"Ecco, ho raccontato la storia della famiglia come il cuore ha saputo. A voi tutti dico: rifate la storia della vostra famiglia, e vedrete che dicono tutte la stessa cosa. Perché la natura grida forte che cosa bisogna fare, la società pure, ma gli uomini ancora non capiscono e si fanno il male con le mani loro". Stampato per la prima volta nel 1955 in migliaia di copie, tradotto in moltissime lingue, "I miei sette figli" è un documento fondamentale dell'epopea partigiana italiana. Mai nella storia di un popolo, neppure nelle sue leggende, si era avuto il sacrificio di sette fratelli caduti nello stesso istante e per la stessa causa. La vicenda di Alcide Cervi e dei suoi sette figli è quella di una famiglia contadina che lotta contro le ingiustizie sociali e la dittatura fascista finché i sette fratelli vengono trascinati di fronte al plotone di esecuzione. Sopravvissuto allo sterminio dei figli, il vecchio Alcide torna a coltivare di nuovo la terra con le donne e i nipoti superstiti, e ci lascia, con la saggezza che viene dal dolore e da una grande fede nella vita, un'indimenticabile testimonianza. Questa edizione contiene una prefazione di Luciano Casali che, oltre a contestualizzare il momento storico, racconta soprattutto le vicende legate alla nascita del libro e poi gli interventi del Partito comunista sulla seconda edizione del 1971.
Dall'introduzione di Piero Calamandrei: "La storia della famiglia Cervi, meglio di ogni altra, riassume in sé gli aspetti più umani, più naturali e più semplici della Resistenza, e insieme i suoi aspetti più puri e spirituali, e direi perfino celestiali..."
Questo libro è una indimenticabile testimonianza di uno degli episodi più tragici della lotta partigiana. In quel suo linguaggio duro da contadino, babbo Cervi insegna una cosa semplicissima: l'amore incondizionato per la libertà!
Terra e Acqua e Vento … Cosa si può aggiungere alla vicenda di un padre che sopravvive all’assassinio dei suoi sette figli? Nulla. Riporto solo il testo di una canzone dei Gang, rivisitata dai Modena City Ramblers, che racchiude nella poesia della melodia e delle parole l’atterrito stupore di fronte all’efferatezza di un crimine che conferma quanto spesso la parola ‘umanità’ sia usata a sproposito …. “Terra e Acqua e Vento non c'era tempo per la paura nati sotto la stella quella più bella della pianura Avevano una falce e mani grandi da contadini e prima di dormire un "padre nostro" come da bambini Sette figlioli sette di pane e miele a chi li do Sette come le note una canzone gli canterò E Pioggia e Neve e Gelo e fola e fuoco insieme al vino e vanno via i pensieri insieme al fumo su per il camino Avevano un granaio e il passo a tempo di chi sa ballare di chi per la vita prende il suo amore e lo sa portare Sette fratelli sette di pane e miele a chi li do Non li darò alla guerra all'uomo nero non li darò Nuvola Lampo e Tuono non c'è perdono per quella notte che gli squadristi vennero e via li portarono coi calci e le botte Avevano un saluto e degli abbracci quello più forte Avevano lo sguardo quello di chi va incontro alla sorte Sette figlioli sette sette fratelli a chi li do ci disse la Pianura questi miei figli mai li scorderò Sette uomini sette sette ferite e sette solchi ci disse la pianura i figli di Alcide non sono mai morti In quella pianura da Valle Re ai Campi Rossi noi ci passammo un giorno e in mezzo alla nebbia ci scoprimmo commossi.” [Modena City Ramblers - Appunti Partigiani (2005) La Pianura Dei Sette Fratelli] Ascoltatela, se potete … [Nov 2011]
• Ci sono libri che non si leggono: si ascoltano. Si ascoltano come si ascolta un padre che ha perso tutto ma non ha smesso di credere. I miei sette figli di Alcide Cervi, scritto con Renato Nicolai e introdotto da Sandro Pertini, è uno di quei libri che si posano sul cuore come un sasso, e lì restano. Non è solo la storia di una famiglia martoriata dal fascismo: è un testamento. È la voce di chi, mentre seppellisce i propri figli, pianta i semi della democrazia.
• Il 25 aprile è la data che ci ostiniamo a chiamare "liberazione", come se la libertà fosse un fatto concluso. Ma la libertà non si conquista una volta per tutte: si custodisce, si rinnova, si difende ogni giorno. Ed è per questo che, più delle celebrazioni ufficiali (soprattutto se fatte con un certo spirito "sobrio"), contano le storie vere. Quelle che ci obbligano a guardarci dentro. Quelle che tolgono ogni retorica alla parola "Resistenza".
