La storia comincia a Vigàta nel gennaio del 1890. Gnazio ritorna dall'America dopo 25 anni di assenza. Ci era andato a lavorare giovane perché in paese era rimasto solo. Sapeva solo "arrimunnari "gli alberi, ma alla perfezione tanto da essere assunto a New York come giardiniere. Poi, una brutta caduta da un pino, i soldi dell'assicurazione e il ritorno a Vigàta con un piccolo gruzzolo, sufficiente a comprare un pezzo di terra. Se ne era innamorato subito Gnazio, perché al centro di quella terra, stretta tra ciclo e mare, troneggiava un ulivo secolare, la gente diceva che aveva più di mille anni. La terra era rinata con le sue amorevoli cure, rivoltata e bagnata, popolata di animali, abbellita da una costruzione tirata su pietra su pietra e ora a 45 anni Gnazio era desideroso di farsi una famiglia. È l'esperta di erbe e guarigioni, la vecchia Fina, a trovargli una moglie, Maruzza Musumeci, bella come il sole. Chi sa perché quella ragazza non aveva mai trovato marito. Forse per certe sue stramberie? Le nozze, poi i figli. La famiglia di Gnazio e Maruzza cresce, prima nasce Cola, poi Resina, dalla voce ammaliante, poi Calorio e Ciccina, e cresce anche la casa... Una favola in cui si intrecciano mito e storia, ma anche arte, architettura, astrologia. Una fantasia sconfinata imbrigliata nel racconto di una vita vissuta intensamente.
Andrea Camilleri was an Italian writer. He is considered one of the greatest Italian writers of both 20th and 21st centuries.
Originally from Porto Empedocle, Sicily, Camilleri began studies at the Faculty of Literature in 1944, without concluding them, meanwhile publishing poems and short stories. Around this time he joined the Italian Communist Party.
From 1948 to 1950 Camilleri studied stage and film direction at the Silvio D'Amico Academy of Dramatic Arts, and began to take on work as a director and screenwriter, directing especially plays by Pirandello and Beckett. As a matter of fact, his parents knew Pirandello and were even distant friends, as he tells in his essay on Pirandello "Biography of the changed son". His most famous works, the Montalbano series show many pirandellian elements: for example, the wild olive tree that helps Montalbano think, is on stage in his late work "The giants of the mountain"
With RAI, Camilleri worked on several TV productions, such as Inspector Maigret with Gino Cervi. In 1977 he returned to the Academy of Dramatic Arts, holding the chair of Movie Direction, and occupying it for 20 years.
In 1978 Camilleri wrote his first novel Il Corso Delle Cose ("The Way Things Go"). This was followed by Un Filo di Fumo ("A Thread of Smoke") in 1980. Neither of these works enjoyed any significant amount of popularity.
In 1992, after a long pause of 12 years, Camilleri once more took up novel-writing. A new book, La Stagione della Caccia ("The Hunting Season") turned out to be a best-seller.
In 1994 Camilleri published the first in a long series of novels: La forma dell'Acqua (The Shape of Water) featured the character of Inspector Montalbano, a fractious Sicilian detective in the police force of Vigàta, an imaginary Sicilian town. The series is written in Italian but with a substantial sprinkling of Sicilian phrases and grammar. The name Montalbano is an homage to the Spanish writer Manuel Vázquez Montalbán; the similarities between Montalban's Pepe Carvalho and Camilleri's fictional detective are remarkable. Both writers make great play of their protagonists' gastronomic preferences.
This feature provides an interesting quirk which has become something of a fad among his readership even in mainland Italy. The TV adaptation of Montalbano's adventures, starring the perfectly-cast Luca Zingaretti, further increased Camilleri's popularity to such a point that in 2003 Camilleri's home town, Porto Empedocle - on which Vigàta is modelled - took the extraordinary step of changing its official denomination to that of Porto Empedocle Vigàta, no doubt with an eye to capitalising on the tourism possibilities thrown up by the author's work.
In 1998 Camilleri won the Nino Martoglio International Book Award.
Camilleri lived in Rome where he worked as a TV and theatre director. About 10 million copies of his novels have been sold to date, and are becoming increasingly popular in the UK and North America.
In addition to the degree of popularity brought him by the novels, in recent months Andrea Camilleri has become even more of a media icon thanks to the parodies aired on an RAI radio show, where popular comedian, TV-host and impression artist Fiorello presents him as a raspy voiced, caustic character, madly in love with cigarettes and smoking (Camilleri is well-known for his love of tobacco).
He received an honorary degree from University of Pisa in 2005.
Il mio approccio con Camilleri comincia con questo libro che è un mix tra realtà e fantasia, tra sogno e realtà, tra passato e presente. Una favola siciliana, un "cunto" siciliano. In una Sicilia, Vigata, per la precisione, caratterizzata dagli ulivi e dai mandorli in fiore fa da contrasto l'asperità della condizione dei braccianti. In questa Sicilia si svolgono le vicende di un uomo infaticabile, un lavoratore, un anti - Ulisse, che non ama il mare, ma che si innamora di una sirena, Maruzza Musumeci, appunto, grazie alla quale conosce l'amore e la bellezza di essere innamorati, con la quale forma una famiglia e costruisce la sua vita. Dopo un'iniziale difficoltà a comprendere il dialetto siculo, devo ammettere che la lettura procede in maniera scorrevole e mi sono totalmente immersa in questo mondo, dagli aspetti a tratti dolci, a tratti duri, ma profondamente veri per poter "vivere d'amuri e d'accurdo", proprio come Gnazio e Maruzza.
Siamo a Vigata, paese fantastico ormai celeberrimo grazie al commissario Montalbano, ma stavolta non leggiamo delle sue gesta, perché la storia raccontata da Camilleri è ambientata tra la fine del 1800 e l'inizio del 1900 ed è una bellissima storia che intreccia realtà e fantasia, miti e magia. Una favola non ambientata in luoghi fantastici, o imprecisati, come spesso avviene, ma collocata perfettamente nel tempo e nello spazio e forse questo la rende più reale. Nel Sud Italia, ve lo dice chi ci è nata e ci vive, la magia ha sempre fatto parte del quotidiano e Camilleri enfatizza questa caratteristica di noi meridionali con il personaggio di Gnazio, che accetta le "particolarità" della sua sposa, senza porsi domande. Se amate il mare e vi affascina il mito delle sirene leggete "Maruzza Musumeci" anche se, le prime pagine del libro scritte in un dialetto siciliano molto stretto, hanno messo in difficoltà anche me che leggo Camilleri da diversi anni.
