Infaticabile esploratore di culture lontane, da oltre quarant’anni Cees Nooteboom si ferma d’estate a Minorca, «isola del vento»: certi legami non li scegliamo, ci sono e basta, e il legame dello scrittore olandese con la Spagna è di questa natura, insondabile. È nella dimora minorchina, con lo studio pieno di libri e il giardino presidiato dagli autoctoni dei regni vegetale e animale, che hanno inizio i 533 giorni di stesura di queste riflessioni. Non un diario, non un insieme di moti dell’animo organizzato per date, ma un «libro dei giorni», per trattenere «qualcosa del flusso di pensieri, delle letture, di quel che si vede». Cactus, palme, tartarughe, ragni hanno forse un proprio linguaggio, che però resta impenetrabile. Nooteboom si interroga con l’umiltà del profano su misteri botanici e zoologici, li intreccia alla sua passione per le lingue umane aprendo ponderosi dizionari, resta in ascolto quando scopre suoni nei rumori, alza lo sguardo su Cassiopea e si fa astronomo e mitologo. Ogni impressione è passata al vaglio del deposito memoriale di una lunga vita di esperienze e letture, che spalanca finestre su vasti orizzonti: la Divina Commedia e i libri che ha generato, l’impossibile incontro tra Montaigne e la musica di Feldman, il disprezzo dell’amatissimo Borges per l’amatissimo Gombrowicz, il volo infinito dei Voyager, il ripetersi della storia come tragedia e mai come farsa. Una rapsodia meditativa che vorrebbe escludere il rumore dell’attualità, ma che nell’attualità – della Catalogna, della Spagna, di un’Europa lacerata – deve più volte tornare, perché se come dice Candide «bisogna coltivare il proprio giardino», il proprio giardino è nel mondo, che lo si voglia o no.
Cees Nooteboom (born Cornelis Johannes Jacobus Maria Nooteboom, 31 July 1933, in the Hague) is a Dutch author. He has won the Prijs der Nederlandse Letteren, the P.C. Hooft Award, the Pegasus Prize, the Ferdinand Bordewijk Prijs for Rituelen, the Austrian State Prize for European Literature and the Constantijn Huygens Prize, and has frequently been mentioned as a candidate for the Nobel Prize in literature.
His works include Rituelen (Rituals, 1980); Een lied van schijn en wezen (A Song of Truth and Semblance, 1981); Berlijnse notities (Berlin Notes, 1990); Het volgende verhaal (The Following Story, 1991); Allerzielen (All Souls' Day, 1998) and Paradijs verloren (Paradise Lost, 2004). (Het volgende verhaal won him the Aristeion Prize in 1993.) In 2005 he published "De slapende goden | Sueños y otras mentiras", with lithographs by Jürgen Partenheimer.
Questo non è propriamente un diario, è bensì un taccuino su cui giornalmente Nooteboom annota le sue riflessioni, scrivendo dall'isola su cui trascorre, da cinquantanni, metà dell'anno e dalle montagne su cui trascorre il resto dei mesi dell'anno.
“Non è nemmeno certo che questo sia davvero un diario, forse è piuttosto un libro dei giorni, uno strumento per trattenere di tanto in tanto qualcosa del flusso dei pensieri, delle letture, di quel che si vede, di certo non è un libro di confessioni. Il Leitmotiv era il faut cultiver notre jardin, finché non ho capito che era il mio giardino a insegnarmi qualcosa.”
"«Il faut cultiver notre jardin», dice Voltaire in conclusione del Candide. E se le cose stessero diversamente? O se fosse il contrario? Io non sono una pianta, ma se fosse il giardino a coltivare me? A insegnarmi inaspettate forme di attenzione?"
L'ho ascoltato a BookCity Milano 2019 e sono rimasta incantata da quest'uomo che ha lo sguardo incantato del poeta. E lui è prima di tutto un poeta e in quell'occasione rivelò che lui non sa concepire e vedere la realtà al di fuori della poesia.
E tra questi appunti, Nooteboom parla degli autori che legge, dei libri a lui cari, del suo rapporto con i quotidiani, dei suoi ricordi: "Non è mai stata mia intenzione fare di queste annotazioni un diario, volevo spingermi all’interno, non più all’esterno. Lì ci sono stato tanto a lungo e tanto spesso. La sensazione di essere stato espulso dal mio tempo. Brutalmente. La parola nederlandese leeftijd («tempo della vita», «età») è ambigua. Il tempo va inarrestabile per la sua strada, mentre la vita cambia e vuole abituarsi alla propria fine. Non c’è niente di patetico in tutto questo e il giardino è istruttivo. È una strana estate nel cuore dell’inverno."
È una lettura che arricchisce e nella quale ho trovato altri libri a me cari: "In quei giorni stavo leggendo lo splendido libro sulla falconeria di Helen Macdonald (Io e Mabel, ovvero L’arte della falconeria), la quale a sua volta, all’interno del proprio libro, legge il tragico libro di White che, come lei, cerca di addestrare un falco alla caccia, ma fallisce miseramente per una fatale mancanza di comprensione di se stesso e del falco, così che l’amore tra uomo e animale degenera in odio. Mi stava accadendo qualcosa di simile? No, io ho perseverato con ostinazione ma anche con amore. E oggi il primo bocciolo, dopo tutta un’estate. Sono state la tempesta e la gran quantità d’acqua? È sempre la natura a decidere?"
