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La scuola cattolica

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Roma, anni Settanta: un quartiere residenziale, una scuola privata. Sembra che nulla di significativo possa accadere, eppure, per ragioni misteriose, in poco tempo quel rifugio di persone rispettabili viene attraversato da una ventata di follia senza precedenti; appena lasciato il liceo, alcuni ex alunni si scoprono autori di uno dei più clamorosi crimini dell'epoca, il Delitto del Circeo. Edoardo Albinati era un loro compagno di scuola e per quarant'anni ha custodito i segreti di quella "mala educacion". Ora li racconta guardandoli come si guarda in fondo a un pozzo dove oscilla, misteriosa e deforme, la propria immagine. Da questo spunto prende vita un romanzo, che sbalordisce per l'ampiezza dei temi e la varietà di avventure grandi o minuscole: dalle canzoncine goliardiche ai pensieri più vertiginosi, dalla ricostruzione puntuale di pezzi della storia e della società italiana, alle confessioni che ognuno di noi potrebbe fare qualora gli si chiedesse: "Cosa desideravi davvero, quando eri ragazzo?". Adolescenza, sesso, religione e violenza; il denaro, l'amicizia, la vendetta; professori mitici, preti, teppisti, piccoli geni e psicopatici, fanciulle enigmatiche e terroristi. Mescolando personaggi veri con figure romanzesche, Albinati costruisce una narrazione che ha il coraggio di affrontare a viso aperto i grandi quesiti della vita e del tempo, e di mostrare il rovescio delle cose.

1294 pages, Paperback

First published March 17, 2016

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About the author

Edoardo Albinati

47 books57 followers
Da oltre vent’anni lavora come insegnante nel penitenziario di Rebibbia, esperienza narrata nel diario Maggio selvaggio. Suoi reportage dall’Afghanistan e dal Ciad sono usciti sul “Corriere della Sera”, “la Repubblica”, “The Washington Post”. Ha scritto film per il cinema di Matteo Garrone e Marco Bellocchio. Tra gli ultimi libri pubblicati, ricordiamo Tuttalpiù muoio con Filippo Timi e Vita e morte di un ingegnere.

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Profile Image for stefano.
188 reviews160 followers
November 14, 2019
Signore e signori, non perdetevi questo capolavoro del trash italico, un libro stracultissimo che purtroppo i lettori sono molto meno degli spettatori, altrimenti sai che risate. Io, una mia pietra miliare è il librone di Marco Giusti sui film italiani stracult. Si va dai trashoni naziporno alle pellicole intelligenti, impegnate, filosofiche, sociologiche, super ragionate che, però, mancano clamorosamente l'obiettivo. Ecco, se fosse un film, La scuola cattolica non sarebbe di certo un naziporno, purtroppo per Edo, ma entrerebbe di diritto nel novero dei mattoni indigeribili con ambizioni altissime e risultati inversamente proporzionali alle suddette.
La scuola cattolica si poteva chiamare anche Il diario di Edo, che non ci sarebbero state differenze. Edo è un ragazzo molto intelligente, ma non come Arbus, che riflette su tutto. Sta sempre a elaborare teorie, a ricercare spiegazioni, a fare due palle così al lettore con le sue idee su come va il mondo, e nel frattempo racconta due-tre aneddoti da bancone del bar e sopra gli aneddoti ci costruisce un'altra teoria, e dalla teoria nasce un altro aneddoto, e così via: una teoria, un aneddoto, una teoria, per settecentomila pagine, senza nessun dato di fatto e soprattutto senza ridere mai. Mai. Anzi, una volta ho riso, quando dice:
Pronto, casa Beethoven?
No-no-no-nooo! (sull'aria della nona)

Da vero amante del trash, non posso rinnegare una battuta elementar-pierinesca. Ma torniamo al Diario di Edo. Edo va scuola al SLM, negli anni del DdC, le cui vittime sono RL e DC e io con tutte queste iniziali già mi perdo. A ciò si aggiungano le pagine scritte in corsivo, le elucubrazioni tra parentesi, le poesie buttate con nonchalance (prosa uguale al resto, ma andando a capo a caso) e la frittata è fatta: ma che è 'sta robba? avrebbe detto Alberto Sordi, che forse non tutti se lo meritano.
Quando andavo all'università c'era un tizio che si chiamava il Polemico. Aveva da dire su tutto. Il professore spiegava, lui alzava la mano e interveniva. Polemicamente. Aveva teorie su ogni argomento, basate su marxismo mal digerito, ribellismo da quattro soldi, sciocchezze apprese per caso. Edo, uguale! Femmine, femminismo, droga, fascismo, bricolage, comunismo, rapporti tra uomo e donna, omosessualità, punto croce, religione, preti, suore, Higuain alla Juve, non c'è argomento sul quale Edo non si senta in dovere di fornirci il suo parere. Ora, dico io, se hai qualcosa da dire va benissimo che la dica, ma scegli un modo decente per farlo. Vuoi scrivere un romanzo? Benissimo! Siamo qua apposta per leggere. Inventati un personaggio, una storia, quello che ti pare, e racconta. Ci vuoi ficcare l'aneddoto? Mettilo, non facciamoci mancare niente. Vuoi darci la tua visione del mondo? Benissimo, inventa una storia attorno e fai in modo che tale visione risalti. Oppure, vuoi scrivere un trattato di sociologia? Ci annoiamo un po' di più, ma fallo uguale. In questo caso, però, consiglierei di portare due dati due alle teorie che esponi, altrimenti il rischio di te-lo-spiego-io-come-va-il-mondo tanto caro agli avvinazzati da bar è altissimo. Edo, né l'uno né l'altro. Non è un romanzo, non c'è la storia, non ci sono i personaggi (cioè, ci sono, ma servono solo a... a... a... a che cosa ne so, servono, ecco); non è nemmeno un trattato di sociologia (o di storia, o di un'altra materia a caso). No, è solo una tirata di sessantamila pagine di pensierini di Edo, che se avesse fatto un blog invece di scrivere 'sta roba sarebbe stato meglio.
Io non prendo mai appunti quando leggo, ché leggere dev'essere uno svago, non un impegno. Però, quando mi trovo di fronte a siffatto coraggio letterario, non posso esimermi. Sul Diario di Edo, ventiquattromila pagine di riflessioni dell'Autore, e diciottomila commenti miei. Il tablet è impazzito, a furia di digitare ????????????? a corredo delle frasi di Edo. Ci sono una marea di spunti da ragazzino intelligente, ok, fenomenali se stai per iniziare il liceo. Già al secondo anno, però, dovresti avere superato quelle sciocchezze. Se avessi voglia, andrei a cercarle, ma ho sonno e poi non voglio rovinare la lettura a chi ancora ha intenzione di cimentarsi con il Diario di Edo.
Solo alcuni appunti, prima di andare a letto. Il primo. Ho notato un abuso di termini quali frocio, femminuccia, omosessuale, e di frasi tipo Sembra una lite fra travestiti, ci mancano solo le borsettate. Sia chiaro, io adoro la volgarità, gli insulti gratuiti, la parolaccia, financo la bestemmia e il mancato rispetto verso tutto e tutti, figuriamoci, ma però ciò deve essere contestualizzato. Se sono Edo, e scrivo un libro, e il protagonista è Edo, io mi immagino che sia Edo stesso a pensare che i travestiti siano delle checche isteriche che si pigliano a borsettate. E mi fa un po' di tristezza. Tra l'altro, risolvere il problema non sarebbe nemmeno difficile: fai lo scrittore, inventati un personaggio e se vuoi dire che i travestiti litigano a borsettate, fallo pure, è il personaggio che parla, non tu. Comodo e gratuito. Nel libro ho avvertito un po' di omofobia, una spruzzatina di misoginia, ma forse è solo il modo di scrivere di Edo e lui è la persona più aperta del mondo. Però, come diceva quel tale, le parole sono importanti: in milletrecento pagine ne usi tante, Edo, abbi cura di come le adoperi.
Altra cosa. Le generalizzazioni. Non ce la faccio più a sopportarle, ma forse è un problema mio. Quando sento qualcuno che dice i preti... e via una teoria; le donne... e giù una spiegazione; i cattolici... e parte l'analisi; ecco, quando qualcuno attacca con un nome collettivo e mi dà l'opinione su quel gruppo, io non ce la faccio. Mi prude tutto. Ma conosci forse tutti i preti? O tutte le donne? O tutti i travestiti? Per quelli che tu vedi prendersi a borsettate, io te ne posso citare altri che accomodano ogni situazione con la parola, invece che con le manate isteriche. Non hanno alcun senso, le generalizzazioni, non hanno valore, non servono a niente. Le donne non esistono. Esiste Marta, esiste Elisabetta, esiste Luciana, esiste Marianna. I preti non esistono. Esiste don Giovanni e esiste don Michele, esiste don Mariano e esiste don Gaetano, ognuno diverso, ognuno in fondo perso dentro i fatti suoi (che citazione!). Anche qua, come prima, fatti un personaggio con le sue idee sui preti e sulle donne, e falle dire a lui: il personaggio può generalizzare, Edo no.
Altra cosa. Nel Diario di Edo torna tutto. Parla di una vecchia fidanzata, e poi la rincontra. E ci scopa, ché Edo, lasciatevelo dire, be' Edo, Edo insomma è uno che ci sa fare. Ma capiterà sedici volte questa situazione, nove delle quali la bencapitata è vestita alla stessa maniera di vent'anni prima. Bisogna sospendere l'incredulità, il giramento di palle e persino il buon senso, per sopportare tutto ciò senza ridere a voce alta.
Ultima cosa, già che ci siamo: il sesso. Il sesso per iscritto è una delle cose più difficili da rendere, assieme ai dialoghi e al racconto dell'infanzia. Anzi, forse più dei dialoghi e dell'infanzia. Diventa tutto ridicolo e io non mi trattengo quando leggo zampillo di seme. Zampillo di seme. Roba da sceneggiatore porno di quarta categoria. Mi immagino una fontana, tipo qualcosa di barocco, al centro di Roma, con mille ugelli da cui zampilla il seme. Fa ridere e anche un po' schifo. Zampillo di seme, mannaggia a Edo.
Un consiglio. Leggetelo. Ma se non avete voglia di leggerlo, compratevi l'ebook ché potete fare la ricerca testuale: scrivete Bettina e assaporatene l'amplesso – difficoltoso – che ha con Edo. Se riuscite a farlo senza ridere, be', non siete roba da stracult.
Buonanotte.
Profile Image for Roman Clodia.
2,897 reviews4,650 followers
August 2, 2022
If a girl puts on airs, rape will unmask her. If a woman gets uppity, if she denies or concedes herself to too many men, then rape will put her back in line. If she likes solitude, or fun, or books and concerts, or if she goes around without an escort in the illusion that she is indenpendent, autonomous, or if she is too demanding because she wants to be loved and understood, then rape will make it clear to her just where she was wrong. When it's time to give her a lesson, rape is always handy