• La storia dei fratelli Cervi è nota, forse. Ma il libro del padre, Alcide, va oltre la cronaca. È uno squarcio di umanità nella sua forma più nuda. Il suo racconto non indulge nel dolore, e proprio per questo colpisce di più. Nessuna lacrima versata sulla pagina, solo fatti, gesti, giorni. La crescita dei figli nella campagna emiliana, la fatica e la cultura contadina, l’approdo al pensiero antifascista, l’azione concreta, la cattura, la fucilazione. E poi: il silenzio. Ma un silenzio che parla. Parla di dignità, di giustizia, di memoria.
• Alcide Cervi non scrive per essere ricordato, ma perché non si dimentichi. La sua è una lingua che viene dalla terra: dura, onesta, essenziale. Eppure, nella sua semplicità, contiene una immensa potenza morale. Non cerca colpevoli, cerca senso. Non invoca vendetta, ma giustizia. Non si abbandona al rancore, ma si affida alla memoria come dovere civile. "La giustizia non si piange: si fa", scrive. Ed è una sentenza morale, non una frase.
• C'è un’immagine che attraversa tutto il libro e che ne incarna il significato più profondo: quella del seme. Alcide lo dice chiaramente, parlando dei suoi figli:
"Mi hanno detto sempre così, nelle commemorazioni: tu sei una quercia che ha cresciuto sette rami, e quelli sono stati falciati, e la quercia non è morta. Va bene, la figura è bella e qualche volta piango, nelle commemorazioni. Ma guardate il seme. Perché la quercia morirà, e non sarà buona nemmeno per il fuoco. Se volete capire la mia famiglia, guardate il seme. Il nostro seme è l’ideale nella testa dell’uomo."
• È il pensiero che sopravvive alla distruzione, è la radice che non muore. E proprio nel giorno del funerale, con i corpi dei suoi figli davanti, Alcide non cede allo sconforto. Trova le parole più alte, più contadine e più nobili che si possano pronunciare:
"Dopo un raccolto ne viene un altro, andiamo avanti!"
• Quel "raccolto" non è solo biologico: è politico, umano, etico. È la speranza che rinasce. Come il sole, che - dice lui - "fa l’arco suo e non si ferma davanti alla notte". Anche i suoi figli, aggiunge: "Hanno sempre saputo che c’era da morire per quello che facevano, e l’hanno continuato a fare, come anche il sole fa l’arco suo e non si ferma davanti alla notte."
• Sandro Pertini, nella sua prefazione, lo capisce bene: "La storia dei Cervi dimostra come si possa diventare antifascisti partendo dai valori più elementari ed essenziali: l'amore per l'uomo, il culto della famiglia, la passione per il lavoro dei campi."
• Rileggere oggi I miei sette figli è ricordare il fascismo com’era e riconoscere il fascismo com’è, quando si insinua nei linguaggi ambigui, nelle omissioni, nella stanchezza della democrazia. Per questo il 25 aprile ha bisogno di voci come quella di Alcide Cervi: perché non c'è vera liberazione senza coscienza, senza dolore condiviso, senza il coraggio della verità.
• Ogni pagina di questo libro è una pietra nella fondazione morale della Repubblica. Oggi non bastano le bandiere.
Una storia di cui avevo solo sentito parlare. Ho letto il libro tutto d’un fiato, con rabbia e amarezza ...
Attraverso la voce di papà Alcide Cervi entriamo a conoscenza della sua famiglia, dei ricordi di gioventù che parlano di lavoro nei campi ma anche di ideali che vanno dal progresso alla giustizia, dalla pace alla libertà; una splendida famiglia con l’amata moglie Genoveffa ed i nove figli … di tutte le età, sette maschi.
Grazie alla tenacia ed al duro lavoro, con un ingegno non comune, i Cervi diventano proprietari dei loro campi ma mantengono quell’amore per la democrazia e la libertà che li mette in contrapposizione con il regime fascista; e così, coerenti con gli ideali umanitari, dopo l’8 settembre, iniziano ad accogliere i disertori ed i prigionieri di guerra in fuga, sfamandoli ed aiutandoli in ogni modo.
