Nel gelido inverno russo del 1916, l’inconcludente ricerca di un uomo scomparso ha una macabra svolta quando le acque ghiacciate di un fiume ne restituiscono il cadavere deturpato. La polizia non ha dubbi: si tratta di Grigorij Rasputin. La condanna a morte del contadino, colpevole di una deleteria influenza politica e morale sullo zar e la moglie, era già stata idealmente decretata nelle piazze e nei salotti di Pietroburgo, ma la mano del boia che ha eseguito la sentenza è ignota. Inizia così, con il ritrovamento del corpo assassinato di Rasputin, un avvincente viaggio nel passato di questo enigmatico personaggio, che come un filo lega le persone, i luoghi e gli eventi che hanno cambiato per sempre le sorti della storia europea a partire dallo scoppio del primo conflitto mondiale. A essere in fermento non è solo il mondo militare, anche quello della cultura viene travolto dalla corrente futurista, in cui emerge l’estro poetico di un giovane Majakovskij, che con lo scorrere della narrazione mostra un’inarrestabile quanto compromettente passione per le donne. E mentre in ogni angolo d’Europa spie insospettabili e nobili esaltati congiurano nell’ombra, una delle dinastie più affascinanti e sfortunate, quella dei Romanov, mostra il proprio lato più intimo e umano, prima di cadere vittima dello spietato massacro che metterà fine al regno degli zar. In quest’opera in bilico tra ricostruzione storica e spy story, Miropol’skij dipana in maniera magistrale l’intricato viluppo dei complotti orditi e subiti da personaggi intenti a tramare fra luride bettole ed eleganti palazzi e, attraverso uno stile chiaro e coinvolgente, ci trascina in una delle cospirazioni più controverse e inquietanti di tutti i tempi, quella che decretò l’uccisione del “diavolo santo”, Grigorij Rasputin.
Giusto cielo, che razza di faticaccia! Me lo sono trascinato dietro per mesi. Certo non la lettura ideale per chi, come la sottoscritta in questo momento, attraversa una fase di blocco/rallentamento del lettore: eppure, per effetto di una perversa ipnosi, nonostante la faticata della lettura, non ho osato mollare definitivamente. Sarà colpa anche questa del demone santo, senzadubbiamente. A volte libri faticosi e impegnativi sono sinonimo di soddisfazione; altre volte la fatica è solo sintomo di una mancanza di entusiasmo, a causa della quale si manda avanti la lettura con la stessa agilità con cui si potrebbe spingere un elefante su per la scala. Questo L'ultimo inverno di Rasputin si iscrive dritto dritto alla seconda categoria: c'era tanto materiale per far bello, aveva tutte le carte in regola per avvincermi e coinvolgermi, e invece la cosa che ricorderò di più di questo tomone sarà essenzialmente la faticata. Il titolo originale del romanzo è di una presunzione inaudita: "1916. Vojna y Mir". E credo non servano ulteriori spiegazioni. E poco conta la raffinatezza del gioco di parole, della differenza tra Mir e Myr. D'altro canto, il titolo scelto per la traduzione italiana è penalizzante, non renderebbe giustizia a un romanzo dall'ampissimo respiro storico e lo fa sembrare il solito thrillerone/giallone con protagonista il cattivone per eccellenza. La parte storica è di quelle che tengono il lettore incollato alla pagina, la parte di fiction è dannatamente ben costruita, e allora com'è che il tutto risulta così pesante e indigesto? Lo stile della scrittura non brilla particolarmente, anzi, è davvero piatta. Ha un modo di tirarla per le lunghe che sa vagamente di presunzione, proprio come nel titolo, e per questa via non ci si può innamorare della lettura. La struttura narrativa è spezzettata su più scene/episodi nel tentativo un po' disperato di creare un effetto "cinematografico" con risultato che non è un romanzo vero e proprio ma nemmeno una sceneggiatura vera e propria. C'è un eccesso di dettagli nella ricostruzione storica, il che non giova mai a nessuno. Sorvolando sulla scrittura sciatta, e nel fare lo slalom tra un dialogo deprimente e un dialogo didascalico, capita tuttavia di imbattersi in scorci di particolare bellezza, e per di più una bellezza che ha un che di semplice e familiare. Tantissima cronaca, tanti spiegoni e pochissimo romanzo. Capita anche di imbattersi in spiegoni interessanti, cose inedite mai lette prima, insomma qualcosa si impara. Alcuni passaggi di illuminante verità finiscono purtroppo per perdersi, annegati nella frammentarietà dell'impianto.