I would describe this as a novel only in the loosest, most postmodern of ways. I would also say that if you come to this on the back of the blurb expecting a fictional narrative centring on the crime, then you might have a long wait. Through 1200 pages what Albinati delivers is a discursive analysis and assessment of the connections between violent masculinity and Italian culture: the church, 1970s Italian politics which saw neo-fascism face up to the left, patriarchy and class.

The opening set in an elite private Catholic school reminded me stylistically of Proust: the meandering thoughts process that is stimulated by something and then runs with it - but the madeleines here are far less charming.

Wide-ranging (Marx, Freud, Lucretius just for starters) this veers towards polemic in places, though the story pierces through intermittently. I was especially reminded of the literature on Roman masculinity (i.e. classical Rome) with its emphasis on virility (literally manliness in Latin), and its concomitant relationship to concepts of power and impotence.

Once I'd let go of conventional story-telling expectations, I found this compelling, intelligent and almost hypnotic. And how refreshing to find a man tackling the topics of rape and toxic masculinity without either apology or a kind of slippery embarrassment - especially in relation to what is still a macho culture.

This certainly won't be for everyone but I found it epic, honest and, yes, admirable. Think a long (long) fictional essay that engages with big questions with no flippant, easy answers.

Many thanks to Pan Macmillan for an ARC via NetGalley.
Profile Image for Arwen56.
1,218 reviews336 followers
August 1, 2016
Milleduecentonovantaquattro pagine. Mi sono sciroppata milleduecentonovantaquattro pagine e ancora non ho capito cosa ho letto. Non so se mettermi a ridere o mettermi a piangere. Magari mi mangio un gelato, vah, così mi rinfresco le idee.

OK, vediamo di fare il punto della situazione …

“La scuola cattolica” è un romanzo? No, non lo è. Non gli somiglia neanche vagamente. Non c’è una storia, non c’è una struttura, non c’è un inizio, non c’è una fine, non ci sono i personaggi e, di conseguenza, non c’è neppure un terreno sul quale interagiscano ed evolvano (oppure involvano, a seconda dei casi). Ci sono solo delle persone (vere? inventate? un po’ sì e in po’ no?) descritte abbastanza a casaccio, una pagina qui, una pagina là. A volte scompaiono definitivamente, a volte risbucano fuori dopo che te le eri praticamente dimenticate. Ma, comunque, in generale restano piuttosto indefinite, più “fotografie” che uomini in carne e ossa.

“La scuola cattolica” è un saggio? No, non lo è. Anche in questo caso non gli somiglia neanche vagamente. La materia è del tutto disorganizzata, caotica, portata avanti senza alcun filo logico. Il disordine regna sovrano. L’unico elemento che può essere inteso come “unitario” è quello dato dalla collocazione temporale, ossia suppergiù gli anni ’70. Ma neanche sempre, perché le divagazioni possono anche improvvisamente catapultare il lettore in tempi recenti, con la descrizione di episodi che non si comprende assolutamente cosa c’entrino col resto.

“La scuola cattolica” è un diario/confessione? Neanche questo appare convincente, benché talvolta emergano fatti e situazioni che hanno tutto il sapore del ricordo diretto e dell’esperienza vissuta in prima persona. Impercettibili sfumature che sono tanto più efficaci proprio perché la loro semplice quotidianità ne garantisce l’autenticità, se non sul piano effettivo, almeno su quello del possibile/probabile. E, in questo ambito, troviamo sicuramente le pagine più belle, i momenti più delicati, le descrizioni più riuscite.

Ma allora che cosa cavolo è ‘sto libro? Non lo so. L’unica ipotesi che posso azzardare è che siano pensieri in libertà. Il signor Edoardo Albinati ha deciso di dire la sua e l’ha detta. Su tutto: gli adolescenti, i preti, gli omosessuali, la violenza, le donne (ma senza mai che le donne abbiano voce: mute d’accento e di pensier, perché il libro è declinato interamente al maschile per espressa scelta dell’autore), la politica, la borghesia (bassa, media, alta, medio-alta, medio-bassa, alta-bassa, bassa-alta … da qualunque parte ti giri salta fuori un borghese di un qualche tipo, sono peggio del prezzemolo), la letteratura, i film, la musica, il matrimonio, gli insegnanti, la religione, le intime convinzioni, i paraculi, le seghe (fisiche e mentali), i genitori, i figli, le illusioni, le delusioni, il degrado, la pubblicità, il lavoro, la noia, la paranoia, i miti, la vita … degli anni ’70 e mica solo.

A essere sincera, quel che ho molto malignamente pensato è che in realtà l’autore si sia limitato a mettere insieme appunti di vario genere, che giacevano da tempo nei meandri del suo PC, di cui non sapeva bene cosa fare, ma che gli spiaceva non utilizzare. E così, con una bella rinfrescatina, un’aggiustatina qui e una là e il delitto del Circeo (rigorosamente sempre definito “DdC”, e questa indolenza linguistica non gliela posso proprio perdonare) a fare da presunta motivazione di tutto l’ambaradan, et voilà , il libro è pronto.
E “a pensar male degli altri si fa peccato, ma spesso ci si indovina”, ebbe a dire qualcuno. :-D

Va riconosciuto, a onor del vero, che il libro è scritto bene e che non pesa continuare a leggerlo anche quando ci si è ormai resi conto che ha disatteso le aspettative. È solo verso pagina 900 che si comincia ad avvertire una certa stanchezza per le inutili lungaggini, le frequenti ripetizioni degli stessi concetti e l’andamento sfilacciato del narrare. Dunque, non mi spiace averlo letto, ma allo stesso tempo non credo avrei perso nulla se non l’avessi fatto.

Sarei curiosa di conoscere l’opinione di altri che l’hanno letto.
Profile Image for piperitapitta.
1,050 reviews464 followers
September 24, 2016
La Recherche de Noantri.

