Un pomeriggio d’estate, un gruppo di amici quindicenni si dà appuntamento nel solito luogo di ritrovo, una piazza del centro di Padova. È la metà degli anni Settanta, la stagione dei cortei e delle occupazioni, degli scontri fra manifestanti e polizia; i giovani protagonisti, però, non fanno politica, né sono interessati alle ideologie che infiammano il periodo. Si muovono in Vespa da un punto all’altro della città, in mezzo a una folla di coetanei in perenne movimento come loro, animati soltanto dalla voglia di andare, di incontrarsi. Nel corso della giornata, uno di loro, Nick The Best One, viene presentato a una ragazza, la Canova, e tra i due scatta un autentico colpo di fulmine. Un altro, Tod, litiga con un conoscente e dà il via a una violenta scazzottata. Un altro ancora, Gmt, spera di rivedere l’ex fidanzatina, che la famiglia ha allontanato dalla città dopo un grave incidente stradale da lui causato. L’ultimo del gruppo, il vecchio Andrea, si esibisce in lunghe impennate con la Vespa per far colpo sugli amici.Quel pomeriggio, come un lampo di luce intensa, è destinato a restare nella memoria dei li terrà segretamente uniti nel corso del tempo, nonostante i silenzi e le distanze che, inevitabilmente, si frapporranno alle loro esistenze. Tra crisi familiari e riavvicinamenti, cadute nel crimine e nella tossicodipendenza, sogni realizzati e desideri delusi, il romanzo di Romolo Bugaro segue il percorso del gruppo anche nei decenni successivi, intrecciando i loro destini personali alle trasformazioni del paese. In tutti i ragazzi, rimarrà vivo il ricordo della musica e delle voci di quel pomeriggio ormai lontano nel tempo, pieno di sole e gente in quella giornata resterà il centro nascosto, il fondamento segreto delle loro vite.
Romolo Bugaro (1962) svolge la professione di avvocato a Padova. La sua scrittura è spesso una impietosa fotografia del ricco Nordest italiano e della buona borghesia che vi abita. Ha pubblicato con numerosi editori romanzi e saggi. Della sua scrittura ha detto: «Nel mio caso, ciò che si è rivelato fecondo per la scrittura non sono state le storie personali incontrate, i tanti drammi umani di questo o di quell’assistito (che peraltro non utilizzerei mai), quanto un respiro più profondo della realtà che mi sono ritrovato a poter ascoltare: una particolare forma di ferocia sottesa a moltissimi rapporti, che m’è riuscito ormai di mettere a fuoco, e sulla quale credo che lavorerò a lungo.»
Bugaro racconta gli “anni di piombo” senza parlarne, l’espressione è citata una volta soltanto. Ma sono quegli anni, e il piombo si percepisce, mischiato alla droga, alla politica, al carcere, alla violenza, che sa comunque lasciare sullo sfondo. Sono gli anni Settanta, che immagino per me siano indimenticabili come per altri il decennio precedente o quello successivo, e via di questo passo. L’esperienza personale può contare nella lettura di questo romanzo, ma non credo sia indispensabile.
Il Caffè Pedrocchi
Le battaglie che Bugaro nega (il titolo, lo ricordo, è Non c’è stata nessuna battaglia) sono personali e individuali, proprio negli anni consacrati dalle battaglie collettive e pubbliche.
Tanto si può affermare e/o negare su quell’epoca, ma credo che su un aspetto si potrebbe convenire: il periodo che abbraccia gli anni Sessanta e Settanta ha avuto al centro della storia i giovani, per protagonisti e piloti i giovani. Dopo s’è parlato a usura di gggiovani: ma i giovani hanno smesso di incidere, d’essere il motore, il timone è passato in altre mani e loro sono diventati personaggi della commedia (tragedia?) umana un pochino più marginali. Un altro degli aspetti orribili di questo ciclo storico che ha definitivamente spostato l’ago della bilancia nelle mani di un 1% che fa e disfa anche per il restante 99%. Alla faccia di libertà uguaglianza e fraternità. Alla faccia dei diritti umani. (Per inciso, a tutt’oggi un nono della popolazione mondiale è al di sotto della soglia di povertà, in pratica, non ha abbastanza da mangiare: detto ancora più esplicitamente, ottocento milioni di persone hanno fame).
Com’erano, come eravamo.
Bugaro avrebbe potuto scegliere per i suoi protagonisti soprannomi meno irritanti. Ma sarebbe comunque cambiato poco, il suo racconto corale, che va avanti e indietro nel tempo, fino a qualche mese da oggi (autunno 2019), che passa il testimone da uno all’altro, che raggiunge i momenti migliori quando la narrazione si fa complessiva, quando i personaggi sono affrontati come un collettivo (in quei momenti ho avuto la bella sensazione di una ballata), è un inno all’Italian Graffiti in salsa padovana, pregno di nostalgia che difficilmente lascia il ciglio asciutto, uno scintillante come eravamo che fissa la soglia a quindici anni, mettendo in scena cinque creature che appaiono ancora non incise dalla vita: ce le mostra prima di qualsiasi caduta o volo, prima di sollevarsi o abbattersi, galleggiare o affondare, prendere una direzione, prima che la vita inizi ad agire, prima che il destino si metta in movimento, prima del cambiamento incontrollabile.
”Four Friends – Gli amici di Georgia” di Arthur Penn (1981), magnifica storia di quattro amici negli anni Sessanta.