Spaventosamente attuale (spaventosa nel senso letterale del termine) l'atmosfera storica-geo-politica su cui si innestano le premesse dello scoppio della prima guerra mondiale.
A lettura ultimata, provo un grande sollievo e una certa gratitudine: per la seconda, il libro ha un qualche merito perché come detto qualcosa da imparare c'è; ma il primo (il sollievo) è il più evidente segnalatore di lettura non particolarmente amata. Non posso andare oltre le due stelle e mezza.
È scritto male, veramente malissimo. Pomposità, involuzione, kitsch, contorsioni incomprensibili, misticismo... Ci sono però due buoni motivi per passarci sopra un paio di settimane.
Uno. L'autore, russo, classe 1964, si è documentato, oltre ad avere un punto di vista russocentrico che per una volta è interessante. Mi sono documentata anch'io (conviene farlo sempre con i romanzi storici) scoprendo con un certo sconcerto che il Rasputin tanto demonizzato (politica filotedesca, orge, droghe e dominio assoluto sulla famiglia reale) era in effetti il prodotto della propaganda di vari partiti e fazioni, fuori e dentro la Duma, a corte, negli allora attivissimi servizi segreti britannico e austriaco (qualcosa anche russo, ma nel 1916 non c'era ancora niente di paragonabile alla futura Ceka). Che, se la zarina Alix era una riedizione di Maria Antonietta - non capiva nulla della Russia e pochissimo di politica ma voleva metterci il naso, agevolata dalla debolezza del marito, e si ritrovò così ad essere il catalizzatore dell'odio generale - , lo zar era forse l'unico in tutta l'Eurasia a non volere la prima guerra mondiale. Tutti e tre degni di pietà e rivalutazione insomma, a parte le riappropriazioni di Putin.
Due. Il romanzo, che si muove tra Pietrogrado e varie altre città, con decine di protagonisti di ogni ceto e professione, offre una panoramica a 360 gradi degli ambienti artistici e sopratutto letterari della Russia tra il 1912 e il 1917, con un particolare focus su Majakovskij e i futuristi. Lo fa a modo suo, cioè kitsch, macchinoso e sbrodolone, ma è pur sempre un quadro di straordinaria vivacità.
Questo libro è stata davvero una rivelazione positiva dato che mi aspettavo una vita romanzata proprio da polpettone per le feste e invece mi trovo davanti a un progetto intrigante, complesso e gourmet. Una biografia narrata come una fiction che ti avvolge in un turbinio di personaggi che si affastellano per le vie russe delineando la fase finale di una figura attorno alla quale sono fioccate leggende e miti: un alone fantaorrorifico che spesso oscura lo statista, che qua invece brilla in tutte le sue contraddizioni e complessità. Ciò che ho maggiormente apprezzato è stato, però, lo stile: non immediato ma coinvolgente, galoppante fra le parole.
L'idea di un romanzo storico su Rasputin è interessante quanto il personaggio in sé, tanto che mentre lo stavo leggendo mi sono comprato quelle che dovrebbero essere le sue due maggiori biografie: 'the Rasputin file' e 'Rasputin, faith, power and the twilight of the Romanov'. Come qualcun altro ha già scritto, però, lo stile di Miropol'skij è difficile; spero sia in parte un problema di traduzione. Inoltre quasi ogni personaggio (e sono tanti) ha almeno tre nomi, tra diminutivi e soprannomi, e questo contribuisce non poco a generare confusione ed appesantire la lettura. Ho segnato il libro come 'letto', ma ammetto di aver saltato l'ultima parte in calce al romanzo, che dovrebbe essere una ricostruzione storica non romanzata degli eventi russi successivi alla morte di Rasputin.
Non si deve combattere: privarsi l’un l’altro della vita, rimuovere la benedizione della terra, uccidere la propria anima prima del tempo stabilito.
Non credo di avere le competenze adatte per estrarre, anche il minimo pensiero, sortiti dalla lettura di un romanzo fatiscente e completo come questo. E quand’anche, va detto che ho dovuto aspettare diversi giorni prima che apparisse una parvenza di creatività. Dinanzi a certe storie, le parole sembrano perdere importanza. Bisogna essere istruiti, preparati, considerare e vagliare le innumerevoli possibilità per uscire dal proprio spazio, spalancare nuove porte, esplorare nuovi mondi, girando le spalle a qualunque conseguenza o dispiacere; che mi venga un colpo se mai scriverò o desidererò scrivere qualcosa di così tanta solennità!