L'aver assistito, qualche sera fa, in una sala stracolma di gente nella suggestiva cornice del MAXXI, nell'ambito della rassegna Premio Strega, alla presentazione de La scuola cattolica (da qui detta LSC, nel rispetto dell’uso delle sigle tanto care all’autore), l'aver ascoltato Edoardo Albinati (EA) parlare del suo romanzo e leggerne alcuni brani con la sua voce, la sua intonazione, la sua ironia (laddove era necessario che ci fosse), è stata un'esperienza unica, capace di aggiungere valore a un'opera che per me, di per sé, già ne aveva moltissimo.
L'errore di molti, sottolineato una volta di più dalle risposte che Albinati ha fornito ad alcuni intervenuti, è stato quello di identificare tour court il narratore de LSC con il suo autore; errore che ha portato molti a formulare giudizi e ad attribuire pensieri e affermazioni (che il più delle volte andavano a interpretare pensieri e affermazioni dell'epoca) come propri dell'autore.
L'opera è largamente autobiografica, ma non è un'autobiografia, i fatti narrati sono reali, ma non tutti i personaggi e gli eventi lo sono, i personaggi, quasi sempre, sono ispirati a persone realmente esistite e incontrate da Albinati, ma non tutti corrispondono interamente a persone reali; così come è altrettanto vero che il narratore, Edoardo, è sì Edoardo Albinati, ma nel contempo non è interamente lui.
Insomma, come dice e scrive in maniera piuttosto chiara, a scanso di equivoci (eppure hanno equivocato in molti), è tutto vero, fuorché quello che ha inventato, e quello che la memoria, per sua natura fallibile, ha modificato o interpretato a suo modo.
Insomma questa è, se vi pare, un'opera vera ma anche inventata.
Un'altra difficoltà, propria di chi si è accostato a LSC perlopiù come ci si accosta a un romanzo, è stato accorgersi che LSC non è un romanzo (o perlomeno non lo è in senso tradizionale), decidere di abbandonare ogni velleità (o attesa) di struttura prevedibile (e in tal senso vedere disattese le proprie aspettative) e decidersi a lasciarsi prendere per mano da EA e seguirlo in quelli che lui ha sensatamente chiamato "i suoi ragionamenti".
Perché è proprio quello che fa, per buona parte delle quasi milletrecento pagine de LSC, il nostro Edoardo: ragiona; ricorda, rielabora, studia, approfondisce, ipotizza e, per l’appunto, ragiona ancora.
Ragiona sui perché, ma ancor più che sui perché (che per sua stessa ammissione mai sarà possibile arrivare a comprendere) sugli scenari che nel 1975 fecero da sfondo al massacro del Circeo, il brutale fatto di cronaca che per efferatezza sconvolse il pacifico quartiere Trieste (QT), Roma e l'Italia tutta.
Ma forse è più giusto dire il contrario, perché se l'Italia tutta, e Roma, ripresero poi il loro ritmo, quello del quartiere Trieste, il pacifico e borghese quartiere Trieste, fu segnato e interrotto per sempre.
Per arrivare a scrivere del Delitto del Circeo (DdC), diceva l'altra sera Albinati (che pure ne scriverà "solo" per una manciata di pagine), serve una connessione sociale, geografica e temporale: non è compito della letteratura - aggiungeva - spiegare, ma approssimarsi, insistere, avvicinarsi.
Ed è quello che fa, cercando (e riuscendo, ma solo per chi ha voglia di seguirlo nei suoi lunghi ragionamenti) di avvicinarsi al centro decentrato del suo ragionare, per centinaia e centinaia di pagine, di disquisire di borghesia, di famiglia, di amore, di politica e di fascismo, di sesso e femminismo, di educazione maschile e di virilità e violenza e pensiero maschile, e infine, ma non in ultimo, di religione attraverso il ritratto di quella "scuola cattolica" del titolo, il San Leone Magno (SLM), che incarnava il maître à penser comune a quella società borghese che si stava sgretolando senza accorgersene, e alla rappresentazione di quell'habitat e di quell'humus che hanno fornito alla capitale d'Italia dirigenti, amministratori, politici, funzionari statali, in anni che sono stati a dire poco molto complicati. Insomma, per dire che quella borghesia non interessa solo il QT o Roma, ma che è stata uno specchio il cui riflesso ha avuto un raggio di incidenza molto più ampio di quello che può sembrare.
Non solo un romanzo, dunque, non solo un memoir, non solo un saggio, piuttosto (come l'ha definito qualcuno con un termine che scelgo di usare e faccio anche mio) uno zibaldone dentro il quale Albinati, nel suo errare narrativo, sceglie di usare un po' tutte le forme a disposizione senza farne sua nessuna, se non forse quella della scelta dello stile, del gergo, colloquiale, che fa assomigliare i suoi ragionamenti, a volte, a quelli di un amico colto, piacevole, ma un po' pedante. Ciononostante, muovendosi per cerchi concentrici molto ampi, attira lentamente nella sua tela fino a catturare, volente o nolente, il lettore e a costringerlo alla resa.
La resa, ecco: c’è chi ha ceduto per noia, chi per irritazione, chi ha continuato per sfinimento, chi l’ha letto con curiosità, chi, come me, ha subito il fascino di una storia che viene da lontano (Albinati inizia a scrivere nel 2006 narrando i fatti che riguardano la propria educazione alla scuola cattolica nella seconda metà degli anni Settanta) ma che si avvicina a grandi passi alla propria, che mette le sue radici in un humus che è stato anche il mio; ed è per questo che mi permetto di considerarmi spettatrice informata sui fatti, di farmi forte della mia conoscenza del QT, e della borghesia del QT, essendone stata parte integrante e attiva per quasi trent’anni, a partire (prima - dal 1966 al 1970 - ero davvero troppo piccola ), fin dall’anno successivo al DdC, cioè dal 1976 al 2006, ed avendo abitato nel nucleo centrale del quartiere stesso, cioè fra Piazza Istria, Via di Santa Costanza (dov’era il San Leone Magno, all’incrocio con Via Bolzano), Via Gradisca, Corso Trieste, Viale Gorizia, Via Parenzo, nella mia amatissima Via Tolmino; di aver frequentato la messa di don Salari al San Leone Magno per un lungo periodo, ma soprattutto quella di Natale, a mezzanotte, a Sant’Agnese - con il baretto e il circolo bocciofili annessi alla parrocchia - di aver passeggiato guardando gli stessi palazzi, gli stessi negozi, incrociando (forse) le stesse persone.
Ed è per questo, forte di questo stesso vissuto, sia pure differito di dieci anni, che posso dire di essere stata folgorata dall’esattezza, quasi radiografica, con la quale descrive l’amore e il matrimonio nella borghesia romana, con la quale ricostruisce i rapporti fra genitori e figli, con la quale non enuncia necessariamente il suo pensiero, ma si fa portavoce di un pensiero collettivo, e interpreta, fa suo (una sorta di coro?) quello che era il pensiero, l'atteggiamento, il modus pensandi di quella classe sociale, di quell'educazione, di quel mondo che lui va a descrivere e a rappresentare, di esserne stata parte integrante ma al tempo stesso osservatrice doppiamente privilegiata, poiché la mia famiglia beneficiava dell’abitare nel QT in mezzo a una borghesia di cui non faceva economicamente parte, quasi come un corpo estraneo (ma non era sicuramente l’unico), come una perla finita per caso in mezzo a una manciata di diamanti.
Scrive per non parlarne più, dice Albinati, scrive per tacitare e archiviare definitivamente le domande che da quando il DdC sconvolse il QT, iniziarono ad affacciarsi nella sua mente, che accompagnarono la sua crescita di adoloscente, prima, e la sua esistenza, poi, di uomo adulto, di scrittore e intellettuale, di professore, a sua volta, e quindi di addetto alla formazione (che per sua scelta da molti anni prosegue non più negli istituti tecnici, ma nel carcere di Rebibbia), che proprio come quella di Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido (i tre assassini che nella villa di famiglia di uno di loro massacrarono, uccidendola, Rosaria Lopez e ridussero in fin di vita Donatella Colasanti), ebbe luogo nel medesimo periodo storico, nel medesimo luogo geografico, nella medesima scuola, cattolica, del San Leone Magno.
Del perché, poi, proprio in quella generazione, in quella scuola (e non solo, quindi, nei tre assassini del Circeo) la violenza si manifestò con un’escalation impressionante, di delitti e rapine, rapimenti e violenze spesso gratuite e inaudite, per poi non ripresentarsi più, come si fosse trattato di una meteora precipitata dal nulla sul QT, forse non si saprà mai dire; e forse, allora, l’unica spiegazione plausibile, sarà quella di un temporale improvviso, violentissimo (metafora che Albinati ha usato per descrivere l’incidente che sconvolge la vita della famiglia Rummo e che io dilato usandola per indicare il potere deflagatorio del delitto del Circeo), che ha costretto la società tutta a interrogarsi, a prendere atto della sua crisi, e a interrogarsi ancora. Che tutto questo interrogarsi, poi, non abbia prodotto granché è tutta un’altra storia.

Ed ecco, nonostante i pensieri di Cosmo in calce mi abbiano sfinita, questa sono io, in ginocchio (sembra, ma in realtà ero seduta) in religiosa e devota attesa, al cospetto del sommo.

( https://flic.kr/p/M6sxVw )
Profile Image for Tittirossa.
1,062 reviews333 followers
September 5, 2017
27 ore di vita sono tante per dedicarle a questa rimasticatura

Non ho mai avuto alcuna propensione a leggere i vincitori dello Strega (confermata dopo questa lettura) ma , complice una interessantissima discussione in un altro sito di lettori (NdA del 09/2017: che sta defungendo in questi giorni sotto un aggiornamento imbarazzante) e sfrucugliata dai commenti ivi contenuti (che vanno dalla ciofeca abbandonata a pagina 200 a commenti più entusiasti), ho deciso di buttarmi.
Il Kindle mi avvisa che devo predisporre 27 ore di vita per portare a termine la lettura (l'equivalente dell'Ulysses in lingua originale) ma non mi scoraggio.

