Grazie non poco alla sua scuola – in particolare grazie alle sue maestre che per prime affrontarono l’ignoranza nazionale – l’Italia del Novecento, partita da condizioni miserabili, arrivò a essere tra le principali economie del mondo. Ma oggi quella stessa scuola è lo specchio del declino del paese. Abbandonata dalla politica con la scusa dell’«autonomia», essa appare sempre più dominata dal conformismo intellettuale, da un’inconcludente smania di novità e da un burocratismo soffocante che ne stanno decretando la definitiva irrilevanza sociale. Ernesto Galli della Loggia cerca di comprenderne le ragioni sullo sfondo della nostra storia indagando le origini e l’impatto, deludente quando non distruttivo, che hanno avuto le riforme succedutesi negli ultimi decenni e smontando le interpretazioni più convenzionali su cosa fecero o dissero veramente personaggi chiave come Giovanni Gentile e don Lorenzo Milani. Chi l’ha detto che cambiare sia sempre meglio di conservare? E che la prima cosa sia necessariamente di sinistra e la seconda di destra? Il libro mette sotto accusa i miti culturali responsabili della crisi attuale: l’immagine a tutti i costi negativa dell’autorità, l’obbligo assegnato alla scuola di adeguarsi a ciò che piace e vuole la società (dal digitale al disprezzo per il passato), la preferenza del «saper fare» sul sapere in quanto tale, la didattica «attiva» e di gruppo. Altrettanti ideologismi che sono serviti a oscurare il ruolo dell’insegnante, la misteriosa capacità che dovrebbe essere la sua di trasmettere la conoscenza e con essa di assicurare un futuro al nostro passato.
Ricco di spunti interessanti. L'attacco alla pedagogia come male supremo della scuola lo trovo forse eccessivo, ma sicuramente la critica alle varie indicazioni ministeriali (logorroiche e spesso inattuabili) , alla crescita della burocratizzazione della scuola (burocrazia che spesso si risolve in un copia incolla privo di utilità), all'intervento politico sempre e continuo ( quasi come uno dei "fare" richiesti dalle competenze), colpisce nel segno. La perdita di significato e di valore delle conoscenze mostra sempre più chiaramente la sua doppia faccia, la scuola è nuovamente classista... chi proviene da ambienti e famiglie avvantaggiate ottiene di più. L'ideale democratica è forse tradito nel modo più subdolo. Considerare il sapere come di destra lo trovo limitato e semplicistico anch'io. Ciò che a mio parere manca nel testo è la conoscenza diretta delle aule... io nostri ragazzi imparano a memoria, solo le cose sbagliate e per la ragione sbagliata. Non capendo nulla, non avendo le conoscenze e il lessico necessari, tutto viene affidato alla memorizzazione. Vero è che se la scuola deve avere una rilevanza sociale anche la società, i non addetti ai lavori, hanno diritto di chiedere i risultati. Ma la nostra scuola non si domanda mai gli esiti delle riforme, è nuova e ciò basta, il raggiungimento dello scopo sembra non sia importante. Altro elemento su cui mi trovo in profondo accordo è sulla figura dell'insegnante, sul suo ruolo nel trasmettere con passione, sulla sua non intercambiabilitá. Sembriamo tutti concordi nel riconoscere al bravo "maestro" uno ruolo decisivo nello sviluppo dell'allievo, ma poi da un punto di vista normativo queste capacità non vengono assolutamente tenute in considerazione.
A pagina cinquanta, l'unica cosa che si è capita è che il Sessantotto è stato brutto e cattivo e che l'autore non è né di destra né di sinistra ma soprattutto non è di sinistra. E anche che Galli della Loggia parla di scuola dell'obbligo dall'alto dei suoi vent'anni di insegnamento... Nell'università. E di una nonna maestra.
La solita Italia reazionaria, classista, in fondo in fondo fascista (anche quando non lo è per presa di coscienza diretta, ma per fondo incosciente), che si riconosce nelle buone scuole frequentate, specie se prima del '68, specie nel mito del Liceo Classisco. Reazionario ed imbarazzante, oltre che ovviamente lontano dalla realtà.
L'autore segue le vicende della scuola italiana ed evidenzia il progressivo scadimento, un po' trovandone la causa nella confusione fra istruzione ed educazione. Da umanista, ci ricorda l'Emilio di Rousseau e si sofferma sulle materie classiche, mentre anche quelle scientifiche avrebbero qualcosa da dire , a leggere i testi sulla scuola del prof . Israel e del prof Russo. da ex insegnante per decenni, avrei ancora altro da dire, quanto meno " er fortuna che ne sono fuori". Il POF ( ex PEI) , le "competenze", il "successo formativo"...