I Donadieu sono un possente clan della Rochelle. Vivono trincerati tra i ninnoli della loro vasta magione e fra i vani oscuri dei loro uffici. E, quando vanno a messa la domenica, formano «una processione dove l’unico assente era il buon Dio». A osservarli, i loro movimenti apparivano «predisposti in modo così rigido che avrebbero potuto scandire la vita della Rochelle con la stessa precisione delle lancette del grande orologio della Torre». Ma un giorno il capotribù, Oscar l’Armatore, scompare. Da allora ha inizio questa cronaca grandiosa e minuziosa, storia di una disgregazione che investe prima La Rochelle per diramarsi poi a Parigi, passando dal torpido ritmo di una città della profonda provincia battuta dal mare all’effervescenza avvelenata della metropoli. Con la stessa sicurezza con cui si manteneva, «l’ordine Donadieu» crolla. E trascina nel crollo non soltanto il clan, ma colui che era stato il freddo agente della l’arrivista Philippe, il cuneo che si era insinuato fra le giunture del clan. Simenon pubblicò questo romanzo nel 1937, quando i suoi libri incontravano già un immenso successo. Era quello il periodo in cui, come scrisse André Gide, «scoprire Simenon era un piacere». Con "Il testamento Donadieu", Simenon provò allora a lanciarsi nel romanzo balzachiano, di vasto respiro, senza però aggiungere alla sua prosa «un solo grammo di grasso letterario» (come Alfred Polgar scrisse una volta per Hemingway). E il libro rimane una delle più articolate e avvincenti dimostrazioni dell’arte di Simenon.
Georges Joseph Christian Simenon (1903 – 1989) was a Belgian writer. A prolific author who published nearly 500 novels and numerous short works, Simenon is best known as the creator of the fictional detective Jules Maigret. Although he never resided in Belgium after 1922, he remained a Belgian citizen throughout his life.
Simenon was one of the most prolific writers of the twentieth century, capable of writing 60 to 80 pages per day. His oeuvre includes nearly 200 novels, over 150 novellas, several autobiographical works, numerous articles, and scores of pulp novels written under more than two dozen pseudonyms. Altogether, about 550 million copies of his works have been printed.
He is best known, however, for his 75 novels and 28 short stories featuring Commissaire Maigret. The first novel in the series, Pietr-le-Letton, appeared in 1931; the last one, Maigret et M. Charles, was published in 1972. The Maigret novels were translated into all major languages and several of them were turned into films and radio plays. Two television series (1960-63 and 1992-93) have been made in Great Britain.
During his "American" period, Simenon reached the height of his creative powers, and several novels of those years were inspired by the context in which they were written (Trois chambres à Manhattan (1946), Maigret à New York (1947), Maigret se fâche (1947)).
Simenon also wrote a large number of "psychological novels", such as La neige était sale (1948) or Le fils (1957), as well as several autobiographical works, in particular Je me souviens (1945), Pedigree (1948), Mémoires intimes (1981).
In 1966, Simenon was given the MWA's highest honor, the Grand Master Award.
In 2005 he was nominated for the title of De Grootste Belg (The Greatest Belgian). In the Flemish version he ended 77th place. In the Walloon version he ended 10th place.
Una saga familiare, leggo in molti commenti. Sì, certo, lo è, ma in primo luogo è una carrellata di personaggi negativi scelti per interpretare la vicenda della caduta della famiglia Donadieu, ricchi armatori di La Rochelle. Non so quale posto occupi questo romanzo nella bibliografia di Simenon, ma qui ci sono tutte quelle personalità che riempiono i suoi romanzi: l’arrivista ambizioso e spregiudicato pronto a passare sopra a tutti pur di salire più in alto, il debole “femminaro” inetto nel lavoro bravo solo a correre dietro alle sottane, ragazze fragili e deboli, giovani eredi di enormi patrimoni colti da crisi mistiche, matrone che si trasformano da madri di famiglia a imprenditrici, mogli adultere. C’è di tutto in questo romanzo che scorre non particolarmente rapido nella prima parte, sotto la pioggia e il freddo di La Rochelle, per spostarsi al soffocante sole di Cannes, e poi diventa invece sempre più coinvolgente sotto il cielo grigio di Parigi. Benchè non sia un giallo, tutto ha inizio da una morte, quella del capofamiglia Donadieu, e dal suo testamento, letto davanti a tutti i familiari, che li lascia sbigottiti: da quel momento comincia lo sgretolamento di una famiglia che diventa un insieme di schegge impazzite, fino al culmine finale, da brividi. Sempre grande, il “mio” Simenon.