Diario minimo di una lettura che poteva essere evitata
12 luglio- inizio tenendo a bada i pregiudizi e leggendo un po' di recensioni.
16 luglio – K 2% - un po' noiosetto è, anzi più che noioso un po' inutile, i rovelli del giovin maschio Albinati non mi pigliano più di tanto (pur avendo conosciuto un frequentatore del collegio e una frequentatrice delle Orsoline)
17 luglio - È noioso in modo molesto. E vieppiù inutile (visto che il Nostro ogni tanto si delizia con termini desueti lo faccio anche io). Pur saltando 1 pagina su 2 (troppe, troppe pippe: quest'uomo o come diavolo vuole essere definito, son rimasta a mezzo-frocio) ne ho tratto l'intima convinzione che neppure lui si sia riletto le 1300 lagnosissime pagine. E ci abbia provato con Rizzoli che, per fare vedere che non sono servi di Mondadori, avrà detto "ma sì, pubblichiamolo e mandiamolo anche allo Strega". Non si spiega altrimenti. 18 luglio - continuo impavida, il Nostro alterna capitoli di inenarrabile banalità (du' palle ste' pippe, ad es. un capitolone sul masochismo infarcito di luoghi comuni mal detti, e una serie di capitoloni sulla famiglia del tutto banali rimasticati quasi puerili) a qualche recuperone, in genere aneddoti di vita vissuta. Albinati torna a essere leggibile solo quando passa dal suo "generale" al particolare, tornando a essere narratore (la storia dei Rummo, le tante piccole storie che piazza qua e là). Nel mezzo ci sono praterie di noia letale (per l'argomento e per l'argomentare).
20 luglio - In questo momento sta virando pesantemente su Lessico Famigliare.... ma è solo un attimo, prima di sprofondare nel DdC (Delitto del Circeo), con una narrazione, che oltre ad essere irrilevante, è un filino nauseabonda. Non utilizza nomi e cognomi di quella triade di subumani (Izzo, Ghira, Guido) ma soprannomi: Subdued, Il Legionario, e Angelo il nome di battesimo di Izzo. Giunta quasi a metà dell'opera, il Delitto del Circeo si incrosta tipo bubbone aperto su una lunghissima logorroica banalizzante in parte estetizzante dissertazione sulla borghesia. Dissertazione che vorrebbe essere universale (La Borghesia) e invece è ridotta alla visione della borghesiuccia del Quartiere Trieste. (borghesiuccia non è un giudizio mio, non ho interesse a definire né la borghesia, né il QT, ma è quanto se ne evince leggendo EA).
Proseguire è sempre più duro, ho sopravvalutato le mie forze.
25 luglio - 100 pagine di dissertazione cazzeggiante sul tema dello stupro, con pensieri in libertà (rimasticature socio-culturali-antropologiche-biologiche) e un tono che ti fa venir brutti pensieri augurali sull'autore a ogni riga. Non che quello che dice non sia vero e condivisibile in alcuni punti, ma è l'approccio generale fortemente disturbante. Inoltre, più mi addentro più si aggroviglia il senso del titolo (La Scuola Cattolica = SLM) in rapporto a quello che all'improvviso è diventato il tema centrale. Certo, ho ancora 400 pagine per scoprire (spero) la chiave di lettura di questo polpettone, non lo chiamo zibaldone per rispetto del Poeta, indigeribile.
27 luglio - pagina 1301 - e non ne posso più! Sarà che questo modo di scrivere, alla pensieri in libertà, non è proprio nelle mie corde; sarà che gli aneddoti sulla sua vita erotica sparsi qua e là mi sanno da ricordi di gioventù di vecchio maiale; sarà che il suo approccio allo stupro mi ha dato abbastanza il voltastomaco; sarà che ha dichiarato la propria intelligenza sottolineando che era riconosciuta da tutti grosso modo ogni 5 capitoli; sarà che ci ha pure inglobato circa 100 pagine del professore Cosmo (vabbè, non era Flaiano, ce le potevi risparmiare); sarà che 1300 pagine impegnano una settimana di vita a leggerle e a conti fatti potevo rileggere Guerra e Pace o finire i Fratelli Karamazov; sarà che secondo me non lo ha riletto neppure lui sto mappazzone, sarà tutto questo e altro ancora ma il mio consiglio è .... non iniziatelo, non vale la pena.
28 luglio - finito finito finito!!!! Il tomazzo sta finalmente per essere terminato, e l'effetto è da gara di mangiatori di würstel, non solo non ho vinto niente ma manco mi piacciono e mi danno pure un po' di voltastomaco.
E' talmente autoreferenziale, quartiere-casa-strade-frequentazioni - da sembrare un proclama rivolto ai suoi vecchi compagni "ehi, guardate quanto sono figo, io scrivo e voi siete degli sfigati, magari di successo, ma sono io che scrivo di voi". E' questo tono e approccio (oltre a uno stile che proprio non mi entra nelle corde) che ne fanno un libro sostanzialmente inutile per chi non ha fatto quell'esperienza LI'.
Anche Proust è autoreferenziale, anche La Guerra dei Bottoni, o i Buddenbrook, o Hemingway, ma ne hanno fatto un universale. Posso leggere ed empatizzare anche se non ho vissuto a Parigi nel salotto di Charlus, o fatto un safari.
Le ultime 25 pagine sono l'ennesimo esempio: riporta le email tra compagni di scuola per cercare di organizzare un ritrovo. Certo, ci ho rivissuto la mia esperienza (giro di email, pranzo stiracchiato, l'anno dopo è saltato, quest'anno dovremmo riprovarci e nessuna voglia di rivedere incarnata quell'adolescenza che puoi sopportare solo nel ricordo), ma .... sticazzi (spero di averlo usato nella giusta accezione romana, cioè non me ne frega niente).
Arrivata alla fine, quel che mi rimane è il mattonazzo di uno che voleva far sapere a nuora (il suo milieu) e così ha parlato a suocera (noi lettori). Se avesse voluto essere un saggio-testimonianza-flussodicoscienza sarei riuscita a trovare un perché (curiosità in somma parte, sia di capire dove vuole andare a parare, sia di vedere come uno che ci è vissuto ha rielaborato quegli eventi), ma come romanzo non mi suscita il minimo interesse, è sciatto, ripetitivo, debordante, e ha dei protagonisti che lascerei tranquillamente affogare nel Tevere.

ACRONIMI – Albi ha la fissa degli acronimi (a me sa tanto di vezzo)
QT = quartiere Trieste, SLM = San Leone Magno, DdC = Delitto del Circeo, SC = Scuola Cattolica, come se a ridurre le cose a sigla avessero una maggior magniloquenza. Io propendo per una forma di comprensibilissimo risparmio delle forze: scrivendo 1300 pagine ne avrà risparmiato almeno una ventina
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May 18, 2019
Dalla prima all'ultima pagina, La scuola cattolica è un libro sbagliato.

E' sbagliata la dimensione, che lo rende così poco agevole da ficcare nella borsa del mare e non ti da neanche in cambio lo chic postmoderno del lettore assorto in Infinite Jest o 2666 o quello vintage della signora immersa in Guerra e Pace;
è sbagliato l'editore: Rizzoli, ma che volgarità, con quella copertina clamorosa, poi;
è sbagliato che abbia vinto il Premio Strega, che ormai il vincitore dello Strega lo leggono solo le sguattere del Guatemala, si sa;
è sbagliata la scrittura, che si permette di marciare ostinatamente in pianura e da pochissime soddisfazioni a coloro che bramano la salitella della metafora immaginosa e l'area di sosta della frasetta imperfettibile;
è sbagliato lo stile: non è surreale, onirico o visionario e neanche plastico o icastico.
Soprattutto non è ostico, anzi è uno di quei libri maleducati di cui si capisce tutto.

Mi è piaciuto moltissimo.

Il libro è privo di un centro e, con l'ibridazione propria di tanta letteratura contemporanea, accumula dettagli, ricordi, considerazioni, intermezzi narrativi, confessioni, filastrocche, elenchi di film, atti processuali, citazioni letterarie e inserti autobiografici; la lettura finisce così per sfrangiarsi e lasciare ampi spazi alla riflessione e all'attivazione di un confronto costante con le proprie idee, convinzioni o pregiudizi.
E questa è la parte facile.

La parte difficile è data invece dalla presenza dell'autore nel libro.
Quello di Albinati è infatti un romanzo che ha come motore primario uno sforzo di autocoscienza e a tutta la narrazione è sotteso un interrogativo evidentemente angoscioso: se venivo da quel quartiere, da quella scuola, da quel gruppo di maschi, da quel tipo di educazione, a compiere quel delitto avrei potuto essere io?
Interrogativo che, man mano che si articola in episodi e riflessioni, in attimi di passato e scorci di presente, costringe anche chi non era in quella scuola a ripensare a certe svolte della propria adolescenza, alla pericolosità di certi incontri, all'urto con la famiglia, alla fallacia di alcuni ideali, al primo incontro con la potenza numinosa del sesso. Un'immersione nella memoria che è stata per me fortemente disturbante e che ha reso questa lettura una delle esperienze più emotivamente impegnative degli ultimi anni.

Per venire all'argomento, le mille e passa pagine occorrono all'autore non per comunicare l'esito di una istruttoria già compiuta, ma per coinvolgere chi legge in una ricognizione minuziosissima di quel periodo della storia recente che rischia di essere mitizzato da chi non c'era o, nel migliore dei casi, di essere raccontato in una prospettiva esclusivamente evenemenziale: il delitto del Circeo, il rapimento di Moro.
Questa ricognizione affonda invece lo sguardo su quello che gli anni Settanta furono in casa, a scuola, al baretto per una generazione di giovanissimi maschi borghesi le cui famiglie non seppero sostituire alla pupa disseccata dell'etichetta familiare, unico vero scheletro di una classe la cui natura costitutiva è il movimento e che solo strumentalmente sposa dei valori, nulla.
Un nulla che li lasciò totalmente in balìa di sé stessi, del loro denaro, dei loro ormoni, della loro stupidità o psicopatia individuale, dei cattivi maestri (splendida o vile la rinuncia di Cosmo?) e soprattutto integralmente responsabili della gestione di una sessualità che richiedeva, forse per la prima volta, il confronto con le ragazze in luogo del comodo svezzamento con le mercenarie adulte; confronto al quale arrivarono non solo totalmente impreparati, ma col carico suppletivo dell'educazione dei preti, con tutto ciò che questo comporta nella visione e del sesso e delle donne.
Il risultato fu un disastro, e un disastro propriamente italiano. Di più, e di meno: un disastro propriamente romano.

Sbaglierebbe però chi si aspettasse un libro in qualche modo assolutorio delle porcate individuali, un “è stata colpa della società”; si tratta piuttosto di una estensione della responsabilità dai delinquenti alle loro brave famiglie, alle loro brave scuole, ai loro bravi vicini di casa, alle loro brave parrocchie. Un atto di accusa durissimo, che solo nel finale ti concede per un attimo lo sgomento di vedere in questi stronzi quello che erano anche: ragazzini.

