«Quello non lo insegno.» Così rispondeva Giuseppe Pontiggia a chi gli chiedeva come diventare scrittore. Non basta infatti avere l'attitudine, la volontà, l'ambizione. Come per il nuoto, si possono però ottenere buoni risultati impadronendosi della tecnica, osservando i modelli, allenandosi duramente. Per scrivere «bene» (con stile) bisogna prima liberarsi da una serie di pregiudizi: che scrittori si nasca, che il talento e l'ispirazione contino più di un severo apprendistato, che un testo letterario (e in generale un testo efficace) nasca già perfetto anziché perfettibile. Di questo era convinto Pontiggia quando, nel 1985, inaugurava la prima scuola di scrittura in Italia. Una scuola in cui si imparava innanzitutto a leggere. Leggere in senso forte, cominciando dai classici, in un «corpo a corpo» con il testo pensato per affinare la capacità di giudizio e scoprire insieme le potenzialità e i limiti delle proprie risorse espressive. Ma soprattutto per lasciarsi emozionare dalle parole, per esplorarne le stratificazioni, per imparare a usarle in modo responsabile. Scrivere, per Pontiggia, non è trascrivere le proprie esperienze, sensazioni o memorie, ma andare incontro all'inatteso che sorprende, al nuovo che disorienta: pronti a tornare indietro, e a riscrivere se necessario, per dire nel modo migliore quanto si va scoprendo attraverso il linguaggio. Perché la scrittura è un viaggio che non si lascia pianificare, ma anche il risultato di un lavoro paziente, fatto di un rapporto concreto con il testo, in tutto simile a quello dell'artigiano all'opera nel suo laboratorio. Un laboratorio che Pontiggia ha allestito per anni durante i suoi incontri settimanali al Teatro Verdi di Milano, dialogando con un pubblico eterogeneo (studenti, professionisti, aspiranti scrittori). Le sue lezioni, pubblicate a metà degli anni Novanta su due riviste («Wimbledon» e «Sette»), sono ora raccolte in un unico volume. Trentatré conversazioni in cui l'autore, in forma di intervista, affronta i molteplici aspetti della scrittura «espressiva», a cui si aggiungono altre quattro lezioni, «per addetti ai lavori ma non solo», in cui la riflessione sulla scrittura diventa essa stessa un alto esempio di scrittura saggistica, ricca di aforismi e battute fulminanti; dove il confronto con i classici, ancora una volta, ci introduce nella biblioteca e nell'officina dello scrittore, pronti a carpirne i segreti.
Giuseppe Pontiggia was an Italian writer and literary critic.
He was born in Como, and moved to Milan with his family in 1948. In 1959 he graduated from the Università Cattolica in Milan with a thesis on Italo Svevo. After a first unnoticed short story anthology published in 1959, Pontiggia, encouraged by Elio Vittorini, decided to devote himself entirely to writing starting from 1961.
“Infatti sono poche le persone che sanno «parlare». Non nel senso della correttezza grammaticale o lessicale, non è questo a cui alludo. Parlare significa fare corpo con quello che si dice, riconoscersi nelle parole, usare un linguaggio responsabile. Ripetere, con finta spontaneità, discorsi già fatti, non è parlare. Non è parlare riprendere con intemerata acquiescenza luoghi comuni. Né usare il linguaggio euforico, sovreccitato, iperbolico, che ha l’originalità della moda. Parlare è soprattutto scoprire in quello che si dice che cosa si è vissuto o si pensa o si prova. Parlare è fare esperienza attraverso le parole. Anche scrivere non è ripetere, né trascrivere, ma scoprire quello che ancora non si conosce. Scrivere è inventare - cioè etimologicamente trovare, dal latino invenire - qualcosa che non si sapeva e che il testo svela. Questo è il senso idealmente più importante dello scrivere.”
Pontiggia pensa, ripensa attorno allo scrivere, al leggere, alle relazioni tra persone, ai malintesi, alle disattenzioni, alle parole sbadate, al comico delle cose, il suo è un insegnamento discreto per la letteratura e per la vita. Cita molti autori e molti punti fraintesi; Proust ad esempio: egli non è un maestro della memoria, come molti invocano o temono, maestro della rammemorazione di fatti, non esattamente: Proust è un indagatore del suo io nel tempo, e l’io nel tempo è una composizione di Escher, è fatto di immaginazione, di spossamento, di cultura, di delusioni, di entusiasmi intimi che solo noi sappiamo in cosa consistono, Don Chisciotte dice «lo so io chi sono io» che non è presunzione ma è un dichiarare l’impossibilità di manifestare le cose come sono, come si sentono, per cui bisogna inventarsi uno stile, una rappresentazione laterale, Proust si inventa le intermittenze, mette in relazione quello che dicono le persone, i loro modi, li collaziona, ingigantisce alcuni aspetti e altri non li nota “a me sfuggiva quel che raccontava la gente, perché a interessarmi non era ciò che essi volevano dire, ma il modo in cui lo dicevano”.
