Prefazione di Isabella Camera d'Afflitto. In antiporta, incisione, con ritratto dell' Autore, protetta da velina. Biografia. Bibliografia . 16mo pp. XXIV - 480 Ottimo (Fine) Vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1988
Naguib Mahfouz (Arabic author profile: نجيب محفوظ) was an Egyptian writer who won the 1988 Nobel Prize for Literature. He published over 50 novels, over 350 short stories, dozens of movie scripts, and five plays over a 70-year career. Many of his works have been made into Egyptian and foreign films.
Finito il libro, mi è rimasta quella voglia genuina e infantile di sentire altre storie di quelle che si intrecciano continuamente nel Vicolo del mortaio. Il mio protetto è il personaggio anglofono, che parla English e ha quell'adorabile abitudine di fare spelling, che si scrive s.p.e.l.l.i.n.g
È decisamente un vero peccato che nessuno parli mai di certi autori e dei loro romanzi, che nulla hanno da invidiare alla letteratura occidentale e che hanno decisamente tanto da raccontare.
Scritto da Naguib Mahfuz e pubblicato per la prima volta nel 1947, "Il Vicolo del Mortaio" narra la tranquilla quanto immobile vita degli abitanti dell'omonimo vicolo del Cairo, nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, anche se potrebbe essere il 2020, e cambierebbe poco o nulla. Caratteristica peculiare del Vicolo, infatti, è il suo essere una "bolla felice", un'isola separata dal resto del mondo, dove nulla cambia e dove sembra non vi sia spazio per le grandi storie; i suoi abitanti sono persone ordinarie, più o meno ricche e più o meno oneste, nessuna delle quali sarebbe degna di essere protagonista di un importante romanzo -incontriamo il signore Kirsha, il padrone di un caffè, omosessuale e consumatore di hashish, e Zaita, un uomo meschino che "fabbrica infermità", o la signora Afifi, vedova cinquantenne alla disperata ricerca di un marito. Ognuno di questi personaggi, in ogni caso, accetta la propria realtà, aggrappandosi alla propria vita insensibile al cambiamento.
La monotonia, la noia, la quotidianità del Vicolo si riflettono, di fatto, anche sullo stile dell'autore: Naguib Mahfuz sviluppa una narrazione molto semplice, e spesso ironica, caratterizzata spesso e volentieri da un "tell, don't show"che non mi ha particolarmente entusiasmato, specie nella seconda parte del romanzo, dove si sviluppa gran parte dell'"azione" e dove piazzare lunghi blocchi descrittivi non fa altro che impedire la sospensione dell'incredulità; inoltre, in molti casi ho avuto l'impressione che l'autore piegasse i caratteri dei personaggi alle proprie necessità, affrettando decisioni che teoricamente richiederebbero un lungo tempo di riflessione, tanto che nel giro di quale pagina il personaggio X passa dall'essere perdutamente innamorat*, all'odiare l'amat*, all'amarl* nuovamente senza connessioni logiche apparenti. Pazienza, comunque, perché a mio parere ciò che rende questo libro un piccolo gioiello non è di certo la trama in sé per sé (che, anzi, è decisamente cliché), ma il suo messaggio -molto disfattista, perché sia mai che si riesca ad avere un finale felice.
Il Vicolo, questa strada talmente ben caratterizzata da sembrare quasi viva, è l'unico porto sicuro, e chiunque provi a desiderare altro, a tentare la sorte e cambiare la propria vita, ne paga care le conseguenze -un modo molto poetico per dire che "se nasci tondo, non puoi morire quadrato". Ne è un chiaro esempio Hamida, anima e centro del romanzo. Questa bellissima ragazza, forte e consapevole della propria avvenenza, è l'incarnazione della "matherial girl in a matherial world", e soffre della propria povertà. Il matrimonio, per lei, è solamente una maniera per elevarsi socialmente, e per tutta la durata del romanzo non fa altro che tentare di manipolare i propri pretendenti per ottenere ciò che vuole -denaro, gioielli, lusso. E tuttavia c'è di più, perché Hamida rappresenta un modello di donna anacronistica per il suo tempo, una donna che vuole essere indipendente dagli uomini, una persona e basta, che se cerca l'amore cerca la passione e la parità (non a caso si innamora perdutamente di un uomo con cui sa di poter osare tenergli testa) ma ovviamente nell'ottica di un Egitto del 1945 questa sua anima viene demonizzata, facendocela percepire come un'antipatica egoista, anche se è evidente la simpatia di Mahfuz per questa ragazza, un'antieroina verso la quale non si può fare a meno di provare enorme compassione.
