Esiste un'isola nel Mediterraneo dove i ragazzi non scendono mai a mare. Ormeggiata come un vascello, Nisida è un carcere sull'acqua, ed è lì che Elisabetta Maiorano insegna matematica a un gruppo di giovani detenuti. Ha cinquant'anni, vive sola, e ogni giorno una guardia le apre il cancello chiudendo Napoli alle spalle: in quella piccola aula senza sbarre lei prova a imbastire il futuro. Ma in classe un giorno arriva Almarina, allora la luce cambia e illumina un nuovo orizzonte. Il labirinto inestricabile della burocrazia, i lutti inaspettati, le notti insonni, rivelano l'altra loro possibilità: essere un punto di partenza. Nella speranza che un giorno, quando questi ragazzi avranno scontato la loro pena, ci siano nuove pagine da riempire, bianche «come il bucato steso alle terrazze». Questo romanzo limpido e intenso forse è una piccola storia d'amore, forse una grande lezione sulla possibilità di non fermarsi. Di espiare, dimenticare, ricominciare. «Vederli andare via è la cosa più difficile, perché: dove andranno. Sono ancora così piccoli, e torneranno da dove sono venuti, e dove sono venuti è il motivo per cui stanno qui».
Valeria Parrella is an Italian author. In 2005, her collection of short stories For Grace Received was shortlisted for the Premio Strega and won the Premio Renato Fucini. In 2020, she was shortlisted for the Premio Lattes Grinzane. In 2008 she published her first novel, Lo spazio bianco, which won the Premio Letterario Basilicata. She has written several other short stories and novels, she collaborates with the newspaper La Repubblica and the magazines L'Espresso and Grazia.
Se dovessi scegliere un aggettivo per questo breve romanzo, sarebbe "artificioso". Si avverte già nel forte incipit la cura nelle costruzioni dei periodi e nella trasmissione delle immagini, la scelta non casuale del lessico, le capacità di Valeria Parrella. Le sue sono frasi non scontate, che consentono al lettore di comprendere che quelle centoventi pagine circa non si leggeranno in fretta così come altri romanzi di simil lunghezza. Anzi, il lettore dovrà fare fatica - fin troppa - per stare dietro ai pensieri e alle azioni della protagonista, Elisabetta Maiorano. Lei è una professoressa di matematica che insegna nel carcere minorile di Nisida, a Napoli, che si affeziona a una delle sue allieve, Almarina. La storia segue l'evoluzione del loro rapporto, trascinandosi a fianco in contemporanea i ricordi del passato di Elisabetta, in primis quelli di un lutto improvviso che l'ha segnata e ha messo in pausa alcuni suoi sogni.
Da un libro più introspettivo che d'azione mi sarei aspettata qualche riga in più, su cosa porti le due donne a stringere un legame. Invece più leggevo e più mi ritrovavo confusa, disorientata sempre più dalla complessità appositamente creata delle frasi. Mi sembra quasi ci sia stata troppa attenzione nel voler rendere le frasi mai banali (il che non è un male) ma la scrittrice forse ha esagerato: sono così costruite che a lungo andare paiono eccessivamente forzate e non spontanee (il che, purtroppo, non è un bene).
Vorrei poter fare il confronto con lo stile in altri suoi romanzi, ma questo era il primo suo che leggevo.
"Nisida è una piccola isola appartenente all’arcipelago delle isole Flegree che si eleva sul mare di Napoli, ove è posta all’estrema propaggine della collina di Posillipo cui è collegata fisicamente, in una località chiamata Coroglio."
A Nisida c'è l'Istituto penale minorile di Napoli, ed è qui che si svolge l'incontro tra una professoressa di matematica, Elisabetta, e una detenuta, Almarina. Una materia difficile, inavvicinabile a detta dei più, da insegnare in un posto impossibile: una bella sfida per la professoressa. Provare a far tornare i conti, là dove la vita non fa che azzerarli: "E allora prendono una guardia, una di quelle con lo sguardo buono che non ha mai fatto niente, prendono proprio quella e la chiamano per farsi svuotare il secchio dell’immondizia, e poi la pestano e le rubano le chiavi e fanno un gran casino. Si beccano altri sette anni. Sette piú sette fa quattordici e per loro è uguale. Se un numero è uguale al suo doppio stiamo parlando dello zero."