Ma sbaglierebbe anche chi si aspettasse un libro genericamente anticlericale. Dopo pagine e pagine, si comprende anzi che Albinati ha affidato proprio al suo personaggio il compito di farsi portatore di quell'acume intellettuale, di quel bagliore spirituale e insieme di quella debolezza psicologica e di quella sessualità complicata, a tratti distorta e sempre profondamente infelice, che in quelle pagine abbiamo imparato a conoscere: nel bene e nel male, i segni della scuola cattolica.
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October 3, 2017
Una vocina mi diceva: non leggere questo libro. E’ il solito scrittore italiano che si rimira l’ombelico. Oppure è il solito scrittore italiano che cerca di storicizzare/contestualizzare la contemplazione del suo ombelico infilando a forza un po’ di telegiornale nel suo racconto o, peggio ancora, un fatto di cronaca nera, nerissima, come fu il delitto del Circeo. (Quella foto spaventosa, i corpi nel bagagliaio della macchina, avvolti nel cellophane, e quegli occhi che sembrano schizzare fuori dalle orbite, gli occhi ripugnanti di uno dei mostri) E poi quei fatti così lontani nel tempo, fasci, compagni, assemblea, “domani versione di greco!”, gli interminabili eppure fulminei anni del liceo. Lessico desueto, passato remoto, polvere di cancellino infeltrito. Ma non ho dato ascolto alla pregiudiziosa vocina, che pure tante volte mi ha salvato da orride letture. E ho fatto bene. Mi è piaciuto, questo libro, e mi è piaciuto molto. Alcune parti mi hanno emozionato, altre irritato e spazientito. Il testo è molto lungo, a volte ripetitivo, non sempre mi hanno interessato gli argomenti su cui vengono aperte digressioni (e allora, seguendo i consigli dell’autore, alcune pagine le ho letto più velocemente, altre le ho proprio saltate). Ma sempre, pur nella discontinuità delle mie reazioni, Albinati è riuscito là dove in parte si misura il valore e il senso di un’opera: ha messo in movimento pensieri, rianimato passioni ed emozioni. Insomma, e per farla breve che già l’Albinati si dilunga, La scuola cattolica, coinvolgendomi in un dialogo spesso impegnativo emotivamente e comunque mai sterile, ha fatto sì che comprendessi qualcosa di me di cui, allora, nei miei anni di formazione, ho cercato la chiave spesso senza trovarla.
(A conferma del fatto che, come vado riflettendo in questo periodo, non si può mai mettere il punto ad una persona come lo si metterebbe ad una frase. Ma questo è un altro discorso).
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February 6, 2017
Non l'ho abbandonato, alla fine, come avevo quasi deciso di fare e come avevo preannunciato nel commento qui sotto. Però ci ho messo sei mesi ad attraversare la palude. Naturalmente ho letto (e fatto) altro, nel frattempo. E nel frattempo mi sono anche gustato lo strano rapporto che la mia mente ha instaurato con questo "paesaggio", che è difficilissimo da commentare (ha ragione Raimo). Già definirlo "letterario" (il paesaggio-palude) è cosa su cui ci sarebbe da dire. Non è un fatto di trama. Non solo per la banale considerazione che non è la trama che fa il romanzo, ma anche perché in fondo (all'acquitrino) una trama c'è.

Cerco di provarci (a commentarlo) e cambio metafora. È che sembra che Albinati abbia cucinato le Virtù. Per chi non lo sapesse, le Virtù sono un piatto teramano che la buona (virtuosa, anzi) massaia delle case contadine preparava a primavera dopo aver pulito, in attesa dei nuovi raccolti, gli stipi della cucina di tutti i semi e di tutte le provviste avanzate dall'inverno: legumi, cereali, pezzi di carne essiccata, tutti i formati di pasta di cui era rimasto un avanzo. Prepararlo è difficilissimo. Ogni ingrediente ha un suo tempo di cottura. E trovare un condimento di fondo che li metta tutti in armonia è difficilissimo. È una delle cose migliori che si possono mangiare in Abruzzo. Ma solo il primo di maggio. Poi non si fa più, fino all'anno dopo. E in quel giorno i ristoranti del teramano scoppiano di gente. Chi taglia corto potrebbe chiamarlo minestrone, ma da queste parti si viene subito declassati a ospite-spazzatura.

Ecco, Albinati ha vuotato i cassetti di quel che ha scritto negli ultimi dieci anni e li ha cotti nella stessa pentola, cercando un sapore di fondo che tenesse tutto insieme. Ha pensato di trovarlo nel delitto del Circeo e nella congerie di pensieri, analisi, ricordi, collegamenti che gli si è generato in testa attorno alla violenza, lo stupro e il substrato urbano, generazionale e culturale che quella forma di violenza ha incubato e partorito. Nelle cucchiaiate di romanzo in cui leggi quella roba lì assapori il meglio del piatto.

Albinati ha una prosa sapida, elegante, precisa. È sufficientemente narciso e afflitto da nevrosi da essere originale, sorprendente, anticonformista, politicamente scorrettissimo, gustosamente incazzato. E nonostante questo (o proprio per questo, non so) riesce a lasciarti l'idea che oltre ad essere un uomo intelligente è anche autentico, sincero. Mi son fatto l'idea di una gran brava persona, di un uomo buono. Ed ha l'abilità di creare col lettore un rapporto che mi viene da definire confidenziale, da amico a amico. Ci si torna volentieri dentro il libro, quando si gira da quelle parti. Sul merito, sulla figura di maschio italiano degli anni '50 in particolare, che viene fuori da questo libro ci sarebbe tantissimo da dire. Non ci provo neanche, qui. Ma è la parte più bella, originale, stimolante del piatto. Una delle cose migliori lette in questi anni, sull'argomento. Insieme col libro di Pecoraro, direi. E colpiscono le affinità umorali, il tono di fondo assonante.

Poi ci sono ingredienti che sono proprio passati di cottura: le cronache scolastiche, le reminiscenze erotiche, la rievocazioni di certe amicizie. Passi che ti mettono la voglia di tornare a mangiarti un bel piatto di spaghetti pomodoro e basilico, al dente, ovviamente. A me l'autobiografismo annoia e qui e là veramente ho rischiato la slogatura della mascella. L'ho abbandonato, più volte, per settimane. Però stranamente m'è rimasta sempre una sorta di nostalgia perversa. E finivo per tornarci. Una sorta di rapporto di amore-odio, con punte di esasperazione e di infatuazione. Dovessi dare un consiglio direi a chi ha curiosità di leggerlo di fare una lettura "leggera", saltando senza pietà dove c'è da saltare. Non sono Virtù cotte benissimo, ecco.

Ultima cosa. Ho pensato spesso a chi ha curato l'editing di questo libro. Lo avranno anestetizzato, imbavagliato, sequestrato, mentre si preparava l'edizione? E adesso come sta? In quale clinica psichiatrica lo hanno ricoverato? Funzionano le terapie antidepressive in casi estremi di frustrazione, crisi di identità, abbattimento dell'autostima, senso di inutilità come quelle che ha dovuto subire quel pover'uomo? O semplicemente è un uomo che non esiste? Magari l'editore si è preso sto pacco e pari pari lo ha stampato, così come era venuto fuori dai cassetti. Il sospetto, leggendolo, viene. Eccome, se viene.

(Commento precedente)
Mi dispiace, ma il GRI (Grande Romanzo Italiano) credo proprio non funzioni (almeno per me). Ed è un peccato. Perché l’idea mi piaceva: un romanzo di genere (maschile) e di generazione (nati anni ’50) con grandi ambizioni, non solo di ampiezza. E non è che non abbia pregi. Un’ambientazione borghese e romana ben resa. Un anticonformismo che produce idee spesso condivisibili e comunque mai banali. Un regolamento di conti aspro e accorato col condizionamento cattolico che tutti, più o meno, abbiamo dovuto subire e del quale portiamo nostro malgrado i segni. Un colore narrativo giusto. Albinati poi è bravo: ha una prosa diretta, precisa, gradevole.

Però l’architettura del romanzo non regge proprio; è difficile persino definirlo “un romanzo”. Non puoi giocarti quei temi, quelle ambizioni producendo un lunghissimo, monotono, predicatorio trattato di costume sul Tuttumpo’ dei nostri anni. E, senza uscire dall’autobiografismo, pretendere di poggiare il tutto su un debolissimo filo narrativo legato alla scuola e al delitto del Circeo; che resta sepolto e disperso in uno straripamento di pagine a metà strada tra il saggio psico-sociologico e il cazzeggio.

All’inizio affascina, se non altro perché in certe cose ti vedi, ti riconosci, ma alla lunga tra sfoghi e fatterelli ti sfinisce. La sensazione di essere in una palude senza orizzonti, che non porta da nessuna parte, comincia a dare la vertigine, la nausea. Bisognerà proprio decidersi a mollarlo (è ancora lì, in realtà, malinconicamente appeso da un po’). Peccato proprio.
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May 30, 2016
È un libro che scoraggia per la sua lunghezza.
Bisogna arrivare al 40% perché finalmente si parli del Delitto del Circeo.
Eppure tutta l'analisi sociologica ha un senso.
Bellissimo libro.
Merita il premio Strega.
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December 5, 2016
Update - 26 novembre 2016
Almeno ho capito perché mi ha annoiato fino allo sfinimento. Perché è ridontante; certe cose le ripete decine di volte, usando le stesse parole. Perché non ha le prove e io non ho fede.
Ho anche trovato un nesso tra la mia fascinazione per le storie e il mio amore per la ricerca applicata. In entrambe, da tanti fatti si ricava una conclusione piccolina, o nessuna conclusione.
Albinati da pochi fatti, a volte da nessun fatto, ricava milioni di asserzioni indimostrate.
Non si butta via niente.