Dalla sua casa di Minorca Cees Nooteboom osserva le cose, cactus, falene, rimugina su autori a lui cari, Proust, Canetti, Gombrowicz, Joyce, divaga, scrive di Voyager 1 e 2 come se fosse una storia romantica. Si insinua nella cronaca d'oggi (il libro è del 2016) alla sua maniera.
“I fiori di cactus non sono paragonabili agli altri fiori. A guardarli sembra quasi che abbiano ottenuto una vittoria e che stranamente abbiano voglia di sposarsi oggi stesso, anche se non è chiaro con chi. Il mio cactus più vecchio, che era già qui quando arrivai, quarant’anni fa, è tutto fatto di contrasti, come se avesse tante età diverse. Ha le foglie larghe, ammesso che si possano chiamare foglie: sono più che altro grandi mani protese ma prive di dita, verdi e massicce forme ovali cosparse di piccoli aculei, insomma il cliché del cactus in un paesaggio messicano. Io di cactus non so niente. Qui gli autoctoni erano loro, io sono l’intruso”
"E io, con la mia nostalgia? Che cosa intendevo dire?”
"Le farfalle, in genere, non vivono a lungo: la maggior parte delle specie ha il tempo contato in giorni, qualcuna in settimane, non di più. Sul mistero del tempo e della durata ho imparato che c’è ben poco da dire.”
“Se ti trovi su un’isola sei più lontano dal mondo? Benché i media raccontino le stesse cose, la risposta è sì, ma è difficile dimostrarlo perché la questione riguarda fattori atmosferici come la neve, l’inverno, il freddo, la lingua.”
“Al termine della sua breve esistenza, Proust si interrogava sulla vita che avrebbe avuto la sua opera dopo la sua morte. Cent’anni gli sembravano molti, e in questo ha mostrato eccessiva prudenza o finta modestia. Tra poco quei cent’anni dalla sua morte saranno trascorsi e la sua opera è ancora vivissima. Quello a cui forse pensava meno era la lingua. Non solo i libri, anche le parole muoiono: scompaiono, si coprono di polvere, diventano ambigue o acquisiscono altri significati. Una volta il mio editore francese mi ha chiesto in che lingua avessi letto Proust e quando, un po’ offeso, gli ho risposto: «In francese, chiaro», lui ha detto: «Ma è assurdo. Ovvio che Proust in francese è ancora stupendo, ma da tempo è diventato antiquato, con tutte quelle forme di congiuntivo ormai in disuso. Dalla sua morte gli inglesi hanno avuto già tre nuove traduzioni. Piacerebbe averle anche ai francesi. Non c’è niente che invecchi così velocemente come lo stile.”
(Questo passaggio lo ritengo interessante, sostiene in altra maniera quello che Kundera ripete spesso, ossia che un libro bello non perde in traduzione, poiché la sua ragione d'essere è più vasta della prosa ben fatta, anzi in alcuni casi le traduzioni possono rivitalizzare un testo che per chi lo legge in originale suona vagamente strano, miele che attira i cattedratici in considerazioni marginali; penso alla lettura illuminante di Coetzee delle opere di Svevo. È ovvio che ritradurre Svevo in un italiano attuale per noi sarebbe stridente e poco sensato, ma chi lo legge direttamente in traduzione riesce ad apprezzarne l'anima delle cose all'interno del romanzo, e non si distrae da considerazioni estetico letterarie sulle mutazioni della lingua)
Ovo je prva knjiga Ceesa Nootebooma koju sam ikada pročitala i jedna od posljednjih koju je autor pisao. Nastala je u vrijeme kada navršava osamdeset i nešto godina, neopterećen željom da ikoga fascinira ili osvoji, svjestan da je to već učinio svojim ranijim dijelima zahvaljujući kojima nema potrebu dokazivati da je razlog zbog kojeg piše veći od pisanja samog. Hrvatsko izdanje je izvrsno prevedeno i jezik zvuči bogato i pitko. Hrvatsko izdanje ove knjige je i izvrsno dizajnirano, što se naročito odnosi na izbor papira i formata. Košuljica ovitka nježna je i mekana, a hrapavost papira unutar knjižnog bloka lijepo usporava prste, što se savršeno se uklopilo u motive oko kojih se vrti tekst – kaktusi, kornjače, otoci – svi oni imaju svoj ritam i svoj prostor koji ne dijele ni sa kim jer se, bodljama, oklopima i morima odvajaju od ostalih.
Autor bilježi zapažanja o naizgled nevažnim fragmentima vlastita života – najčešće o kaktusima koje uzgaja, unutar čijih se dugovječnih, naizgled usahlih stabala trijumfalno pojavljuju novi cvjetovi, što navodi na pomisao kako u tijelu svojih biljaka vidi odraz sebe kao osamdesetogodišnjaka. Zapažanja o biljkama prošarana su prikazima knjiga iz vlastite biblioteke koja stoji tik uz njegov vrt – tako se u ovom djelu nalaze fragmenti Kiplinga, Stendhala, Szentkuthya, Rothka, Esterhazya i Gombrowitza. Uz to, autor u knjizi komentira i dnevne vijesti – u svoj vlastiti svijet ograđen suhozidom propušta stvarnost i od njenih krhotina pomiješanima s tekstovima o bilju i književnosti stvara cjelinu – on je poput sita koje prosijavanjem stvara bestjelesni prah što se sliježe bez žurbe i bez buke, i upravo je u tome sva njegova ljepota. Ovo je izvrstan primjer koji pokazuje kako se kvalitetna knjiga ne mora nužno sastojati od klasičnog scenarističkog sižea u kojem je jedini cilj što brže stići od početka do kraja, pa se čitatelj koji od pisca očekuje da ga zabavlja poput cirkusog klauna ne bi se trebao dohvaćati ove knjige.
