Il secondo volume di un capolavoro ritrovato della letteratura, la saga della cittadina di Paradise Falls negli anni fra la guerra civile americana e i primi albori del nuovo secolo. Dopo aver assistito nel primo volume all’ascesa del nuovo, nei panni del giovane arrivista Charley Wells, a discapito del vecchio, incarnato da Ike Underwood, portatore dei valori della tradizione, nella seconda parte prosegue il racconto dell’affermazione di Wells, simbolo del pragmatismo americano, l’uomo che ha costruito tutta la propria carriera sul possibile, seppellendo i concetti di eternità ed eroismo. La nuova America che si lascia alle spalle l’Ottocento e si affaccia al nuovo secolo ha il suo volto. La vecchia Arcadia di Paradise Falls è ormai contaminata. Insieme a Charley Wells continuano a scorrere le storie degli altri personaggi del romanzo, vecchi e nuovi. Ike Underwood osserva la città sfuggirgli di mano e il figlio morire povero e sconfitto. Il reverendo Jessup, ministro della chiesa episcopale, fa un sogno e lo vede realizzarsi. Edna Vance, l’organista della chiesa, si innamora del pastore.
Robertson was born in Cleveland, Ohio and attended East High School. He briefly attended Harvard and Western Reserve University (now Case Western Reserve University) before working as a reporter and columnist.
Robertson won the Cleveland Arts Prize in 1966. The Society for the Study of Midwestern Literature presented him with its Mark Twain Award in 1991. The Press Club of Cleveland's Hall of Fame inducted Robertson in 1992, and he received the Society of Professional Journalist's Life Achievement Award in 1995.
Robertson died on his birthday in 1999, aged 70. He's buried in Logan, Ohio.
Paradise Falls è stato pubblicato da Nutrimenti in due volumi, penso sia per motivi economici, che per motivi commerciali (insomma, vendere un robo di quasi 1600 pagine con l'unico appiglio pubblicitario che Stephen King lo ritiene il suo scrittore preferito, non dovrebbe essere proprio facilissimo), ma è, di fatto, un unico libro. Così lo ha scritto Don Robertson e così è stato pubblicato negli anni '60 in America - e così è caduto nel dimenticatoio, ma vabbè. Paradise Falls è il racconto del paese omonimo nell'Ohio, fra la fine della guerra civile (1865) e l'avvento del XX secolo. Le ultime pagine avvengono proprio allo scoccare della mezzanotte del primo gennaio 1900. Ora, la vastità del tempo e dei personaggi che si susseguono fra le pagine del romanzo (per dire, l'ultimo dei personaggi entra in scena ben oltre pagina 1000), unita alla lunghezza stessa, fanno sì che Paradise Falls sia un vero e proprio romanzo mondo, che è possibile esplorare in lungo e in largo, perdendocisi dentro. Quindi, secondo me, forse la cosa migliore è andare un attimo per gradi.
I PARADISE FALLS, OHIO La scena iniziale di Paradise Falls è il ritorno dei Paradise Falls Blues dalla guerra civile: l'intero paese, cioè, si risveglia e si prepara a dare il bentornato agli uomini e ai ragazzi partiti per la guerra civile. Robertson, con una scrittura che richiama molto il montaggio cinematografico, con i paragrafi tante scene montate alternativamente, in appena una trentina di pagine riesce a costruire il paese di Paradise Falls e i suoi abitanti. La costruzione, geografica, sociale, economica, ma soprattutto umana, di Paradise Falls è probabilmente l'aspetto migliore di tutto il romanzo: i personaggi creati da Robertson sono centinaia, molti sono appena nominati, compaiono per una, due scene e poi vengono nominati saltuariamente qua e là, eppure si ha l'impressione che continuino a vivere indipendentemente per tutti questi anni (o almeno finché non ce ne viene annunciata la morte). Cioè, quello che voglio dire è che non si ha mai l'impressione che Paradise Falls sia uno scenario o, peggio, un posto che attende che Robertson lo richiami alla vita per poi tornarsene all'oblio fino alla scena successiva, tutt'altro: la Paradise Falls di Robertson è una cittadina viva, di cui Robertson registra i mutamenti e che noi impariamo a conoscere, anche piuttosto velocemente, come appunto