E infatti il titolo corretto sarebbe “Non c’è stata ancora nessuna battaglia”, perché, finita quel breve periodo della vita, le battaglia sono arrivate, sono successe e accadute, più o meno combattute, spesso perse, battaglie con la vita, la droga, la violenza, la sfortuna… Bugaro sembra voler dire che spesso, o sempre, molti, o tutti, si ritrovano adulti senza rendersene conto – in un’intervista cita Simone de Beauvoir: essere adulti è una convenzione, dice, siamo tutti ragazzi che giocano e improvvisamente ci scopriamo vecchi. Ora, io con i 50eeni e 60enni che pensano di avere ancora 20 anni, e hanno lo sguardo fisso indietro, ho scarsa simpatia: ma mi sono affezionato a questi cinque ragazzi che Bugaro mi ha raccontato.
Ritratto di una generazione figlia della buona borghesia (adolescenti nel 76) e di una città, Padova, la cui topografia, anche simbolica, ha significato solo per chi quei luoghi li ha conosciuti e li conosce bene. Ritratto impietoso e corale che salta da un protagonista all'altro, ma li segue tutti nel tempo, fino ai nostri giorni. Il risultato appare un po' frammentario ma viene riscattato dallo sguardo impietoso e dalla scrittura tagliente. Non c'è stata nessuna battaglia: solo indifferenza, estraniazione e violenza, ma più che altro verso se stessi.
Libro corale, personaggi di spessore e soprattutto profondità storico politica nella descrizione dell'Italia tra la metà degli Anni 70 e i giorni nostri. Si toccano moltissimi temi economici e sociali in modo assolutamente non scontato: gli scontri tra rossi e neri negli anni di Piombo, la latitanza, l'eroina, le contestazioni antagoniste ai governi di centro-destra (e come parte del centro destra abbia agilmente inglobato ex picchiatori fascisti tra le sue fila), speculazioni bancarie, e anche la "nuova economia" delle startup globali basata in gran parte su self funding e capitale in perdita per i primi anni di vita. Tutto questo senza che i protagonisti siano coinvolti in maniera diretta in vicende politiche. Tutti, anzi, restano concentrati sulle proprie vicende intime. Il plot device del triangolo amoroso è un po' stantio, ma la scrittura curatissima di Bugaro te lo fa perdonare. I miei capitoli preferiti sono senza dubbio quelli in cui "parlano" le piazze e i bar (quelli di storia collettiva) e il primo, la storia di Nick e di suo figlio Leo, che introduce la trama in modo magistrale.
Dopo aver letto una recensione su La Lettura o Robinson (non ricordo quale dei due) e aver ascoltato l’autore a PordenoneLegge, ero desideroso di entrare in questa storia che lascia fuori la Storia. Ma... Non c’è trama in questo libro, che sembra più scritto per un’esigenza emotiva di rituffarsi in un’epoca andata che per raccontare qualcosa. I capitoli sembrano storie a sè ed è veramente difficile farsi una chiara idea dei personaggi. Mentre i luoghi invece sono così precisi che sembrano finti. Insomma, recensioni e presentazioni erano sovrastimate.
Leggere Non c’è stata nessuna battaglia di Romolo Bugaro è stato proprio un tuffo nel passato. Non conosco nessun altro scrittore di Padova e della sua gente così autentico come Bugaro. Può usare nomi fittizi e situazioni immaginarie – anzi, nella sua posizione lo reputo necessario – ma le sensazioni e le emozioni che racconta sono verità, vissuto condivisibile e condiviso. Bugaro è riuscito a catturare le voci di un pomeriggio d’estate, quando ancora gli adolescenti si incontravano nel punto di ritrovo preferito solo per la voglia di stare insieme e far accadere le cose. Poco importa che fosse girare in vespa per il centro, scatenare scazzottate, inscenare farse per prendere in giro la gente, rimorchiare, lasciarsi andare alla musica. Niente aveva importanza quanto l’esserci. Quell’alternanza delle voci uniche, distinte, di chi “c’era” offre al lettore visuali diverse per incasellare gli eventi nella giusta collocazione e ricostruire la storia. Bugaro è riuscito a catturare l’essenza della sua generazione nelle pagine di un romanzo corale, che brillerà a ogni lettura. Tra delusioni amorose, crisi famigliari, successi professionali, cadute, desideri e sogni realizzati, nei decenni successivi a quel pomeriggio si delineano i destini dei giovani personaggi, sempre incuranti della trasformazione di una nazione che esce dagli anni di piombo. È il ricordo che li tiene legati in segreto, a dispetto del tempo e della distanza che li hanno allontanati. Oggi viviamo in una dimensione sospesa tra realtà e virtualità, con una rete di protezione sempre tesa ad attutire le nostre cadute, con l’idea che a volte basti cancellare qualcosa di scomodo con un tasto, come se non fosse mai esistito, per autorizzarci a dimenticarcene, incuranti delle conseguenze. Forse non ci ritengono più capaci di affrontare la realtà. Fino agli anni ’90 noi abbiamo vissuto senza rete, ma anche pagando le conseguenze delle nostre scelte, siamo cresciuti imparando nella maggior parte dei casi ad accettare le nostre responsabilità. Quando la vita era affidata alla memoria, ne eravamo gli unici padroni. Un backup condiviso con il mondo è una falsa sicurezza, ci ha reso vulnerabili.
Il libro di snoda avanti e indietro nel tempo, procedendo per racconti frammentati che seguono i ricordi dei suoi protagonisti. È solo nelle ultime pagine che il romanzo si concretizza e si riuniscono i fili di tutte le storie, dando voce (e spiegazione) al titolo del libro: non c'è stata nessuna battaglia (e invece sarebbe stato meglio che ci fosse stata n.d.r.)
Inizio promettente. Dopo un po', però, la narrazione della festa della Visentin risulta decisamente noiosa. Dopo di che la trama si sfilaccia e, boh, diventa una specie di raccolta di racconti tutti piuttosto banalotti... Imbarazzante...