pozzi è un’Artista con la A maiuscola mi ha lasciato tantissimo
Non mi era mai capitato di leggere una poesia tanto intima e insieme tanto intimamente intrecciata al paesaggio, alla terra.
Fuga
ad A.M.C.
Anima, andiamo. Non ti sgomentare di tanto freddo, e non guardare il lago, s’esso ti fa pensare ad una piaga livida e brulicante. Sì, le nubi gravano sopra i pini ad incupirli. Ma noi ci porteremo ove l’intrico dei rami è tanto folto, che la pioggia non giunge a inumidire il suolo: lieve, tamburellando sulla volta scura, essa accompagnerà il nostro cammino. E noi calpesteremo il molle strato d’aghi caduti e le ricciute macchie di licheni e mirtilli; inciamperemo nelle radici, disperate membra brancicanti la terra; strettamente ci addosseremo ai tronchi, per sostegno; e fuggiremo. Con la piena forza della carne e del cuore, fuggiremo: lungi da questo velenoso mondo che mi attira e mi respinge. E tu sarai, nella pineta, a sera, l’ombra china che custodisce: ed io per te soltanto, sopra la dolce strada senza meta, un’anima aggrappata al proprio amore.
"E tu non dire ch'io perdo il senso e il tempo della mia vita - se cerco nella sabbia il sole e il pianto dei mondi - se getto nelle cose la mia anima più grande - e credo ad immense magie..."
Perché scopro solo adesso l'incanto delle poesie di Antonia Pozzi? Poesia dolcemente struggente, immensamente malinconica, piena di immagini della natura e di specchi profondi sull'anima umana. Mi è difficile esprimere a parole le emozioni suscitate da questa lettura. Una poesia nostalgica senza mai essere pesante, colma di tristezza, male di vivere eppure di speranza in un mondo migliore... Veramente una meraviglia, credo le rileggerò spesso nei momenti di bisogno.
Musicalissima, intensa, malinconica, Antonia Pozzi, rimasta per sempre giovane nelle sue poesie, ci conduce tra le stagioni della natura e i tormenti dell’animo.
ANTONIA POZZI: MI SENTO IN UN DESTINO. PAROLE DALLE VETTE DELLA SOLITUDINE.
"La poesia ha questo compito sublime di prendere tutto il dolore che ci spumeggia e ci romba nell'anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell'arte, così come sfociano i fiumi nella vastità celeste del mare. La poesia è una catarsi del dolore, come l'immensità della morte è una catarsi della vita."
Così scriveva Antonia Pozzi in una lettera datata 11 gennaio 1933 ad uno dei suoi amici più cari e fedeli - Tullio Gadenz.
Ho conosciuto per la prima volta la suddetta poetessa nell’ autunno 2019, quando frequentavo la seconda ragioneria, durante una comune lezione di letteratura italiana seguendo il percorso di poesia. Venne purtroppo analizzata dalla docente superficialmente in quanto ritenuta poetessa “minore”, di poco rilievo, la quale solitamente non entra come oggetto nei programmi ministeriali. Io, invece, ne rimasi piacevolmente affascinata. Mi colpì, in special modo, oltre che ai versi anche la biografia - questo forse perché più mi approccio ad ella e più riesco ad identificare la mia anima - nonostante talvolta sia doloroso, mi risulta intimo e personale perché anch’io come Lei provo dei sentimenti che, sento, non avranno concreta attuazione. Quando leggo i suoi versi, sento vicina la carezza delicata e sensibile di un'amica tanto che è divenuta per me un notevole punto di riferimento. Ne consegue che, da quel periodo, ho iniziato ad approfondire e ad analizzare, in maniera più analitica possibile, l’operato e il pensiero di Pozzi. La poetessa, appartenente ad uno dei più alti ranghi sociali del tempo, comincia a dedicarsi alla scrittura a diciassette anni - risalgono infatti al 1929 le prime poesie dedicate ad Antonio Maria Cervi, allora suo professore di lingua latina e greca presso il liceo Manzoni del capoluogo lombardo che segnerà per sempre la sua vita, nutrendo il suo giovane cuore assetato di emozioni, di aspettative e successive delusioni troppo violente da accettare. In quel periodo scrive: “E’ terribile essere donna e avere diciassette anni. Dentro non si ha che un pazzo desiderio di donarsi”. Ancora adolescente osserva il suo corpo e, come nel classico immaginario borghese - e dell’epoca- lo vive come corpo che può dare vita a un’altra vita: “avvinghiare qualcosa di vivo, che io senta più piccolo di me”. I due vivranno un amore sofferto e fortemente contrastato dalla famiglia Pozzi, e la fine di questa relazione sarà per Antonia la fine della “vita sognata”, come reca il titolo della breve raccolta di versi in cui racconta la sua disperata storia d’amore, e l’inizio della discesa verso una “vita irrimediabile”, il primo passo verso il fatale destino della sua “giovinezza che non trova scampo”, o meglio, come scrive Vittorio Sereni - con il quale stringe amicizia durante gli anni all’università - “che non trova sbocco, non trova appigli, non sa a cosa applicarsi ea cosa tendere”. Scriverà sino al dicembre del 1938, quando conoscerà il suicidio.
