Keiko Takemiya (竹宮惠子), earlier known as 竹宮恵子 (note: it's the first kanji in her given name, 恵→惠) is a Japanese mangaka.
She is one of the 24-Gumi (Magnificent 49ers), the group of female manga artists that pioneered the shoujo genre. Professor of manga studies at Kyoto Seika University.
A passionate and engaging memoir on the crucial years of the Oizumi Salon and the experiences of the group of mangaka who revolutionized the world of shojo.
Takemiya recounts the highs and lows of her early career and the male-dominated and still rather stilted world of manga of the 1970s with personal touches and great honesty.
"Quando iniziavamo con i nostri discorsi, Masuyama si ammutoliva di colpo e ascoltava. - Chissà perché i mangaka vedono le cose in modo così diverso... - diceva. Se Masuyama osservava i film concentrandosi principalmente sullo sviluppo della vicenda narrata, noi due ci focalizzavamo sull'aspetto visivo. In altre parole, prima ancora di pensare, noi ci concentravamo sul vedere. Il valore di una storia è tale anche grazie alla qualità del suo aspetto visivo e fotografico. Che si fosse trattato di quadri o di film, il nostro interesse si riversava sulla modalità espressiva del tratto, della composizione, della tecnica con cui l'opera era realizzata."
Un memoir coinvolgente e molto interessante per comprendere le dinamiche del lavoro dei mangaka.
I was expecting a fun read. I wasn’t expecting this to be such an brutally honest, humbling and inspiring book on what it takes to be an artist/creator. Btw. this is not the famous shōjo manga (girls comic) from the 70s, but the memoir of the creator of that manga, (in non-comic form) focusing on early days of Takemiya’s Career and her struggles and dreams. A friend in Tokyo gave this to me because we grew up reading her comics, and it was buried in my “to read” pile for at least a few years. So glad I picked it up! Now I’m energized to create more. And renewed respect to her and what she has done. It looks like there are Chinese and Italian translations. I hope it gets translated to English and more languages, so it can inspire young (and old like me) creators all over the world.
È una lettura piacevole ed aneddotica. L’ho trovata interessante, contiene molti elementi di riflessione e informazioni su come si viveva negli anni 70 in Giappone e soprattutto sulla condizione di mangaka donna impegnata nel disegno di shojo. Probabilmente il quadro di riferimento potrà sembrare fin troppo specifico ma è proprio questo a rendere interessante la storia dell’autrice che decide di mettere per iscritto dei ricordi di un pezzetto della sua vita. Comprendiamo così un po’ meglio la forza che c’è davvero dentro le sue opere e come sono nate.
Mi sarebbe piaciuto ai fossero approfonditi di più alcuni elementi e che la parte finale del libro non si chiudesse con tanta fretta.
In questa autobiografia Keiko Takemiya ripercorre i suoi esordi come mangaka alla fine degli anni Sessanta e il percorso che l’ha portata a innovare il genere shojo nelle tematiche e nello stile con la pubblicazione della sua opera più celebre: Il poema del vento e degli alberi. All’inizio degli anni Settanta i shojo manga erano costruiti intorno a cliché che si ripetevano stancamente e si dimostravano refrattari a qualsiasi cambiamento. Gli editor guardavano con sospetto le novità proposte dalle nuove leve di autrici, spesso bocciandole a priori. Le storie avevano sempre come protagoniste delle ragazze, davano spazio solo all’aspetto sentimentale, non fisico, dell’amore e mostravano solo relazioni “virtuose”, situazioni illecite non erano ammesse. Il cosiddetto Salone Oizumi, fondato da Keiko Takemiya, Moto Hagio e Norie Masuyama, si venne a configurare come uno spazio in cui diverse mangaka si incontravano e si confrontavano per trovare la propria voce. In questo contesto Takemiya cominciò a sviluppare un interesse particolare per le storie omosessuali tra ragazzi, ancora tabù nell’editoria shojo. Solo con grande caparbietà e studio intenso, riuscì a ottenere la pubblicazione dei suoi primi esperimenti in quella direzione, riscuotendo un buon successo tra le giovani lettrici. Ciò non bastò, tuttavia, a guadagnarle la libertà espressiva di cui sentiva il bisogno. Dopo un periodo di crisi, in cui si trovò costretta a dare alle stampe prodotti in cui non si rispecchiava e in cui non credeva, decise di abbandonare il Salone Oizumi, anche per allontanarsi dalla pesante influenza di Moto Hagio, artista già più affermata e dallo stile inconfondibile. Fu l’arrivo di un nuovo editor nella rivista che pubblicava i suoi manga a portare una svolta inaspettata: dopo anni di sconfitte e compromessi, finalmente Il poema del vento e degli alberi fu dato alle stampe a partire dal 1976. Il successo di pubblico fu immediato ma, soprattutto, l’opera ebbe un notevole impatto innovatore su tutto il settore diventando un classico dello shonen-ai.