Solitamente dai romanzi del genere, relazioni storiche attente e dettagliate, mi tengo alla larga. Guardo le varie immagini che potrebbero essere l’inizio di una serie di spericolate escursioni, esaminandole a turno e meditando il più a lungo possibile per valutarne se appropriati o meno. Ci sono famigerati cavalieri, sovrani ossessionati da tenere sottomano un certo potere. Ci sono cadaveri e misteriosi omicidi, e nei margini un rettangolino con la descrizione dettagliata di chi osserva il tutto nel piccolo riquadro della sua misera dimora. C’è il Palazzo d’inverno con il suo maestoso cavaliere e il suo destriero. Ci sono i contadini, che si sentono estranei a vivere in un luogo in cui non scorgono vita ma descritti, come ogni individuo fra l’altro, come esseri brutali impossibilitati nel restare soli ma determinati a rendere la propria anima intatta.
Per diversi giorni non ho potuto fare a meno di distrarmi, vertere i miei pensieri, se non su un’importante figura che, nella Russia del XIX secolo destò scalpore, rinchiusa ermeticamente nei pensieri di un giovane scrittore russo che fece di questo scritto un raccoglimento spirituale. Il romanzo in soldoni concerne la prevalenza di un uomo potente, superbo sulla regione russa che, pur essendo in qualche modo la causa di diversi eventi e azioni, avesse recitato una parte e pronunciato quelle giuste parole, alla fine uscirà inevitabilmente di scena. Perché il suo autore, sin dal principio evidenzia il suo fastidio nell’aver dovuto liquidare una figura così bella come Rasputin, e dunque si lancia sul presente mediante diversi divari fra società media e società bassa, descrivendo perfettamente qualunque personaggio, reso in una manciata di parole in carne e ossa, con tutti i suoi dubbi e timori. Avendo fatto irruzione nelle stanze del suo cuore ed essendovi rimasto per un certo lasso di tempo, essendo stato, per così dire, l’ossessione incurabile del suo creatore, non è stato possibile controbilanciare la tenebra di quel momento nel porre su carta i mali che erano stati inflitti alla Russia nel periodo sovietico se non soversendola a quella della proclamazione di uno dei più importanti re russi. Ed è precisamente altrove, nella sua collocazione individuale, che stanzia Rasputin, sebbene completamente distinto da ciò che mi ero prefissata.
Perciò, un pomeriggio di fine gennaio, come per caso, mi avvicinai ad una finestra dall’aria luminosa e vaporosa, mi affacciai e poi, come in omaggio dei vecchi tempi, scostai la tenda del dubbio e dell’impatto e guardai. La prima cosa che vidi, o per meglio dire assistessi, fu l’uccisione di un contadino: non nella sua stanza, bensì sul selciato di un edificio che s’intrecciava a quello della sponda di un fiume, e che guardava la Russia con occhi tristi e bellicosi. Era dunque da qui che si sarebbero districati i nodi della matassa?
Dmitrij Miropol’skij mise a fuoco la faccia di Rasputin, un lineamento alla volta. La sua nascita, il suo vagare inesorabilmente nel mondo, la sua coraggiosa avanzata nell’impero russo, e per mio malgrado, colta di sprovvista da questa immagine, provai un moto di compassione, un sussulto di pena per quella figura sventurata riversa sulla strada. Eppure ho desiderato ciò non accadesse: avrei voluto che al giovane Rasputin il destino gli riservasse qualcos’altro. Sarebbe stato in cielo prima ancora che se ne rendesse conto.
Lottando contro i paradigmi storici, politici e sociali, esplicando come il romanzo non sia un trattato storico bensì dipinto crudele e terribilmente realistico che non ha un vero e proprio messaggio, ma si rifà alle tematiche tolstojane e in particolare al romanzo Guerra e pace, sebbene dal suo intento si evince l’annunciazione di una dinastia che lentamente si appresta alla distruzione. Osservando il tutto come se fosse un enorme deserto, provando solo una certa inquietudine per questo desiderio insopprimibile di non poter essere completamente liberi, piuttosto divorati da sconfitte più grandi di noi stessi.