Bella favola, a volte tenera a volte intrigante. Come per le favole non e' il caso di farsi troppe domande; devi solo ascoltare, se ti appassionano e ti danno delle emozioni hanno colpito il segno.Camilleri non delude mai!
È il primo libro di Camilleri che leggo e ammetto di avere faticato parecchio inizialmente per comprendere la parlata siciliana. Ma dopo un po’ mi sono abituato e la storia è diventata quasi del tutto comprensibile.
Camilleri racconta la storia di Gnazio Manisco, emigrante a New York, che torna a Vigàta a fine Ottocento e acquista una lingua di terra che si chiama Contrada Ninfa. La rende coltivabile, compra animali e si costruisce una casa che amplierà nel corso della sua vita con il crescere della sua famiglia. La casa volge le spalle al mare, che dista pochi metri, perché Gnazio ha paura del mare. Quando, a quarant’anni, Gnazio decide di prendere moglie, conosce la bellissima Maruzza Musumeci e la sua inquietante bisnonna, Minica. Maruzza e Minica hanno la sembianza di donne ma sono sirene e tra loro parlano con versi dell’Odissea. Per continuare la loro specie, le sirene scelgono uomini come Gnazio, senza interesse per il mare, in modo che non impazziscano ascoltando il loro canto. Gnazio non conoscerà mai fino in fondo i segreti di Maruzza, né gli interessa scoprirli. Accetta la sua donna per quel che è con tutte le sue strane abitudini, perché gli basta il grande amore che li lega.
Onestamente non mi ha coinvolto più di tanto. Una storiella che parte abbastanza bene ma che da un certo punto in poi mi è sembrata un po’ affrettata. Mi ha dato la sensazione che senza il dialetto, della storia ne sarebbe rimasto ben poco.
Di Andrea Camilleri avevo letto solo i libri riguardanti le indagini del commissario Salvo Montalbano e Maruzza Musumeci è la prima opera del Maestro che leggo fuori dalla serie di Montalbano, nonostante si cita la celebre Vigàta. Potrei definire questa opera una sorta di favola siciliana, e la cura in cui è stata scritta nel tipico siciliano inventato da Camilleri meriterebbe solo quello la lode.
In breve il protagonista, Gnazio, dopo aver lavorato per oltre venti anni in America, ritorna nella sua amata Sicilia e qua, dopo aver faticosamente costruito la sua casa e aver coltivato un bell'orto, decide di trovarsi moglie. Sarà la sensale (la vicina di casa esperta nelle cure con le erbe) ha trovargli Maruzza Musumeci, una bellissima donna che sembra essere uscita da una favola la quale nasconde un piccolo segreto: è forse una sirena?
Camilleri, come spiegherà nel libro, si è ispirato a questa storia da un racconto, un cunto (un racconto di solito fiabesco, con eventi magici), che gli fece un contadino anziano quando lui era bambino, e trattava proprio di una storia d'amore tra un viddàno (contadino) e una sirena.
Devo essere sincero: non mi ha stupito e meravigliato come la maggior parte dei lettori dichiarano nelle loro recensioni, anzi, la storia in sé mi è sembrata abbastanza banale (alla fine, non accade nulla di quello che uno potrebbe immaginare) che racconta appunto la vita quotidiana di questa storia che nascerà tra i due protagonisti e che continuerà coi figli. Null'altro. La scrittura, ripeto, è nel dialetto ideato da Camilleri e potrei capire che chi non è siciliano avrà abbastanza difficoltà ad interpretarla. Peccato, mi sarei aspettato molto di più. A me ha deluso. Ciò non significa che non darò altre occasioni di lettura a Camilleri fuori da Montalbano.
È cominciata che a pagina 4 ho chiuso, intenzionata a non proseguire, come accadde anni fa quando mi regalarono la vita a Tindari. Facevo una gran fatica a tradurre dal siciliano. Però mi sa che ormai Gnazio mi aveva incantata. Qualche giorno dopo ho riprovato e sono arrivata a pagina 60, e nei 2 giorni successivi l'ho letto tutto. È una favola bella, emozionante, con dei bei personaggi, soprattutto quelli femminili, ma anche quello di Gnazio è affascinante. La fatica nel leggere in dialetto è rimasta, ma era più forte la voglia di sapere come continuava la storia, cosa sarebbe successo. Non so se leggerò altro di Camilleri, ma questo libro mi è piaciuto molto.
Relato preciosista en que Camilleri aúna la narración de una historia fantástica con un montón de retazos costumbristas de la vida en Sicilia. Como siempre que nos cuenta algo este autor, no falta el humor y aparecen algunas de las pasiones humanas y sus desventuras. Léanlo.