Tutte quelle storie a somma zero, si schiudono a furia di essere innaffiate con la cura, l'amorevolezza e la determinazione di Elisabetta: "Loro arrivano qui dentro bambini: i bambini non hanno consapevolezza del tempo e ti dicono che sette anni di carcere è un numero che non significa nulla: segnato a cera su una torta di compleanno, se mai ne hanno avuta una, non hanno saputo attribuire a ogni candela accesa una tacca della loro vita."
Almarina, non è solo il nome di questa ragazza che piano piano si apre allo stupore. Almarina è la storia di tutti i ragazzi a cui viene data un'altra possibilità, quando tutto sembra perduto "bisogna pure ricominciare e farsi uomini nuovi, e noi abbiamo solo questo tempo e questo vascello per armare le vele e sperare nell’abbrivio: «Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera ricominciando dall’inizio. Io non voglio fare né il martire né l’eroe»."
Almarina è una storia d'amore, in uno degli infiniti gradi e in una delle infinite forme che può assumere l'amore, perché no, non procede per gradi l'amore, accade e quando accade è sempre un piccolo miracolo: "Volete che l’amore proceda per gradi, vorreste intravederne un percorso lineare, guardare, morbosi, tutto. Invece no, non si guarda: il cuore è opalino e gli esami di coscienza sono per gli infelici."
E se ci si incontra per caso, poi ci si lega per scelta: "Io mi sono legata ad Almarina cosí, mentre guardavamo il mare, e le ho raccontato che mio marito era un magnifico nuotatore. Che scompariva per ore dietro l’ultimo lembo di terra che potevo vedere dalla spiaggia, e io un po’ stavo stesa, un po’ leggevo, poi mi sentivo tradita, e infine terrorizzata."
Almarina è una storia di misericordia, anche: "Per questo asservimento, per questo aldilà cosí evidente a chi varca il portone, bisogna avere misericordia dei detenuti. Quanta ne riusciamo, fuori, ad avere per le loro vittime. ORDINE - PRIMATI. FAMIGLIA - OMINIDI. GENERE - HOMO. SPECIE - HOMO SAPIENS."
Almarina e Nisida racchiudono le storie di tutti quei ragazzi e quei luoghi che parlano di emarginazione, di diritti violati e negati, di disuguaglianza, di diversità da emarginare; sono la voce di tutte le azioni con le quali si è dismesso di essere umani, per essere altro. Sono voci che chiedono soltanto di essere ascoltate per provare a essere redente.
"Se si vuole che Nisida salpi, bisogna sciogliere il nodo marinaio che la tiene attraccata alla sua città regale, se si vuole essere liberi, ci si deve sentire liberi. E siccome la corrente era forte quel giorno, perché si era solo ai primi di aprile, per tenermi in equilibrio stavo ginocchioni nella sabbia: l’ho preparato cosí, il mio discorso di domani."
Più di un anno fa, il 5 maggio 2019, quando lo finii di leggere scrissi: Là dove sembra tutto perso, chiuso dietro le sbarre, un incontro tra professoressa e alunna segna la svolta per la vita di entrambe.
Dopo più di un anno, nel ripercorrere le mie sottolineature, per scrivere questa recensione, mi sono ritrovata a commuovermi in alcuni punti, perché questo libro tocca le mie corde di educatrice, quelle di matematico, quelle di una donna che non si dà mai per vinta e che non dice mai "Tutto è perduto", soprattutto perché la mia più che ventennale carriera è costellata da alunni difficili e impossibili, che sono stati i diamanti del mio cuore.
"Nelle radici delle parole che dovette smettere di pronunciare da ragazzina c’erano gli erbari della biblioteca universitaria. Saranno stati unguenti da farmacista o pozioni stregate, da dentro il corpo di Almarina in vincoli è uscita Almarina libera. Il mio professore di geometria, del resto, diceva sempre che devi puntare il compasso da qualche parte, per capire quanto ampio puoi disegnare il cerchio, e Almarina sta lí, giusto al centro)."
Una storia molto bella e commovente, ma che ho trovato compromessa da quel modo di scrivere pretenzioso e articolato tipico degli autori italiani editi Einaudi, come se avvertissero l’esigenza di ostentare continuamente la loro hybris nella scrittura e la padronanza delle figure retoriche. Voglio leggere un libro, capire quello che sta succedendo e cosa prova il protagonista; ma per farlo non voglio trovarmi costretto a barcamenarmi in un ginepraio in prosa.
A volte mi dimentico che anche le parole sono frutto di una invenzione. Nella Guida tascabile per maniaci di libri, a pagina 465, se ne elencano alcune che ereditiamo da Shakespeare, tra cui mi ha molto divertito leggere il termine gossip, per dire.