L’epilogo, purtroppo, è tristemente noto, ma dalla lettura della cruda testimonianza di Alcide, il suo dramma assume aspetti commoventi e ricchi di speranza per un futuro di pace e libertà, concludendo così un libro di immortale valore:
“Avevo 4 mucche, e adesso sono 54 capi di bestiame, con la produzione del grano che è salita a 5 volte quella del ’35. Eravamo mezzadri, pieni di debiti, e adesso abbiamo ancora debiti da scontare per 30 anni, ma il fondo è dei nipoti e delle nuore (…). In più abbiamo dato sette vite alla Patria. Se c’è bisogno di dare ancora la vita, i Cervi sono pronti, e qualcuno pure sopravviverà, e rimetterà tutto in piedi, meglio di prima. Ecco perché non ci fermeranno più (…) Che il cielo si schiarisca, che sull’Italia torni la pace e la concordia, che i nostri morti ispirino i vivi, che il loro sacrificio scavi profondo nel cuore della terra e degli uomini”.
Un libro indimenticabile che tutti dovrebbero leggere.
Per scrivere la recensione ho aspettato di aver visitato il museo Cervi di Gattatico. E' stata un'esperienza emozionante, amo molto i musei storici, ma quelli (o le loro sezioni) dedicati al '900 e in particolare alla storia della Resistenza mi commuovono sempre: mi sono commossa a La Rochelle, mi sono commossa a Montefiorino, mi sono commossa qui.
Oddio, veramente di fazzolettini seminascosti ne ho visti parecchi. Inoltre il museo è molto moderno, agile, ben spiegato, e con un piccolo bookshop dove mi sono tolta lo sfizio di comprare "I sette fratelli Cervi" (1968) con il mio idolo, Gian Maria Volonté, film che non ho mai visto per intero. C'erano anche opere sulla Resistenza, un'edizione del '56 (la seconda in ristampa anastatica?) di questo libro e un'altra con una bella prefazione di Pertini. Pertini che, come tutti i Presidenti della Repubblica da Einaudi a Napolitano, qui ci è venuto, e tirò fuori il fazzoletto pure lui (aneddoto presidenziale narrato ieri dalla nostra guida).
Premessa: come si apprende in questo libro, i Cervi leggevano moltissimo (ci fosse stato Anobii, sarebbero stati tutti on line): Bibbia, narrativa, politica, ed erano appassionati di riviste agrarie. Leggevano anche "La riforma sociale" di Einaudi. Quando Alcide Cervi andò a ricambiare la visita a Einaudi al Quirinale, a un certo punto il Capo di Gabinetto entrò ricordando al Presidente che era arrivato l'ambasciatore americano. Einaudi rispose di farlo attendere, che lui stava discutendo di terreni, di latte e di vacche con Cervi.
L'edizione Einaudi 2010 - questa - mi sembra però, in definitiva, la più pregevole, in primo luogo perché contiene una prefazione di Piero Calamandrei che mette i puntini sull'eterna tentazione del revisionismo, e scusate se è poco. In secondo luogo perché riprende il testo originale del 1955. Infine perché, nella lunga introduzione curata da Luciano Casali, narra la storia editoriale del libro, incluse le inspiegabili manipolazioni testuali subite dall'edizione del 1971 (scomparvero tutti i riferimenti al Pci, al marxismo, all'Unità).
Se qualcuno a questo punto si sta già dicendo: sì, vabbé, m'immagino la noia, la puzza di oleografia, i martiri etc., be', si sta sbagliando. Poche volte ho letto cose meno retoriche di questa. Didascalica, certo, in quanto il curatore cercò di rendere il linguaggio parlato di Alcide Cervi e di renderlo comprensibile alle famose "masse". Ma proprio per questo il libro è freschissimo, leggibilissimo, chiaro. Ne emerge la storia non di sette santini da portare in processione, bensì di persone ciascuna con il suo ruolo in famiglia e il suo carattere, unita certo ma reale, una famiglia di contadini pragmatica, imprenditoriale, fortemente orientata alla modernizzazione, alla sperimentazione agraria e all'emancipazione dalle vecchie forme mezzadrili di conduzione del fondo. Una famiglia cattolica, anche dopo l'adesione all'antifascismo e al comunismo. Una famiglia dove tutti leggevano e studiavano, la madre, il padre, i figli, dove la sera si sognava con la lettura collettiva dei passi più belli dei "Promessi Sposi" e di giorno si faceva circolare una biblioteca semiclandestina comprendente Gorkii, Marx, riviste di agraria, Pellico... (alcuni di questi volumi si vedono ancora nel museo: quelli che si sono salvati dall'incendio appiccato dai fascisti il 28 novembre 1943, il primo subito dalla famiglia). Dopo il 25 luglio il loro antifascismo ebbe un'accelerazione: sortite in montagna con i partigiani, la collaborazione alla stampa clandestina dell'Unità e di altri fogli comunisti... La pressa è ancora lì: pare che, quando la si usava, si accendesse il trattore per coprire i rumori.