Le sirene di Camilleri: capacità affabulatoria, ingenuità e forzature
Commentando alcune delle opere di Georges Simenon sinora lette, mi è capitato di esprimere stupore per la quantità smisurata della sua produzione letteraria, composta da centinaia di romanzi e racconti, oltre che da migliaia di articoli e reportages. Come spesso capita, alla grandeur francese (anche se Simenon in realtà era belga) che in fondo invidiamo un po’, pur essendo coscienti che per lo più appartiene ad una narrazione avente scarsi agganci con la realtà odierna, contrapponiamo esempi più modesti, spesso appartenenti ad una delle categorie socio-culturali caratterizzanti il nostro Paese: il regionalismo. Così, abbiamo anche noi il nostro Simenon in-sedicesimo, capace di produrre decine di romanzi e di dar vita ad una figura di poliziotto ormai entrato nella coscienza collettiva: si tratta ovviamente di Andrea Camilleri, le cui opere hanno conquistato l’Italia letteraria (non che tale fortezza fosse ormai presidiata da valenti guarnigioni, invero) e non solo, prendendo le mosse dal contesto siciliano in cui nascono. Se la lista che ho reperito in rete è esaustiva, Camilleri ha pubblicato complessivamente oltre 120 volumi, per la stragrande maggioranza opere di narrativa. Anche se il confronto quantitativo con Simenon è comunque impari, vi è tuttavia da tenere conto di un dato importante: quasi tutte le sue opere sono state pubblicate a partire dal 1992, quando lo scrittore siciliano era ormai vicino ai 70 anni; negli ultimi venticinque anni di vita Camilleri ha scritto dunque in media cinque opere l’anno. La mia libreria, a fronte di 35 titoli di Simenon comprende però solo due libri di Camilleri. Ciò è dovuto essenzialmente alla particolare attenzione che riservo alla letteratura della prima parte del novecento, accompagnata da un sostanziale disinteresse per quanto letterariamente avvenuto dopo. Comunque la l’acquisto di Maruzza Musumeci e La concessione del telefono, letto anni fa, testimonia che anche ad un bibliofilo selettivo quale sono è giunta l’eco del crescente successo trasversale di Camilleri, divenuto col tempo un maître à penser dell’Italia di inizio millennio; è questo a mio avviso un altro sintomo dell’inarrestabile declino culturale del Paese, considerato che – da quel poco di suo che ho letto – egli può essere sicuramente considerato un onesto artigiano della letteratura ma nulla più. Ma tant’è: ogni epoca ha i suoi vati. Indubbiamente comunque con Maruzza Musumeci Camilleri dimostra non poco coraggio letterario, addentrandosi in un terreno culturale frequentato da millenni da molti grandi della letteratura, da Omero a Joyce, da Apollonio Rodio a Tomasi di Lampedusa, passando per Hans Christian Andersen: il mito delle sirene. A mio avviso al cospetto di un materiale tanto ingombrante l’autore agrigentino se la cava senza ignominia, anche se vedremo che nel testo non mancano ingenuità e forzature. Maruzza Musumeci fa parte di una trilogia fantastica pubblicata tra il 2007 e il 2009, che comprende anche Il casellante e Il sonaglio, e nella quale Camilleri, oltre a quello della sirena, esplora in chiave siciliana altri miti metamorfici relativi all’universo femminino. Protagonista di Maruzza Musumeci non è di fatto comunque lei, la donna-sirena, ma suo marito, Gnazio Manisco, un popolano di Vigàta, l’immaginaria cittadina siciliana dove Camilleri ha ambientato molti dei suoi romanzi. Gnazio torna a Vigàta, quarantacinquenne, il tre gennaio 1895, dopo venticinque anni da emigrante negli Stati Uniti. È zoppo, perché a New York, dove lavorava come potatore di alberi, è stato vittima della mafia locale, vendicatasi per essersi lui rifiutato di eseguire un ordine. È benestante, perché l’incidente sul lavoro che lo ha reso zoppo gli ha reso una bella somma dall’assicurazione. Gnazio odia il mare, di cui ha una gran paura, tanto che nei due viaggi transatlantici non ha mai messo il naso sul ponte. Subito dopo il ritorno acquista dieci sarme (oltre 17 ettari) di terreno a mandorli in contrada Ninfa di Vigàta, nonostante si tratti di una lingua di terra circondata su tre lati dal mare e nonostante strane dicerie sull’impazzimento del precedente proprietario. Si convince all’acquisto per la bontà del terreno, che non manca di assaggiare, per il buon prezzo a cui viene offerto e soprattutto perché dalla parte di terra vi sorge un ulivo millenario, sotto le cui fronde potrà meditare e, a tempo debito, morire. Come prima cosa costruisce una casetta per sé, rigorosamente senza finestre dalla parte del mare. Rimessa a coltura la terra e venduti i primi frutti del suo lavoro, inizia a pensare di prendere moglie. Affida l’incombenza di tastare il terreno di Vigàta ad una vecchia guaritrice, gnà Pina, che ha già combinato parecchi matrimoni. Dopo alcune proposte rifiutate da Gnazio, gli segnala una trentenne, Maruzza Musumeci, che vive con la bisnonna quasi centenaria; non si è ancora maritata perché un po’ strana: da giovane infatti credeva di essere una sirena, e che quindi le mancassero - diciamo - alcuni attributi fondamentali della femminilità. Grazie alle cure di gnà Pina ora Maruzza sta molto meglio, e si crede una sirena solo di rado. Gnazio è perplesso, ma quando gnà Pina gli mostra una fotografia di Maruzza rimane folgorato dalla sua bellezza, e decide di sposarla, anche se dubita che la giovane acconsentirà a prendersi uno sciancato di una quindicina d’anni più vecchio di lei. Maruzza invece inaspettatamente acconsente, anche se la prova del nove è affidata alla bisnonna, pienamente in forma nonostante l’età, che si accerta de visu che Gnazio sia in grado di adempiere sino in fondo i doveri coniugali. Così Gnazio provvede ad ampliare ed arredare la casa per far posto alla futura moglie; i due si sposano, non prima che vi sia stato un misterioso rito officiato dalla bisnonna di Maruzza, e il romanzo segue gli avvenimenti, spesso felici, a volte spassosi, altre volte tragici, a tratti malinconici della famigliola lungo più di quaranta anni, durante i quali nascono quattro figli, i vecchi muoiono, il mondo cambia. Di tanto in tanto accade qualche episodio strano, spesso legato all’amore viscerale che Maruzza prova per il mare: Gnazio però non si fa troppe domande o trova risposte ai dubbi nella sua logica contadina: è innamorato e felice, ed invecchia serenamente. Il più evidente connotato stilistico di Maruzza Musumeci è l’essere scritto in siciliano, o meglio in uno dei molti gradi del siciliano-agrigentino utilizzati da Camilleri, che attengono al complesso capitolo del suo linguaggio. Come già accennato ho letto solo due suoi libri, ma ho avuto modo di sbirciarne molti altri, e mi sono reso conto che egli utilizza il dialetto con intensità differenziata a seconda delle storie che racconta. Così vi sono romanzi scritti quasi interamente in italiano, nei quali i termini dialettali compaiono solo sporadicamente, mentre in alcune opere il dialetto è appannaggio solo dei dialoghi diretti tra alcuni dei personaggi; in altre ancora il rapporto tra italiano e vernacolo è ribaltato, ed è quest’ultimo a prevalere; infine alcune opere sono scritte interamente in dialetto. Il tasso dialettale utilizzato dall’autore è, ovviamente, direttamente correlato al tasso di sicilianità delle storie, ma credo dipenda anche dalla posizione che i