fosse una cittadina reale, in cui è possibile muoversi, con le proprie connessioni e le proprie parentele. La struttura e la scrittura stessa di Robertson cercano di riflettere questo realismo. Forse, più che realismo, il termine adatto sarebbe profondità. Paradise Falls, infatti, è un romanzo che vive di digressioni. La sua lunghezza non è tanto riconducibile alla quantità di eventi che servono a Robertson per descrivere ascesa e caduta di Wells (poi ci arriviamo), quanto perché Robertson non riesce a resistere nel partire per la tangente ogni tre per due e raccontarci la storia di chiunque compaia in scena. Cioè, per dire, sempre nelle pagine iniziali, in quel montaggio del risveglio della cittadina che si diceva prima, Robertson inserisce una decine di pagine per raccontare la storia di J.K. Bankson, caporedattore del Democrat, e del perché, nonostante sia originario del Sud, sia così contento che gli yankee abbiano devastato e sconfitto l'Unione. E J.K. Bankson poi quasi scompare dalla storia, eh. O, ancora, la storia, lunghissima, di Mrs Bird e di suo figlio. Queste digressioni sono fondamentali nel rendere vivo, reale, il paese di Paradise Falls (e anche, ma questo ci torniamo dopo, per mostrarci come ogni vita sia straordinaria). Che poi, ora, a parte la bravura di Robertson nel riuscire a tratteggiare infiniti personaggi, quello che sorprende ancora di più è il suo riuscire a tenere unite tutte queste digressioni, questi infiniti rivoli che spesso manco portano da qualche parte, senza mai dare l'impressione di un pasticcio confusionario. E ci riesce innanzitutto con la scelta particolarissima di scrivere paragrafi lunghissimi, pure decine di pagine, dando quindi l'impressione di un mondo chiuso, non spezzettato, e poi giocando molto spiazzando il lettore con una frase forte, mezzo spoilerando eventi futuri, a cui ci si arriverà con tutta la calma del mondo nelle pagine successive. Per esempio: "Amelia non disse nulla. Gli baciò l'orecchio e Fred si sentì come se qualcuno gli avesse sfiorato la pelle con un tizzone ardente. Sbatté le palpebre fissando i cielo la cui luce era accecante. Una settimana e un giorno dopo suo padre venne assassinato da Heinz Burkhart". Paradise Falls è un racconto corale. In teoria, a un certo punto appaiono dei personaggi che potrebbero (e in certe parti lo sono pure) essere i protagonisti, in particolare Charley Wells. Ma la verità è che semplicemente in alcuni punti loro sono più in primo piano rispetto ad altri, e Wells ci sta più tempo rispetto di altri, ma non è il protagonista, tanto da finire quasi sullo sfondo centinaia e centinaia di pagine prima della fine del romanzo. Questo, però, non perché nessuno conta, ma proprio per il motivo opposto: perché tutti contano. Perché tutti gli abitanti di Paradise Falls hanno la loro importanza fondamentale. Umana e spirituale.
II L'ECONOMIA DI PARADISE FALLS Il nome del romanzo, e del paese, può essere letto in una duplice accezione: Paradise Falls inteso come le cascate paradisiache che, scoperte a inizio '800, hanno dato il nome al posto, e quindi in un'ottica geografica, politica, economica, terrena, e Paradise falls, ovvero la caduta del Paradiso, il suo passaggio da Arcadia, o meglio "arcadia", a inferno. Queste due letture non sono letture separate, ma piuttosto interconnesse, in quanto la caduta spirituale è prima di tutto l'ascesa economica. Ma per comodità le smezziamo. Robertson dedica tantissimo spazio alla descrizione della politica e dell'economia non soltanto di Paradise Falls ma anche degli Stati Uniti di fine '800, alle diverse crisi economiche che si sono succedute, agli scandali (tipo una roba con l'oro e l'argento) e soprattutto alle beghe politiche fra repubblicani e democratici. La storia di Paradise Falls, intesa come cittadina, si inserisce perfettamente nel passaggio che stanno vivendo gli USA verso l'industrializzazione. In particolare, il passaggio da zona di frontiera, economicamente quasi al limite dell'economia di sussistenza, fatta di piccoli commercianti e zone più o meno autosufficienti, a un'economia di