Rasputin era rimasto, per tutto il corso della lettura, seduto a fissarmi presso la camera della sua prigionia, scarsamente illuminata da un fascio di luce che baluginava piacevolmente e mandava fuori, quasi scoppiettando, bolle di puzzo e miseria. Con uno stato d’animo doloroso come una penitenza, ho letto queste quasi ottocento pagine sorpresa nel ritrovarmi dinanzi a una storia che avevo ingenuamente concepito diversamente ma che mi ha accompagnato nel percorrere un cammino che disgraziatamente avrà una brusca interruzione. Una figura che si è mossa molto vicino, nella nebbia, le cui gesta non si sono limitate esclusivamente a chi legge, o al suo creatore, bensì a quella piccola cerchia di persone che lo hanno lodato come un leader.
Ritratto veritiero e alquanto simbolista di un uomo che, come un eco politico o un riflesso opaco, ha scandagliato un frammento di vita storica, L’ultimo inverno di Rasputin è un immersione totale nel mondo che egli stesso creò. Trascinata dalla corrente scintillante dei sogni, delle speranze, dell’emozioni, spettatrice attenta dell’abbattimento fisico e morale di un satellite silenzioso che ha fluito nel mio animo per qualche tempo. Distinto da tanta miseria e spossatezza, di cui egli stesso era prima immerso fino al midollo, concepimento di una novella che nel suo lento grigiore splenderà e illuminerà i nostri cuori, inaspettatamente.
La punizione di Dio, quando si abbandona la via, è l’inizio della fine.
Libro dall'incredibile ricostruzione storica, coraggioso e dal chiaro intento di offrire un punto di vista diverso rispetto a quello tipico occidentale sugli ultimi anni dell'impero russo e sulla controversa figura di Rasputin, uomo forse ingiustamente dipinto come un demone approfittatore dei Romanov.
Tuttavia è scritto male, male, male ma davvero male: pomposo, retorico, con scarsa linearità e con un irritante abuso di punti esclamativi e di sospensione.
Titolo invero furbetto, il titolo originale è "1916 Guerra e Pace" facensdo il verso al romanzo di Tolstoi e a un capitolo della "ruota Rossa" di Solgentsin. Racconto bello per amanti della Russia, della sua Storia e della sua Cultura.... Un bagno infinito a che voglia immergersi, una infinita pena per tutti i piccoli comprimari di ognuno dei quali si racconta la (quasi sempre tragica) fine....
Grigorij Efimovič Rasputin. . Un personaggio storico controverso, criptico, attorno al quale sono nate una moltitudine di leggende. Un personaggio che perfino Hugo Pratt ha voluto affiancare al suo Corto Maltese, o che è apparso in Hellboy. . Dmitrij Miropol'skij lo descrive in maniera ineccepibile, in questo suo romanzo storico per eccellenza. . L'ultimo inverno di Rasputin narra, per l'appunto, gli ultimi anni di vita del famigerato monaco che è stato al servizio dello Zar Nicola II. Il libro è suddiviso in tre grandi capitoli che, al loro interno, hanno altri capitoletti più o meno brevi e affronta la vita di Rasputin dal punto di vista di numerosi personaggi storici che hanno vissuto attorno a lui e con lui. . Così abbiamo, oltre a Rasputin stesso, Majakovskij, il principe russo Feliks Jusupov, il granduca Dmitrij Pavlovič, sua sorella Marija Pavlovna, Winston Churchill, Vernon Kell, il capitano austriaco Maximilian Ronge e via dicendo. . Ciascuno di loro ha il proprio punto di vista, narrato in stile tipicamente russo dall'autore. . Ciò che ho apprezzato più di tutto è stata la terza parte, dove l'autore non lascia nulla in sospeso. Se le prime due parlano di Pace e Guerra, richiamando effettivamente anche Tolstoj, la terza è accomapgnata da una nota dell'autore all'inizio, che dice chiaramente che non vuole lasciare nulla in sospeso. Le vite di coloro che hanno ruotato attorno a Rasputin vengono descritte fino alla fine. . Nonostante la seconda parte finisca come finisce, questo terza parte finale dà una degna conclusione al libro stesso. . È un libro per tutti? No. Non lo è. . È il libro che fa per voi se vi piace la Russia dei primi del Novecento, in subbuglio per i vari colpi di stato. Oppure se vi piace lo stile di scrittura russo, che ha in sé una sorta di melodramma e serietà che, in questo libro, viene stemperata dalle parti che parlano di Majakovskij, anche se a me non sono piaciute molto, non perché non mi piaccia il personaggio in sé, ma perché non mi è piaciuta l'alternanza tra narrazione e poesia, ma lui d'altronde è stato un poeta e quindi lo stile si incastra, alla fine.
"L'inverno di Rasputin" : un gigante, e io davanti a lui come Davide contro Golia.