personaggi, ovvero il contesto in cui una storia si svolge, occupano nella scala sociale: nei tre romanzi della trilogia delle metamorfosi, come in altre opere, ambientazione e personaggi sono esclusivamente popolareschi, e di conseguenza la lingua di Camilleri è esclusivamente vernacolare. Si tratta tuttavia, per quanto posso aver intuito, di un vernacolo in qualche modo addomesticato per permettere la lettura ad un pubblico vasto, non avvezzo alle sonorità sicule, che dovrà ricorrere poche volte a verifiche sul significato dei termini. Che i dialetti siciliani veraci siano leggermente più complessi da comprendere rispetto al linguaggio letterario di Camilleri può risultare evidente ad esempio andando a rispolverare un grande classico del neorealismo italiano come La terra trema di Visconti o ricercando in rete un qualsiasi testo dialettale siciliano. Lungi comunque dall’essere una operazione linguistica artificiale, la rielaborazione linguistica di Camilleri, condotta indubbiamente con grande maestria e padronanza della costruzione della frase, ha il grande pregio di conferire una peculiare schiettezza ed una buona dose di humor congenito al racconto. Entrando nel merito del romanzo, si deve innanzitutto notare come il personaggio centrale del romanzo, Gnazio Manisco, sia sicuramente ben caratterizzato, con quella fatalistica saggezza contadinesca che spesso strappa il sorriso al lettore e rimanda ad un meridione rurale intatto sino alla metà degli anni ‘60: leggendo, non è difficile immaginarlo con un viso e un portamento simile a tanti braccianti del sud immortalati in molti documentari o fotografie del dopoguerra. Altro personaggio sicuramente riuscito è gnà Pina, la guaritrice portatrice di una sapienza tradizionale antica, basata in gran parte, oltre che sulle proprietà di erbe officinali e alimurgiche, su una sorta di paganesimo ancestrale che coinvolge tutte le relazioni umane, compresa la sfera sessuale. Non a caso, a mio avviso i colloqui tra i due sono forse tra i passaggi più divertenti del libro. Più articolato mi pare debba essere il giudizio sul personaggio di Maruzza. La sua folgorante bellezza, sottolineata dai capelli che scendono biondi lungo la schiena, è il versante esteriore di una sensualità che si esprime per il tramite una sessualità ancestrale, vorace ed animalesca, riassunta con forza da quel ”Ti voglio provari” con il quale di fatto costringe Gnazio al primo amplesso nella stanzetta del forno. Se dunque la prorompente femminilità di Maruzza è ben delineata, è rispetto al suo essere sirena che a mio avviso il testo mostra la corda e il romanzo denota la principale delle sue debolezze. Tenterò di motivare questo giudizio attraverso il confronto con un’altra storia di sirene. Prima di Camilleri un altro scrittore siciliano aveva narrato dell’incontro tra un isolano e una sirena: Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nel racconto La sirena, noto anche come Lighea. Le differenze tra le due storie sono profonde: nel racconto di Tomasi, infatti, l’incontro avviene tra uno studente e una sirena che viene dal mare, ed il loro intenso amore dura poche settimane, al termine delle quali la sirena ritorna nelle profondità degli abissi. L’approccio di Camilleri al rapporto sirene-Sicilia, quindi alla immanenza del connubio tra questa terra e la classicità, potrebbe essere più coinvolgente di quello di Tomasi: le sirene di Camilleri non vengono dal mare, non entrano in contatto fugace con la Sicilia per ricordarle le sue antiche radici culturali, ma abitano a Vigàta e sono popolane, sono da sempre parte integrante di questa terra, e generano figlie che continueranno la loro storia. Il problema è che Camilleri per caratterizzare l’essere sirene di Maruzza, della bisnonna e anche della figlia Resina (scoperto anagramma) non sa far altro che infarcire il romanzo di stereotipi classici che finiscono per indebolire non solo la credibilità dei personaggi, ma a mio avviso l’intero impianto del romanzo. Ecco quelle che ritengo le più macroscopiche cadute. Vicino di casa di Gnazio è tale Aulissi Dimare, che naturalmente altri non è se non la reincarnazione del buon Odisseo, che a questo giro non riuscirà a resistere al canto ammaliatore delle sirene (e non sarà l’unico a subire la loro vendetta per lo smacco subìto alcuni millenni prima). Gnazio poi non capisce perché spesso, tra di loro, bisnonna e pronipote parlino una lingua sconosciuta, che naturalmente è il greco antico. Per la verità non l’ho capito neppure io, in particolare tenendo conto che alcune loro frasi sono versi tratti dall’Odissea; la faccenda poi rasenta il ridicolo quando la piccola Resina, vedendo per la prima volta il mare, esclama: “Θάλασσα! Θάλασσα!”: fortunatamente per il lettore interviene ancora la saggezza di Gnazio, che attribuisce ad un difetto di pronuncia lo strano grido della figlia. Lasciando sullo sfondo il fatto che Camilleri (come del resto a suo tempo Tomasi) tipizza le sirene come metà donna – metà pesce assecondando l’immaginario collettivo ma tradendo il mito classico, ritengo che forse l’ancestralità di tale mito, la sua immanenza con la terra siciliana avrebbero potuto essere rese meglio in altro modo che facendo parlare una popolana di Vigàta attraverso versi di Omero, con ciò testimoniando forse solo la smania dell’autore di mostrare la sua cultura classica. Così, paradossalmente, a mio avviso il legame tra la terra e il mito emerge più solido dal racconto di Tomasi, che pure presenta la sirena come essere-altro, piuttosto che in Camilleri, il quale finisce per far diventare Maruzza Musumeci un personaggio labile, popolana poco credibile e sirena stereotipata, letteralmente, visto l’argomento, né carne né pesce. Sempre in tema di inverosimiglianze, ritengo necessario citare l’episodio dell’incontro tra Gnazio e Lyonel Feininger, il pittore tedesco-statunitense amico di Gropius che collaborò a lungo con il Bauhaus: da quell’incontro, ed in particolare da un disegno della casa costruita da Gnazio, sarebbero derivati il razionalismo e il funzionalismo architettonico della scuola di Dessau. Anche in questo caso credo di poter affermare che, lungi dall’arricchire il romanzo, l’episodio si connoti come una inessenziale forzatura. Infine, non si sfugge dall’impressione che, dopo quasi nove capitoli analiticamente dedicati ai primi anni della vita di Gnazio in contrada Ninfa, gli avvenimenti successivi, pur molto importanti per gli sviluppi della vicenda della famiglia, siano letteralmente tirati via in una quindicina di pagine. Sorge il dubbio che tale fretta sia figlia di esigenze editoriali, che richiedono di contenere il numero di pagine di un prodotto che si vuole di largo consumo. Luci ed ombre a mio avviso si equivalgono in questo romanzo, che attraverso la (ennesima) rilettura del mito delle sirene vuole ricordare l’ancestralità e la classicità del portato culturale di una terra dalla storia complessa, senza indagare la quale è impossibile comprenderne il contraddittorio presente. All’indubbia capacità affabulatoria della prosa di Camilleri, al coraggio letterario dell’autore di affrontare un tema importante, sul quale era facile scivolare, fanno da contraltare alcuni effettivi scivoloni, dettati forse dalla smania di strafare, e i limiti intrinseci di un romanzo scritto per vendere decine di migliaia di copie.