Di tutti i Simenon che ho letto, e sono ormai tanti, quasi una trentina, questo è il romanzo che presenta il maggior numero di personaggi.
E non si tratta di una pura curiosità o di un’annotazione statistica, ma di un elemento che contraddistingue “Il testamento Donadieu” come un’opera corale dove la caratterizzazione dei personaggi e le molteplici interazioni fra di essi prevalgono per una volta sullo sfondo e sulle atmosfere che solitamente rappresentano uno dei punti di forza cui l’autore suole dedicare maggiore spazio.
Questo, sebbene Simenon abbia scelto proprio tre ambientazioni tipiche della sua ispirazione per scandire il romanzo nelle tre parti che lo compongono, ma non è un caso o un vezzo che i rispettivi titoli replichino la medesima parola: “Le domeniche a La Rochelle”, “Le domeniche a Saint.Raphael”, “Le domeniche a Parigi”; perché è proprio nelle domeniche, fuori dalla routine del lavoro e delle occupazioni quotidiane, che affiorano i sentimenti più profondamente nascosti che affliggono le anime tormentate dei Donadieu e degli altri personaggi che attorniano l’antica famiglia, sensazioni di spleen, noia e malinconia riconducibili alla dolorosa percezione del tempo che fugge.
Insieme a tali sensazioni che anelano a un possibile ma irraggiungibile obiettivo futuro, che varia in ogni personaggio da traguardi di successo professionale ad amori agognati e impossibili o ad una semplice stabilità familiare, emergono le fragilità e le debolezze che albergano in ognuna di queste figurine, nessuna delle quali è disegnata da Simenon con affetto e pietà ma che rappresentano una galleria (Balzac?) delle umane miserie: l’indolenza, la menzogna, l’arrivismo, la superbia, la gelosia, cui forse si riesce a sfuggire solo piantando tutto e ricostruendosi una personalità dall’altra parte dell’Atlantico, a costo di rinunciare al benessere economico.
“Il testamento Donadieu” snoda il suo tortuoso percorso della durata di anni (altra differenza col Simenon che conosciamo che di solito rappresenta una narrazione racchiusa in un’unità di tempo, salvo qualche breve prologo o epilogo), circoscrivendolo fra due eventi capitali per la famiglia Donadieu e per l’economia del romanzo. Uno, iniziale, che rimane sospeso lungo tutto il racconto dando vita a una sequela di conseguenze, ma non si rivela essere quello che il lettore astuto ha creduto di indovinare… l’altro, finale, preceduto da una lunga preparazione magistralmente caricata di una tensione quasi insostenibile.
Un Simenon un po’ diverso quindi, ma sempre in grado di catalizzare la concentrazione e l’attenzione del lettore per un numero di pagine superiore alla sua consuetudine, colpendolo dove meno se l’aspetta!
La mia prima delusione simenoniana. E doveva capitare proprio per il primo romanzo-romanzo pubblicato dal nostro nel '37. L'impianto complessivo e' imponente. La narrazione della discesa agli inferi di un arrampicatore sociale e il disfacimento di una dinastia borghese di provincia, sono descritti con la maestria che caratterizza il grande Simenon, e tuttavia non tutto fila liscio. Nella prima parte soprattutto. Il ritmo e' lento, i personaggi, che in seguito acquisiranno spessore, sono ripetitivi nei loro movimenti e nelle emozioni. L'azione stenta a decollare. La seconda meta' del romanzo riscatta tutta l'opera. Complice il cambiamento di scena, ritroviamo la vera potenza di Simenon: dialoghi asciutti e taglienti, situazioni penose ma dir poco coinvolgenti, riflessioni che costringono piu' volte a soffermarsi per godere appieno di cio' che si e' appena letto. Nel complesso, un lavoro che parte un po' con il freno a mano tirato, forse per la tensione di dover scrivere un vero romanzo, ma che poi va, e va per il verso giusto.