La parola nostalgia, che utilizziamo quasi quotidianamente – o almeno lo faccio io, che spesso sono di indole da “sguardo al passato” – sembra sia stata coniata da un medico svizzero alla fine del 1600 unendo i greci nóstos, “ritorno” e àlgos. “dolore, tristezza”. L’ho appreso domandandomi se Almarina, splendido romanzo di Valeria Parrella dalle emozioni fortissime e dalla scrittura limpida ed evocativa, potesse essere descritto dalla parola nostalgia.
Mi è sembrata più adatta della parola “mestizia” (qui la derivazione è latina, “maestitia”), che la Treccani definisce come “Sentimento di interna afflizione, affine alla tristezza, ma di questa più contenuto e persistente”. E ancora non ci siamo, perché – pur colpendo fino in fondo al miocardio – Almarina non può essere definito un libro triste.
E allora bisognerebbe inventare una parola: una che descriva contemporaneamente il dolore improvviso e ingiusto accompagnato da un amore purissimo e protettivo, una parola che racconti di un desiderio di giustizia e insieme che non può essere il nostro piccolo Io a stabilire ciò che è giusto (appunto) e ciò che è sbagliato. Una parola che descriva un orizzonte e che lo renda però raggiungibile, non come la linea che divide il cielo e il mare, che puoi prendere l’aeroplano più veloce dell’universo ma che non raggiungerai mai.
Bisognerebbe, insomma, essere scrittori, e io sono solo un modesto (orgoglioso) lettore, e mi limito a osservare che Almarina va letto per comprendere che – a volte – le parole non bastano.
Avrei dato 2.5 stelle, ma poi l'epilogo mi ha convinto a regalare mezza stella in più.
È una lettura faticosa: la prosa eterea, fatta di periodi sconnessi quasi come in un flusso di coscienza, rallenta il lettore. Mi è parsa poco convincente anche la trama: Almarina e la sua professoressa si scelgono a vicenda e così si salvano l'un l'altra, ma dove questo accada, perché e in che modo proprio non l'ho capito...
Della Parrella avevo già letto diversi anni fa (otto? dieci? quindici?) "Lo spazio bianco". Periodicamente mi torna tra le mani quando la casa sta per scoppiare e devo fare una cernita di libri da vendere per liberare spazio: ogni volta si salva solo perché di quel libro non mi ricordo assolutamente nulla e quindi mi riprometto di rileggerlo in futuro. E' la stessa fine che potrebbe fare "Almarina" se tra qualche tempo riuscissi a dimenticare la leggera irritazione provata vedendo affrontati, in un libro di appena centoventi pagine scritte larghe, una serie di temi troppo di moda e troppo piacioni, ma che su di me hanno l'unico effetto di riuscire ad annoiarmi e talvolta infastidirmi; tra gli altri: abuso di minori, fecondazione artificiale, migranti. Due buone notizie però ci sono: "Almarina" l'ho preso in prestito in biblioteca e "Lo spazio bianco" verrà venduto quanto prima lasciando sulla libreria un utilissimo spazio vuoto.
Premetto che a questo libro avrei dato anche meno di due stelle se solo non l'avesse scritto la Parrella, Parrella che trovo molto molto brava, e trovo che la sua forma sia il racconto. Qui Einaudi, furbone e piacione, ha pubblicato un racconto lungo, scritto largo e perfino con un epilogo - che odora di allunga libro - per spacciarlo come romanzo da mandare allo Strega. Non ho nulla contro la casa editrice, ma credo che l'abbia fatta qui un po' sporca. La Parrella invece ha fatto il suo, ha scritto il suo racconto la cui trama odora di buone intenzioni riuscite male, ma lo fa con il suo stile, con la sua prosa che, a parere mio, è meravigliosa. Imbrocca una serie di frasi che ti lasciano a bocca aperta, sceglie quell'unico aggettivo perfetto nel contesto, cala un jamme napoletanissimo e nient'altro poteva pronunciare quel personaggio.
Non è un libro da leggere per la sua storiella raccontata, a meno che non siate sempre delle lettrici sorridenti in attesa del lieto fine che non vogliono farsi lacerare il cuore mai, men che meno dalla letteratura. Io invece sono una (lettrice) stronza, che si macera l'anima negli aggettivi e che non piange, ma fissa l'orizzonte per dieci minuti quando la prosa giusta le arriva dritta sui denti.