Un libro molto bello, realistico ma perennemente permeato da un alone magico che non fa ben capire se la situazione di cui stiamo leggendo sia vera o meno. Ma lo scopo probabilmente non è quello di farci chiedere cosa sia vero e cosa sia falso, quanto piuttosto farci rivivere la magia dei miti antichi e delle favole. Mi sono piaciuti molto sia lo stile inconfondibile sia l'atmosfera onirica di tutto il romanzo. Il finale unicamente non mi ha meravigliata al 100%: mi è sembrato un po' raffazzonato e affrettato, anche se comunque bello e sempre scritto splendidamente, come solo Camilleri sa fare.
Una favola in dialetto siciliano che, liberatasi della ragione, veleggia per odissee. Mitologia e rimandi al greco antico travolgono Gnazio, uomo semplice e onesto, la cui vita viene innalzata dalle Sirene e dal loro canto.
Bisogna «chiudere gli occhi “pi vidiri le cose fatate”, quelle che normalmente, con gli occhi aperti, non è possibile vedere.
Mi sono voluto riraccontare una favola Una lettura che si è protratta per troppo tempo. Faticosa, non tanto per il quasi-siciliano al quale, dopo qualche pagina, si fa l'orecchio, ma per una mia attuale situazione non favorevole alla lettura, in generale, e alle favole per adulti, in particolare. Infatti lo stesso Camilleri ci informa, quasi a scusarsene, nella nota finale: Mi sono voluto riraccontare una favola. Perché, in parte, la storia del viddrano che si maritò con una sirena me l'aveva narrata, quand'ero bambino, Minicu, il più fantasioso dei contadini che travagliavano nella terra di mio nonno. Minicu mi raccomandava spesso di chiudere gli occhi «pi vidiri le cose fatate». Ecco, a me gli occhi annoiati si chiudevano per dormire.
Maruzza Musumeci è davvero una sirena o semplicemente una bellissima giovane dalla mente disturbata? Quali frutti potrà produrre il matrimonio tra un bracciante che odia il mare e una moglie che lo venera? Camilleri prende una favola sicula della sua infanzia e la stravolge per raccontare un altro scorcio della sua Vigata, questa volta immersa in un'atmosfera quasi fantasy. Non è uno dei suoi migliori romanzi, ma il finale dolceamaro è comunque notevole.
Primera fábula italiana que leo, pero me deja buen sabor. Aunque a mi parecer fue algo breve, me hubiera encantado leer más, creo que todo estaba en su sitio. Lo que no me gustó es que de repente hay muchos saltos en el tiempo y no te cuenta qué sucedió en ese tiempo, pero fue una lectura rápida y fácil de leer.
Una hermosa historia que mezcla lo cotidiana y “ordinaria” que puede ser la vida con el encanto de la magia ya fantasía que tiene un tinte mitológico. Escrita de manera sencilla nos busca ser más de lo que es, una fábula de amor.
Empecé este libro sin saber cuándo, quién, o en qué contexto lo escribió. Tiene el aire de un libro antiguo, como dice su autor al final, de una fábula. Tétrico a la vez que bonito, narra la historia de una “sirena”, personaje ambiguo en la historia. Me ha gustado bastante.
“Ella estaba cantando en voz baja, pero a Gnazio le llegaron igualmente sus palabras. Contaba la historia de un hermano y una hermana, el varón nacido en medio de las estrellas y la mujer en el fondo del mar. Decía que cada uno de ellos quería volver a donde había nacido, pero que eso significava que debían separarse para siempre…”
WM1: Con Maruzza Musumeci, l'ex-regista teatrale e televisivo propone ai lettori una delle sue operazioni più estreme sotto gli aspetti stilistico, linguistico e macari tematico, un convinto sfondamento nel visionario, nel mitologico e nel soprannaturale. In una lingua agrigentina carica di arcaismi, Camilleri racconta la storia di Gnazio Manisco, emigrante a New York che torna a Vigàta a fine Ottocento e compra un terreno, lingua di terra che si protende nel mare e si chiama Contrada Ninfa. Lì si mette di buona lena: rende la terra coltivabile, compra animali e, davanti a un ulivo millenario, si costruisce d'intuito una casa che sarà per lunghi anni un work in progress, fatta di cammare cubiche di tri metri per tri accostate o sovrapposte l'una all'altra. La casa dà le spalle al mare, e anche gli arboli del campo ammucciano la vista del mare. Il mare è a pochi metri ma non si vede. Perfetto, perché Gnazio è talassofobico, lo scanta l'acqua salata, e anche quando ha attraversato l'Atlantico - andata e ritorno - non è mai uscito da sottocoperta. Viene il giorno che, passati da un pezzo i quaranta, Gnazio decide di prender moglie. Poiché non canosce fimmine, si rivolge alla Gna' Pina, guaritrice che ambula con un sacco pieno d'erbe e rimedi naturali. Grazie a questa mezzanìa, Gnazio canoscerà la bellissima Maruzza Musumeci e la sua inquietante bisnonna, Minica, anzianissima eppure atletica e dalla voce arrapante. Maruzza e Minica hanno sembianza di donne ma sono creature anfibie, il loro lignaggio è quello delle sirene che incantarono Ulisse, tra loro parlano con versi dell'Odissea. Per perpetuare la loro specie, le sirene scelgono come sposi uomini che non vadano per mare, non abbiano interesse per il mare, non impazziscano sentendo il loro canto. Uomini che, come Gnazio, siano l'esatto contrario di Ulisse. Gnazio non canoscerà mai fino in fondo i segreti di Maruzza, né gli interessa scoprirli. Accetta la sua donna per quel che è, con tutte le sue strane abitudini, perché gli basta il grande amore che li lega. La coppia troverà un modus vivendi e avrà dei figli. Figli che... Libro piccolo di grande poesia, Maruzza Musumeci abita un loco che "non appartenni né alla terra né al mari, è il loco indove ponno capitare tanto le cose che capitano 'n terra quanto le cose che capitano 'n mari." L'ho letto assittato su una panchina degli Upper Barrakka Gardens, La Valletta, Malta, un'altra lingua di terra protesa nel mare, un azzurro pomeriggio di dicembre, la copertina del libro rivolta all'Europa. Subito di fronte a me, la distesa del Mediterraneo. Contrada Ninfa era là, cento miglia a nord-ovest, appena oltre l'orizzonte. Caravaggio aveva coperto la distanza in dieci giorni, quattrocent'anni prima. Ma questo è già un altro libro di Camilleri. http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/nandropau…
Siamo nell'immaginaria Vigata, in Sicilia. Le vicende narrate si svolgono sull'isola di Ninfa. Il nome del luogo lascia da subito intendere che nella storia la figura femminile risulta centrale. Gnazio Manisco tornato dall'America dove aveva trovato un lavoro come giardiniere, si sente solo e vuol rompere il celibato. Una sorta di maga esperta di erbe di nome Pina gli trova una moglie che però ha strane abitudini: Maruzza Musumeci. Questa, infatti, è una Sirena ma Gnazio non lo saprà mai. Cercherà sovente una spiegazione ai comportamenti eccentrici della donna; resterà “strammato” (stupefatto, intontito) delle proprie capacità di capire cosa dicano le canzoni cantate da Maruzza anche se prive di parole.