Una delle fisse della letteratura novecentesca è il racconto dell'ascesa e crollo di una famiglia borghese, con la perdita dei loro valori e della loro solidità, in parte dovuto all'incapacità di mutare insieme alla tecnologia e all'economia e in parte (ma anche come causa e contemporaneamente conseguenza) per il crollo dei principi che ne avevano determinato la grandezza. Insomma, "I Buddenbrook" di Mann. Ma anche "Il testamento Donadieu" di George Simenon. Il romanzo segue, infatti, la vita della ricca famiglia Donadieu dopo la morte del capofamiglia, Oscar, in particolare il matrimonio della figlia, Martine, con uno spregiudicato arrivista, Philippe. Simenon condensa tutta la parte dell'ascesa dei Donadieu in un trafiletto, verso la metà del romanzo, facendo sì che "Il testamento Donadieu" diventi quasi un romanzo post-apocalittico. Quello che nei romanzi a la Mann era seguito e complementare alla creazione della fortuna, qua diventa tutta l'esplorazione che viene compiuta. "Poi era venuto il figlio, lui pure ingegnere ma balistico, che d'improvviso aveva edificato non solo una fortuna, bensì una dinastia, una casata, o meglio una roccaforte. [...] Le abitudini diventarono regole intangibili. Queste regole finirono per costituire una religione i cui dogmi, finché era vissuto Oscar Donadieu secondo, nessuno mai si era azzardato a mettere in dubbio". C'è un che di apocalittico nel romanzo di Simenon. Forse è proprio nella morte del padre questo sentore: Oscar Donadieu muore a inizio romanzo. A una certa scompare e viene ritrovato soltanto qualche giorno riverso in una pozza. Ogni tanto aleggia, quasi per pigrizia e indolenza, l'ipotesi che si sia trattato di omicidio, magari proprio per mano di qualche arrivista. Ma la realtà è così angosciante e insopportabile che viene detta a mezza bocca e si cerca di non pensarci: Donadieu è morto di tristezza, se non proprio ammazzandosi, per la consapevolezza di quanto la sua famiglia fosse un fallimento. Il testamento del titolo è proprio prova di questa sfiducia: la moglie viene lasciata senza eredità. Un gesto, apparentemente atroce e incomprensibile, appare quasi provvidenziale, ma completamente inascoltato, quando la donna, tornata ad avere dei soldi, li sperpera tutti, continuamente, fra gioco d'azzardo, feste e cene. E non è la peggiore dei Donadieu sopravvissuti. Quello che voglio dire con apocalittico è Simenon indugia con lo sguardo in un mondo che è crollato, là dove invece altri romanzi avevano avuto la decenza di fermarsi (nessuno mi toglie dalla testa che Kiki sia la versione di Hanno Buddenbrook se non fosse morto). Ecco, è fondamentale questa cosa: Simenon riesce a continuare a guardare, a raccontare questo mondo così crudo e, in certi punti, insopportabile, proprio perché non c'è decenza in lui. Quello che a Simenon manca è qualsiasi moto di simpatia per i suoi personaggi (ma secondo me per qualsiasi persona pure in generale). Per carità, non sto dicendo che uno scrittore debba provare empatia per i suoi personaggi, o anche soltanto provare affetto, assolutamente, quello che intendo è che Simenon prova profonda repulsione per chiunque compaia in scena. Sia l'arrivista Philippe, sia la sciocca Charlotte, con punte di odio verso Michele e Paulette. La cosa più sorprendente è che questo astio si accompagna a una precisione descrittiva e analitica sorprendente. E forse proprio per questo ancora più angosciante: Simenon descrive un mondo, degli uomini, così precisamente, così realisticamente che, una volta guardati in faccia, non si può non provare repulsione nei loro confronti. Nei confronti dei loro peccati (cupidigia, superbia, avidità), ma anche debolezze (l'amore di Martine, la solitudine di Charlotte). Sto indugiando tanto su 'sta cosa della simpatia e della repulsione perché simpatia e repulsione sono un movimento prevalentemente politico: mostrare simpatia o repulsione è dichiarare la propria appartenenza. E Simenon, con la sua repulsione, dichiara tutto il suo astio e disgusto sia verso l'arrivismo di Philippe, "per creare una nuova specie occorre un ceppo vecchio", che non si fa scrupoli a sedurre, manipolare, usare chiunque per aumentare il proprio prestigio sociale ed economico (e Simenon si diverte pure a umiliarlo come nella scena del teatro dove non viene riconosciuto), sia verso quel mondo dei Donadieu che sta crollando, abitato da adulti-bambini, in preda ai propri istinti animali (le donne di Michele, l'amore geloso di Martine) o completamente passivi e impauriti (Marte e Kiki). Il nichilismo de "Il testametno Donadieu" sta proprio nella presa di distanza di Simenon da qualsiasi personaggio, presa di distanza che non è solo freddezza, ma un vero e proprio sberleffo: non c'è nessuno, nessuno, che non appaia umiliato per il puro gusto di essere umiliato. Eppure, pur con tutto questo nichilismo crescente, verso l'abisso finale, non si può non rimanere affascinati dalla precisione della prosa di Simenon, dalla sua compostezza nel guardare e descrivere una realtà così insopportabile, riuscendo a restituirci un mondo di bassezze, abitato da esseri privi di qualsiasi virtù, in corsa verso "la fine che per forza di cose sarebbe stata deplorevole". Ma non c'è moralismo nella scrittura di Simenon, non c'è un'entità superiore che giudica i peccati degli altri e li punisce. Ne "Il testamento Donadieu" c'è solo morte e decadenza.