Muller Thurgau ghiacciato, anche se è ghiacciato fuori perché sono andata a cercarmi un'immagine di Nisida che non avevo mai visto e quella sì mi ha scaldato il cuore.
E io ti darò notizie di una rosa che ho piantato e di una lucertola che voglio educare . [Antonio Gramsci, lettere dal carcere]
Un romanzo intimo, intenso, limpido ,che ti lascia sensazioni che piano piano si allargano a cerchi concentrici ,un po' come quelli della copertina. Un romanzo che parla di una forma di amore improvviso, di rabbia, di errori, di responsabilità ,della fatica e della bellezza di riuscire a fidarsi e ad af-fidarsi, di nuovo. Di sguardi che si riconoscono e che si parlano.
(non ho potuto fare a meno ,nella mia testa, di immaginarmi Almarina con lo sguardo di Fiore :) https://youtu.be/wj9Bp2zKeFo )
Bello ,molto, il finale, aperto. Arrivati all'ultima pagina il libro non finisce
ci vuole un sacco di tempo , o una poesia perfetta ,per dire davvero le cose come stanno
Questo è il secondo libro che leggo e fa parte dei 6 finalisti al #premiostrega Non ne sono per nulla entusiasta. La narrazione è in prima persona, ma è più un divagare di pensieri all'apparenza disconnessi tra loro e tutti incentrati su Elisabetta, la maestra del carcere. La quarta di copertina recita: "La libertà di due solitudini raccontata da una voce calda, intima, politica, capace di schiudere la testa e il cuore". Onestamente ho avvertito solo la solitudine. Che come un drappo nero avvolge tutto e tutti gli aspetti della vita in un arrendevolezza che sa di rassegnazione. Testa e cuore, almeno i miei, non si sono schiusi e resto parecchio perplessa.
Un romanzo di rinascita, di tornare a vivere e alla vita potrebbe essere la summa di questo romanzo della Parrella. Un romanzo di formazione al femminile che racconta la storia, come si evince dal titolo, di Almarina. Oltre ai giovani detenuti, le principali protagoniste sono Elisabetta, insegnante nel carcere e Almarina che sconta la sua pena. Sono entrambe accomunate da un passato turbolento, difficile e l'incontro tra le due lascia il segno. Una storia di redenzione, di riscatto, ma troppo dispersiva, con vari passaggi tra presente e passato che rischiano di confondere il lettore. Il rapporto tra Elisabetta e Almarina non si riesce a comprendere fino in fondo e ci sono alcuni elementi poco chiari e approfonditi. Bellissime le descrizioni sul carcere, il senso di solitudine e sconfitta che lascia. Forse più dinamiche e meno introspezione sarebbero state la mossa vincente.
È la storia di una professoressa di matematica che insegna in un carcere minorile. Poteva essere una storia forte e significativa, ma viene narrata con uno stile particolare, non di mio gradimento. Frasi sconnesse, paragoni poco azzeccati, improvvise mistioni di elementi presenti e passati, di pensieri e realtà. Inutilmente pretenzioso nello stile. Si perde la sostanza di ciò che viene narrato.
Romanzo breve, comincia dalla fine, succede poco, eppure succede molto. La scrittura di Parrella sempre mi pare sempre sorprendente, spiazzante come se avesse scritto di getto senza rileggere, chissà perché.
Almarina is a powerful and emotionally resonant story of a mathematics teacher from the juvenile prison of Nisida and of her little Romanian student, Almarina. There is an island in the Mediterranean where kids never go to sea. Moored like a vessel, Nisida is a prison on the water, and it is there that Elisabetta Maiorano teaches mathematics to a group of young inmates. She is fifty years old, she lives alone, and every day a guard opens the gate for her, closing Naples behind her: in that small classroom without bars, she tries to set up the future. But one day Almarina arrives in class, then the light changes and illuminates a new horizon. The inextricable labyrinth of bureaucracy, unexpected mourning, sleepless nights, reveal their other possibility: to be a starting point. In the hope that one day, when these boys have served their sentence, there will be new pages to fill, white "like the laundry hanging on the terraces". This clear and intense novel is perhaps a small love story, perhaps a great lesson on the possibility of not stopping.