«Ma comu minchia fazzo a capiri le palore se le palore non ci sunno?» si spiò Gnazio strammato, confuso, ’ntordunuto (cap. 4, La catanonna)
Si interrogherà sulle conversazioni in Greco a lui incomprensibili tra Maruzza e la Catanonna, su parole proferite dalla figlioletta Resina, senza tuttavia arrivare a comprendere.
La natura del romanzo proviene dal mito e dalla favola. È ibrida, come lo è la protagonista, una Sirena, appunto. Al principio si rimane spiazzati dall’idioma in cui esso è scritto, il dialetto siciliano, prezioso, allitterante, onomatopeico. Alcuni vocaboli per essere pronunciati richiedono una lingua allenata a declinare combinazioni sillabiche da vertigine, e, sebbene col procedere della lettura si prenda confidenza con il linguaggio, si mantiene fino alla fine una distanza, credo deliberata, tra il lettore e il testo. Non poteva che essere così. Passando attraverso un codice linguistico condiviso la storia di Sirene sarebbe risultata meno evocativa e affascinante, meno realistica, forse più vicina nel tempo privando così il lettore di quel nicciano “pathos della distanza”. Non poteva articolarsi attraverso la parola letteraria immediatamente fruibile ma doveva necessariamente tradursi in una lingua antica, priva di un fine utilitaristico. Maruzza, la catanonna, Resina e le altre Sirene, infatti, si esprimono tramite un doppio canale: il greco e il dialetto siciliano.
Questa è anche la storia di un riscatto che definirei erotico. Le Sirene, creature mitologiche senza sesso, nel romanzo di Camilleri diventano esseri sensuali e sessuati. Forse la morte di Aulissi può interpretarsi freudianamente come liberazione dalla castrazione, dalle inibizioni. Odisseo, nell’epos omerico, abbandona Calypso per il senso del dovere; è capace di resistere al canto ammaliante delle Sirene; segue il volere degli Dei. In “Maruzza Musumeci”, al contrario, perde la testa. Ode voci provenire dal mare e si tuffa da una cima, impazzito, urtando sugli scogli. L’eroe dall’ingegno polytropos (multiforme) astuto e animato da curiositas, ma sempre padrone di sé, l'eroe i cui istinti sessuali, controllati, trovano sublimazione nella catabasi del nostos quando rientra ad Itaca, viene demitizzato e umanizzato. La vendetta delle Sirene si è compiuta. All'opposto c'è Gnazio Manisco. Egli si colloca nel romanzo come archetipo del desiderio e come essere desiderante agisce in contesti nei quali l'elemento apollineo governa solo gli spazi fisici (si pensi alla logica con cui costruisce la propria casa, simile a un dado, su perimetri scanditi dal numero 3, si pensi alle cisterne o alla logica che lo muove quando ritorna dall'America) ma è un essere posseduto dall’elemento dionisiaco, fisico e passionale, un anti-eroe.
Nel tessuto narrativo si individuano elementi che vanno a connotare con vigore protagonisti e luoghi. Un albero di ulivo diviene centrale nella vita di Gnazio. Questi manifesta uno spirito che potremmo definire in termini contemporanei “ecologista” dato il suo amore per gli “arboli” (alberi). A New York gli fu chiesto di far morire una decina di alberi laddove si voleva gettare il cemento ma egli rifiutò.
«Aviti sbagliato pirsona. Io non ammazzo né cristiani né àrboli». (Cap. 1, Gnazio Torna a Vigata)
Sotto quella pianta di ulivo Gnazio morirà in pace in un contesto che reca con sé serenità pastorale, direi, bucolica, virgiliana; gli “armali” (animali) della sua terra, poco prima dell'evento luttuoso, fissano Gnazio e l'ulivo presentendo, come intuisce Gnazio stesso, la prossimità della sua dipartita. Sotto l'ulivo era morto anche Aulissi trasportato lì da quattro pescatori. Mi soffermerei sulla relazione tra l’eroe omerico e il legno di ulivo. Nel romanzo di Camilleri, Aulissi (Ulisse) presenta ancora una traccia di quella abilità enfatizzata nell’Odissea a lavorare il legno, tant’è che in “Maruzza” si occupa di potature e innesti. Con il legno, nel libro omerico, costruisce il cavallo di Troia, si costruisce un’imbarcazione robusta per fuggire da Ogigia e pure il talamo nuziale lo aveva fabbricato intagliandolo in un tronco di ulivo. Con un tronco di ulivo acceca il Ciclope. La fine che Andrea Camilleri gli ha destinato assume dunque un volto ironico.La pianta di ulivo, presenza totemica, giganteggia attestando la propria longevità e la propria imperturbabile armonia, tacita testimone della folle morte dell’eroe. Un altro simbolo pivotale nella narrazione è una grande conchiglia giunta nelle mani di Maruzza dalla lontana India. Da essa si odono voci, canti che sortiscono incantesimi e in essa le Sirene cantano. È evidente il simbolismo della conchiglia espressione dell'eterno femminino; essa contiene la totalità del mondo visibile e invisibile. Contiene i canti delle creature metà donna e metà pesce, contiene il mare che richiama inevitabilmente la parola “mater” (è così che Resina chiama la madre). Un romanzo celebrativo della forza primigenia della vita, l’eros, per lettori dalle capacità rabdomantiche come il lettore che mi ha consigliato questo libro.