scala ben maggiore, ben più industrializzata. Questo aspetto è perfettamente esemplificato dall'avvento di Charlie Wells, che, venendo da fuori, piano piano si impossessa di terreni e fabbriche, facendo diventare Paradise Falls in pratica una città mineraria (o, meglio, nella precisione geografica di Robertson ci diventa Blood, che dista una decina di miglia da Paradise Falls, ma avete capito). Il passaggio, quindi, da piccola cittadina a città, con la perdita di quella che i suoi vecchi abitanti percepivano come innocenza e bontà, è al centro del romanzo. E' il crollo dell'Arcadia in favore dell'età moderna industrializzata. Per dire, Robertson è così sottile nei suoi simboli che si passa da boschi, ruscelli, campi coltivati a delle miniere in fiamme che bruceranno per centinaia di anni, intossicando tutti quelli che abitano nelle vicinanze. Sono tre fasi quelli che si possono trovare nella descrizione dell'ascesa (e declino) di Charlie Wells: la prima, l'ascesa, è il suo arrivo a Paradise Falls e come piano piano si impossessa di tutto, scalzando dal trono gli Underwood; la seconda è la sua lotta con i sindacati, o, meglio, il tentativo dei sindacati di modificare le condizioni dei lavoratori, fallendo (qua apro un attimo una parentesi per sottolineare come tutta questa parte sia contemporaneamente crudele e narrativamente perfetta); e, infine, come il cambiamento, così tanto cercato da Wells, non farà altro che mangiarsi pure lui. Perché il mondo è andato avanti, il mondo, che è diventato proprio come voleva lui, non può far altro che mangiarsi e nutrirsi di se stesso. Perché, in fondo, Wells è figlio (rinnegato) di quell'Arcadia, del mondo di quell'Arcadia, e nel nuovo mondo, nel nuovo secolo, non c'è spazio per lui. Il suo compito era traghettare Paradise Falls verso il nuovo secolo, verso la nuova economia, per poi essere immolato a essa. Il mondo che si affaccia alla fine dell'800 è, infatti, un mondo che si basa proprio sull'opportunismo cinico di Wells. Un'opportunismo che, però, nel caso di Wells era quasi una risposta, un'ideologia creata in risposta alle mancanze e all'umiliazione dell'Arcadia, mentre per i nuovi costruttori, i nuovi parroci, è il mondo in cui sono cresciuti e vissuti. Lo hanno interiorizzato e fatto proprio. Emblematico, sotto questo punto di vista, allora non è tanto la figura di Arthur Carmicheal, che si ispira così tanto a Wells da volerne prendere il posto (sia economicamente che sessualmente, come se ci fosse differenza), quanto più il pastore Courtney Jessup. Jessup è descritto come un uomo che ama il Signore e la sua opera. A un certo punto, giunto a Paradise Falls, si mette in testa di voler costruire una nuova Chiesa. E a quello dedica anima e corpo. Raccoglie migliaia di dollari. Mobilita le masse. Praticamente, racchiude tutto il suo essere nella costruzione di questa nuova, splendente chiesa per Dio. Eppure c'è qualcosa che stride, più o meno esplicitamente. Che diventa evidente quando per spostare l'organo dalla vecchia chiesa a quella nuova, Jessup chiede l'aiuto di mezza Paradise Falls nella notte di Natale. "Come mai, visto che è stato un lavoro così duro, nessuno ha pensato di andare a prendere il vecchio cavallo del predicatore? Avrebbe potuto spingerlo e tirarlo da solo, non credi?". L'amore di Jessup è per le opere, per la gloria, mai per le persone. Jessup non è altro che l'utilitarismo di Wells, del capitalismo industriale e minerario di fine '800, fattosi religione. Però quello che evita che Paradise Falls diventi una lagna sui tempi che furono, signora mia, è il fatto che l'Arcadia sia in realtà un'arcadia soltanto per alcuni. Innanzitutto non lo era per i Masonbrick, praticamente degli emarginati, costretti a vivere al di fuori del villaggio. Quasi dei paria. L'arcadia era tale soltanto per le famiglie più o meno ricche, per i proprietari terrieri e i commercianti. L'arcadia era un'arcadia borghese. Calvinista. Il crollo, allora, dell'arcadia era già contenuta nell'arcadia stessa. Proprio come una caratteristica spirituale. E qua arriviamo all'aspetto metafisico.