Come si dice da Bricoman, il prodotto è valido e tecnicamente ben fatto. Un libro, però, non è un trapano elettrico. Io, per lo meno, chiedo emozioni oppure nuovi orizzonti; devo dire che qui mi sono un po' mancati.
Ik ben bepaald geen kenner van Cees Nooteboom, maar het weinige dat ik van hem las gaf mij wel veel plezier. Dus mijn echtgenote, die 533 van Nooteboom voor de kerstvakantie had gekocht en gelezen, hoefde weinig moeite te doen om mij ervan te overtuigen dat ik het ook mooi zou vinden. Daar bleek ze vervolgens helemaal gelijk in te hebben: een mooi boek om te lezen, over na te mijmeren, en over te praten bij het haardvuur.
Waarover gaat het? Over Nooteboom zelf, of liever zijn mijmeringen, gedachten en op een rijk en lang en zeer belezen leven berustende associaties, opgedaan in 533 dagen, in een klein dorpje op het ongerepte en tamelijk verlaten eiland Menorca. Zijn motto is "il faut cultiver notre jardin", oftewel "men moet zijn tuin bewerken": een uitspraak uit "Candide", van Voltaire, waarin de hoofdpersoon eerst de volle chaos van de wereld ervaart en zich daarvan afwendt door nauwgezette zorg voor het cultiveren van de eigen tuin. Zo ook Nooteboom, die zich helemaal overgeeft aan cultiveren en vooral observeren van zijn eigen woeste tuin in Menorca, vooral van de grillig groeiende cactussen die hem als eigenzinnige en ondoordringbare raadsels toe zwijgen. Die observaties zijn prachtig opgeschreven, en met foto's fraai geïllustreerd: de weerbarstige raadselachtigheid en grilligheid van die cactussen word goed voelbaar gemaakt, en de wijze waarop dat bijdraagt aan de toch al voor kaalheid en onthechting zo gevoelige geest van Nooteboom is zonder meer fraai opgeschreven. Meer dan eens zegt Nooteboom dat niet hij de tuin cultiveert, maar de tuin hem, en dat vooral de cactussen hem iets leren. Dat "iets" lijkt dan neer te komen op een tocht naar binnen, naar het raadsel van de eigen geest, en een soort beschouwelijke berusting in de dood, de eindigheid, in het feit dat we allemaal verloren ronddwalen in de kosmische leegte. Ook wij zijn alleen, ondoordringbaar, ontoegankelijk, raadsels voor onszelf en anderen. Ook ons spreken en denken verzinkt uiteindelijk in stilte en leegte. En ons past het dus om onze eigen stilte te zoeken, zwijgzaam en in onszelf verzonken als de cactus. Aldus Nooteboom, als ik hem goed begrijp. Het lijkt met andere woorden wel alsof de cactussen en de verlatenheid van Menorca staan voor een verlangen naar verlatenheid, naar kaalheid, naar stilte. De stille tuin cultiveert de stilte in Nooteboom.
Het boek is echter allesbehalve somber en al helemaal niet somber makend. Het is duidelijk het boek van iemand die lang heeft geleefd, en veel dingen die hij als jeugdige erg belangrijk vond niet zo belangrijk meer vindt. Maar het is nog veel meer het boek van een nieuwsgierige, associatieve en helder observerende geest. De passages over cactussen, gekko's, palmen, motten en andere natuurfenomenen getuigen bijvoorbeeld van veel onbevangen en nieuwsgierig observatievermogen: je wordt alleen al vrolijk door al die onverwachte details die Nooteboom ziet bij een cactus. Ook word je vrolijk van de vele vragen die hij zich stelt bij het kijken naar een dier of een plant: vragen die geen antwoord krijgen, maar dat is juist goed want dat houdt de verwondering levend. In een passage over Borges zegt Nooteboom dat deze schrijver "bij [allerlei] raadsels een gevoel had van hilariteit, en dat kan ik dan alleen maar definiëren als de opgetogen vreugde die duizend elegante vraagtekens zonder blijvend antwoord je kunnen bezorgen". Nou is hilariteit niet het eerste woord dat Nooteboom bij mij oproept, maar vreugde vanwege de elegante vraagtekens kenmerkt ook het effect van zijn proza op mij wel heel sterk. Zo schrijft hij fraaie regels over wat hij voelt als een zeldzaam schuwe en zelden waar te nemen vogel ineens bij hem komt zitten: een bijna onwerkelijke gebeurtenis door zijn zeldzaamheid, die ook een nauwelijks in woorden te vatten indruk op hem maakt. En exact dat brengt Nooteboom mooi over door vragen te stellen, namelijk of je iets als dit wel een gebeurtenis kunt noemen, en zo niet, welk woord is dan beter? Ook stelt hij mooie vragen over dromen: hoe kan het dat meerdere mensen in meerdere continenten van mij, Cees Nooteboom, hebben gedroomd? En waar was ik op dat moment?