30 Aprile 2024
Clelia Albano
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Mi è piaciuto molto, sia a livello linguistico che a livello di storia raccontata. Un racconto a metà tra la Sirenetta di Andersen e le sirene di Ulisse, Maruzza è al tempo stesso un personaggio dolce e positivo e un "mostro" affamato e divoratore. Ottimo da leggere in poco tempo, tipo sotto l'ombrellone, per rilassarsi un po'.
Carissimi lettori di Recensioni Spinose, in verità in verità vi diciamo che abbiamo deciso di complicarci la vita. Sì, proprio così. Perciò non solo torniamo con una recensione che abbiamo appena appena flabbricata, ancora cavuda e croccantella, ma dopo Arancia Meccanica e il suo misterioso Nadsat macari questa volta abbiamo deciso di leggiri un libro che non è… proprio in italiano. E siamo passati al siciliano. Perciò facciamo una sgommata in retromarcia dal futuro distopico di Burgess per catapultarci nel passato fiabesco di una cittadina, diventata poi celebre per i turpi delitti che la assediano: l’immaginaria Vigàta, nata dalla mente di Andrea Camilleri. Il nome suona familiare? Potrebbe, considerato che è stato lui a dare i natali al Commissario Montalbano e, oltre ad essere sommerso di premi, i suoi libri sono stati tradotti in più di centoventi lingue diverse. Curiosità: gli è stato persino dedicato un asteroide nel 2017, il 204816 Andreacamilleri! Ma Maruzza Musumeci non è un libro che parla di commissari né tantomeno di investigazioni, considerando che di cose misteriose ne succedono a bizzeffe e la stragrande maggioranze degli abitanti di Vigàta, a riguardo, non si da né domande né risposte. È un libro di misteri – nella nostra esperienza anche nella vita reale: la prima copia che abbiamo avuto il piacere di leggere continuava ad apparire e sparire da dove veniva lasciata – di piaceri immensi e bellezze fatali, di canzoni che narrano storie senza parole, di follia e morte e di un pezzo di terra sospeso come un pezzo di sughero su di un mare sconfinato, vivo, da cui non si può sfuggire. Insomma, una storia di sirene.
1. La trama: Ci tuffiamo nel passato, trovandoci in Sicilia nel mili e ottocento e novantacinco per seguire le avventure di Gnazio Manisco, bracciante stagionale sottopagato e bambino umano che non vuole essere un pidocchio. Fin qui, ci sentiamo di condividere la sua opinione. Il “capitano” della sua squadra di braccianti, tale zio Japico Prestia, non è bravo come noi e non la condivide, così chiama pidocchio lui, pidocchia sua madre e pidocchi tutti i suoi colleghi. Gnazietto si ribella: un conto è il lavoro minorile, un altro essere chiamati in maniera così infamante. Japico gli spiega con un racconto breve che intende dire che sia i lavoratori stagionali che i pidocchi sono così insignificanti che la gente si scorda anche solo della loro esistenza, ed è per quello che li chiama così, non per offendere. Quello che Gnazietto estrapola è che se non vuole farsi chiamare pidocchio deve cambiare mestiere. È il suo nuovo obiettivo, e riuscirà a raggiungerlo solo a diciannove anni, quando erediterà alla morte della mamma un gruzzoletto bastante per un viaggio in America. È lì che Gnazio vuole andare a cercare fortuna, in un altro continente dove la parola “pidocchio” neanche la conoscono e, se c’è un corrispettivo inglese, non fa niente, perché tanto è lui a non conoscerlo. Si presenta dal delegato di Vigàta per ottenere il suo passaporto ma, acciderbolina! Gnazio prima viveva in un covone di sporco dei piedi e leggere non sapeva, perciò si era perso tutti i manifesti di chiamata alle armi. Arrestato per cinque giorni come renitente alla leva, al sesto viene portato al distretto militare di un paese vicino per un controllo, a seguito di cui è ritenuto abile e pronto ad entrare subito in servizio. Gnazio non è il più furbo degli uomini, né degli oranghi. A causa di questo piccolo inconveniente, la sua carriera militare non inizia nel migliore dei modi:
“Allura si fici avanti uno vistuto da militario marinaro con la facci di carogna che gli fici: «Attenti!». Che veniva a significari? Gnazio si taliò torno torno, non vitti nisciun periglio e gli spiò: «Scusasse, ma pirchì devo stari attento?».”
(Traduzione per i meno ferrati in siciliano: “Allora si fece avanti uno vestito da militare della marina, con la faccia incarognita, che gli disse: «Attenti!». Che cosa voleva dire? Gnazio si guardò tutt’attorno, non vide nessun pericolo e gli chiese: «Mi scusi, ma perché dovrei stare attento?».”)