Georges Simenon’un, 1937 yılında Fransızca olarak “Le Testament Donadieu” başlığı ile yayınlanan eseri, Hamdi Varoğlu tarafından tercüme edilmiş ve Ekicigil Matbaası tarafından, ilk cildi, “Şehvet Kasırgası”, ikinci cildi ise “Öldüren Aşk” başlığı ile olmak üzere iki cilt olarak basılmıştır.
Basım yılı imkanları dikkate alındığında, gramer olarak iyi bir basım olduğunu söylemek mümkün. Yine basım yılı nedeniyle bir çok Eskimiş Türkçe kelime ile tercüme edilmiş olduğunu, satır ve paragraf atlamaları olduğunu düşündüğüm boşluklar, karışıklıklar ve -elimdeki nüsha ile ilgili olarak da- eksik sayfalar ile basılmış olduğunu söyleyebilirim.
Eser, bir Simenon eserinden farklı tarzda ve tempoda ilerliyor. Ayrıca konu itibariyle de farklı. Eserin ilk cildinin adı da ilginç, içeriğini yansıtmadığını söyleyebilirim. Roman esas itibariyle varlıklı bir ailede yaşanan trajedi, gerilim ve entrikaları konu alıyor. Sanki o yıllarda bu Türkçe başlık ile ilgi çekilmesi amaçlanmış gibi. Orijinal başlığı olan “Vasiyetname” olarak çevrilmesi ve basılmasının aynı etkiyi yaratmayacağı düşünülmüş olmalı.
Atmosfer ve karakterler iyi, metin akıcı ancak yazarın diğer eserleri kadar etkileyici bulmadım.
Niente Maigret e niente “poliziesco” nel senso più classico. Storia di famiglie, un po’ torbida (ma non è forse la famiglia il luogo in cui tutto si consuma in bene e in male?), in cui i due fattori dominanti, sesso e denaro o più sinteticamente il potere, si rivelano man mano e determinano sotto traccia gli avvenimenti, mentre impallidiscono i sentimenti e il loro effetto. Una scrittura elegantissima, sobria e ricca al punto giusto. Il ritratto della provincia francese, piccola e borghese, che si imprime indelebile nella memoria.
“Até ali, ele estivera a fazer teatro, e eis que de súbito compreendia o que a situação tinha de alarmante, via com outros olhos aquela rapariga mal arranjada, de pé no meio do escritório, do seu escritório, do velho escritório de Oscar Donadieu, e pensava que ela, com uma palavra, uma frase, amanhã, depois de amanhã, no tribunal, podia desencadear todas as catástrofes, fazer com que o atirassem para a prisão, a ele, o que acarretaria talvez a queda da Casa Donadieu” (Pág. 144)
Nunca tinha ouvido falar em Georges Simenon até visitar recentemente a Bélgica. O interesse pelo autor veio um pouco na esteira do turismo e resolvi fazer de “O testamento Donadieu” a porta de entrada para a sua literatura. Uma porta de entrada pouco usual por não ser uma das 75 obras que envolvem o seu famoso personagem, o comissário Maigret, mas me pareceu uma história interessante para ler.