L'autore riesce a ricreare la monotonia, la noia dei quartieri di El Cairo. la descrizione sembra coincidere con la Napoli dei quartieri, per questo il romanzo è stato particolarmente piacevole per me. I sogni, le ambizioni, vengono tutte descritte con un'umanità pazzesca. L'autore però non si fa scrupoli a mostrare le conseguenze di questi ultimi.
Pubblicato nel 47…eppure sembra talmente attuale da farmi credere che sia stato scritto negli ultimi mesi.
Ho immaginato vivere in quel vicolo, tra le persone, la mia mente ha anche creato i volti di ognuno di loro, fatti dei loro personali tratti estetici e morali. Cosa crea l’amore? Nulla, a volte distrugge e basta…ma da quelle ceneri può rinascere.
Letto "il vicolo del mortaio". Sempre interessante conoscere altri mobdi, altre culture cosi 'diverse dalle nostre. Leggerò anche altri di questo autore.
"Vicolo del mortaio", di Nagib Mahfuz, unico premio Nobel arabo per la letteratura, è lo stupefacente affresco di un vicolo del Cairo ai tempi della II Guerra mondiale, il ricco e variegato ritratto di un'umanità livida, amara, dolente, a volte misera, degradata, selvaggia, "perversa", altre dalla incredibile forza spirituale e dall'impressionante saggezza popolare. Il romanzo, senza dubbio impregnato di un'evidentissima impronta autobiografica, è tutto un pullulare di storie, personaggi, vicende, segreti, scandali, mendicanti che trovano armoniosamente posto nel piccolo universo, isolato e chiuso in sé, di pettegolezzi e malefatte, dalla solo apparente semplicità, che è il vicolo. Leggere "Vicolo del mortaio" significa sperimentare, conoscere e amare questo mondo di incanto, fascino, bellezza, piccoli uomini e grandi lavoratori, fin nelle sue più intime e meravigliose profondità. Sembrerà pertanto al lettore di poter sprofondare piacevolmente nelle passioni, nella vita e nei complotti, nelle miserie umane, nelle terribili e voracissime ambizioni, nella frustrazione degli amori impossibili, nella disperazione ma anche negli entusiasmi e nei sogni struggenti di riscatto che animano gli attori dell'opera. È in questo contesto che s'inseriscono le figure di Selim Alwan, "il signore di tutto il vicolo" e proprietario del grande bazar, vero centro economico e sociale della vita del quartiere, noto per la sua incontenibile voluttà, il depravato padron Kirsha, e suo figlio, il barbiere Abbas al-Helwo, ragazzo buono, dolce, dalla lirica e sensibile interiorità, la sua amata, la bella Hamida, sua madre, Umm Hamida, logorata da irrequiete brame di potere e ricchezza e la facoltosa vedova Saniyya Afifi, afflitta da un disperato desiderio di amore. Impossibile non notare le peculiari similarità con l'Opera verghiana, tanto nelle atmosfere polverose e popolari, quanto nell'insegnamento che mira ad ammonire chiunque tenti di sfuggire dalla tradizione, dalla condizione, pur infelice in cui versa. Esemplare a tal proposito è proprio il personaggio di Hamida, che forte del suo disprezzo per il vicolo, si ribella alle leggi dello stesso, sacrifica l'amore, i sentimenti, la vita onesta e la dignità, trovando però solo sconfitta e perdizione nel baratro dello sfruttamento e della prostituzione. È in effetti nel tragico epilogo di morte e distruzione, che sembra quasi rappresentare, erroneamente, la rottura degli equilibri dell'impenetrabile vicolo, che si avverte tutta la forza devastatrice del libro, che pure con la sua lirica intensità, la raffinatezza e semplicità dello stile, sa trasmettere il dramma del "luogo placido e stagnante", dell'infernale e rassicurante carcere che è, a seconda delle diverse interpretazioni, l'invincibile vicolo.