L’ingegner Albinati apparteneva a una razza serissima e scanzonata di pionieri del benessere e fumatori accaniti, amanti del lavoro e delle auto veloci. Ma quando una malattia lo divora in nove mesi, Edoardo Albinati, scrittore e figlio, decide di ricostruire la figura enigmatica di quell'uomo che si muoveva agilmente tra i corridoi del boom economico, i doveri familiari, le aspirazioni segrete e, infine, quel male che lo ha obbligato a Chi sono io? Edoardo Albinati ci consegna la sua personale, e universale, riconciliazione con il proprio genitore, insieme al quale prova a porsi lo stesso Chi sono? Un libro necessario su un legame talmente delicato da essere impossibile da raccontare. Quasi.
Da oltre vent’anni lavora come insegnante nel penitenziario di Rebibbia, esperienza narrata nel diario Maggio selvaggio. Suoi reportage dall’Afghanistan e dal Ciad sono usciti sul “Corriere della Sera”, “la Repubblica”, “The Washington Post”. Ha scritto film per il cinema di Matteo Garrone e Marco Bellocchio. Tra gli ultimi libri pubblicati, ricordiamo Tuttalpiù muoio con Filippo Timi e Vita e morte di un ingegnere.
Libro bellissimo. Edoardo Albinati racconta suo padre, l'ingegnere, mettendo subito in chiaro che l’uomo sociale è sempre venuto prima, che la sua attenzione prioritaria è sempre stata rivolta alla realizzazione di sé nel lavoro, con moglie e figli relegati in secondo piano. (Siamo - occorre precisarlo - nel secolo scorso, oggi i padri sono mediamente più attenti al dialogo, più aperti...) In casa Albinati si parla poco: l’ingegnere è sfuggente, quando apre bocca è incline a un sarcasmo che smonta più che costruire. Poi arriva la malattia, un cancro. L’uomo rimane sostanzialmente quello che è, con la sofferenza a complicare le cose; ci sarebbero più occasioni di dialogo, ma sfumano sempre, mancano le basi su cui costruirlo. Tra i problemi che si assommano c’è quello del rapporto con i medici: l’esperienza di Albinati è delle più negative, l’autore si sfoga, la categoria ne esce malissimo... E infine la morte, la morte di un padre: con il figlio accanto - comunque -, che gli tiene la mano, ma senza smancerie, senza enfasi. “La morte è oscena e semplice, un sibilo.” Fine. Libro bellissimo, ripeto. (Aggiungo un’osservazione: l’ingegner Carlo Albinati morì nel 1990, fa capire l’autore; il libro, dice lui, fu scritto qualche mese dopo, ma esce solo nel 2012: una riflessione molto lunga, sofferta e un testo, in realtà, forse rivisto mille volte...)
Ho deciso di prendere coraggio e leggere un altro libro di Edoardo Albinati dopo aver affrontato la lettura de La scuola cattolica, che per me è stato un mattone interminabile e noiosissimo. In questo caso ho scelto un'opera molto personale dell'autore, che racconta della malattia del padre, un ingegnere anaffettivo ed integerrimo che nei primi anni Novanta scopre di avere un tumore letale. Albinati racconta della sua vita attraverso aneddoti e ricordi e analizza il loro rapporto dall'infanzia sino all'età adulta. Ho anche io un papà ingegnere e forse tutti sono fatti allo stesso modo; molti tratti della personalità di Albinati Senior sono affini a quelli del mio genitore. Nonostante ciò io reputo comunque la scrittura di Albinati eccessivamente prolissa e dispersiva e non riesco ad entrare in empatia con lui. Ci riproverò con altro, forse.