Per i Cervi la cultura non era sapere, era potere. Cercarono con tutti i mezzi di diffonderla. Era gente incredibile, non avevano soggezione di nessuno, non avevano paura di nessuno. Si fecero ridere dietro dai vicini bonificando per primi le loro terre, comprando il primo trattore della zona, modernizzando l'allevamento delle vacche da latte: ma alla fine risero sempre ultimi. Anche se pagarono con la vita. Dopo un raccolto se ne fa un altro, disse e ripeté spesso il padre, ormai rimasto nonno, con uno stuolo di nuore e di nipoti, una moglie morta nel 1944 di crepacuore e un fienile bruciato da ricostruire (immaginiamocelo, un vecchio che si fa passare i mattoni da una fila di bambini di tutte le età, e avremo una minima idea della forza d'animo di quest'uomo).
Una delle letture più interessanti che si possano fare, al di là delle nostre idee politiche: uno spaccato di vita durante il primo quarantennio del XX secolo, con protagonisti che non piegarono mai la schiena. Via Roma, corso Umberto, via F.lli Cervi... non lasciamo che siano solo toponimi, parole vuote. Dietro le innumerevoli "via fratelli (f.lli!) Cervi" d'Italia, c'è una storia che non dobbiamo dimenticare.
"Dicono che gli italiani sono furbi e sanno scegliere sempre il piú forte. Io dico che sono minchioni se continuano a stare col prepotente e ladro, che adesso ci accarezza perché vuole gli aeroporti per metterci le bombe atomiche. Io dico agli italiani, non fatevi bruciare la casa come hanno fatto a me, salvate i vostri figli, le vostre spose, scacciate quelli che si presentano con le caramelle e portano morte e disgrazia nelle famiglie."
Una pugnalata al cuore e un pezzo di storia che non possiamo permetterci di dimenticare.
Una delle pagine più tristi e d’impatto della Resistenza e dell’Italia contadina, raccontata con semplicità e saggezza da chi in prima persona l’ha vissuta. La testimonianza di Alcide Cervi é un documento prezioso che tutti dovrebbero leggere e soprattutto insegna ad alzare la voce contro le ingiustizie e ad aprirsi al cambiamento per il bene comune.
Libro bellissimo, coraggioso, e commovente. Questa é la storia di sette fratelli raccontata tramite gli occhi del padre Alcide Cervi. Erano persone semplici, con un forte spirito cristiano di aiutare il prossimo e insofferenza verso le angherie economiche, politiche, e morali. Alcide denuncia da sempre le ingiustizie e lo sfruttamento anti progresso del sistema agricolo di fine 800 e di come i padroni si disinteressassero a far fruttare la terra ma di come volevano soltanto "quei soldi pochi e maledetti". E' da questa semplicitá, legame con la terra e con il duro lavoro, che nasce il termometro con cui giudicano gli uomini, i padroni, i religiosi, i contadini, gli operai, i fascisti, i poliziotti, i generali dell'esercito e tutto il resto del mondo. Da questo sguardo aperto, buono, solidale, e crtistiano sugli avvenimenti della scena locale e anche sul mondo, che Alcide e i suoi figli si regaolano e si adattano. Dal punto di vista agricolo, che é centrale in questa storia, la famiglia Cervi voleva semplicemente e audacemente far fruttare la terra leggendo libri e manuali e provando nuovi metodi e teorie. dal punto di vista intellettuale erano rapaci, leggevano sempre erano informati, partecipavano al teatro e ad un certo punto Aldo apre anche una biblioteca. Erano sempre pieni di idee e venivano osteggiati in tutto. Con grande coraggio e generositá hanno aiutato molto feriti, prigionieri, partigiani, e fuggiaschi. Una lettura consigliatissima.