Zelf vond ik ook al zijn associatieve mijmeringen en open vragen over literatuur en kunst heel mooi. Vrij vroeg in het boek zegt hij een aantal m.i. bijzonder rake en scherpzinnige dingen over Witold Gombrowicz, en diens bewust vormloze en aan "rijpheid" ontsnappende romans en toneelstukken. Maar nog veel fraaier is hoe hij veel verderop gaat associëren tussen Gombrowicz en David Bowie, en hoe hij de vele gedaanten die Bowie aannam duidt als een ultiem Gombrowicziaans en dus Proteisch onrijp kunstwerk. Beeldschoon schrijft hij over een aantal Hongaarse schrijvers die ik helemaal niet ken: Esterhazy, Banffy, Szenkuthy: zo beeldschoon dat ik ze nu alsnog kennen wil. Uiterst aanstekelijk schrijft hij ook over Borges, Canetti, Brecht, Frisch, Joyce. En nog fraaier hoe hij via zulke schrijvers en kunstenaars tot associatieve mijmeringen komt over de wereld. Een overbekende foto van een verdronken jeugdig bootvluchteling-jongetje associeert hij op ontroerende wijze met Sint Christophorus, die het Christuskind over het water droeg, en mondt uit in een ijzingwekkende observatie: Europa bestaat niet, want Europa heeft niet eens dit kind kunnen tillen. En de krankjorume al tientallen jaren durende ruimtereis van Voyager 1 en 2 ziet hij, als lezer van o.a. de Odyssee, als "Reizigers in hun oceaan zonder water, buiten het domein van de zon op weg naar een wolk van gevaren, hun weg naar het overal van de kosmische leegte, het huis van de volgende ster". Een mooi beeld, dat op intrigerende wijze gevoed wordt met fraaie absurdistische anekdotes over de Voyager (de inmiddels zeer verouderde technologie, de inmiddels stokoude geleerden die als enigen nog in staat zijn om de informatie die de Voyager zendt te interpreteren, de onvoorstelbare afstanden), met prachtige beschouwingen over de dichter Mallarmé die zo peilloos en ondoorgrondelijk schreef over Het Absolute en de kosmische leegte die ons omringt, met schilderijen waarop Charons tocht over de Styx is afgebeeld, met treffende citaten uit eerder werk van Nooteboom zelf, en zo meer. Wij zijn allemaal eenzame reizigers in de kosmische leegte, zo suggereert Nooteboom. En hij laat ook mooi zien hoe je die reis kunt voltrekken: berustend, maar met open en nieuwsgierig oog.
Ja, een mooie Nooteboom. Misschien moet ik meer lezen van die man, en mij vaker laten bedwelmen door zijn contemplatieve en associatieve mijmeringen.
Vor ein paar Jahren habe ich Cees Nooteboom bei einer Lesung dieses Werkes erlebt. Er war schlecht gelaunt und dem eitlen Moderator gelang es nicht, ihn in Stimmung zu bringen, sondern ihn noch zu provozieren. Nooteboom brach das Gespräch ab und beschränkte sich darauf, einige Kapitel zu lesen. Einem Nichtmuttersprachler beim Lesen einer deutschen Übersetzung zuzuhören ist selten ein Genuß und so hatte ich auch in der Folgezeit wenig Muße, mich diesem Werk zu widmen.
533 Tage ist in gewissem Sinne eine Fortsetzung von "Roter Regen" und ein wirklich gelungenen Alterswerk, ja in meinen Augen eines der besten Werkes dieses Autors. Langsam und klug, unspektakulär aber nie langweilig, expoliert Nooteboom von seinem Altag im Ferienhaus auf Menorca zu größeren Themen und läd dabei in seine Lese- und Gedankenwelt ein. Eine konkrete Handlung gibt es nicht. Vielmehr eine großzügige Einladung zum Weiterdenken, Weiterlesen und zum Nachdenken über einige Werke dieses und anderer Autoren.
Bespiegelingen op het verblijf van de schrijver op ‘zijn’ eiland Menorca. Van zijn tuin tot de politiek en van het dagelijkse leven daar tot zijn boeken. Het deed me een beetje denken aan ‘Andalusisch logboek’ van Stefan Brijs dat ik kort geleden las en ook Spanje als onderwerp had. Op de een of andere manier beviel de stijl van Nooteboom me beter.
Este libro es una preciosidad, aunque me costó su poco. Son básicamente anotaciones a lo diario de vida que cubren 533 días (entre 2016 y 2018) de un autor holandés, que al parecer vive gran parte del año en la isla de Menorca, España. Una isla a la que ahora me quiero ir a vivir también, jajaja.
En algún momento reconozco que se me hizo difícil: la variedad de temas es amplia y pasó, por ejemplo, capítulos enteros hablando de escritores húngaros. Pero el estilo es sencillo y, una vez que decidí saltarme las partes donde no sabía nada, y donde ni siquiera era viable educarme... lo encontré maravilloso.
Además, aprendí mucho.
Aunque habla de un montón de cosas, mis favoritas fueron las relativas a su jardín, y a la naturaleza. Uno no puede equivocarse con un tema como ese, porque es uno que adentro llevamos todos.
Citas que destaqué:
1. A veces paso horas enfrascado en la lectura del diccionario, y me siento entonces como dentro de un batiscafo que desciende hacia las profundidades infinitas de mi lengua, donde habitan palabras que nunca he visto ni leído, nombres de objetos extinguidos, oficios inconcebibles, variantes lingüísticas y sinónimos que ya nadie conoce, citas extraídas de poemas ya desaparecidos y libros que deben probar que esas palabras o expresiones existieron alguna vez de verdad, en un tiempo que quedó atrás para siempre.
Es un mundo extraño ese de las profunidades. Me gusta pronunciar en voz alta las palabras naufragadas para que parezca que vuelven a la vida al menos una vez más, pero al cabo de un par de horas regreso al mundo donde han perdido su validez y es como si llegara a un país extranjero con billetes de banco sin valor.