III LE ANIME DI PARADISE FALLS A un certo punto (che non ritrovo), a Wells viene imputato di avere la capacità, involontaria, quasi, di far uscire il peccato che la gente ha dentro. E' impossibile entrare in contatto con Wells e non far emergere le cose brutte che uno ha fatto. L'opera di corruzione di Wells, quindi, non è uno stravolgimento della natura umana (o sociale o economica) quanto più un portare alla luce quello che è nascosto. Bontà e peccato, pare dirci Robertson, stanno entrambi dentro di noi. Alcune persone, come Sam Masonbrick, sono capaci di tirare fuori il meglio, altre, come Wells, il peggio. Robertson insiste parecchio sugli aspetti sacri e religiosi dell'opera divina. Spesso si lascia andare a quasi degli inni, delle invocazioni. Se in certi punti, hanno quasi dei toni ironici, se non proprio sarcastici, emerge comunque una specie di universalità nella storia di Paradise Falls. Ovvero, la cittadina di Paradise Falls diventa quasi allegoria del cosmo e della sua caduta nel peccato. Tante storie dei personaggi che affollano le strade di Paradise Falls vedono la centralità di una lotta fra luce e oscurità. E' una lotta tanto disperata quanto straziante. E' una lotta sorprendentemente crudele. Su tutti spiccano Philip Underwood e Bill Light, ma anche Edna Vance. Sono uomini e donne dilaniati e straziati dai propri impulsi, sperduti nella totale mancanza di un ordine. Soli e impauriti, si lasciano andare ad azioni violente, sbagliate e crudeli. Proprio come bambini che fanno cattiverie soltanto perché impauriti e abbandonati. Ciò di cui hanno bisogno è un po' di luce, di quell'amore che ci lega l'uno all'altro e ci ricorda che oltre al buio e all'orrore, ci sta anche altro. Ma è un amore che spesso è frustrato, che ci viene tolto, che siamo incapaci di tenere. E allora fa male vedere questi uomini e queste donne abbandonarsi sempre più ad azioni che sanno non solo essere sbagliate, ma che non faranno altro che fargli male, in una ricerca senza uscita di autodistruzione e castigo. Cioè, quello che voglio dire, è che Robertson, nell'inscenare questa lotta universale e umanissima, fra luce e oscurità che sentiamo pulsare dentro di noi, non si lascia mai andare a facili moralismi, o, peggio, a pietismi e tranquille consolazioni. Proprio l'opposto. Con una scrittura pacatissima - ma al contempo estremamente suggestiva e lirica - Robertson descrive un cosmo, una cittadina, in cui sì, peccato e bontà convivono dentro ognuno di noi, ma anche come sia difficile e quindi infinitamente prezioso quando ad avere il sopravvento, magari per un attimo, è la bontà. Allora, tutti i rivoli, tutti i personaggi, tutti i racconti che, apparentemente, non portano a nulla, servono proprio a far sì che la bontà dentro di noi possa emergere. La bontà, ovvero l'amore verso l'altro, che tanto viene sopita proprio da quell'utilitarismo che è tipico del mondo nuovo di Wells e Carmicheal e Jessup, trova il suo spazio, la sua possibilità nella descrizione di tutte queste vite, straordinarie proprio perché vive, diverse, uniche e normalissime. Leggendo, perdendosi nelle vite dell'ultimo dei minatori di Paradise Falls ci viene ricordato che l'unica cosa che possiamo fare, che è giusto fare, è amare l'altro. Amarlo con tutte le sue cattiverie e le sue dolcezze, con i suoi istinti, le sue paure, la sua fame, la sua rabbia, la sua gioia. La sua bellezza. Perché sono le stesse nostre. Perché il peccato e la bontà che stanno dentro di me sono le stesse che stanno dentro di voi che sono le stesse che stanno dentro gli abitanti di Paradise Falls.
Ho appena finito di leggere Paradise Falls. Non ho le parole adatte per descrivere quanto abbia adorato questo libro dalla prima all’ultima pagina. È un libro che mi ha scombussolato e fatto sorridere al tempo stesso. Mi ha fatto pensare e rimanere a bocca aperta per le splendide descrizioni della cittadina. Paradise Falls fa riflettere su quanto la vita possa cambiare improvvisamente e fa capire che bisogna sempre vivere nel qui e ora (ma non come l’ha inteso Charles Wells :P). È inutile aggrapparsi al passato perché il mondo va avanti inesorabilmente, soppiantando tutte le Arcadie di questo mondo e forse creandone delle altre. Rimpiangere gli orti di peschi defunti e ricordare le vecchie colline è una malinconica ancora che ,forse, non porta a niente...ci saranno sempre le generazioni successive che accetteranno il nuovo come accettano di respirare. Credo che non esistano scrittori con uno stile bello e cristallino come quello di Don Robertson. I suoi personaggi sono talmente umani che è facilissimo rispecchiarsi in loro, nelle loro contraddizioni e paure universali. Inutile ribadire che vi consiglio questo romanzo, e gli altri di questo autore, pubblicato in due volumi dalla casa editrice Nutrimenti Edizioni e tradotto magistralmente da Nicola Manuppelli.