To atone, forget, start over. “Seeing them go away is the hardest thing, because: where will they go. They're still so small, and they'll go back to where they came from, and where they came from is why they're here. This is a stunning meditation on the pain and loneliness and suffering we, as humans, go through told through the eyes of one with freedom, love and hope that things will improve, progress. Parrella's words claw at your heart with their harsh beauty so much so that every sentence is worth savouring due to its poetic nature. It's compelling, heartbreaking and intense but also warm, intimate and political. Parrella precisely touches the emotions, giving voice to two forms of loneliness whose power will move us. There is the poetry of a story suspended in a temporal stasis typical only of a place like the juvenile prison of Nisida, and the simplicity and intensity of real, tangible and moving things. And the pain of memories, the relief of seeing them change and extend and grow to find their place within us. Highly recommended.
Forse il primo libro che, dopo averlo finito, rileggerei, anche subito. Letto veloce, d'un fiato. Come dice Michela Murgia, in questo libro, non succedono delle cose, ma le persone.
La narrazione dell'autrice progredisce in modo frammentario per ottenere un quadro d'insieme nitido, ma non scevro di passi incerti. E come potrebbe essere diversamente nel momento in il tema che torna con più forza è quella della perdita. Prima del marito che lascia sola la nostra prof. Maiorano e poi quella possibile di Almarina, studentessa del carcere, a cui si affeziona. Seguendo queste due direzioni convergenti scopriamo un mondo che usualmente ci rifiutiamo di vedere, perchè in fondo ci hanno insegnato a guardare dall'altra parte. Non solo quello dei carcere, ma dei meno fortunati, dei poveri, degli emarginati, che non solo così distanti da noi, ma sono: noi. La prosa di Valeria Parrella è ricca di riflessioni che contemporaneamente associa a descrizioni. Non è una cosa eterogenea o comunque mal amalgata. La narrazione e il saggio sono infatti una cosa sola, la qual cosa può diventare ostica ad un lettore che preferisca l'immediatezza. Infatti sia la narrazione per immagini che le riflessioni tendono ad appensatire una storia che descritta nella sua semplicità avrebbe potuto essere più potente. Per quelli invece che preferiscono una narrazione leggermente fuori dagli schemi (citerei il buon Pontiggia di "Nati Due Volte"), attenta al linguaggio, allo stile e alla necessità d'inserire frasi da ricordare. In tal caso "Almarina" è da leggersi più volte.
Libro corto che si legge facilmente, scritto con uno stile piacevole. Sostanzialmente si tratta di un lungo monologo della professoressa Maiorano, voce narrante e protagonista del racconto. E Almarina? Da il titolo al libro, muove la protagonista a scelte importanti, ma resta comprimaria, così come tutte le altre figure. Ci sono spunti importanti per riflettere sulla vita, ma un tantino di approfondimento dei temi ed una maggiore caratterizzazione dei personaggi non avrebbe guastato.
Tutto d'un fiato. 🦋 Mai mi sarei aspettata di essere trasportata così lontano da un romanzo così piccolo e fuori dalla portata della mia "comfort zone", mai mi sarei aspettata tutto questo da una sedicenne rumena come Almarina. Nessuno può scegliere il proprio destino, ma si può sempre scegliere cosa leggere e decidere di non leggere questo breve romanzo, è veramente una grandissima perdita.
"Non si realizza subito quando la vita sta cambiando. Oltre il movimento che vi imprimiamo, non si comprende immediatamente il cambiamento" Ho terminato questa mattina Almarina l'ultimo lavoro di Valeria Parrella per Einaudi Editore.
Il romanzo è ambientato in una piccola isola del Golfo di Napoli, un lembo di terra che fa capolino dal mare, di fronte al promontorio di Posillipo: l’isola di Nisida. Chi conosce Napoli e i suoi dintorni riesce a visualizzarla come ho fatto io in mezzo a questo pensiero d'azzurro e di sole. Elisabetta vive e lavora lì. Cinquantenne, sola, dà lezioni di matematica nel carcere minorile dell’isola e la sua esistenza è ormai un arrancare stanco. Sarà l’arrivo di una nuova allieva a darle uno scossone: Almarina è una ragazzina romena che si porta addosso i segni di una storia difficile. La storia sembra già vista, sentita, letta, analizzata dalla cronaca. Eppure la Parrella, con un linguaggio ruggente e lirico al tempo stesso, è riuscita a schiudermi il cuore perchè tocca la difficoltà dei nostri giorni, l'ineguaglianza, la fiducia e la speranza di un futuro che si riscalda davanti al mare. In un universo costellato di sbagli, di conti che non tornano, di egoismi, di velleità inusitate, questo romanzo sembra dirmi, ancora una volta, che è solo la verità che rende liberi, e liberi sì è davvero quando ci si sente tale.
Non avevo ancora letto nulla di Valeria Parrella e, di conseguenza, mi sono avvicinato a questo romanzo senza alcun condizionamento pregresso.