È strana, a volte, la vita. Se osserviamo dall’esterno, alcune persone sembrano insolitamente privilegiate e la loro esistenza fluisce serena, senza ostacoli, come un fiume che scorre inarrestabile. Eppure, talvolta, quel moto lento e inesorabile si interrompe bruscamente magari per una casualità o per un intervento volontario, e noi restiamo attoniti e smarriti ad interrogarci sul perché.
La malinconia, una malinconia leopardiana che si alternava a una malinconia dolorosa e profonda, si è accompagnata alla breve vita di Antonia Pozzi, e ne ha ispirato le poesie arcane e sommesse, luminose e fosforescenti, immerse nella grazia e nel mistero di un fragile desiderio di morire che le sue relazioni d’amore ogni volta franate e incomprese nei loro brucianti fulgori hanno concorso nel farle scegliere la morte a ventisei anni. La fragilità e la smarrita stanchezza di vivere, la solitudine e la nostalgia della morte, che si sono accompagnate alla malinconia, sono state le premesse emozionali alla genesi delle poesie di Antonia. Sono poesie che ci consentono di cogliere i diversi modi di rivivere e di esprimere gli indicibili turbamenti dell’anima che hanno contrassegnato la sua vita, la sua adolescenza e la sua giovinezza, e che nella grazia straziata e nella tenerezza ferita delle sue poesie si sono rispecchiati con crudele evidenza. Sono poesie che ci immergono negli abissi di laceranti conflitti interiori, e ci avvicinano agli enigmi di un dolore dell’anima che ha tematizzato la sua breve vita e che ci dicono, o almeno ci fanno intravedere, qualcosa del male di vivere che ne ha accompagnato la vita - che si leggono, e si rileggono, scoprendone ogni volta orizzonti di senso diversi, ma sempre sfiorati, e anzi lacerati, da una malinconia che anche in Leopardi si è accompagnata, come egli ci dice nello Zibaldone, a una febbrile nostalgia di una morte volontaria alla quale è nondimeno riuscito a sfuggire. I suoi componimenti, trasfigurati da una alta e luminosa climax lirica, sono in fondo il diario di un’anima, e in esse mirabilmente si snodano le diverse figure tematiche della malinconia sognante, intessuta di stupore del cuore e di tenerezza, quella di una malinconia dolcemente leopardiana, suscitatrice di immagini struggenti di indicibile bellezza, quella di una malinconia bruciante e dolorosa, immersa nell’angoscia e nella stanchezza di vivere, che non sono state estranee alla decisione di scegliere di morire. Secondo i dettami dell’ ermetismo le sue espressioni sono "asciutte e dure come le pietre". Come ho potuto notare, il suo mondo poetico viene ancora una volta espresso con una sorta di tenerezza e teso verso una speranza di vivere quasi infantile che trasfigura la sofferenza esistenziale, non è stato recepito come avrebbe meritato. Parole di un non detto che trovano la loro ragione d’essere nei versi che assumono il candore di un amore platonico. Che sembrano essere un inno alla vita ma al contempo sono un grido di dolore, fulminante. La Pozzi è, dunque, un’anima incerta, dubbiosa, insicura: ricerca costantemente l’affermazione di sé tramite la stima e il sostegno degli altri, priva dei quali cade in depressione, e tutto le sembra così inutile, evanescente, effimero. Scriverà a Remo Cantoni: “Io vivo della poesia come le vene vivono del suo sangue. Io so cosa vuol dire raccogliere negli occhi tuoi l’anima delle cose, torturate nel loro gigantesco silenzio, sentire mute sorelle al nostro dolore”.
I componimenti che più mi hanno colpito sono “Canto della mia nudità”, “Secondo amore”, “Bellezza”, “Lieve offerta”.
Riporto di seguito il testo di Bellezza, ivi sopracitato.