“O testamento Donadieu” conta a história de uma rica família de La Rochelle que subitamente perde o seu patriarca, Oscar Donadieu.
O falecimento do milionário marca o início de uma decadência da família que se acelera com a chegada do ambicioso Philippe Dargens.
A partir daí temos uma espiral de intrigas em meio a uma pergunta que sempre pairou a minha cabeça ao longo da leitura: A morte de Oscar Donadieu foi mesmo acidental?
O livro é deliciosamente escrito. Mérito também da tradução de Miguel Serras Pereira para a edição da Relógio D’Água que eu li.
Não tenho muito mais a acrescentar, pois ainda estou aprendendo a navegar no mundo de Simenon. Contudo, “O testamento Donadieu” foi uma boa porta de entrada.
Pierre Assouline, qui me semble être le biographe principal de Simenon, avait édité une collection de romans de Simenon intitulée, Simenon avant Simenon, et c'est bien mon impression sur ce livre: Le Testament Donadieu. Quelque part avant le milieu du livre, j'ai vérifié l'année de publication, tellement ce livre ne ressemblait pas au style Simenon. Il est écrit en 1936 bien avant la période de ces romans durs -alias les non-Maigret. Pourtant j'aurai peut-être noté le livre de deux étoiles si ce livre ne différait pas de ses romans durs ultérieurs. Alors, qu'est-ce que je cherche vraiment chez Simenon? Pour commencer, j'aurai voulu plus de personnages dans ce livre pour ne pas relire une narration quasi-nombriliste du point de vue d'un seul personnage qui s'observe -avec très peux de mots- que le passé hante, qui se saoule pour oublier ou pour se remémorer. Cases cochées. L'alcool n'est presque pas présent du tout dans Le Testament. Ce qui veut dire donc que l'action du livre se passe dans le présent; les personnages ne se sont pas formés, et essaient, tout au long du livre, de se libérer d'un certain héritage du passé. Case cochée. Dommage donc que le style n'y est pas, que les personnages sont un peu trop nombreux, ou plus exactement, ont un peu échappé à la trame du livre. Ce qui fait que le livre échappe aussi à la catégorisation pourtant un point qui n'est pas en sa faveur. Au fil des pages, je ne reconnaît plus si la construction est dramatique, sociétale, policière... Il y avait un peu de tout et pas assez même si ce livre se range aux côtés des livres volumineux de Simenon à 466 pages. Donc voilà, un livre raté et dont l'élément page-turner tarde bien à faire son apparition...
Bon livre qu'on ne lâche pas car l'histoire part dans des directions inattendues. Je trouve cependant que les différents événements ne forment pas à la fin un puzzle complet. Cependant je salue le talent de Simenon qui tente ici de faire à la fois le portrait multifacette d'une famille et celle d'un ambitieux ingénu qui va venir la désintégrer de l'intérieur tel un ver dans une pomme. Les personnages sont on ne peut plus vivants, notamment la doyenne cheffe de famille, le fils débauché, l'ingénue, le dernier fils. Un petit air de fresque à la Zola
This book is full of suspens. The lifes of the characters are going in unexpected directions. Simenon's talent is real. The author creates a sketch of a rich family from La Rochelle, France which will be destroyed from the inside by a young and ambitious man.
Overlong and underwhelming. Starts with enough promise as a manor drama about a successful family simultaneously sailing on the wings of and struggling under the weight of its patron, but any hope of experiencing the complex dynamic amongst a host of engaging characters is ultimately dashed. The second half inexplicably devolves into a wholly unsatisfying love triangle with s cheesy melodramatic end.
A very early "roman dur" where Georges is still learning how to write one. Too many characters, too long , too much "mise en scène". Luckily, he was a very quick and thorough student of the essence of human nature.
vabbè che gli vuoi dire a Simenon, questo è un romanzo stupendo ma ti devono piacere le saghe familiari (a me piacciono) e ti devi ricordare chi è figlio o fratello di chi (le basi)
Dei Simenon senza Maigret mi piacciono soprattutto i personaggi femminili: le borghesi frivole e fedifraghe, le vecchie austere che gestiscono il denaro e tutto il resto; le serve e le segretarie, irresistibili prede delle voglie di tutti i mariti impegnati in affari importanti. E l'atmosfera che le avvolge, nelle dimore delle famiglie altolocate, negli hotel a ore, in quelli eleganti della costa meridionale della Francia. Credo che Simenon fosse un po' misogino: di tutte le donne presenti nel romanzo, nessuna emerge per il suo spessore. Sono malaticce e piuttosto fragili, ma per questo assolutamente vere e quindi affascinanti. Il romanzo è lento e con pretese ottocentesche (Balzac e Zola) ma ben riuscito nel suo intento "psico-sociologico". Come solo lui sa fare..