Anche in questa seconda parte Robertson si conferma un grande narratore, cioè un “raccontatore di storie”, tante storie, tante vite che si intrecciano, si avvicinano e si allontanano nei modi meno scontati, tanti personaggi tutti ben scolpiti e a loro modo ben tratteggiati anche se rimangono per poche righe o per poche pagine davanti a noi lettori. Protagonista indiscusso però è il luogo immaginario di Paradise falls, Eden e sentìna, dove le migliori virtù e i peggiori vizi (con una prevalenza dei secondi) mostrano di cosa è capace l’umanità, microcosmo e specchio dell’America, sorgente a cui lo scrittore continua ad attingere materiale anche per i suoi successivi romanzi, per quanto abbastanza scollegati a questo dittico. La prosa, spesso venata di ironia e sarcasmo, mostra una varietà quasi infinita di toni, sa essere brillante, poetica, sensibile e delicata, ma anche violenta, scurrile, sa raccontare i sentimenti, l’abiezione e l’amore, ma soprattutto tormenti e contraddizioni, desideri inconfessati e inconfessabili, aspirazioni, ambizioni, paure, reticenze. Certo, oltre 1400 pagine sono un investimento di tempo non da poco per un lettore, a cui è richiesta pazienza nel seguire le vicende e annodare i fili e investimento emotivo, ma a mio avviso la soddisfazione di questa lettura è anche tanta. Non dico che ci affezioniamo a questo mondo ingiusto, spesso immorale, iniquo nelle sue premesse e nei suoi sviluppi, ma i personaggi suscitano non solo una ovvia riprovazione ma, in molti punti la nostra comprensione o almeno commiserazione. Perché su tutti loro inesorabile agisce lo scorrere del tempo, l’incombere della morte, la fragilità, la transitorietà, la precarietà della vita. ⭐️⭐️⭐️⭐️ e mezzo.
Beh, come mai questo autore non sia annoverato tra i maestri americani quali Auster, Pynchon, De Lillo, McCarthy (per citarne alcuni), è evidentemente un mistero. Questo secondo volume non solo ha confermato un vero e proprio capolavoro, ma, pagina dopo pagina, ne ha accresciuto il fascino e arricchito un'epopea straordinaria con un numero consistente di personaggi magnifici, nella loro umana e terrena esistenza, sino alla fine del diciannovesimo secolo. Se proprio dovessi trovare un difetto in questo Romanzo (proprio con la R maiuscola), lo individuerei nelle ultime pagine, secondo me troppo frettolose per concludere un'opera colossale come questa; Ma ci sta che il racconto finisca a cavallo di due secoli, altrimenti, per quanto mi riguarda, la saga sarebbe potuta andare avanti ancora e ancora, senza mai annoiare perché Robertson (non solo a detta di Stephen King) è stato un autore di talento, capace di estrapolare l'anima di un trentennio presentandone al lettore una versione nuda e cruda, eccezionalmente realistica, intrattenendolo nel frattempo grazie al realismo e alla poetica dei suoi personaggi.
Robertson scrive sempre benissimo, ma in questo secondo volume di Paradise Falls a mio avviso non riesce a ritrovare la magia del primo. Sembra un po’ rifare se stesso.
La recensione fa riferimento all'intera opera, indipendentemente dal fatto che la Nutrimenti abbia deciso di dividerla arbitrariamente in due volumi.