"Ti do me stessa, le mie notti insonni, i lunghi sorsi di cielo e stelle – bevuti sulle montagne, la brezza dei mari percorsi verso albe remote. Ti do me stessa, il sole vergine dei miei mattini su favolose rive tra superstiti colonne e ulivi e spighe. Ti do me stessa, i meriggi sul ciglio delle cascate, i tramonti ai piedi delle statue, sulle colline, fra tronchi di cipressi animati di nidi – E tu accogli la mia meraviglia di creatura, il mio tremito di stelo vivo nel cerchio degli orizzonti, piegato al vento limpido – della bellezza: e tu lascia ch’io guardi questi occhi che Dio ti ha dati, così densi di cielo – profondi come secoli di luce inabissati al di là delle vette –".
Brucia, nelle pagine di quest’opera, il fuoco che ha fatto ardere tutta la sua breve vita: dalla più tenera, ma già pensosa, adolescenza alla precoce maturità, trascorsa in contatto con l’avanzato ambiente intellettuale del filosofo Antonio Banfi. Ne emerge il ritratto «dal di dentro» di una giovane donna impegnata, con una determinazione spesso drammatica, nel progetto di una vita autentica e aperta agli altri e di una poesia veramente sua. Penso, davvero, che leggere le poesie di Antonia sia come immergersi in uno scorcio di esistenza imprigionato nelle pieghe di un conflitto non risolto. Nonostante ciò i suoi versi sono limpidi, voraci, fuggenti, speme di vita, abbraccio sincero, anima. Fiori puri e candidi.
Uno straordinario lirismo, quello di Antonia Pozzi. Fu una poetessa che non si può inserire in una corrente specifica: spesso accostata al cosiddetto crepuscolarismo (in realtà fu più la risposta di alcuni poeti alle tendenze altisonanti di D’Annunzio e dei suoi seguaci e all’avanguardia futurista di Marinetti, non un movimento che faceva riferimento a stilemi o poetiche specifiche), in realtà la si può considerare tale solo rispetto a un linguaggio opposto a quello magniloquente e di evidente vicinanza ad alcuni poeti italiani del passato (soprattutto Pascoli per le tematiche legate alla natura) e ai poeti antichi cui NON si rifaceva D’Annunzio (cioè quei poeti che celebravano la natura, come Teocrito, e il gruppo dei neoteroi di Catullo per la scelta di tematiche leggere). Eppure cercare di incastonare Antonia Pozzi in un binario composto da Pascoli, Corazzini e Catullo sarebbe comunque errato, poiché ella fu molto più di questo: non era una crepuscolare nella misura in cui Pozzi dava più importanza a un mondo esterno, e non ad ambienti interni governati da cattiva salute e da vecchi ninnoli; non cantava l’amore alla maniera di Catullo perché usava piuttosto un punto di vista femminile molto intimista; non intendeva la natura alla maniera degli antichi né in quella pascoliana (benché questi sia l’autore italiano che più deve averla influenzata, anche per l’uso che questa faceva del colore nei suoi componimenti) e anzi includeva la periferia e il margine nel suo modo di intendere l’ambiente esterno, oltre a una lontananza rispetto agli idilli bucolici e pastorali data anche da una natura più selvaggia, di cui la parte pastorale è una naturale estensione. Nel modo di intendere il suo legame con la natura, Pozzi mi ha ricordato un’altra fuoriclasse, Emily Brontë, che guardava alla brughiera in maniera viscerale e fisica, quasi fosse stata ella stessa una parte dei moors inglesi; similmente, Pozzi fa parte delle montagne, del cielo, dei pascoli, delle viuzze di campagna che descrive. Frammentaria (forse influenzata dal nascente ermetismo e dalle innovazioni portare da Ungaretti?), Pozzi rifiutò l’applicazione quasi scolastica dei versi della tradizione e preferì una scomposizione del verso data anche da una punteggiatura che impedisce di leggere, talvolta, le soventi sinalefi (come già fece Leopardi, inscrivendosi dunque in una tradizione di rinnovamento della metrica italiana iniziata dal poeta di Recanati giunta fino ad autori quali Ungaretti e Montale). Ma non solo punteggiatura: alla maniera di Emily Dickinson, usa anche trattini che creano cesure e perciò incertezze nella lettura del verso. Anziché rifugiarsi nei lidi della magniloquenza dannunziana, Pozzi preferì continuare le operazioni di rinnovo e di ricreazione metrica e poetica che erano state iniziate da alcuni autori ottocenteschi e primo novecenteschi. Ella così rimane al di fuori di uno schema in cui essere collocata, rendendola una vera e propria voce poetica che rifiutò la schematizzazione per dare libero sfogo al suo poetare, in una leggerezza spirituale simile al vento e in realtà molto profonda.