Si une histoire se termine bien, c’est qu’elle n’est pas finie. Et avec ce testament Donadieu, Simenon ne nous berce pas vraiment d’illusions. L’histoire de Philippe, trop avide, ambitieux, arriviste prêt à tout pour réussir.
Et il réussira ! Et qu’importe les reniements, les mensonges, tromperies et manipulations. Il épousera une fille Donadieu et ce sera la première pierre de son grand oeuvre.
Un roman sombre où les femmes sont des pions que l’on utilise, les amis des ressources à traire, la famille des encombrants à disperser et les promesses de douces paroles laudatives à utiliser sans compter
This book introduces the key protagonist earlier on and then pulls you through a family saga, the lives of its dysfunctional family members and their adjustments to changes of fortune. It fascinating how the death of the patriarch leads to the rise of an outsider who takes charge with a new set of unhealthy dependencies.
Un romanzo che nel voler essere di ampio respiro perde un po’ di quel bel ritmo che ritroviamo negli altri di Simenon. L’atmosfera decadente è resa a dovere, ma alcuni personaggi rimangono forse un po’ in sospeso. La trama diventa più fitta nella seconda parte, ma sono andata aventi nella lettura aspettando per tutto il tempo un colpo di scena che non arriva mai veramente.
Obviously I read the English translation " Donadieu's Will!! Simenon was the ultimate storyteller - a bunch of great characters to hate - a plot derived with much cunning and an ending worthy of the tale. VIVA FRANCE!!
George Simenon beschreibt das 1930er-Leben in einer kleinen französischen Hafenstadt, in Paris und anderen Orten wie immer sehr plastisch und mit vielen markanten Details. Er schafft dramatische und vergnügliche Konstellationen. Der Roman gilt als frühes Meisterwerk. Für mich ist es ein typischer Simenon: sehr solides Handwerk, seine Zeit wert, leicht lesbar, allemal besser als aktuelle deutsche Autoren (kein Geschwafel, dialogsatt, keine indirekte Rede), aber nicht wirklich hinreißend. Der Roman leistet sich auch ein paar handfeste Schwächen: Gleich zu Beginn kommt es zu einem überraschenden Todesfall, dem die Familie nie richtig auf den Grund geht; der Forensiker schließt Gewalteinwirkung aus, doch andere Gründe werden nicht diskutiert; warum? Auch hinterlässt der Verstorbene ein sehr verblüffendes Testament, das die Betroffenen ohne Diskussion akzeptieren. Und der Autor weist überdeutlich auf einen möglichen Mörder hin. Später verschwinden ein Familienmitglied und dessen Begleiter, ohne dass die Familie viel Aufhebens darum macht – insgesamt unrund. Und wird all das je aufgeklärt? Einige Figuren verhalten sich zudem äußerst unklug und treiben so die Story voran. Immer wieder bringen außereheliche Regelverletzungen neue Entwicklungen, fast schon langweilig. Auch wechselt die Distanz des allwissenden Erzählers zu seinen Figuren fortwährend: mal weiß er alles über sie, mal informiert er den Leser nur vage; wie es gerade passt. Zudem sind zwei oder drei wichtige Figuren (u.a. Philippe und Kiki in ihren jüngeren Jahren, später Martine) seelisch angegriffen bis ernsthaft angeknackst und verhalten sich teils ungewöhnlich – das macht die Geschichte nicht zwingender. Bedarfsweise mit Information hinterm Berg halten und unberechenbare Hauptfiguren, das überzeugt nicht rundum; aber es erlaubt dem Autor einfache Kontrolle der Spannung und Drama nach Bedarf – sicher wichtig für den Donadieu-Roman, der zuerst in Fortsetzungen in der Zeitung erschien. Laut Simenon (1903 - 1989) war der Zeitungsauftrag auch verantwortlich dafür, dass der Roman weit länger geriet als andere Simenons: Meine deutschsprachige Ausgabe aus der Diogenes-Reihe "Ausgewählte Romane" hat rund 530 Seiten (allerdings mit gefühlt wenig Text pro Seite; gefühlter Umfang eher wie ein kurzweiliger 400-Seiten-Roman, und Simenon-typisch leicht lesbar, voller Dialoge). Elke Schmitter hat ein Faible für Ehebruch-Themen, und so lobte sie auch in der taz das in dieser Hinsicht