Update - 30 ottobre 2016.
Lo riprendo e lo finisco, punto.

Update - 2 luglio 2016:
Qualcuno li ha definiti "sermoni", io preferisco chiamarle opinioni in libertà, vista l'assenza di qualunque intento moraleggiante. Stiamo parlando della sostanza del "romanzo", tutto centrato su una sorta di studio sociologico estemporaneo, quello che potrebbe fare un uomo qualunque incaricato di delineare i tratti di una popolazione sulla base delle proprie sensazioni, e senza nessuno strumento utile a conferire sistematicità e scientificità allo studio. Il romanzo è (almeno per le prime 200 pagine) uno studio senza fondamento, tutto centrato sulle opinioni dell'autore, inframezzato da lampi di fulgido esibizionismo narcisista, che nella loro assurda sfacciataggine risulterebbero divertenti, non fossero patetici.
Mi dicono: non è un'autobiografia, è un romanzo senza virgolette. La voce narrante non è quella di Albinati, ma quella di un personaggio, il quale racconta l'idea che ha di sé e dei suoi compagni. Non sta esponendo un analisi sociologica a un congresso, sta raccontando il suo mondo.
Ah, be', allora è diverso. Se si tratta di un romanzo senza virgolette, ho da dire ad Albinati che il suo romanzo è buono per vincere uno Strega, non per convincere quei lettori che da un romanzo si aspettano trama, varietà di punti di vista, salti temporali, cliffhanger, sviluppo del carattere dei personaggi, dinamiche relazionali tra personaggi e stronzate del genere. Questo romanzo senza virgolette è privo di vita. Il personaggio, evidentemente uno di quegli esseri che popolano i bar che credono di essere brillanti invece stanno solo facendo ridere di se stessi, è per carità ben delineato; ma a lungo andare un monologo annoia. Sono in grado di reggere 2 ore di monologo a teatro, che in letteratura può corrispondere a quanto, 50 pagine? Forse 100. Mi dicono che il romanzo continua così per tutte le sue poderose 1200 pagine. Il mondo del romanzo è sempre raccontato dalla voce del personaggio narrante, ma non prende mai vita.
Delle due, una: o è infondato, o è privo di vita. Per me poco importa, è comunque noia.

30 giugno 2016:
Disclaimer: abbandonato a pagina 200. Non è la prima volta che mi ostino a continuare per il gusto di stroncare un libro che mi ha annoiato a morte. Ma qui siamo oltre.
Questo è il libro più noioso e brutto e banale che abbia mai letto. Albinati mi annoia anche quando pompa col narcisismo e cerca disperatamente e con miseri risultati, di scandalizzare.
Le armi che mette in campo per urtare il lettore sono: presa per i fondelli (continua a promettere l'inizio di una narrazione che -semplicemente- non arriverà mai); autoerotismo (ogni tanto scrive cose tipo Vado a masturbarmi e torno); misoginia venata di patetico vetero freudismo (la patata che se magna er pisello, tema ossessivamente ripresentato).
Ma ciò che mi ha annoiato a morte è un'altra cosa, -ribadisco, ho abbandonato per noia: il fastidio lo vedo come sfida costruttiva tra autore/provocatore e lettore. La cosa peggiore è la mente limitata, chiusa, dispatica di Albinati. Albinati non legge nella mente altrui, è incapace di afferrare la complessità delle relazioni umane. Nonostante ciò, crede di avere tanto da dire.
Sono francamente incredulo. Rizzoli. Premio strega. Boh?
Buona lettura.
Profile Image for Atticus_jem_scout Angela.
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April 9, 2016
Un libro che è IL LIBRO del 2016, senza dubbio alcuno. Un libro che inizi a leggerlo e già vorresti segnarti dalla prima pagina frasi immense e vere, rendendoti conto che é così per ogni pagina seguente. Un libro che partendo da uno spunto di storia criminale (il delitto del Circeo) racconta per macro-argomenti la vita intera di una società che attraversava anni intensi e turbolenti finendo poi per dirci qualcosa di utile anche della nostra attuale. Un libro intenso, reale, concreto, enciclopedico, bellissimo e duro. Un libro scritto in modo magistrale, che si distende su circa 1300 pagine senza fatica alcuna, come la narrazione dell'esistenza di tutti, con naturalezza e semplicità sebbene tratti di argomenti profondi e per nulla superflui. È raro, quasi impossibile trovare libri che sappiano esprimersi in modo così diretto e puro, senza frivolezze estetiche o azzardi stilistici. Questo libro merita il plauso della critica tutta e dovrebbe utopisticamente essere letto da tutti.
Profile Image for raccontami.
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May 8, 2016
No, ma proprio no. Neanche al catechismo mi annoiavo così tanto
Profile Image for Kevin Adams.
476 reviews142 followers
August 1, 2022
I still don’t know what to write and say about the book. I’ve seen some incredible reviews of this and some unflattering ones. It’s a solid 4-star book because:

1) it’s extremely well written. His ability to keep me turning the page to get more is a skill not often found in every writer.
2) his ability to weave the true, the allegedly true, the fictional but plausible, and the true but implausible (writer’s words) is a creative reading experience.

Now I didn’t give 5 stars because I just don’t feel he handled the horrific events in any empathetic way. I got his point was to create this male dominated/misogynistic/bourgeois way of life but at the end of this book I just didn’t give a crap about any of these people. And at the 1200+ pages I felt like he just loved to hear himself talk. An unnecessary length he could easily have made his point in 800-900 pages.

But at the end, I read the entire thing. I wanted to finish. I didn’t throw against the wall or leave upstairs to never return. I read all 1260 whatever pages. Maybe that’s good.

Then again, I’ll NEVER reread this book.
Profile Image for Pavel Nedelcu.
484 reviews117 followers
January 4, 2024
IL MONUMENTALE ARBITRARIO

Un romanzo-saggio-(auto)biografia-diario monumentale e complesso, vincitore del Premio Strega nel 2016. Quest'opera mastodontica tratta temi delicati come la violenza, l'identità maschile, la sessualità e generalmente cerca di ricostruire l'Italia degli anni '70-'80.

Narra di un gruppo di ragazzi di una scuola cattolica di Roma e dei loro rapporti con la violenza, psicologica e fisica, a partire dalla loro formazione all'interno della scuola fino alla maturità. Albinati esplora il mondo maschile e le complessità delle relazioni tra i personaggi, offrendo un ritratto dettagliato e a tratti crudo della società dell'epoca.

Ciò va più che bene, chiaramente a livello di rievocazione dell'epoca ci siamo, MA...

...nel tentativo di affrontare tematiche davvero complesse, che vanno oltre il mero filosofare sulla vita e sulla società, l'autore si perde in una eccessiva prolissità. Manca una struttura coesa, una direzione chiara, si è fondamentalmente in balia di ciò che il narratore ricorda meglio, del prossimo pensiero che affiora da un altro lasciato in sospeso, tutto ciò rendendo difficile, se non impossibile, la fruizione dell'opera.

La mancanza di una trama definita, la strutturazione arbitraria del materiale trattato, la mancanza di un serio editing finale e di un chiaro intento comunicativo rendono il libro un esercizio di abilità intellettuale, ma ne compromettono la capacità di coinvolgere il lettore.

Non abbastanza strutturato da costituire un saggio e non abbastanza elaborato da configurarsi come un romanzo, LA SCUOLA CATTOLICA dimostra che, quando l'eloquenza intellettuale (chiamiamola pure grafomania) prevale sulla capacità comunicativa, il risultato non può che essere dispersivo e difficilmente accessibile, alienando il lettore fino alla quasi totale perdita di interesse.
Profile Image for Sean.
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July 8, 2022
Utterly hypnotic book.

The subject of The Catholic School is the so-called Circeo Rape/Murder (CRM), a disturbing and unfathomably evil crime that occurred in Rome in 1975.

The perpetrators: three young men of the bourgeoise, educated at the same private catholic all-boys school which the author attended.

The victims: two wholly ordinary young women.

While The Catholic School is about the CRM, its 1263 pages touch on every single aspect of the bourgeois world of the perpetrators. As one reviewer says, it’s like a “true crime novel as told by Karl Ove Knausgaard.” However, it isn’t so much a novel as an anthropological and sociological encyclopedia of Rome in the 1970s. It touches on masculinity, fascism, the bourgeoise, Catholicism, sex, crime, psychoanalysis, etc. That is, it does what all big books should try to do: try to contain the world. The Catholic School comes the closest to achieving that feat than any of the other big books I’ve read.

This is also the best book on masculinity that I’ve ever read, and thus, in my mind, it works as a perfect companion to Elena Ferrante’s Neapolitan Novels. I look forward to reading the dissertations and books that will undoubtedly be written concerning a comparative analysis of these two works.

The Catholic School is a sprawling encyclopedic work that refuses the traditional form of the novel in favor of an exhaustive examination of the gender and class ideologies, which shaped both the author and the criminals who committed the CRM. This book isn’t only about Rome in 1975 though as these ideologies are eerily reminiscent to some that continue to run rampant to this day.