2. El cactus erizo sigue cubierto de espinas rojas y en su costado tiene un comienzo de hinchazón que deberá transformarse en flor. Los cactus no saludan, ni siquiera cuando hace mucho que no los has visto. Nos miramos como quien no quiere la cosa. El de los brazos finge estar en México. Al acercarme a él, descubro que ha vuelto a crecer o que yo he encogido. El otro cactus estrecho, prácticamente unidimensional y armado hasta los dientes, es ahora casi transparente, y el cuarto, el solitario, el noble Myrtillocactus geometrizans que yo llamo El Soldado, se pone firme, como siempre, pero sin hacer el saludo militar.
¿Son estos los nombres verdaderos de esos cactus o me los he inventado yo para alardear de mis conocimientos? Tengo ahora tres libros alemanes sobre cactus, pero lo único que sé con regularidad es que el poderoso grupo que había aquí cuando llegué hace ya mucho tiempo, luce este año de nuevo unas pequeñas flores amarillas en los extremos que en septiembre y octubre se convertirán en frutos maduros.
No permiten que nadie albergue ninguna duda- quienquiera que entre en el jardín, los llama cactus -. Están muy juntos, apretados unos contra otros, como un ejército o como una reunión de sindicalistas preparando una huelga. A causa de su altura me miran con desdén: yo soy el propietario de la fábrica y ellos me exigen una subida de sueldo. Tienen manos grandotas que nunca podrán tocar el piano. Es conveniente no arrimar la piel a ellos. No les agrada desprenderse de sus frutos; sus espinas son prácticamente invisibles pero se siguen sintiendo al día siguiente.
Por lo demás, yo vivo en la inocencia. Las guías de cactus ofrecen, de forma confusa, diferentes nombres en latín y alemán, para sus velludas formas cónicas, sus aberraciones y sugestiones fálicas.
Mientras trabajo, soy consciente de que me rodean. El viento no los mueve. Los cactus son los habitantes más inmóviles y yo convivo con sus misterios. Son mi compañía. Mis coetáneos tienen Facebook y Twitter. Cada vez que regreso al mundo, los veo a mi alrededor en trenes y autobuses trajinando con sus móviles, sus dedos voladores y sus amigos fugaces. Mis amigos de aquí, en cambio, están quietos y callados. Simplemente están.
3. Por primera vez en dos meses, lluvia. Veo avanzar a la pequeña tortuga hacia un destino desconocido, como si tuviera un objetivo. El amarillo y el verde de su caparazón relucen por la humedad. El verde se ha tornado más oscuro, y el amarillo, más claro. La tortuga camina sobre la tierra roja como una joya que nadie ha diseñado.
4. Sobre quienes echaron a andar los Voyager 1 y 2.
Esas personas existen todavía, tienen nombre y apellido, y siguen a diario a la sonda Voyager, aunque solo sea porque son los únicos capaces de manejar los aparatos ya obsoletos (¡!) con los que mantienen contacto. La electrónica de los años setenta y el lenguaje máquina de la computadora primitiva que manejan ya sólo son para iniciados. (...)
No puedo sino imaginar lo que significa un vínculo de esta naturaleza cultivado a lo largo de cuarenta años. Cada una de esas dos máquinas, del tamaño de un Volkswagen Clásico, está coronada por una antena de unos tres metros de longitud orientada hacia la Tierra, que ahora se halla ya a una distancia de miles de millones de kilómetros. (...)
En otros tiempos el equipo constaba de unas doscientas personas. La mayoría de ellos ya se han jubilado, se han vuelto prescindibles. Cuando las Voyager aún sobrevolaban los planetas, esos especialistas eran imprescindibles, porque su tarea era indicar a cada minuto a las sondas dónde mirara para fotografiar aquellos planetas nunca vistos que los habitantes de la Tierra contemplábamos fascinados. Ahora ya no hay nada que fotografiar. El espacio se parece continuamente a sí mismo.
Quizá ya no importe tampoco dónde se encuentren las sondas a cada segundo: simplemente se fueron y recorren la inmensidad mientras sigan existiendo. Y aún hoy transportan el disco de oro que Kurt Waldheim les entregó en 1977 y que nadie escuchará jamás, por mucho que contenga mil veces el "Padre Nuestro", la Novena sinfonía de Beethoven y las palabras incomprensibles en todas las lenguas de la tierra, a la que no regresarán jamás.
Quizá nuestra gran hibris consista en creer que existen criaturas como nosotros en el universo. Seres que con sus inconcebibles manos extraerán el disco de su envoltorio, lo colocarán en el plato del tocadiscos y, con lágrimas en sus lentes inexistentes, canturrearán la Novena anhelando encontrarse con nosotros en nuestra estrella, que se extingue lentamente. Para mayor seguridad el disco viene acompañado de una ilustración que muestra cómo se fabrica un tocadiscos.
5. Es un día claro de enero. El cactus de las armas malignas ha echado unas diminutas florecillas amarillas, los cactus pequeños con pelusilla en la maceta las tienen del mismo tamaño pero en morado, y al centenario almendro partido por la mitad le han salido cientos de capullos y las primeras flores blancas. Concluyo que el cosmos es una ilusión y siento la tentación de besar la tierra de mi jardín como un papa polaco.
