È in corso da anni una guerra, combattuta tra le strade delle città, contro poveri, migranti, movimenti di protesta e marginalità sociali. Le sue armi sono decoro e sicurezza, categorie diventate centrali nella politica ma fatte della sostanza di cui son fatti i miti: Furio Jesi chiamava idee senza parole gli artifici retorici di questo tipo, con cui la cultura di destra vagheggia fantomatici «bei tempi andati» di una società armoniosa. Lo scopo è cancellare ogni riferimento di classe per delimitare un dentro e un fuori, in cui il conflitto non è tra sfruttati e sfruttatori ma tra noi e loro, gli esclusi, che nel neoliberismo competitivo da vittime diventano colpevoli: povero è chi non si è meritato la ricchezza. Il mendicante che chiede l'elemosina, il lavavetri ai semafori, il venditore ambulante, il rovistatore di cassonetti, dipinti come minacce al quieto vivere. I dati smentiscono ogni affermazione ma non importa, la percezione conta più dei fatti: facendo appello a emozioni forti, come la paura, o semplificazioni estreme, come il «non ci sono i soldi» per le politiche sociali, lo scopo delle campagne securitarie diventa suscitare misure repressive per instillare paure e senso di minaccia. A essere perseguita non è la sicurezza sociale, di welfare e diritti, ma quella che dietro la sacra retorica del decoro assicura solo la difesa del privilegio. Sotto la maschera del bello vi è il ghigno della messa a reddito: garantire profitti e rendite tramite gentrificazione, turistificazione, cementificazione, foodificazione. Wolf Bukowski ripercorre come l'adesione della sinistra a questi dogmi abbia spalancato le porte all'egemonia della destra. Una perlustrazione dell'«abisso in cui, nel nome del decoro e di una versione pervertita della sicurezza, ci sono fioriere che contano come, e forse più, delle vite umane».
Wolf Bukowski è uno dei guest blogger del sito dei Wu Ming, Giap, è stato redattore della Nuova Rivista Letteraria, collabora con Internazionale. Ha raccontato in diversi volumi le trasformazioni materiali dei luoghi di vita e i dispositivi ideologici che le accompagnano: il decoro, la sicurezza, le false pratiche partecipative, l’illusione di poter produrre cambiamenti sociali tramite le abitudini di consumo.
Un grosso difetto e un enorme pregio: tanto fazioso e a tratti rabbioso (sebbene la faziosità e la rabbia siano le stesse mie) da essere accessibile solo a chi così la pensa. Ed è un peccato che affumiga e mitiga l’efficienza straordinaria del pregio del libro: una lucidità, chiarezza, precisione di taglio e di analisi sociale/politica/culturale che ho visto raramente. Incisivo e cattivo (nel senso “senza sconto alcuno”), andrebbe riscritto dopo aver contato fino a 100 per riprovare con più calma a presentare gli stessi concetti... veri, lucidissimi, ma che andrebbero portati anche a chi la pensa diversamente con più moderazione.
Non è né 3 stelle né 4, è proprio a metà.. benedette valutazioni di Goodreads..
Necessario e fondamentale per comprendere i nostri tempi. "La buona educazione degli oppressi" è un excursus sull'origine del concetto del decoro e su come questa categoria sia diventato un modo d'oppressione che passivamente accettiamo. Il decoro c'entra anche col ritorno del fascismo, così come ritorno del fascismo e il "late capitalism" sono legati. Una società che misura tutto in numeri è una società che inevitabilmente disumanizza e gerarchizza, e lo fa con una facciata di "buonismo" vuoto, che distingue tra il respingere i migranti con un sorriso e il farlo con uno stivale borchiato. (E in questi mesi, lo stiamo vedendo molto bene).
Il "decoro" non è "né di destra né di sinistra", nel senso che le politiche del decoro sono portate avanti da amministrazioni di tutti gli schieramenti. Ma "né di destra né di sinistra" significa di destra. Con la scusa del "degrado" e del bisogno di sicurezza, il decoro è un'arma di repressione contro i poveri, gli immigranti, gli ultimi, in pratica i "non-consumatori", quelli che non servono al Capitale, cioè ai padroni. "Sicurezza" dovrebbe essere prima di tutto sicurezza sociale, quindi welfare. Ma per il welfare ovviamente "non ci sono i soldi", come recita il mantra dell'ideologia neoliberista. Quindi sicurezza diventa sinonimo di militarizzazione delle città, controllo, repressione. Dalla "teoria delle finestre rotte" alla "tolleranza zero", dalle panchine anti-clochard al "daspo" urbano, questa breve storia del decoro mette in luce la connessione tra il concetto stesso di "decoro", le politiche securitarie e l'ideologia di fondo che c'è dietro, quella neoliberale. Una lettura breve ma estremamente interessante.
Il libro parla della paura percepita dai cittadini e del conseguente senso di insicurezza, che diventano strumenti per fare campagna elettorale. Il tema della sicurezza, infatti, sta molto a cuore ai partiti di destra.
Il libro parte dal principio, raccontando la teoria delle finestre rotte implementata a New York per combattere il degrado e la criminalità. Approccio che verrà poi importato in Italia con scarsi risultati.
L’autore prende come riferimento principalmente Bologna e Firenze per chiedersi se la lotta al degrado ed il raggiungimento del decoro abbiano un qualche senso: “…più denuncia, più fotosegnalazione, e quindi più repressione, più ordine, più polizia e più pulizia; ottenendo però l’effetto paradossale che, via via che lo spazio pubblico viene ripulito dai marginali e dalle loro tracce, ogni presenza anche solo leggermente diversa risulterà inquietante, perché il concetto di disordine e di inciviltà si sarà esteso al punto di generare sospetto verso chiunque non sia platealmente un benestante impegnato nei riti del consumo.”