Pontiggia analizza le parole con la stessa forma di curiosità laterale, il malinteso comunicativo è una forma più frequente di quanto si creda, la funzione fàtica che per i linguisti è l’acquisizione di frasi fatte per poter intavolare un discorso di circostanza (ciao come va, bene grazie, a te? non c’è male) alcuni persone dallo spirito morettiano (Nanni Moretti) si rifiutano di acquisirla, contestano interiormente gli automatismi della conversazione ‘rilassata’ e risultano ‘strani’, ritrosi, fanno figure vagamente comiche; ma strani non è la parola giusta, la parola giusta non c’è, la parola giusta è letteratura, forse. Il luogo in cui si mostrano i sentimenti indefiniti, nonché comici, prima che diventino parole e abitudini fisse.
Pontiggia ha la grazia e la leggerezza del vero maestro. Non pontifica, ragiona con l'allievo e impara con lui, non offre soluzioni, pone piuttosto questioni e fornisce esempi affinché il richiedente le trovi da sé. Ha un approccio elegante e preciso alla materia ma con una apertura mentale che evita i dogmatismi. Pontiggia l'ho scoperto di recente e più lo leggo più mi piace, tanto in qualità di narratore quanto, come in questo caso, di insegnante.
Libro assoluto! Lo consiglio a chiunque ami la letteratura, non soltanto a chi scrive o vuole farlo. Pontiggia, se da un lato non dà alcuna lezione pratica, dall'altro insiste sul far confidenza con la tecnica, che non è soltanto una serie di precetti da tenere a mente e utilizzare secondo principi didascalici ma, soprattutto, è il carpire dalla lettura; dalle buone letture, dai grandi classici. Pontiggia invita quindi innanzitutto a sviscerare il già scritto, e a saper leggere quali sono gli "strumenti" applicati nei secoli per ottenere determinati effetti. Consiglia quindi di essere consapevoli: ogni parola ha un contesto, un significato, un luogo e un tempo, così come ogni scritto è un viaggio a sé stante. L'autore deve comprendere che scrivere vuol dire scoprire, e delegare allo scritto il significato più profondo di quello che si cela in fondo a lui/lei. Non si tratta di un manuale, ma di lezioni, o conversazioni, che puntano ad approfondire volta volta diversi aspetti della scrittura. È un approfondimento in divenire, colto, che aiuta a riflettere sulle azioni meccaniche che si compiono leggendo, parlando, scrivendo. Non ha nulla a che vedere con i manuali di scrittura creativa a cui ultimamente siamo abituati, ma credo che racchiuda una profonda ricchezza per chi ha a che fare con la materia. È un libro da leggere e rileggere. Consigliato.
Una raccolta di articoli e di temi tratti da lezioni, scritti da Pontiggia, per analizzare con senso critico la lingua italiana e il modo in cui viene impiegata. Dietro a una frase apparentemente innocua, P. mette in luce tutti i soggettivismi e i limiti della scrittura, quando non è preceduta da una formazione adeguata e un'attenzione costante. L'Autore si rifiutò sempre di scrivere un manuale dedicato alla scrittura, nella convinzione che questo insegnamento dovesse rapportarsi ai singoli scrittori e alle loro sensibilità. Come i grandi maestri, P. non offre regole precise, né consigli assoluti, ma spiega quest'arte con la semplicità dettata da anni di esperienza.
Ottime osservazioni sulla scrittura, sulla parola, su cosa si vuole comunicare e come. Il libro è strutturato in una serie di interviste (fittizie e godibilissime) e alcune lezioni saggistiche (meno godibili, ma comunque interessanti), intese ad affinare la critica letteraria attraverso il ragionamento e senza la pretesa di proclamare verità assolute. Consigliato a chi scrive.
Documento prezioso, che raccoglie lezioni dall'esperienza del 1985 di Pontiggia presso il teatro Verdi a Milano, considerata prima occasione di scuola di "scrittura creativa" in Italia. Riflessioni non banali sono in particolare quelle sulla retorica e sul lavoro dello scrittore, ricordando che "scrivere non è trascrivere" ma inventare (da invenire = trovare).
Libro consigliato a tutta l'umanità. In primis agli scrittori, in secondo luogo alle persone che vogliono leggere le parole e comprenderne l'efficacia; in terzo luogo a tutti. Penso che una delle cose più belle che ci possa mai capitare, è avere una conversazione con Giuseppe Pontiggia.
alterna alcuni capitoli molto complessi ad altri di maggior praticità, nel complesso ottimo saggio; fa riflettere soprattutto sull'utilizzo di alcune parole e locuzioni che usiamo nel quotidiano, spesso in maniera errata.