Bisogna prendere atto che l'autore stesso riconosce la complessità del suo notevole lavoro, quando paragona la sua opera a "una grande e fantastica ragnatela che può essere intessuta solo dalla più grande tessitrice di merletti: la storia. Gli individui sono i rocchetti nelle sue mani. Il filo della vita e della morte di ognuno crea un disegno, diventa parte di un altro, passa attraverso un terzo... Perché considerare ogni filo separatamente, quando si può guardare l’intero disegno e godersi l’arte dell’esperta maestra? "
Evidente come questo preparatissimo e coltissimo autore, dal nome che purtroppo mai ricorderò, è stato ben consapevole dell'immenso lavoro svolto, e della complessità a cui ha sottoposto i lettori:
«Le cose grandi si vedono da lontano»
A me è mancata la padronanza di sapere leggere il disegno da lontano, per un difetto di mie competenze personali, per cui la lettura è stata accompagnata da una sensazione di inadeguatezza. Ma se per altri romanzi storici che ho letto la narrazione e la condivisione spesso mi hanno aiutata ad orientarmi e ad approfondire le mie mancanze, qui l'approccio è stato più "nozionistico" e ostico, specialmente la prima parte.. in generale la mia attenzione si è sempre più risvegliata leggendo le parti che interessavano Rasputin, il suo pensiero, le sue caratteristiche: nelle mie aspettative doveva essere lui il protagonista da conoscere, e di cui non sapevo nulla. L'ho cercato e rincorso in tanti capitoli, e in effetti sono stati quelli a lui dedicati per me i più apprezzati, perché ci ho ritrovato dentro il pathos e anche atmosfere thriller, se pensiamo alla sua incredibile morte.
Sto concludendo le note finali con l'intento di arrivare serenamente, anche se lentamente, alla conclusione, ma mi accorgo che già nel titolo era celata la profezia: non un mese, ma un inverno era necessario per leggerlo tutto...
Il libro si presenta con un titolo altisonante, promettendo una discesa negli abissi oscuri dell’anima dell’uomo più enigmatico della Russia zarista. E invece ci si ritrova tra le mani un caotico agglomerato di avvenimenti, brandelli di storia e personaggi inseriti a forza, in un guazzabuglio fantasioso e poco credibile. La narrazione manca di direzione, si smarrisce in digressioni scollegate senza un minimo di coerenza storica o narrativa. Più che un romanzo, sembra un compendio raffazzonato, un collage mal riuscito di eventi che non riescono a dialogare tra loro. Quanto al nome di Rasputin che campeggia nel titolo e che dovrebbe fungere da perno della vicenda, si rivela essere poco più di un espediente commerciale per l'acquisto del libro.
Un libro interessante, scorrevole e piacevole - se non si tiene conto dell'utilizzo massivo dei 3 puntini di sospensione da parte dell'autore.
Il romanzo in sé è costruito abbastanza bene. Ci sono centinaia di personaggi (non scherzo!), inclusi i principali esponenti culturali dell'epoca (Gorkij, Achmatova, Majakowski, Mandelstam...). La parte conclusiva, circa 150 pagine, è la più interessante perché l'autore racconta ciò che è successo dopo la morte di Rasputin a tutti i personaggi coinvolti. Davvero una scelta vincente!
Ricco di informazioni storicamente importanti, dalla trama accattivante, costituito da molti personaggi bene delineati, questo romanzo aveva tutti gli elementi necessari e sufficienti per divenire uno dei miei preferiti. Tuttavia, lo stile eccessivamente complesso adottato dal traduttore unito alla difficoltà di ricordare il nome di tutti i personaggi (questo problema è tipico dei romanzi russi, a me paiono sempre tutti uguali i nomi) hanno reso la lettura poco scorrevole.
Per me è stato pesante leggerlo, troppa carne sul fuoco, cioè c'è tanta storia, tantissimi nome e troppi personaggi, troppo per ricordarsi tutto e gustarsi la lettura. È pur sempre un romanzo e non un saggio.
Il romanzo racconta la storia europea dal 1905 al 1916, dal punto di vista orientale, per l’appunto dalla Russia che in quel periodo era governata dalla tricentenaria famiglia Romanov: lo zar Nicola II e la zarina Aleksandra Fëdorova, del casato tedesco di Assia.