Perché ho scelto di leggere questo libro? Perché Il poema del vento e degli alberi mi è rimasto nel cuore e lo stupendo cofanetto edito da Edizioni BD – J-Pop nel 2018 (prima traduzione in italiano a più di quarant’anni dall’uscita in Giappone) è tuttora in bella mostra nella sezione della mia libreria dedicata ai manga. Pregi: attraverso le proprie vicende personali, l’autrice offre uno spaccato dei processi creativi e produttivi di un settore editoriale che ha visto, negli anni Settanta, un periodo di particolare fortuna. Per gli amanti dei manga è sicuramente una lettura interessante. Difetti: la scrittura è abbastanza amatoriale e presuppone una certa conoscenza delle più famose firme di manga shojo per poter apprezzare tutti i riferimenti inseriti nella narrazione.
Un must per chi legge manga e vuole sapere di più del mondo dell’editoria in Giappone e come il gruppo delle 24 ha cambiato il mondo dello shojo. Bellissimo, interessante, frustrante a volte, perché queste donne hanno lavorato e lavorano in un mondo dominato dagli uomini, che hanno e hanno avuto un’idea precisa per il target. Illuminante
Autobiografia molto interessante anche se, devo essere onesto, ero più interessato alle parti con Moto Hagio (parecchie) e quelle con Ryoko Yamgishi (putroppo troppo poche).
Questa è l'autobiografia o meglio memoir di Keiko Takemiya che ripercorre gli inizi della sua carriera e le sue difficoltà nell'ideare e pubblicare Il poema del vento e degli alberi, il manga che ha dato inizio al genere BL e che negli anni 70 è stato uno di quelli che ha rivoluzionato lo shojo in generale. La Takemiya racconta la sua esperienza personale, come era il rapporto tra autore e editor e cosa si voleva da una mangaka; la poca libertà di sperimentare e che lei insieme ad altre autrici che ruotarono attorno al cosiddetto Salone Oizumi cercarono di cambiare, portando nuove storie, tematiche anche legate ai bei ragazzi e all'omoeroticità. Un racconto di quegli anni e della voglia di cambiamento e sperimentazione, ma anche uno sguardo sull'autrice e sulla sua interiorità, i suoi problemi, il suo desiderio di raccontare una storia particolare e alla quale ha lavorato anni, ma anche il suo rapporto con altre autrici. In particolare non si può non citare Moto Hagio, amica e collega ma il suo successo e apprezzamento nel mondo manga ha creato dei sentimenti contrastanti che Takemiya racconta molto bene, in maniera umana che noi possiamo ritrovare nel nostro vissuto, perché anche noi abbiamo provato quel misto di invidia e apprezzamento verso un amico o una persona cara che ci creava anche disagio in sua presenza, dover moderare le parole e non esprimere i nostri veri pensieri a riguardo. Ma tutto questo libro presenta pezzi dove l'autrice si confessa in maniera quasi intima e che colpisce per la sua potenza emotiva, la sua frustrazione di non riuscire nonostante impegno e passione. Insomma un bel volume, preciso per come racconta anche quel periodo storico e cosa ha significato per la storia dei manga; e poi uno sguardo ai retroscena per la creazione di una pietra miliare nella storia del manga. Forse mi sarei aspettata uno sguardo più preciso su manga di per sé, ma mi è comunque piaciuto questo racconto dell'autrice, la sua esplorazione che fa comprendere molte dinamiche editoriali, vecchie e non, e senza volerlo - o comunque senza che fosse l'obbiettivo del racconto - offre anche suggerimenti e consigli per chi vuole creare storie, non per forza manga ma proprio come ideare una storia e come ragionarci in una maniera che possa soddisfare il suo creatore ma anche il pubblico. Si tratta di una bellissima edizione, belle le note, poche ma precise e poi ci sono alcune piccole illustrazioni a colori che rendono questo volume imperdibile per chi ama la Takemiya e le sue opere, ma anche chi vuole capire cosa è successo negli anni '70 e cosa/come delle giovani autrici hanno cambiato davvero il mondo manga una volta per tutte.