Nonostante la gaffe faccia arrabbiare non poco il suo superiore, Gnazio viene messo in riga tutto intero insieme ad altri giovanotti da cui apprende che verranno imbarcati il giorno seguente ed arruolati nella marina militare. Alla notizia orripilante Gnazio urla, piange, strepita, suda moltissimo e perde tre ciuffi di capelli in rapida successione, perciò gli viene concesso di fare il soldato di terra prima che faccia di peggio. Solo due cose hanno il puro odio del giovane Manisco: il mare e i pidocchi. Sembra perciò che il giovanotto dovrà rimandare il proprio sogno di raggiungere “la Merica” e concentrarsi sul suo nuovo impiego da soldato... ma l’ingegno brillante di Gnazio gli torna utile anche stavolta, consentendogli di scalare in fretta i gradi:
Che bello tornare a leggere Camilleri!!! Il siciliano stretto del romanzo può spaventare, ma dopo poche pagine si entra nell'atmosfera e ci si lascia guidare dall'autore in questa bella favola con un velo di magia mai del tutto svelato. Gnazio torna al paesello dopo anni in America dove ha riscosso l'assicurazione a seguito di un incidente che gli permette di acquistare un pezzo di terra buona (l'ha assaggiata!) a strapiombo sul mare che con gli anni cura e trasforma nella sua dimora, costruendo una casa che allarga mano a mano che si rende necessario. Quando inizia a cercar moglie, chiede aiuto alla sensale del posto, che gli mostra la foto di Maruzza Musumeci, di cui si innamora subito e, dopo un fugace incontro, decide di convolare a nozze, nonostante la ragazza sia un po' strana. Gnazio accetta senza particolari domande la particolarità della moglie. Arriveranno anche i figli e seguiremo la vita di Gnazio fino alla sua conclusione.
La semplicità della vita dell'emigrante prima e del contadino poi, la quotidianità dei gesti e delle parole, i riti della sensale gnà Pina e della catananna Minica caratterizzano questo breve romanzo che riporta il lettore indietro nel tempo, con un pizzico di magia che avvolge la figura di Maruzza senza mai rivelare esplicitamente la sua vera natura.
Though Andrea Camilleri is best-known for his Montalbano series, he always confessed his major love towards historical novels. The first in the Trilogia Mitica (not connected in anyway except fantasy), this is a fable set in 1890s Vigata about the love between 47-year old Gnazio (who unlike Ulysses is afraid of the sea) and a mysterious beautiful woman named Maruzza Musumeci who is strangely attracted to the sea.
It is a beautiful fable about love and family which has the Garcia Marquez traits of magical realism.
One thing I noticed, after reading several of his historical works (La Scomparsa di Patò, La Concessione del Telefono, Il Sonaglio), is that these novels are much more heavily Sicilian accentuated in prose.
Di solito di Camilleri leggo la serie di Montalbano e, gli alti libri, erano di carattere storico. Li ho quasi tutti e da tanto tempo e questo libro, col nome di donna, ha sempre attirato la mia attenzione, così diverso dagli altri leggendo la trama, ma era rimasto posato insieme agli altri, fino ad ora! Qui c'è un tocco della mia "amata" genealogia, la storia di Gnazio, la sua vita, l'emigrazione e il successivo rientro in paese, che si intreccia con Maruzza e la discendenza a cui daranno vita. Un intreccio normale se non fosse che la realtà si mischia con la fantasia: tante reale lui, tanto irreale lei. Così quello che in apparenza è un normale racconto di vita di un paese tra la fine del 1800 e la metà circa del 1900 diventa una favola, dove il mito delle sirene e del mare si fondono alla realtà. Nonostante sia abituata al suo modo di scrivere, al dialetto particolare della mia Sicilia, devo dire che per le prime pagine ho faticato un poco, forse avevo perso l'abitudine, ma poi ho ripreso il ritmo e nel giro di poche ore mi sono ritrovata a finire il racconto con un filo di tristezza... Una perfetta descrizione dei luoghi e soprattutto del modo di vivere di quel periodo, anche perché credo che la magia ha fatto sempre parte delle tradizioni locali , almeno nel sud.
La tierra y el mar, dos mitades del universo que la creación escindió. A los ojos de muchos, dos senderos irreconciliables que transitan seres de distinto origen y diferentes destinos. En ocasiones, sin embargo, algunos de ellos son capaces de caminar en paralelo bordeando la frontera de ambos reinos, y son capaces de hacerlo tomados de la mano. Gnazio, Maruzza ... Encuentra con quién caminar de la mano por senderos que no se cruzan en un andar que se comparte y se transita y le da sentido al camino.
Qué bonito ha sido leer este cuento de Andrea Camilleri aquí en la mismísima "Vigata", en Sicilia. He tenido la inmensa suerte de poder recrear las escenas entretejiéndola con el paisaje de esta hermosa isla. En El beso de la sirena se narra la historia de Maruzza y Gnazio, tierra y mar, sirena y hombre, que vivieron una historia de amor atípica pero no imposible. Quienes pudieron conjurar lo que parecía contrario, para tantos irreconciliables. Me gusta muchísimo toda la historia que rodea a las sirenas, mitad aves, mitad mujeres, que más tarde, con la iconografía cristiana se convirtieron en mujeres mitad pez y que con su canto te llevan a un mundo de perdicción. Así nos lo narra Homero en la Odisea y así Cristian H. Andersen en su famoso cuento de la Sirenita. Pero Camilleri demuestra que la tradición se puede contar de otra forma y que no todas las Sirenas son como nos han contado. Una bella fábula que ha pasado de generación en generación. No os la perdáis.
Direi "una favola moderna" ma in realtà moderna non lo è per niente. Ambientata tra la fine dell'800 e i primi anni '40, è una sorta di favola dark che combina elementi fantastici (le sirene e la magia nera) a storie di vita campagnola tipiche della narrazione di Camilleri. E come faceva a non piacermi?
Una intrigante narración mezcla de magia y amor con toques de venganzas ancestrales. Un matriarcado perpetuado a través de los siglos. Un hombre al que no le gusta el mar pero que se enamora locamente de una mujer que vive de, para y por el mar. Un hombre sencillo capaz de construir edificaciones básicas que son armoniosas en su conjunto. Un final insólito. Magnifico Camilleri!
Affascinante e intrigante nella descrizione di scene e situazioni, ti tiene col fiato sospeso... E ti lascia così. Troppi punti rimasti scoperti, poco approfondimento delle situazioni più interessanti.
Tutto sommato una lettura piacevole e interessante.
Preciosa fábula que en algún momento recuerda al realismo mágico de"Cien años de soledad", bajo el mismo escenario de la Sicilia de Montalbano, pero esta vez con gran dosis de sensibilidad y con la ironía típica italiana. Recomendable.
Una deliciosa fábula llena de magia contada magistralmente por Camilleri. Es la primera vez que me acerco a este autor, recomendado por Valentina Trio y estoy deseando repetir, aunque creo que el resto de su obra no tiene el tono de esta bella historia.