Ho molto apprezzato lo stile originale e la modalità con cui vengono trasmessi i pensieri, le emozioni, i desideri ed i sentimenti della protagonista narrante.
Lo ritengo un bel libro di ambientazione partenopea, intenso e coinvolgente, ma manca un po’ di spessore nella caratterizzazione di alcuni personaggi, tra cui proprio Almarina, la ragazza che dà il nome al titolo.
"Mi ha portata a vedere le piante medicinali del monastero, e io lì ho capito che c'era ancora tutto il futuro da fare. Non dico il mio, e nemmeno il nostro: dico il suo. Dico che ho visto la donna che sarebbe diventata perchè era già tutta lì dentro, si stava preparando, stava tornando a nascere. Esterna a me, lontana dal suo passato, oltre la malattia dell'umanità che l'ha ferita".
2,5 stelline per una lettura chiacchieratissima che, purtroppo, finisce nelle mie delusioni letterarie del 2020 :(
Si è parlato tanto del romanzo di Valeria Parrella, finalista al premio Strega 2020, in lizza anche per il Premio Napoli e ad attrarmi sono state due cose in particolare: l'ambientazione napoletana che su di me ha sempre una presa fortissima e l'idea dell'incontro tra due anime ferite: quella di una ragazza minorenne dal passato oscuro e violento, chiusa nel carcere di Nisida e quella di Elisabetta, insegnante in quello stesso carcere. Devo dire la verità, non mi sono approcciata al libro con aspettative alte, dato che avevo letto più di un parere negativo, ma ho deciso di dargli una possibilità sia per la risonanza che questa storia ha avuto nella scena letteraria italiana, sia per farmi una mia opinione personale. Purtroppo, però, ne sono rimasta piuttosto delusa :( La storia mi è parsa appena accennata, una sorta di bozza che mancava di tanti approfondimenti dei quali la me lettrice sentiva il bisogno: mi aspettavo ad esempio una maggiore indagine del rapporto insegnante/studenti in un contesto così complesso come quello carcerario e soprattutto della nascita del legame tra Elisabetta e Almarina, che mi è sembrato troppo affrettato e non mi ha permesso di capirlo a fondo. Anche il titolo del romanzo ha suscitato in me qualche perplessità, dato che la vera protagonista della storia appare Elisabetta, di cui la scrittrice ci narra la vita passata e presente, le sue paure, le sue tante cicatrici, le sue speranze (aspetti questi che ho apprezzato molto) più che Almarina che ha nella narrazione molto meno spazio. L'aspetto che però ha rappresentato per me il vero ostacolo alla lettura, è stato lo stile di scrittura dell'autrice. Ho avuto la fastidiosa e costante sensazione che Valeria Parrella si sia "impegnata a scrivere bene", concentrandosi più sul "come" che sul "cosa", tramite la creazione di periodi complessi, spesso inutilmente contorti e arzigogolati con continui e repentini cambi di focus e di argomento che ho trovato disorientanti e fastidiosi perchè hanno fatto sì che la narrazione mi risultasse troppo costruita e artificiale, che perdesse cioè tantissimo in naturalezza. Non a caso le parti che ho preferito e che ho trovato più coinvolgenti anche dal punto di vista emotivo sono state proprio quelle in cui la narrazione era più lineare, senza forzature. E Napoli? Napoli c'è, la sua presenza si sente, a tratti anche nella lingua che racconta la storia ed è un aspetto che ho apprezzato così come la descrizione di alcune atmosfere che ho trovato vivida e convincente. Ma... Ma mi aspettavo tanto di più. Peccato :/
Concludo riportando una citazione legata a uno degli aspetti che avrei voluto vedere indagati maggiormente, ossia il rapporto insegnanti/studenti che coinvolge non solo il passato discutibile di questi ragazzi, ma soprattutto il loro futuro che, si spera, sia una pagina bianca sulla quale scrivere un capitolo nuovo, con più sogni e certezze:
"I loro reati si dicono in due frasi, quelle che loro non possono pronunciare mai, manco con noi insegnanti. Sono racconti sussurrati in sala professori mentre si scalda il caffè sul fornellino elettrico. E quando la collega di lettere ce li dice, noi ascoltiamo e ci guardiamo senza pena né rabbia né disappunto né orrore né solidarietà né per le vittime né per i carnefici. Noi prendiamo questi faldoni e li riponiamo nel più remoto archivio della memoria e dopo nascondiamo la chiave. La nostra speranza, credo, è che quel giorno, ora lontano, in cui avranno scontato tutta la pena, tornerà loro nelle mani questa chiave, e dagli archivi spalancati voleranno figli bianchi senza più inchiostro sopra, immacolati, come il bucato steso alle terrazze".