ergiebige Testament Donadieu. Sie pries überdies die Übersetzung – ich fand die Eindeutschung soweit passabel, aber nie auffällig gut, kenne aber lediglich die Ausgabe "Ausgewählte Romane", keine früheren Ausgaben oder das Original. Auch die FAZ lobte den Roman. Assoziationen: Simenons Bananentourist schreibt das Leben eines Donadieu-Sprosses an anderem Ort fort (1938), hat aber keine wesentlichen Bezüge zum Testament-Roman Buddenbrooks von Thomas Mann: in beiden Romanen geht's um ein Handelshaus in einer Provinzstadt, der Patriach verstirbt unwürdig, ein möglicher Juniorchef packt's nicht (Christian B., Michel D.), die Dynastie ist gefährdet (in anderen Punkten unterscheiden sich Buddenbrooks und Donadieu wesentlich) Simenons Die Marie vom Hafen (1938), das ebenfalls in einer Hafenumgebung spielt, wenn auch in anderen gesellschaftlichen Sphären Das Roman-Leben von Philippe und Martine in Paris erinnert an den echten Georges Simenon und seine Tigi nach Simenons ersten Erfolgen Womöglich haben auch die Stundenhotels im Roman biografischen Hintergrund, und das Ertappt-Werden im Stundenhotel erinnert an eine Szene aus Simenons Roman Das Blaue Zimmer
Storia di un innesto 200 pagine e un numero esiguo di personaggi. Questo il marchio distintivo di Simenon. Ma, non esistendo regola senza la sua eccezione, ecco i Donadieu in un’opera extra large e affollata di interpreti. La luce livida delle ambientazioni di Simenon, quella per cui ci si chiede se è lei a definire i contorni dei protagonisti o se è da questi che viene emanato quel grigiore spento e soffocante, qui accompagna i Donadieu in un passaggio di stagioni e di anni che sembrano un unico lunghissimo finire d’autunno. È una luce tetra che ben si adatta a rappresentare l’ambiente dell’alta borghesia di provincia, quella che dietro l’immutabile facciata di boria e perbenismo nasconde l’intera lista dei sette vizi capitali. Ma immobile il mondo dei Donadieu lo è solo all’apparenza. C’è infatti una forza sotterranea che incalza i personaggi e fa evolvere le vicende. Una forza che si annuncia con dettagli minimi ma rilevanti. Un inciso, un superlativo, una ripetizione, hanno la capacità di metterci in allerta e di cambiare il livello dell’attenzione aprendo una breccia nella corazza di uomini e donne che svelano la loro arte manipolatoria, l’influenzabilità, un ego irrisolto, una sessualità repressa… e tutto un catalogo di meschinità e vigliaccherie. È il meccanismo con il quale Simenon ci attira nel gorgo della sensualità asfissiante dei suoi scenari. E non c’è altro modo per entrare in sintonia con questo universo a tinte noir che essere disposti a respirare la morbosità che lo avvince e a calarsi nelle acque torbide che lo bagnano. La trama è fitta di cambi di scena e di coni di luce che si accendono su ciascun personaggio. La Rochelle dei Donadieu è un’umanità disposta in cerchi concentrici che si stringono attorno al nucleo di questa famiglia di armatori, granitica nel voler conservare il proprio status agli occhi della gente, ma incapace di nascondere l’inconsistenza delle proprie vite, la miseria della loro condotta. Maschere patetiche, ridicole, i Donadieu, esposti al dominio di esseri ambigui, avidi e spregiudicati che erodono dall’interno un mondo in avaria per innestarvisi e far propri quei modelli. Ciascuno condannato a rimanere dentro il proprio squallore, a osservarsi attraverso gli occhi giudicanti di poche donne capaci di penetrare la falda limacciosa di quell’ecosistema familiare nel tentativo di emanciparsene. Impossibile salvarsi in questo clan se non nascendo già in fuga da esso. Le inconsuete 460 pagine si spiegano col fatto che il romanzo nasce per essere pubblicato a puntate su “Le petit parisien”. Questo ha dato modo all’autore di dedicarsi al tratteggio approfondito della psicologia dei personaggi, cosa che costituisce la vera centralità del libro e ne vale assolutamente la lettura. Detto ciò, a mio avviso, Simenon è quelle 200 pagine e quattro personaggi.