Without question, the Catholic School is one of the pillars of literature in the 2010s: readers of Littell, Ferrante, Bolaño, Knausgård, Ellmann, etc. will find much to admire in these pages.

Check out my full video review here: https://youtu.be/tqjt7b4JyZ8
Profile Image for marco renzi.
299 reviews101 followers
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January 25, 2021
Arrivato a metà, mi sono arreso.
Le prime trecento pagine mi sono piaciute molto. Lui sa scrivere ed è uno che conosce quanto racconta, e in alcune pagine lo fa davvero bene: è sicuramente un libro importante, e pone spunti di riflessioni importanti sul maschio, sull'essere maschi.
Il problema è che poi sembra voler fare Proust: troppi discorsi, poca narrazione, tante ripetizioni e allusioni che lasciano un po' di frustrazione nel lettore, e ci sta che fosse uno dei suoi obiettivi, quello di causarla; e con me ha funzionato, solo che non sono riuscito ad arrivare in fondo, e un po' mi dispiace, perché non so se lo riprenderò mai.
La vita è troppo breve, ecco.
Profile Image for Paolo Gilardini.
4 reviews1 follower
April 10, 2016
Brutto

Credevo di comperare un romanzo. Mi trovo a leggere uno sproloquio sulla visione del mondo degli adolescenti complessati degli anni 70. Sono al 20% e la storia non è ancora iniziata. Davvero un libro noioso
Profile Image for Dina.
646 reviews401 followers
January 7, 2020
Abandono. No cuenta nada de nada...
Profile Image for Andreas.
72 reviews
October 31, 2019
“It is a characteristic of the last century that it produced in so many petty, grimy men such a frenzy to make themselves at least somewhat noteworthy through their evil. Before then, evil might boast a certain magnificence, incarnating itself in monumental figures, but then it crumbled into a porridge of widespread white-collar sadism, the work of routine torturers, petit bourgeois monsters or seria killers who exercise their capacity for oppression upon increasingly defenseless targets, within reach, whom they could terrorise and murder with the least outlay of effort”.

I've just finished reading Edoardo Albinati's The Catholic School. A behemoth at 1, 268 pages that took me almost three months to read. It's published by @picsdor and translated by translated by Antony Shugaar. It won the Strega Prize, the Italian equivalent of the Booker in 2016 and it has been met with critical acclaim although there are a lot of negative reader reviews (3.2 score on Goodreads 😬), which I don't agree with!

The main premise is recounting the story of the rape and murder of two young women, one of whom survived. Albinati tries to understand why young, upper- middle class, well-educated boys would commit such atrocities. In doing so, he extends the question to the whole of Italian society from the the 1950s onwards. Who inflicts suffering and why do they do it? What kind of society, culture , class, and economic conditions produce men who kill and cause harm to women’s bodies?

Albinati includes himself in this question. He is both candid and ruthless in trying to answer these questions. There is a lot of self-disclosure and the book is an absolute labyrinth of events and thoughts.

Would I recommend it? Absolutely! It is not an easy read by any means, but it is worth getting lost in this maze about religion, Italy, fascism and masculinity (and many other topics)!
Profile Image for Giuseppe Lombardo.
Author 2 books4 followers
May 28, 2016
Il tentativo di Edoardo Albinati di redigere, in forma letteraria, una sorta di via italiana alla "mala educacion" non è riuscito. Gli elementi per comporre un quadro narrativo avvincente c'erano tutti: il delitto del Circeo, tema cardine dell'opera; una miriade di personaggi interessanti, ben ritratti dall'autore; lo sfondo di una città che ebbe, in quegli anni, contraddizioni e trame oscure in cui è ancora difficile raccapezzarsi (dalla Magliana ai neofascisti, passando per i movimenti extra-parlamentari di sinistra).
Eppure Albinati, per sua stessa ammissione, trasforma l'eclatante omicidio dell'epoca – il cuore del romanzo – in una sorta albero dal quale partono infiniti rami in direzioni opposte. Ogni capitolo diventa una storia a sé, mal amalgamata con la trama generale e perfino poco scorrevole se isolata dal resto.
Il libro non ingrana, si trasforma in una spirale di pensieri, di riflessioni esistenziali, di sfoghi, di aneddoti filosofici, accomunati dal contrasto fra una spinta emotiva genuinamente religiosa e una cultura secolarizzata ove non apertamente anti-clericale.
Le dimensioni colossali dell’opera dettano la sentenza di condanna: 1294 pagine di pensieri in libertà, neanche troppo interessanti talvolta, dopo Joyce risultano intollerabili. Purtroppo è da bocciare.
Profile Image for David Morgan.
929 reviews24 followers
September 30, 2019
I tried, I really tried and I don't do it often (it takes a lot for me to quit) but this 1200+ pages of psychobabble, and philosophical mumbo-jumbo was just too much for me so it's a definite DNF. I slogged my way through 150+ pages of this dense dissertation but just found myself getting more and more frustrated because much of the authors perspectives I didn't agree with. The crime that's supposedly at the heart of the book hadn't even been introduced by the time I said enough. The frustrating thing is I feel like much of the writing is repetitive and circular in nature and could be expressed in far fewer words. I imagine "intellectuals" who don't get headaches from this type of writing will find it enlightening but not so much for this intellectual. Now I just need to partake in some edibles and get over it!
Profile Image for Tina.
364 reviews6 followers
December 11, 2019
Of the 75+ books I've read this year, this is the ONLY one I haven't finished. The misogyny is thick. The protagonist is nauseating. Feels like it was written for incels.

I feel like I'm allowed to write a review since I read half of a 1000+ page book, hoping I'd find something redeeming.
1,916 reviews21 followers
December 15, 2019
I was initially fascinating by the writing and the story telling but after a while, it became some tedious and self-indulgent and the though of spending any more hours in the company of the narrator was too much for me. So I didn't.
Profile Image for Gerardo.
489 reviews33 followers
March 22, 2017
Un testo che richiede un lettore attento, resistente, con una certa esperienza. Si può dire, una volta terminato, che l'ostacolo meno ingombrante siano proprio le numerose pagine.

Non è un romanzo per chi cerca una trama: ci sono gocce narrative all'interno di un mare di riflessioni.

Non è un romanzo per chi ama i thriller: per quanto sia ispirato da un delitto efferato, il tema viene sviscerato in maniera filosofica, rinunciando a qualsiasi forma di tensione narrativa.

Non è un romanzo per chi non ama la filosofia, né la saggistica.

Non è un romanzo per chi va alla ricerca di ulteriori critiche all'educazione cattolica, per quanto sembri lasciarlo presagire ad ogni pagina.

Non è un romanzo per chi vuole, semplicemente, un romanzo: è ben più complesso di così e cercherò di spiegarlo.

Le 1300 pagine ruotano intorno a una domanda: come è stato possibile che dei ragazzi di buona famiglia, allevati in una scuola cattolica, abbiano potuto commettere uno stupro così efferato, come quello avvenuto nel Circeo nel 1975?

Albinati, alunno della stessa scuola che ha allevato quegli assassini, esplora la sua educazione familiare, la sua educazione scolastica, la società del suo quartiere e quella dell'Italia degli anni Settanta. E' un'esplorazione approfondita, ma mai scientifica: Albinati accumula pensieri che ricordano la scrittura aforistica di Nietzsche. Questo a testimoniare l'impossibilità di un discorso coerente, poiché ci si può affidare solo a intuizioni veloci, a riflessioni che si focalizzano su di un aspetto preciso senza mai avere la pretesa di mostrare un quadro più grande.

In sostanza, questo libro può essere considerata una lunga dissertazione sullo stupro. Argomento ferocissimo, spaventoso, disgustoso in cui si ci cala completamente durante la lettura di tale testo. Un argomento che respinge, eppure diventa una questione cardine per spiegare l'Italia, gli anni Settanta, l'uomo in generale. Lo stupro è il simbolo di quel desiderio di prevaricazione senza un fine preciso che alberga in ogni animo umano.

Non è facile da accettare ciò: nessuno è salvo da una tale condizione, tant'è che ci sono numerosi fattori che possono spingere un individuo a commettere un tale reato. Albinati trova tanti motivi, tante situazioni, tante vie che possono condurre allo stupro: alla fine, però, ci si accorge che sono così tante da non esserci più la possibilità di definire una teoria capace di proteggerci. Si può solo prendere atto della complessità della vita, che non ci destina né al bene né al male.

In tutto questo c'è la voce del narratore, che mescola finzione e autobiografia: tutto traspare attraverso il filtro dell'autore, in maniera esplicita e dichiarata. Perciò, spesso il testo diventa una sorta di viaggio intimo, di confessione di Albinati che, il più delle volte, ci mostra la sua educazione sessuale. Albinati fa un ritratto di se stesso molto onesto: è un uomo con aneliti da stilnovo, ma dalle pratiche che non disdegnano il godimento, anche quando questo si fa egoista. Il sesso, nell'atto stesso, anche se nasce da una condizione di dolcezza, si rivela sempre per quello che è: una forza bruta che assale due corpi in una lotta per il proprio piacere.