Il titolo è stato tradotto in Italia con L’ultimo inverno di Rasputin, anche se in realtà, la figura dello starec non accentra il racconto; il titolo originale è traducibile, invece, in “1916. Guerra e pace”, perché di questo parla. Miropol’ski ci racconta, dapprima, come era l’Europa in tempo di pace, come è arrivata al primo conflitto mondiale e l’indebolimento dell’impero zarista. Il taglio scelto può ricordare vagamente Follett, dal momento che si legge di spie, intrighi internazionali, misteri e morti. Tuttavia non ingannatevi dal mio aver citato il romanziere britannico: il lavoro di Miropol’ski è tosto. Innanzitutto perché 780 pagine di romanzo storico-politico non sono una passeggiata, soprattutto se non si ha il nitido ricordo dei confini europei e dei legami aristocratici transcarpatici del 1914. Aggiungiamo che il buon Miropl’ski ha il vizietto dei russi di chiamare ogni soggetto che passa per le pagine, con nome, patronimico, cognome, vezzeggiativo e abbreviazione, mescolandoli. “È un vero piacere quando i personaggi condividono generosamente non solo i loro nomi e le loro biografie, ma anche le lunghe citazioni e i movimenti della trama… Forse perché nel testo c’è una quantità di cognomi come in un elenco telefonico, oltre un centinaio.” Attraverso i numerosi personaggi dell’aristocrazia e della cultura sovietiche ci arriva lo spaccato della società pietroburghese dell’epoca; incontriamo, infatti, anche un giovane Vladímir Vladímirovič Majakóvskij col suo mecenate Burljuk e assistiamo alla nascita del cubo futurismo russo e delle avanguardie artistiche, l’eccentrico principe Feliks Jusupov ci racconta il bel mondo inglese e pietroburghese - per citarne un paio che, nel romanzo, sono legati da un destino comune. L’autore non lesina dettagli in nessun frangente: abbiamo la visione a 360 gradi degli aspetti culturali, politici e militari della Russia imperiale. Nel complesso, la scrittura scorrevole permette di seguire le fila di una struttura complessa, dove la concentrazione è d’obbligo per evitare di mandare a quel paese libro e scrittore.
E Grigorij Efimovič, per i nemici Griška? Ebbene, ho avuto un’impressione strana. “Anche Ozzy Osbourne ha toccato l’argomento, affermando: «È l’uomo russo che ha condotto uno stile di vita rock’n’roll prima che il rock’n’roll fosse inventato in Occidente!»” Rasputin era un contadino siberiano, credente ortodosso, vegetariano, non mangiava dolci e per lunghi periodi non toccò alcolici. Non chiedeva alcuna ricompensa per le proprie intercessioni di guarigione. Da dove arrivò, quindi, tutto l’odio su di lui riversato? Perch�� è sempre stato descritto come un perfido taumaturgo manipolatore, quando le sue doti principali erano il carisma e la mitezza? L’autore presenta un personaggio completamente diverso da quello che mi ero figurata negli anni e racconta in che modo la figura del mužik sia stata manipolata ad uso dell’artistocrazia e dell’opinione pubblica, in modo da diventare il capro espiatorio del crollo dell’impero zarista e di tutti i mali della Russia di inizio ‘900. Molto sembra esser stato creato a tavolino per screditarlo in vita e da morto. La ricostruzione dell’assassinio, come pensato da Miropol’ski, è molto romanzata, poco attinente a quanto riportato dalle cronache ufficiali, ma che importa? Ve lo dico alla fine...
Terminata la seconda parte del romanzo dedicata alla guerra, l’autore ci regala un compendio, che è un libro nel libro. La trama si conclude, ma continua la vita degli attori principali: coloro che hanno preso parte all’omicidio dello starec, gli zar, Majakóvskij, e della stessa città. Queste storie sono raccontate con un velo di sarcasmo e si portano fin quasi ai giorni nostri.
Probabilmente, quanto raccontato in quest’opera non si sovrapporrà perfettamente alle altre composizioni storiche, ma - come sostiene l’autore - “ha la possibilità di rivelarsi interessante”. Non sono molto ferrata in storia russa, quindi non riesco a dire se e che cosa sia inesatto in questa narrazione, ma posso affermare che è interessante, anche se mi ha messo a dura prova.
Dmitrij Miropol’ski e questo suo lavoro sono arrivati in finale al premio Nacional’nyj Bestseller, non è il suo primo romanzo storico, dal momento che scrive dal 2006, ma questo è il suo primo pubblicato in Italia. Di lavoro fa il pubblicitario, autore teatrale, conduttore, commentatore musicale, sceneggiatore. Non mi stupirebbe se il romanzo diventasse una serie tv. Vedremo. ⭐️⭐️⭐️⭐️