Alternating from his residence in Spain and in Germany, the author reminisces about his life, books he's read and observes minute changes in his surroundings. Both contemplative and at times humorous and endearing, these observations on plants, life, culture and memory really paint a picture of a life lived in duality (like his dual residence), because the inside life and thoughts are a life of their own co-existing with the outside life, however grandiose or mundane it might be. You might gain some knowledge about the flora and fauna in Spain from this book, but more importantly, this meditative state the writer describes might inspire you to notice minute changes in your surroundings, as well as in your mind. I like reading books with zero plot, just vibes, and this is a beautiful one. I wish we got more of the Germany residence and culture, but I'm grateful for the bits we've got. This is such an unusual book, but felt like a much needed respite from the chaos and plot-driven books.
From the opening page, the veteran author’s lightness of touch is evident: Nooteboom is a writer who can butterfly across themes and delve in to draw out the thought provoking nectar.
The cactuses in his garden in Menorca give him pause for thought. The shades of green, the spines and the simple eye catching sturdiness allow his mind to wander this way and that. His descriptive talents and reflective prose take the reader from his garden, across the windy island, back to Europe and beyond.
He muses on authors and literature, on politics and news, and upon the simple pleasures of life. There are filmic dreams to be prised open and examined, and further discourse to be had on how the images are assembled in the deepest subconscious; and where they might have found their inspiration.
A butterfly pair alights on the beautiful entrance gate to his property, only to discover they are incomers and dangerous to certain plants. Can he contemplate ‘despatching’ these eye catching creations of nature in order to preserve his garden? The wild tortoises wander around, nibbling his beloved cacti and he is alert to the dulcet, sonorous calling of his neighbour’s cockerel.
This is almost one long passage – penned over 533 days – a stream of consciousness, a collection of the musings of a creative, experienced and intelligent mind. On occasion the writing and thinking become quite dense, as he disappears down various rabbit holes of thought, but overall this is an open invitation to readers to loop into his life and share his insightful ramblings and observations. A lovely treatise on life and Menorca.
Dinanzi alla natura, sussurra Nooteboom, fra innesti, germinazione ed evoluzione, siamo davvero poca cosa e tutte le nostre ansie e le nostre ambizioni non sono altro che un granello di polvere nell’infinito. E lo dimostra ammettendo sin dalla prima pagina il proprio ruolo: «io di cactus non so niente. Qui gli autoctoni erano loro, io sono l’intruso». Si fa presto a sentirsi a casa, ora cullati ora pungolati dalle riflessioni dell’autore, lì sull’isola di Minorca in cui ogni cosa rallenta e le prospettive mutano – «la Natura non può minacciare, un ruscello non può pensare, le rose non possono disperarsi» - o meglio, trovano un proprio naturale equilibrio. Osserviamo le quotidiane prodezze di una tartaruga, concedendoci il tempo per valutare il peso che ancora oggi la mitologia esercita sul nostro modo di pensare e costruire archetipi culturali. Come afferma il Candido di Voltaire, «bisogna coltivare il proprio giardino».
Prachtig dagenboek van de ouder wordende schrijver. Nooteboom, die tientallen jaren over de hele wereld reisde en daarover schreef, verblijft nu het liefst in zijn huis en tuin op Menorca. Mijmerend over de cactussen in zijn tuin of over een insect op de muur van zijn slaapkamer, terwijl de wereld een enkele keer doordringt via de radio. Af en toe gaat hij weer op pad voor lezingen of andere afspraken: 'verbannen naar de wereld' noemt hij dat. En dan die taal van Nooteboom! Al decennia een van mijn favoriete schrijvers.
È la prima volta che leggo Cees Nooteboom, pietra miliare della letteratura nord europea e me ne sono innamorata dalle prime pagine. I più lo ricorderanno soprattutto per “Tumbas”, ma la mia scelta è stata dettata dalla curiosità suscitatami dalla presentazione e dalla copertina (e Iperborea cura molto anche l’aspetto grafico delle sue edizioni). Lo scrittore mi incuriosisce non poco e mi sono procurata ben prima di terminare “533 Il libro dei giorni “ altri suoi libri, perché la sua lucida analisi del mondo che lo circonda, degli eventi del passato comune (Nooteboom ha 87 anni!) le sue riflessioni scritte in maniera così cristallina e a volte secca, mi sono veramente piaciuti. Ha al suo attivo tantissimi libri, racconti di viaggio, poesie, romanzi. Veniamo a questo libro. Ci sono dei cactus sulla copertina: i cactus e le piante sono ricorrenti nell’opera, rappresentano una sorta di mondo interiore che bisogna coltivare, seguendo la frase di Voltaire “il faut cultiver notre jardin”, ma non ne sono l’unico motivo. Il libro non è un romanzo, non è neppure un diario, è una sorta di raccolta di appunti, pensieri e riflessioni dell’autore: “Non è mai stata mia intenzione fare di queste annotazioni un diario, volevo spingermi all’interno, non più all’esterno. Lì ci sono stato tanto a lungo e tanto spesso. La sensazione di essere stato espulso dal mio tempo”. Nooteboom è olandese, ha viaggiato tantissimo da giovane facendo gli autostop e da ben 65 anni passa una parte dell’anno sull’isola di Minorca dove coltiva un giardino di cactus, surfinie, ibischi ed ha una libreria stracolma di libri, compresi classici latini e greci, Dante e