La bucolica cittadina di Paradise Falls è il perno intorno al quale ruota l'intera vicenda dell'omonimo libro scritto da Don Robertson. Paradise Falls è, a detta dell'autore, degli abitanti e di altri personaggi del libro, l'Arcadia, nel senso di cittadina fondata su antichi valori, ricca, fertile e in comunione con il luogo che la ospita, e portata avanti con ferrea volontà (ma non pugno di ferro) da Isaac (Ike) Underwood, guidato dalla piccola, dura e stoica moglie Phoebe Underwood. Ma, al di là di questa impronta arcadica data e mantenuta dai fondatori, Paradise Falls è pur sempre una cittadina abitata da uomini, con i loro pregi e difetti, sogni e desideri, vizi e passioni, ed è un posto che si inquadra non solo geograficamente ma anche temporalmente. Le dinamiche interne di Paradise Falls sono sconquassate da due eventi: l'arrivo del solo ed unico Charley Wells e la procace moglie Nancy, e la Guerra di Secessione. Nonostante la dramatis personae sia molto lunga, con Don Robertson che introduce personaggi su personaggi dei quali racconta minuziosamente la vita per poi abbandonarli, a spiccare tra tutti è proprio Charley, che svolge il ruolo più importante. Charley è un uomo che ha abbandonato ogni eroismo, ogni altruismo, ostacoli lungo la strada per diventare un grande uomo, obiettivo che immediatamente si scontra con la volontà ed il controllo di Ike Underwood. Lo scontro Wells-Underwood per il controllo di Paradise Falls ed il raggiungimento dei propri obiettivi è il fulcro dell'intero libro, intorno al quale Robertson innesta le vite di tanti altri personaggi, alcuni introdotti fin dall'inizio, altri che compaiono improvvisamente, altri ancora che scompaiono improvvisamente, quasi sempre per capricci del fato: la formosa Nancy, una figura di varie sfumature di grigio, che cerca in Charley un affetto non corrisposto e lo tradisce, nonché oggetto di concupiscenza di molti altri uomini; Virgil T. Light, veterano dalla forte voce e la debole personalità, che si fa raggirare facilmente; i coniugi Underwood ed il figlio Ralph, che sviluppa una dipendenza dalla violenza; e ancora Sam Masonbrink, che riscatta il nome della famiglia (una specie di antesignani dei redneck) e che, col suo ramo di storia, apre una finestra sulle prime, drammatiche lotte dei lavoratori e dei sindacati; la bellissima sorella Ada, che segna l'inizio del decadimento di un grande uomo; Arthur Carmichael, che da immigrato ferito in guerra diventa un padre di famiglia, non sufficiente per il figlio Arthur Junior, un uomo con zero emozioni il cui unico obiettivo è lavorare e fare soldi; padre Jessup, inarrestabile come un treno merci, che diffonde la parola dell'amore di Dio e che, a modo suo, ha un approccio ai problemi non distante da quello di Charley Wells; e tanti, tanti altri personaggi ancora (ribadendo: tutti approfonditi, Robertson racconta la vita di tutti i personaggi che hanno un minimo ruolo). Non è difficile capire (anzi, è scritto chiaramente più volte) che lo scontro Wells-Underwood sia un'allegoria dello scontro tra la modernità dirompente, spavalda e spregiudicata, ed il vecchio establishment, ancorato ad antiche tradizioni che non reggono l'evoluzione della società, dei modi, dei costumi, nonché degli eventi storici. Underwood vorrebbe che tutto rimanesse stazionario, scolpito nella pietra; Wells capisce che il mondo evolve e vuole sfruttare lo sfruttabile. Paradise Falls non può resistere alla spudoratezza e furbizia di Wells, ma anche se avesse potuto non avrebbe potuto opporsi ai venti del cambiamento che soffiano dalla Guerra di Secessione, la cui fine segna l'inizio del libro e le cui conseguenze guidano le azioni dei personaggi. Charley Wells è solo l'agente, la personificazione di tutto ciò, come dimostra la sua storia, e non esita a portare a Paradise Falls il putridume, lo squallore e la brutalità del mondo esterno, che egli stesso ha vissuto sulla sua stessa pelle. "Paradise Falls" è un libro poderoso, sia fisicamente (il libro unico sarebbe un bel mattonazzo) che in maniera figurata, per la mole di personaggi ed eventi con i quali investe il lettore, aiutato anche dallo stile di Robertson: lunghissimi paragrafi senza capoverso, neanche per i dialoghi (tipicamente sono "tematici", cioè non si va a capo finché quella storia non è conclusa), a loro volta proposti senza interpunzione, in una straniante forma indiretta di dialogo diretto ed un mix dei due, frequente utilizzo di un registro biblico. "Paradise Falls" è la storia di un micromondo che viene contaminato dal mondo esterno, ne diventa parte ed un elemento rappresentativo. E' un libro lungo, coinvolgente, immersivo, ironico, potente ed estenuante, e terminarne la lettura (per passare ad altro, per chi vuole) è un esercizio non banale, quasi a dover smettere di vivere una vita e ricominciarne un'altra.
Paradise Falls è un'epopea, è racconto di un'epoca e di un luogo, ma diviene Racconto di un'Umanita' che ci è comune sempre e dovunque. Amori, passioni, ambizioni, filosofie di vita...e poi cadute, tragedie, fallimenti e riprese...tutto condito dalla magistrale scrittura di quest'autore e dalla sua ironia. Una fortuna incontrarlo!