"I morti ispirino i vivi", questa la speranza, la raccomandazione e il monito di un padre, Alcide Cervi, al termine del suo raccontarci i suoi sette figli che diedero la vita per la resistenza al buio del fascismo. Un libro sostanziale, da leggere e tenere a mente. Non sette santini da venerare, ma sette uomini in carne e ossa, studiosi, creativi, in lotta contro la sopraffazione e l'ingiustizia. Sette figli amati, un raccolto, dice il padre. Cui, con strazio e determinazione, farà seguito il successivo, quello degli undici nipoti, per i quali continuare a vivere, seminando lo stesso seme. Quello della libertà e della giustizia sociale.
Il periodo della Seconda Guerra Mondiale dev'essere stato atroce per tutti i nostri familiari che allora si sono trovati costretti a fronteggiare una situazione profondamente difficile e forse noi ancora oggi non ne siamo pienamente consapevoli. La Resistenza partigiana ha consentito in quel periodo di liberare l'Italia da una dittatura che durava da troppo e dall'oppressione del popolo italiano, favorendo la creazione uno stato democratico dotato di una Costituzione al cui interno sono scolpiti i principi fondamentali dello stato di diritto. Molti, in Italia, ancor oggi non sono di questo avviso. Questi, io credo, dovrebbero leggere questa breve autobiografia che racconta di una famiglia contadina che si è trovata a fronteggiare la realtà del tempo. Una famiglia per nulla comunista, anzi vicina al partito popolare che ha dovuto lottare per liberare la propria gente e che ne è uscita devastata da morti e sofferenze. Alcide Cervi ripercorre tutto questo dolore, evidenziando la necessità di compiere questa scelta che a suo avviso era inevitabile.
la storia dei sette fratelli cervi, fucilati alla fine del '43, raccontata dal padre. per la verità, nella prefazione si intuisce che renato nicolai, il cui nome appare in copertina accanto a quello di alcide cervi, con il padre dei ragazzi ha parlato poco. chi per primo raccolse le sue memorie e ne scrisse diffusamente fu italo calvino, sul cui lavoro probabilmente nicolai si basa non poco. questa edizione è la prima che ripristina il testo integrale dopo la censura intervenuta nel 1971, quando tutti gli accenni all'ideologia comunista vennero espunti. la storia, che non conoscevo nei particolari, è entusiasmante. questi fratelli contadini introducono innovazioni e migliorie nel loro lavoro, risultando un'avanguardia tecnologica del loro tempo e luogo, e intanto fanno propaganda e azione politica con coraggio e convinzione. il padre non si perdona una sola cosa, di non aver capito che andavano consapevoli alla morte quando l'hanno salutato l'ultima volta. e continua il suo lavoro con i nipoti. bellissimo.
Letto quasi per caso, sono molto contenta di averlo fatto. La storia di questa fantastica famiglia, dei loro ideali, portati avanti con onore fino alla fine, è di grande insegnamento. Ed è altrettanto importante tenere vivi i ricordi di quel periodo, raccontati da chi li ha vissuti in prima persona, perché con il passare del tempo, non passi anche la memoria di quell'epoca.
Una storia che tutti dovrebbero conoscere. Interessante anche la parte introduttiva in cui si racconta come la storia della famiglia Cervi sia stata rielaborata nel corso degli anni.
Si legge tutto d’un fiato. Raccontato direttamente dalla voce dello stesso papà Cervi (Alcide) che in maniera semplice, asciutta e senza fronzoli, ma con tutto l’amore e la forza che i propri ideali possono infondere, porta alla ribalta la vita prima (la famiglia, il lavoro nei campi, i primi amori dei figli, l’avvicinamento alla politica...) e durante la lotta partigiana, che ha visto impegnata la sua famiglia sino all’estremo martirio. Un racconto a tratti commovente e che lancia diversi spunti di meditazione su quello che è il valore della famiglia, su ció che è stato il fascismo nella vita contadina di tutti i giorni e la lotta che seppur in modi diversi, deve continuare anche oggi. Una lettura veramente toccante che si legge e si fa rileggere. Consigliatissimo.
Alcide Cervi racconta la storia della sua famiglia e, in particolare, dei suoi sette figli partigiani fucilati tutti nello stesso giorno. In sostanza nel corso di un anno Alcide Cervi ha perso tutti i suoi figli e sua moglie, morta di crepacuore. Eppure, nonostante questo inimmaginabile dolore, non si lascia abbattere e si dedica anima e corpo all'educazione dei suoi undici nipoti perché l'eredità dei suoi figli non vada persa. Le ultime pagine mi hanno suscitato allo stesso tempo sentimenti di tristezza, rabbia, ma anche una forte ammirazione per quest'uomo così semplice eppure così saggio e coraggioso. Senza dubbio il sacrificio di questa famiglia non è stato vano perché è servito ad affermare un valore fondamentale come quello della libertà. Da leggere per non dimenticare.