Leopardi, Proust, Joyce, Gombrowicz,Bernhard, Wilde, Canetti, Nabokov e tantissimi altri. “Tutto è come l’ho lasciato a dicembre. Per sei mesi i libri si sono letti da soli, quel che vedo è il mio autoritratto da lettore. Vago dentro e fuori dai miei libri con l’arbitrarietà di chi vuole tutto e non sceglie niente, consapevole che tutto quello che si trova qui ha fatto di me quel che sono, anche i libri che non ho letto.” Questo libro contiene i suoi pensieri sparsi raccolti in 533 giorni passati soprattutto sull’isola spagnola e in piccola parte nel Nord Europa e riflette il suo bisogno di rifugiarsi nelle sue riflessioni a “rimuginare su se stesso”, imparando dal giardino “inaspettate forme di attenzione”. Arrivato alla sua veneranda età può permettersi di parlare del mondo e della storia che ha vissuto senza peli sulla lingua, può parlare delle opere dei vari scrittori, tra cui alcuni conosciuti di persona (Durrenmatt), facendo inaspettati parallelismi e contrasti. Può esprimere senza riserve ciò che pensa di un’Europa, che ha sempre provato a diventare un’unica realtà ma va “sfrangiandosi ai bordi”. “La Grecia è di nuovo avvolta nei velami di una menzogna politica; così non può funzionare e lo sanno tutti, l’Europa è spezzata prima ancora di essere mai stata veramente unita, il parlamento tedesco esegue una costosa e triste pantomima per far più bella figura sul libro della storia e quello olandese lo segue danzando ipocritamente. Nella Cina postmaoista la borsa del partito pseudocomunista fa tremare le borse capitaliste di tutto il mondo, mentre la Spagna avanza costantemente e a malincuore verso la propria lacerazione per appianare i conti in sospeso con un centralismo arrogante e corrotto”. Ma tutto questo il suo giardino non lo sa. Anzi, non gli interessa, ha ben altre preoccupazioni! Il mondo, nonostante il progresso tecnologico, è sempre uguale a se stesso perché “gli occhi vedono ciò che sono abituati a vedere”, gli eventi più importanti spesso passano inosservati e si compiono un sacco di errori. Gli stessi della storia. Nb. Il libro contiene bellissimi scatti di piante e insetti del suo giardino, fatti da Simone Sassen. La traduzione dal nederlandese è del bravissimo Fulvio Ferrari. Si gode al massimo se letto lentamente.
Weer een heerlijke Nooteboom. Niet schrokken. Degusteren. Af en toe een hapje. Ook omdat je tijd nodig hebt - tijd, zo belangrijk hier - om allerlei dingen te lezen en op te zoeken. En om af en toe na te denken over wanneer je nu zelf naar Menorca gaat. Genoten. Groot schrijver.
Prekrasna knjiga intimnih zapisa o vrtu Nooteboomove kuće na španjolskom otoku Menorci, njegovim kaktusima, kornjačama, njegovoj rutini i mislima koje ga zaokupljaju dok je tamo.
Nootesboom’s reflections, from the simple and yet deeply moving observations in his garden to the intricacies of intellectual gamesmanship between fellow writers to the wanderings toward shores of distant planets, ricochet with elegance & humor. A thoroughly entertaining read which, now that I have read it through once, shall start again tout suite
Cees Nooteboom (born in The Hague in 1933), is a Dutch poet and novelist who has traveled and read extensively. In “533 Days” (published in 2016; translated by Laura Watkinson), Nooteboom includes 80 short chapters with ponderings of diverse nature which he mostly wrote from his house in the island of Menorca, in Spain (located in the Mediterranean Sea, next to Mallorca). Among the topics included are books (and lots of dictionaries), insects, gardens, politics, immigration, and death.
The idea which ties this book together is a reference to Voltaire’s “Candide”, of needing to cultivate or tend to our own garden. In Nooteboom’s case, it was a literal garden, where he explored cacti, moths, and tortoises, as he reflected upon his more than eight decades of life. However, as the author well noted, his “garden is in the world” (p. 172), which is why he ultimately dedicated some chapters to discussing political situations happening in Europe.
I was drawn to this book because I read an article where a history professor (Jean Meyer) grieved about the current status of the world. In his article, Meyer cited Nooteboom, who in turn referenced Elias Canetti’s very powerful quote manifesting outrage against God: “The risen suddenly accuse God in all languages: the true Last Judgement” (p. 13).
Some snippets of the book were very interesting, and it felt rewarding when I could understand the situations or references (from writers and composers to climate change and world events). However, in many cases, I could not understand his references and the author did not provide much context, so parts of the book are easily forgettable to me.
Throughout this book, Nooteboom referenced many authors and composers. Unfortunately, he mostly referenced men. While these men are undoubtedly classics (Canetti, Voltaire, Joyce, Nabokov, Proust, Borges, Dante, Aristotle, Shakespeare, Heidegger, Kafka, Goethe, Kipling, Wilde, Diderot, Humboldt, Tolstoy, Poe, Virgil…), Nooteboom should have made an effort to highlight more works by women.
Notable quotes: “The older you become, the more dead people you know, they are nearby, we are surrounded by ghosts (…) After each death, the unsaid sentences pile up, wrapped in cobwebs, thoughts preserved and never spoken, memories you carry with you, things done that cannot be undone, which still come knocking at unexpected moments” (p. 53).
“Germany, the large country. It lies there in the middle of our weary continent and struggles with its density, its past, which almost everywhere, is also that of others. Germany has nine neighbors, each with its own past and present, with which the German past and present is intertwined” (p. 168).