Il voto di RISME per lo StregaOFF va a Valeria Parrella col suo “Almarina”. Un romanzo intimista che affronta con coraggio il tema della libertà, scegliendo come ambientazione principale il luogo che per eccellenza ne rappresenta il simbolo di privazione: il carcere. È proprio il carcere minorile di Nisida che diviene la linea di confine che sempre esiste e separa gli opposti: il dentro dal fuori, il prima dal dopo, la morte dalla vita, il ricordo dalla dissolvenza, l’amore dall’odio, e infine, appunto, la prigionia dalla libertà. Nel romanzo si è costantemente dentro e fuori da qualcosa che ha limiti precari, talvolta invisibili e invalicabili: dentro e fuori dal carcere, dentro e fuori dalle storie dei ragazzi, dentro e fuori dall’amore, dentro alla libertà prodotta dalla fantasia come unica via di fuga, e ancora fuori dalla libertà sconfinata e terribile del mondo privo di limitazioni; Valeria Parrella ci accompagna, a ogni passo, con il suo stile ricco ed essenziale al tempo stesso, denso di senso in ogni sua riga ed encomiabile dal punto di vista della forma. È proprio la scrittura il punto di forza di “Almarina”: asciutta e diretta, piena di immagini potentissime che bucano la pancia. Perfino la forma è molto particolare, libera da ogni conformismo, libera da ogni limite; in alcuni passaggi arriva perfino a scavalcare le regole classiche dettate dalla punteggiatura, come se la ribellione su carta, seguisse in parallelo quella crescente nell’animo delle protagoniste. Quella della Parrella è una voce potente, a tratti poetica, un livello narrativo fuori dal comune.
“Nisida è un’isola e nessuno lo sa” Recita così il refraim di una vecchia canzone di Edoardo Bennato, mi è tornata in mente più volte leggendo questo bel libro della Parrella. Di suo avevo già letto, molto tempo fa, Lo spazio bianco, perciò mi era già noto il suo stile diretto e insieme poetico, con il quale la scrittrice bene esprime la fragilità umana e insieme la sua resilienza, la rinascita che può avvenire quando qualcuno, occupandosi di noi, ci fa intravedere la possibilità di un’altra vita nonostante la precedente. Ed ero abituata ai paesaggi napoletani che in simbiosi con gli stati d’animo comunicano asprezze ed estasi di bellezza e libertà selvaggia. In questo libro di poche pagine nessuna smentita: una lettura coinvolgente, piena di pathos e pietas, in cui si incontrano due donne diversissime per condizione ma simili per il senso di solitudine che devono imparare a fronteggiare, non importa se la donna “fortunata” è diventata sola e la giovane donna, decisamente sfortunata per gli accidenti che il caso ci regala nostro malgrado, sola lo è quasi da sempre. Quell’incontro sarà occasione per la reciproca rinascita; entrambe, insieme, potranno essere arabe fenici nella vita che si dispiega davanti a loro. La prospettiva è aperta, come il mare che offre un orizzonte apparentemente illimitato, nel quale si immerge la protagonista, la donna che vive “fuori” e lavora “dentro”; ma è, appunto, un’apparenza: oltre quell’orizzonte c’è sempre un punto d’approdo e trovarlo serve a farci ripartire. 4 stelle e mezzo e grazie a Valeria Parrella per le emozioni che mi ha comunicato.
Un libro che si legge come una lunga riflessione, più che come una vera e propria storia. Lo stile di Valeria Parrella è elegante, denso, mai banale: ogni frase sembra custodire un pensiero che va oltre la pagina. Da docente, mi sono ritrovata in molte delle riflessioni della protagonista, ad esempio quelle sulla ricerca di un senso anche dove il mondo sembra essersi chiuso.
La trama resta sullo sfondo, come un contorno accennato più che un racconto compiuto. Alcuni passaggi sembrano solo sfiorati, eppure non si sente la mancanza di ciò che non è detto: ciò che resta è il tono intimo e profondo con cui l’autrice scava dentro la vita, la scuola, la solitudine.