Rapporto padre figlio introduce la prima parte del libro alla ricerca di chi fosse veramente il padre. Spesso non riusciamo a cogliere la vera essenza di un nostro familiare, perché lo vediamo attraverso filtri e maschere che ne stravolgono l'anima l'essere più intimo e reale. Forse nutre hanno colto tale vitalità persone estranee più di chi ha vissuto quotidianamente accanto, che ne porta geni. Mistero della vita e della famiglia. La seconda parte prova a sezionare scientificamente e umanamente la malattia e il suo decorso fino all'ultimo respiro. Straziante racconto impregnato di altre considerazioni. Anch'io ho rivissuto alcune fasi e pensieri della più rapida e misteriosa malattia e morte di mio padre. Questo scrivere quasi confuso e di getto, in realtà lucidamente cerca di cogliere a distanza di qualche mese i sentimenti validamente umani che rincorrono malattia e morte. L'eccesso di descrizioni nasconde la nudità la vera realtà dell'esperienza vissuta, cerca chi sviare, di allontanare il lettore, chi distrarlo e stancarlo, per celare il dolore i sentimenti l'impotenza a quei messaggi di aiuto con sguardi e parole.
Forse tutte le morti per tumore si assomigliano, con il loro carico di agonia; forse tutte le neoplasie al polmone danno simili risposte nelle persone. Fatto sta che, nonostante l'ingegnere del libro mi sembra molto diverso da quello che era mio padre, e che il suo rapporto con il figlio molto piùcomplicato del mio con papà, molte sono le cose che ho ritrovato in questa narrazione... Come dice l'autore, non si finisce mai di essere figli ...
Dimmi la verita, come hai fatto? Dai dimmi il trucco, non lo svelo a nessuno, lo giuro.
Dimmi come diavolo hai fatto ad essere lì presente durante tutta la malattia di mio padre, a leggermi nei pensieri ed a mettere il tutto in parole coai bene.
Ma dove eri? Eppure sei alto, avrei dovuto vederti a casa quando tornava dalla chemio per i weekend stanco e senza forze, o in ospedale quando stava tutto il giorno li e quando lo andavo a trovare si chiudeva nel suo mutismo.
Ad ogni modo, grazie. Grazie perché mi hai fatto rivivere momenti tremendi che avevo voluto dimenticare, che come per te stavano sbiadendo nel tempo. Grazie per avermi fatto capire che non ho mai accettato del tutto la malattia fino a quando non è realmente morto. Grazie per avermi fatto capire che anche se ora sono padre, rimarrò sempre figlio.
Grazie.
P.s. mi chiedo se fra 50 anni si scriveranno ancora libri biografici su padri cosi, o se certi aspetti del carattere sono legati a determinate generazioni che inevitabilmente scompariranno. I giovani padri (anche piu giovani di me che ho 38 anni) non saranno cosi come il mio e il tuo Edoardo, vero?
Io adoro Albinati, quindi sono sicuramente di parte.
Detto ciò, ero tentato di mettere un 4/4,5 su 5, solo perché avevo adorato a tal punto La scuola cattolica da non considerare possibile che esistesse qualcosa al suo livello, anche dello stesso autore; ma qui siamo di nuovo davanti a un capolavoro a mio avviso.
Se La scuola cattolica è una maratona, questo forse è un po’ più breve come viaggio, ma rimane comunque meraviglioso.
Come al solito, Albinati scava nel torbido, in questo caso nel proprio e in quello delle persone a lui vicino e che ama/ha amato anche; questa riflessione intima è a mio avviso dipanata in maniera perfetta, con un lessico che ogni volta mi lascia basito per le contemporanee ricercatezza e capacità di esprimere il contenuto; uno dei miei preferiti autori italiani in assoluto, nella mia personale top 3 di contemporanei.
Questo non è uno di quei libri che facilmente ti vien da dire "te lo consiglio". È tosto,commovente,sincero. E fa pensare a cose niente affatto leggere se lo ci so ritrova addosso prima di vivere le stesse esperienze di chi l'ha scritto. Ma forse per questo è utile provare a leggerlo. Fa l'effetto prepararsi.almeno per un momento... Dura un'andata/ritorno Roma-Milano a alta velocità. Con in mezzo il tempo di distrarsi...