È il primo Libro che leggo di Nooteboom, no so perchè abbia deciso di iniziare da queste "pagine diario", certamente mi sarò lasciato ispirare dal titolo e da qualche recensione letta qua e là. Ebbene, l'autore vale, e pure tanto, ma non è il mio giudizio ad essere influente. Se non erro credo di aver letto da qualche parte che più volte Nooteboom è stato considerato tra i possibili premi nobel, ma neppure il nobel, a mio avviso, fa grande un autore. Nooteboom ha quella scrittura che contiene poesia e questo già per me è sufficiente perchè automaticamente c'è filosofia, storia e politica. In questo libro si tenta di voler spiegare eventi della propria vita, interiore ed "esteriore", attraverso gli accadimenti naturali che si susseguono in un giardino, o meglio nel suo giardino di una casa sull'isola di Minorca. Piuttosto che delle riflessioni vere e proprie, ho notato che il ritorno annuale sull'isola, è un ritorno alla propria intimità, ai propri libri, al contatto con la propria interiorità per rielabolarla dopo aver fatto carico di esperienze in giro per il mondo, dopo una vita ricca di viaggi e "pienezza". Il giardino dell'isola di Minorca è un cantuccio, non un rifugio, un luogo di visioni e similitudini, di fantasie e speranze, un angolo di mondo ritagliato a misura del proprio sè. Azzarderei nel dire, un "Ritiro" da quello che potrebbe considerarsi un tempo ormai estraneo. La lettura è piacevole, ma sono certo che questa non sia la sua migliore e più profonda opera letteraria. In alcuni punti le emozioni si assopiscono perchè troppo circostanziate su argomenti che non sempre rispecchiano la vita e il vissuto quotidiano. Credo che leggerò altro di questo autore per approfondire il suo stile. Nella mia libreria, infatti, mi aspetta già "Tumbas".
Geen dagboek, mara een dagENboek omdat het geen verslag van dag tot dag is, maar 80 notities in een tijdbestek van 533 dagen: van 1 augustus 2014 tot 15 januari 2016. De notities gaan voor een groot deel over de tuin van Nooteboom op Menorca, en dan met name over de cactussen en de insecten die hij met een aandachtig oog beziet en zijn observaties nauwgezet giet in prachtige taal. De schijver brengt een gedeelte van het jaar op zijn eiland. Maar hij - zoals bekend - veel op reis. En: hij heeft andere stekken. Zo verblijft hij een gedeelte van het jaar ook in Duitsland. Ook daarover lezen we. Het wereldnieuws sijpelt wel hier en daar door ('Probeer uit de wereld te blijven, en de wereld haalt je in'), en Nooteboom blijkt ook geobsedeerd door de twee Voyagers (de ruimtevaartuigen) die op het moment van schrijven ons planetenstelsel verlaten. Maar verder zijn de observaties erg alledaags. Er blijkt een exotisch insect op het eiland rond te waren die de bomen aantast. En het oog van de schijver volgt ook de gekko's rond en op zijn huis. Klinkt saai, maar zijn scherpe oog en mooie taal maken het lesen van dit boek tot een genot. Ik heb nog te weinig van hem gelezen.
Il libro di Noteboom è una sorta di diario dove si appuntano commenti sull’arte, sulla storia, sulla letteratura, sulla natura, sull’attualità, sulla botanica, sulla musica... tra i libri delle sue case alle Baleari in estate e sulle montagne tedesche in inverno. A momenti ci sembra di perdere tempo a leggere certe osservazioni ora strampalate ora così colte da risultare fastidiose, ma con l’andare del libro ti rimane in bocca un buon sapore: ti viene voglia di approfondire alcuni argomenti toccati di sfuggita, di rileggere qualche pagina scritta con grande cuore. È il bello della letteratura, anche dove sembra il deserto spunta un meraviglioso cactus pieno di vita. Un autore da approfondire.
Un libro che ammalia con le sue riflessioni talvolta profonde, altre più concise ma sempre interessanti. L'autore vive (e descrive) metà dell'anno sulle montagne tedesche e l'altra metà sull'isola di Minorca in una vecchia casa con un giardino popolato da cactus resistenti e tenaci tartarughe. Ogni capitolo, breve o più esteso, è un dono prezioso, una condivisione bella (vi sono accenni a situazioni politiche vecchie o recenti, racconti di tradizioni folkloristiche, aneddoti su vari scrittori..) Più leggo libri di questo tipo più mi rendo conto che questa letteratura ricca di digressioni è quella che attualmente prediligo. Fa viaggiare, suscita ricordi, emozioni anche profonde. Sicuramente leggerò altri suoi libri.
Una piacevolissima lettura fatta di riflessioni e pensieri che nutrono l’umanità tutta. Nooteboom è stata una scoperta molto interessante e questo suo ibrido libro-diario è un invito a soffermarsi sulle cose, siano esse il cambiare delle stagioni o grandi questioni geopolitiche. Un libro consigliato per gli amanti della letteratura ma anche per chi ha solo voglia di apprezzare i dettagli di questo mondo; perché “provate a tenervi lontano dal mondo e il mondo vi riagguanterà”.
Ik vertoef zo graag in het hoofd van Cees Nooteboom en bij dit boek had ik het gevoel dat ik erg welkom was. Op zijn eiland, Menorca, omgeven door zand, Mohammed, Xec en cactussen kijk ik mee naar de wereld. Wat is het een plezier dat ik nog zoveel boeken van hem kan ontdekken.
Random thoughts from a, at least for me, hidden master of writing. I came here to read something about Menorca Island but I finally encountered new ideas and never-heard stories.
From the first line, the author surprised me. There's no pretentiousness, he was purely curious, frank, and honest. A superior delight and surprise to read the book.