‘’Ma cercate di capirmi, io vorrei averli vivi, i figli, ché stessero ancora vicino a me. E ogni padre di famiglia vuole la salvezza dei figli suoi. Per questa salvezza non c'è che un mezzo, che gli italiani si riconoscano fratelli, che non si facciano dividere dalle bugie e dagli odi, che nasca finalmente l'unità d'Italia, ma l'unita degli animi, l'unità dei cuori patriottici.’’ ‘’lo vorrei farvi sentire che cos'è avere ottanta anni, aspettarsi la morte da un momento all'altro, e pensare che forse tanto sacrificio non è valso a niente, se ancora odio viene acceso tra gli italiani. Che il cielo si schiarisca, che sull'Italia torni la pace e la concordia, che i nostri morti ispirino i vivi, che il loro sacrificio scavi profondo nel cuore della terra e degli uomini.’’
ll racconto di papà Cervi, sopravvissuto alla fucilazione dei suoi sette figli maschi. La storia della famiglia, degli ideali di legalità, uguaglianza sociale, senso di comunità, sacrificio e duro lavoro. I Cervi erano "contadini di scienza", innovatori nei campi e nella stalla, lettori voraci al punto da istituire una biblioteca popolare nella quale poter offrire liberamente libri e riviste, e quindi cultura, non controllata dal regime.
Leggere questo libro è stato come ascoltare Alcide. Arriva dritto al punto della questione, è onesto, crudo, di una dolcezza unica. Andando avanti con le pagine risulta impossibile non volere bene a ogni singolo membro di quella famiglia, ogni parola è potente e ti porta alla commozione. È bello pensare che i Cervi e la loro casa siano stati un rifugio per tutti quei prigionieri ed oppositori al regime, ma che questa magia e senso di fratellanza continui anche oggi.
La storia dei sette fratelli Cervi è simile alla storia di tanti italiani che per integrità morale e coerenza con le proprie idee decisero di combattere il fascismo durante la seconda guerra mondiale. Quello che la famiglia Cervi capì, fu che la lotta non doveva essere soltanto armata ma anche intellettuale e di conoscenza politica.
Purtroppo queste storie di vite date per la libertà si stanno perdendo nella memoria odierna, e invece sarebbe bene tenerle a mente...
Una storia ambientata durante la seconda guerra mondiale, narrato dal punto di vista di una famiglia di contadini che hanno partecipato agli atti che hanno portato alla liberazione d'Italia.
È stato bello leggere come dei piccoli gesti possano portare a grandi risultati. Questo libro mette in evidenza come tutti possano contribuire e lottare per far valere i propri principi e che lo stato sociale non è indice della cultura e dell'intelligenza delle persone.
Ottimo modo per apprendere altri dettagli sulla nostra storia.
Voto: 8/10
#bibliosanvalechallengebook2022
Libro letto n.21
Challenge 50: Un libro proposto nella nostra bibliografia sul 25 aprile - Liberazione. "I miei sette figli" di Alcide Cervi.
Non potevo non pubblicare questa voce della #bookchallenge della @bibliotecasanvalentino proprio oggi per celebrare il giorno della liberazione.
Quanta vita, quanta forza, quanto amore. Un meraviglioso, per quanto straziante, stralcio del lato migliore degli esseri umani. Una storia indispensabile e un messaggio finale importantissimo.
Grazie signor Cervi, per tutto quello che hai dato in vita e per tutto quello che ci hai lasciato.
Un libro che dovrebbe essere adottato come libro di lettura da ogni terza media e quinta superiore d'Italia. La storia dei sette fratelli Cervi, contadini Resistenti fucilati dai fascisti sul finire del '43, narrata dal loro padre. Un racconto privo di retorica e autocompatimento, che potrebbe spronare chiunque a fare "la cosa giusta"
Una testimonianza straordinaria non solo della vita della famiglia Cervi, ma più in generale della vita e delle lotte contadine dell’Emilia Romagna dell’epoca fascista. La voce del padre Alcide, fiera e battagliera nonostante il dolore e la vecchiaia, mi ha commossa e intenerita.
"Ma i padri e le madri sono fatti così, adesso lo capisco. Pensano che loro moriranno, che anche il mondo morirà, ma che i loro figli non li lasceranno mai, nemmeno dopo la morte, e che staranno sempre a scherzare coi loro bambini"