Il carcere minorile di Nisida, isoletta alle porte di Napoli, fa da sfondo, all'incontro tra due donne, che se all'inizio può sembrare un incontro causale, alla fine risulterà una vera e propria scelta voluta da entrambe, un'opportunità che entrambe si daranno. Elisabetta Maiorano, una donna che resterà vedova, nel mentre, col marito Antonio stavano avviando le procedure per un'adozione e Almarina, giovane donna rumena, picchiata dal padre e scappata in Italia con il fratellino più piccolo. Lo stato italiano deciderà di dividere i due fratelli. Due realtà completamente diverse ma che si sono trovate, volute, scelte. Elisabetta non vedeva l'ora di appagare il suo bisogno di maternità e Almarina aveva un disperato bisogno di tornare ad avere fiducia in una famiglia. Elisabetta riporterà Almarina nel suo paese di origine per fare pace col passato e sperando di ritrovare il fratellino disperso. Un libro di non facile lettura ma che nasconde una scrittura profonda, introspettiva, che riesce a mette a nudo soprattutto l’anima, le angosce di Elisabetta. È un libro che parla di amore, amore in senso lato e, secondo me, a parte una ventina di pagine, poco prima della metà del libro, un pochino caotiche, lo fa in una maniera egregia e a tratti poetica... Da metà in poi questo libro mi ha meravigliata per la grazia con cui è scritto.
"Napoli è una città che ci sa fare con la morte, le dà il giusto peso, che è quello della vita: cioè, preso individualmente, poco più di nulla. Così, dopo una mezz'ora dal decesso (parlavano in questo modo i medici ma di chi?), Antonio era nella morgue e io scendevo le scale che, volessi o non volessi, mi stavano facendo svoltare vita" - È un incontro fra due anime sole, quello fra Almarina e Elisabetta, la prima giovane rumena detenuta nel carcere minorile di Nisida e la seconda cinquantenne vedova che dentro quello stesso carcere si reca ogni giorno a insegnare. Quest'ultimo romanzo di Valeria Parrella non si tira certo indietro dall'affrontare temi importanti come la delinquenza giovanile, la violenza in famiglia, la discutibilità di certe sentenze giuridiche o l'iter che scandisce il percorso dell'adozione; tuttavia lo stile denso e iper-curato dell'autrice rischia, in certe pagine, di prendere un po' troppo il sopravvento sulla trama, e quest'ultima, per quanto interessante, rischia a sua volta di perdersi nel monologo fitto della voce narrante di Elisabetta
Tanto bello quanto complesso. Un romanzo d’amore. Un romanzo politico. Un romanzo di vita. Un dentro fuori che si incontrano e scontrano. Un piccolo tesoro.
La protagonista di questo romanzo è la professoressa Maiorano, insegnante di matematica presso un penitenziario minorile della Campania. Leggendo il breve testo viene fuori un suo ritratto abbastanza completo: è una donna che ha trovato l'amore in età adulta, che ha desiderato fortemente che la felicità coniugale fosse suggellata da un figlio, ma ormai è vedova da tre anni e l'unica cosa che le resta è il proprio lavoro. Ed è proprio all'interno del penitenziario che incontra Almarina, ragazzina romena fuggita dal proprio paese, e dal padre violento, insieme al fratello più piccolo. Almarina colpisce e conquista la professoressa e questo incontro aiuta quest'ultima a risalire la china. In realtà "Almarina" non è il tipico romanzo che ci si aspetta di leggere e lo si capisce fin dalle prime pagine; si tratta di una sorta di monologo intimistico in cui i pensieri seguono il proprio corso con poca linearità ed è costellato da frasi brevi e pochi dialoghi. Lo stile è particolarmente ostile al lettore in alcuni punti e, subito dopo aver letto le prime pagine, il primo pensiero che mi è passato per la mente è: "questo è un libro di nicchia". È innegabile che si debba avere una preferenza per questo tipo di scrittura per amare pienamente il libro, ma, nonostante ciò, forse mi sono man mano abituata, è un libro che ho apprezzato. La sua forza è rappresentata dalla scelta di rappresentare e comunicare sentimenti potenti, penso che la trama, in fin dei conti, sia del tutto secondaria.
"Questo romanzo limpido e intenso forse è una piccola storia d'amore, forse una grande lezione sulla possibilità di non fermarsi. Di espiare, dimenticare, ricominciare"
In circostanze normali non avrei apprezzato un romanzo dai periodi così lunghi. Invece, a quanto pare, l'ho letto al momento giusto. Certe frasi che mi sono rimaste dentro. Ho molto apprezzato il mostrare un ritorno alla vita in modo delicato, senza cedere allo stucchevole.