L’autore punta il dico contro i partiti di destra ma non risparmia critiche agli altri schieramenti. Il libro è ben documentato. Consigliato per chi vuole conoscere il pensiero della sinistra sul tema sicurezza e decoro urbano.
Un'analisi documentata e approfondita sulla deriva securitaria, da sempre a braccetto con la privatizzazione e la gentrification, che ha assunto negli ultimi anni la forma di una grottesca rincorsa a un generale "decoro urbano". Come se i veri problemi dell'Italia fossero le scritte sui muri, come se la povertà e l'emerginazione fossero oramai un crimine più che un disagio da risolvere.
Ma d'altronde reprimere e incolpare è senza dubbio più facile e remunerativo, economicamente e politicamente, che risolvere davvero i problemi: "a corollario di depolicitazzione e partecipazione subalterna, va segnalata come prassi del decoro anche una costante ostilità verso la spiegazione, un rifiuto della complessità. L'assalto dei securitari ai diritti civili e sociali si nutre infatti di un'aggressione costante alle spiegazioni necessariamente complesse".
Non ho condiviso tutto e non ho apprezzato l'impostazione generale, ma ha messo ordine in alcuni concetti come "decoro, sicurezza, ordine" toccando anche temi come gentrificazione, turismo etc... Una lettura depressiva a rabbiosa. Prima o poi ci scriverò qualcosa di compiuto.
una cassetta degli attrezzi assolutamente indispensabile per smontare la retorica securitaria delle nostre città provinciali, in cui certe politiche tossiche stanno operando da un po', ma gli anticorpi tardano ad arrivare.
Imperdibile racconto, ricco di citazioni e con acume sempre alto, dell'assalto portato dalle forze neoliberali alla espressione piena della vita pubblica, cauterizzata ed estetizzata dall'ideologia del decoro.
Argomento potenzialmente interessante ridotto a “gnegnegne il liberismo” (quando va bene). Scritto con la bava alla bocca, fazioso e irritante. Carta buona per incartare il pesce. Vorrei non aver buttato una giornata della mia vita per leggerlo.
Il libro ripercorre il processo di formulazione del concetto di decoro e la sua introduzione nel dibattito politico come criterio di valutazione della pericolosità di alcune condotte e/o categorie di persone fatte oggetto di repressione dalle amministrazioni delle nostre città in ottemperanza a politiche securitarie che, a ben guardare, poco hanno a che fare con l'effettiva sicurezza e molto invece con un processo di marginalizzazione di coloro considerati indesiderati ed indesiderabili. Ciò che conta non è l'effettiva realtà, ma la sola percezione di quelle classi di cittadini che abbracciano in toto il paradigma capitalista e borghese. La paura e il senso di sospetto verso categorie di persone che sfidano quel medesimo paradigma sono sufficienti a giustificarne l'etichettatura "permale". Automaticamente diventano una minaccia per l'ordine costituito, per lo status di quelli che invece sono "perbene" ed in ultima analisi per la proprietà, da difendere strenuamente come segno del proprio valore personale. Viene così a redigersi una sorta di gerarchia sociale che distingue da un lato coloro che sono consumatori ideali, unici autenticamente umani e dunque meritevoli di tutela (stante la loro rilevanza in termini elettorali), mentre dall'altro vi è il gruppo dei diseredati, di coloro che, in virtù della loro ridotta capacità economica, vengono derubricati a non-persone, disprezzabili, la cui umanità è misurata in base al plafond delle loro carte di credito; categorie tendenzialmente da reprimere, rimuovere o quantomeno nascondere.
La legittimità delle politiche repressive affonda dunque le proprie radici sul germe del sospetto, che il contesto economico e culturale in cui viviamo ci inculca propinandoci una narrazione quotidiana che pesca a piene mani in pregiudizi e stereotipi senza tentare di sfatarli, ma anzi rinvigorendoli con una certa dose di criminalizzazione, estesa anche a condotte di per sé non così rilevanti o pericolose. In un certo senso viene riproposta quella argomentazione borghese che, in pieno stile Hobbesiano, legittima una stretta autoritaria come ultimo baluardo della tutela della proprietà. Solo così viene appagato il senso di sicurezza e dunque sopita quell'angoscia per il futuro di stampo marcatamente possessivo-individualista. Viene invocato l'intervento di un Leviatano che, con la spada e dietro all'egida del decoro, riporti l'ordine scagliandosi su coloro che non si adattano al sistema economico e culturale egemone. Ora novelli attentatori alla pace ed alla convivenza, non sono più esseri umani, non più portatori di diritti, interessi ed esigenze altrettanto degni di essere ascoltati. Se le istanze di queste categorie fossero infatti prese seriamente in considerazione si solleverebbero dubbi sull'equità dell'ordine costituito ed inevitabilmente se ne concluderebbe la necessità di interventi di welfare. Quelli sì davvero necessari ed utili, ma chiaramente scarsamente convenienti dal punto di vista economico e di conseguenza propagandistico.
L'argomentazione procede fluida intrecciando storia, teorie sociologiche, metafore esplicative ed elementi di cronaca più o meno contemporanea di alcune amministrazioni italiane e non solo. Solido, esaustivo e ben scritto.