Ma la vera bellezza di questo libro sta nel presentarci un uomo non geniale: Albinati non è all'altezza della sua stessa opera e questo continuo fallire è l'elemento più importante del romanzo. E' il suo tratto realistico, la sua dichiarazione di veridicità: Albinati non è in grado di capire, non è un uomo così profondo, è semplicemente un uomo che ha coltivato, per tutta la vita, un profondo desiderio di capire. Desiderio che si muove nella consapevolezza che, molto probabilmente, non si riuscirà mai a raggiungere una parola fine, un pensiero soddisfacente: Albinati, attraverso il male, accetta la vita, così com'è: scrivo, nonostante non sia un genio, scrivo nonostante questa scrittura potrebbe risultare fallimentare. Un po' come il professore Cosmo, uomo acuto, che scrive per tutta la sua vita una diario di riflessioni, che per puro caso finirà nelle mani di Albinati. Scrivere, scrivere, scrivere, senza necessariamente credere nella scrittura.

Scrivere è un atto che precede il concetto dell'utile. Per questo le 1300 pagine, per questo quella sensazione di ripetizione, di déjà-vu, di ridondanza. Quella sensazione di pesantezza, che nasce da un lavoro certosino, ma logorroico.

Alle tante riflessioni (sempre segnalate, tant'è che Albinati invita anche a saltarle per giungere a capitolo più narrativi), ci sono piccoli episodi legati ai più svariati personaggi, molto spesso oggetto dell'ammirazione di Albinati. Albinati è sempre colui che adora, colui che si sente mancante di fronte a una miriade di persone dai tratti esagerati: chi è troppo bello, chi troppo intelligente, chi estremamente sexy. Albinati è la medietà intelligente che gode di queste presenze luminose, presenze che però appariranno, prima o poi, come esseri meschini: non in quanto cattivi, ma in quanto piccoli, come il resto dell'umanità.

Il tutto è anche un grande racconto del cosa significa essere maschio in Italia, con tutte le sue luci e le sue ombre. Le difficoltà della virilità, nonostante il mito dell'uomo come essere privilegiato al di sopra di tutti. L'uomo bianco è tale perché, in questa corsa per la vita, molti altri uomini bianchi soccombono, confinandosi nel loro angolino buio, da cui però continuare a coltivare il mito della virilità: sono i perdenti coloro che alimentano il mito, più di quelli che vincono. Anche qui, il quadro si fa molto onesto. Se qualcuno ne sarà disturbato vorrà dire che il testo è più che efficace.

Non avventuratevi in questa lettura se non per puro piacere intellettuale: le emozioni sono dolorose, i finali amari, le consapevolezze dure. Eppure, tra le righe si legge sempre lo stesso desiderio: quello di continuare ad andare avanti, per 1300 pagine, nonostante tutto.
Profile Image for MonicaEmme.
367 reviews154 followers
February 19, 2017
Letto tutto! La prima impressione è che se fossi romana me lo sarei goduta di più visto che i quartieri, le vie e le descrizioni cittadine sono spesso particolareggiati.
È un libro su cui si è portati a stare.
A riflettere.
La scuola cattolica non è ascrivibile a un genere letterario preciso: non è nè un romanzo nè un saggio e varrebbe la pena di leggerlo anche solo perché dal punto di vista stilistico rappresenta un unicum. Il delitto del Circeo non è argomento del libro (l'autore conosceva i mostri del Circeo, e altri personaggi che hanno costellato la storia criminale della Roma di quegli anni, per aver frequentato tutti la stessa scuola, il San Leone Magno), ma lo spunto per una serie di riflessioni sull'educazione cattolica, sui rapporti familiari, sull'adolescenza (maschile soprattutto), su un'epoca (quella in cui é maturato il delitto del Circeo), sulla vita di un quartiere come tanti in una grande città, sulla politica, in particolare degli anni '70.
Parla anche dell'esperienza di Albinati nelle carceri dove svolge il lavoro d' insegnante di italiano.
A me il libro é piaciuto molto e, da donna, l'ho trovato illuminante!
Profile Image for Felipe  Catalán cifuentes.
506 reviews7 followers
April 19, 2020
No sabia muy bien con cuantas estrellas iba a evaluar este mastodonte.
Fue un desafio enganchar con lo que te propone el escritor a ti como lector , una novela autobiografica en donde critica a todo y sobre todo el sexo , las relaciones , el abuso y sobre todo una sociedad patriarcal en donde el poder , el dinero hacen los suyo en un crimen en Italia.
Y wow... cuando leia el libro era algo wow , muy interesante y llenador , es como una relación de amigos , y de esas relaciones en donde no quieres terminar lo que dice el autor es muy cierto este libro fue un viaje en donde no sales indemne.
Profile Image for Thomas.
574 reviews99 followers
September 1, 2022
i'm not really sure who tricked a major publisher into printing this in english but i'm glad they did. you can tell that the publisher didn't really know what they were doing by some of the marketing which presents it as a true crime novel - that's not what this is at all. though it is centred around a real crime(the rape and murder/attempted murder of two young women in italy in the 70s) committed by some erstwhile classmates of albinati's, the actual specifics of the crime are not really important. what is important is that the crime serves as a central point for a seemingly endless range of digressions and threads to spiral outwards from, covering topics like catholicism and the difficulty of religious belief in the modern world, fascism, misogyny and its psychology, political corruption in italy, the narrator's experiences at school, the flaws of bourgeois culture and lots of others too. some reviews i've seen complain that it should be shorter, which is totally missing the point - the obsessive and endlessly proliferating digressions are the objective here, and without their continual amassment across 1200 pages it just wouldn't work. it also is a novel, despite being based on real events - albinati explicitly states that he has made adjustments to events and invented things wholesale when it suits his design, and that his narrator is not actually identical to the real him despite being very similar.
despite the length it's not really that hard to read - the style is generally essayistic and never particularly dense on a sentence level. there's a lot here , particularly some of the material on misogyny, that's going to make readers uncomfortable, and that seems to be the point - albinati is trying to get across the actual mindset underpinning misogyny, which he manages to do very well, but he's also aware that he's complicit in it. occasionally the narration becomes obsessive enough that the lines between his own beliefs and those of the fascist murderer/rapists he's writing about, and i think this is also deliberate, emphasising that there's a very thin line separating them and their beliefs from the narrator.
one thing that did surprise me was the lack of references to the political circumstances underpinning events in the italian 70s - operation gladio and the nato role in supporting right wing terror groups in italy are only somewhat alluded to, and he seems somewhat dismissive of references to intelligence agencies being behind right wing groups, despite some of the murderers involved in the book's central crime seeming to have connections to intelligence themselves(though only at a low level). the book is more about the mentality of the criminals and the culture around them than the nitty gritty of political events so it's maybe not totally surprising, but it still feels like an odd omission, and i suspect albinati's mostly liberal politics are at fault here. still a very worthwhile book if you are at all interested in the mentality of misogyny, fascism, and other related topics.
Profile Image for Gian Marco.
1 review2 followers
August 27, 2022
DISCLAIMER: la recensione puoi leggerla oppure no, ma se qualcuno perde il proprio tempo per scrivere un commento negativo così lungo io il libro non lo comprerei…


Il peggior libro che io ricordi di aver mai letto, seriamente. L’ho acquistato convinto che fosse una testimonianza privilegiata rispetto al delitto del Circeo del 1975, in ragione del fatto che l’autore afferma di aver frequentato la stessa scuola dei responsabili del delitto: nulla di più lontano dalla realtà.

Non è un libro-inchiesta: scordatevi ricostruzioni di eventi, cronache dell’epoca o similari a eccezione di qualche trascrizione di verbali di interrogatorio incollati qua e là tipo post-it, aggiungendo poco o nulla alla narrazione

Non è un libro di costume: non leggerete un libro che vi catapulterà nella Roma della metà degli anni ‘70

Non è un saggio: la vicenda del delitto del Circeo non viene utilizzata come spunto per un’organica riflessione sull’abisso dell’animo umano.

Che cos’è questo libro, quindi? Certamente un efficace fermacarte, con le sue 1296 pagine di pura castrazione della gioia della lettura, un fulgido esempio di onanismo letterario, ma non solo: al prezzo di una cena in pizzeria potrete godere delle interminabili circonvoluzioni dell’Autore, il quale ha probabilmente ricevuto un mandato divino per diffondere il suo pensiero su argomenti spinosi quali, ad esempio, il rapporto uomo donna e la sua aberrazione, trattandoli con una superficialità che fa raccapriccio. A nulla serve il condimento di uno sfoggio di cultura classica totalmente fuori contesto e che dà la netta impressione di autoreferenzialità e di piacere da parte dell’Autore di leggersi, di sbrodolarsi addosso fiumi di inchiostro senza un filo conduttore.

Se tutto questo non basta, è possibile saltare a piè pari i capitoli più riflessivi (segnalati, bontà sua, dall’Autore stesso) e immergersi nella raccolta di aneddoti di un liceo religioso degli anni ‘70: personaggi appena abbozzati, maldestri tentativi di comicità e infinite divagazioni rendono anche questa parte del libro una vera tortura per lo spirito dello sventurato lettore.

Cosa ci lascia questo libro, in definitiva? La principale lezione, a mio parere, è che la vita è troppo breve per leggere libri brutti: questo libro mi ha lasciato una deprimente sensazione di ore perdute, come se avessi fissato una parete bianca per tutto il tempo. Seconda lezione: se Albinati ha scritto un libro e ha vinto il premio Strega anche tu, lettore casuale, che nella vita hai magari scritto solo i bigliettini per copiare al compito di filosofia, hai speranza di diventare un autore di successo. Terza lezione: 18€ sembrano una marea di soldi quando li sprechi per un libro così.

Per finire, Albinati: se mai leggessi questa recensione, sappi che mi devi una pizza. Basta che mi prometti di star zitto per tutta la sera.
Displaying 1 - 30 of 189 reviews

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