Inauguro questo anno di letture con una raccolta di poesie di Antonia Pozzi, poetessa milanese morta giovanissima, nel 1938.
Non è la prima volta che mi approccio ai versi di Pozzi, e questa raccolta postuma era nella mia lista dei desideri da un po' di tempo, scoperta grazie ad un reading online di Carolina Capria.
Le poesie di Pozzi sono intense, un connubio tra la ricerca di leggerezza e la profondità del dolore, tra la meraviglia ispirata dalla contemplazione della natura e la disperazione della vita; parlano d'amore, per qualcuno o per qualcosa. . La poesia che dà il titolo alla raccolta è fatta di speranza, ma anche di nostalgia e di malinconia.
La raccolta ha una prefazione di Eugenio Montale, cui dobbiamo la pubblicazione dei versi di Pozzi, che li ha scoperti e apprezzati post mortem. Montale descrive l'enorme mole di liriche lasciati da Pozzi come "il diario di un'anima".
Mi hanno colpita profondamente la bellezza e la sincerità delle poesie di Antonia Pozzi, la sua capacità di rappresentare il dolore trasformandolo in arte, la sua sensibilità esasperata e pura. Questa raccolta mi ha donato momenti di riflessione e di emozione, oltre ad un enorme trasporto verso questa giovane donna così sensibile e profonda.
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Desiderio di cose leggere (1934)
Giuncheto lieve biondo come un campo di spighe presso il lago celeste
e le case di un’isola lontana color di vela pronte a salpare –
Desiderio di cose leggere nel cuore che pesa come pietra dentro una barca –
Ma giungerà una sera a queste rive l’anima liberata: senza piegare i giunchi senza muovere l’acqua o l’aria salperà – con le case dell’isola lontana, per un’alta scogliera di stelle –
Nella prefazione, Eugenio Borgna cita le parole con cui Eugenio Montale aveva descritto Antonia Pozzi: “voce leggera, pochissimo bisognosa di appoggi, essa tende a bruciare le sillabe nello spazio bianco della pagina.” Non si può descriverla meglio di così.
Le sue poesie mi hanno strappata dall’inerzia della tediosa routine quotidiana, incastrata nelle sue regole obblighi e preoccupazioni. Mi hanno dolcemente trasportata verso l’alto, dove il cielo è azzurro e le ansie si diradano, e al contempo mi hanno ricentrata salda in me stessa, nutrendo le emozioni viscerali che radicano alla “vita più fonda”.
Quanta bellezza, bella da piangere.
Non aggiungo passaggi preferiti perché dovrei citare gran parte della raccolta di poesie.
Nota aggiuntiva: Molte tra le sue prime poesie del 1929 (a soli 17 anni! Rendiamoci conto) mi hanno ricordato canzoni di folklore e evermore - album in cui Taylor Swift ha più che altro composto poesie in musica. Vi ho ritrovato non solo alcune tematiche ma anche simili livelli di lirica creatività e sensibilità. Manco a dirlo, sono la soundtrack adatta.
Premetto che la poesia, per me, è un linguaggio complesso: faccio fatica a entrare nel testo e spesso devo rileggere lo stesso verso più volte prima di sentirlo vicino.
Queste composizioni sono profondamente introspettive e, a tratti, gravano sulla coscienza con il loro peso emotivo. Parlano di un'esistenza intima e profondamente femminile, che riesce a evocare emozioni con una sensibilità straordinaria.
Nel bel mezzo dei miei vent'anni, vivo uno stato d'animo sospeso, a metà fra la nostalgia di ciò che è stato – gli anni universitari e l'adolescenza – e l'attesa di ciò che sarà. È in questo stato d'animo che ho interpretato le poesie di Antonia Pozzi. Il loro stile, pur essendo radicato nel contesto della poetica del Novecento, si avvicina sorprendentemente al sentire contemporaneo.
Non tutte le poesie, però, mi hanno colpito. Alcune mi sono sembrate di contenuto scontato o banale. Tuttavia, considero che questa raccolta meriti una lettura.
[...] E tu non dire ch'io perdo il senso e il tempo della mia vita- se cerco nella sabbia il sole e il pianto dei mondi - se getto nelle cose la mia anima più grande - e credo ad immense magie...
"Se qualcuna delle mie povere parole ti piace e tu me lo dici sia pur solo con gli occhi io mi spalanco in un riso beato ma tremo come una mamma piccola giovane che perfino arrossisce se un passante le dice che il suo bambino è bello"
"[...] E tu accogli la mia meraviglia di creatura, il mio tremito di stelo vivo nel cerchio degli orizzonti, piegato al vento limpido – della bellezza [...]". ❤️