I have become a medium-big Simenon fan over the past year, and I've been reading him generally in French as a way of practising and learning, given his notional commitment to plain, ordinary-reader-friendly language. I bought this a while back and left it in favour of others, just because of its length (466 pages). Having finally got round to cracking it open, I found it similar in style and vibe to many others, for example 'Le voyageur de la Toussaint' or 'Les fantomes du chapelier' (both also set in La Rochelle). The key difference is indeed the length. It's quite possible that this could be as enjoyable as those others in different circumstances, say on a long quiet holiday; but in a busy working, family and social life, this failed to pull me in for a daily chapter. I don't know if this was consciously part of Simenon's disappointing personal ambition to (Trump-style) win the Nobel Prize (like prizes matter), but that would perhaps make sense of the larger scale of the canvas and also of the slight dreariness of the book. From the two fifths I read it seems to be a family saga, with social realism of a sort mixed in with a bit of social psychology and minor fantastical elements ... All well and good, but for me it just sagged, and picking it up started to seem a chore rather than a treat, until eventually my dinosaur brain realised I could just leave it aside, to pick up again later or not. PS I just read all the reviews, having woken up unnecessarily early this morning. They prompted two thoughts, if that's the word: (1) it seems I gave up on this just before it really started getting going (I stopped just before the end of Part I); and (2) as I've noticed before on Goodreads reviews of Simenons, a huge proportion of the reviews are by Italians! I'm intrigued by this. How does it come about that Simenon is bigger in Italy than in France or Belgium (at least among Goodreads folks)? Maybe the French are just too snooty to use Goodreads en masse?
Ed ecco spiegato plasticamente perché non abbandono (quasi) mai una lettura. “Il testamento Donadieu” è il primo Simenon a non avermi avvinto fin dalla prima pagina e ammetto di aver trovato la prima metà del romanzo quasi indigesta: il racconto del disfacimento relazionale di una ricca famiglia di armatori a seguito della morte del capostipite e dell’inattesa lettura del suo testamento faceva riecheggiare in me letture certamente classiche ma poco incidenti, un Ottocento francese che non ho mai amato particolarmente e che poco ha lasciato nella mia memoria.
È da metà libro in poi che ho cominciato ad avvertire quel brividino che regala il piacere della lettura: non si erano certamente evoluti i protagonisti - tutti piuttosto stereotipati, dal cinico avido pronto a tutto per il successo alla fragile donna preda - ma il tono complessivo del romanzo, e soprattutto il suo ritmo, hanno cambiato marcia. Sono emerse gradevoli sfumature noir, l’altolocata società parigina con i suoi non-detto ha aggiunto un pizzico di verve, la narrazione ha abbandonato una certa aria balzachiana e si è diretta rapidamente verso una moderna tragedia dei sentimenti. Ottimo e non del tutto prevedibile il finale, con una scena conclusiva che accompagna all’ultima pagina (e al saluto del lettore) davvero perfetta.
Io con calma proseguo nella scoperta dei “romanzi duri” di Simenon, abbiamo capito che ne vale la pena.
Parlava da solo, ora. Non occorreva più provocarlo. Gemeva sulla propria sorte, sull'incomprensione della moglie, e costantemente si aveva la sensazione che mentisse, o piuttosto che alterasse la verità. Era vero che Philippe sacrificava tutto alla propria ambizione, come lui stesso affermava, ma quello che non aggiungeva, quello che Martine sentiva, era che lei stessa all'occorrenza sarebbe stata inclusa tra le cose da sacrificare, che forse, anzi certamente, vi era già inclusa!
Un suspense funèbre, languissant. Il pleut tout le temps. On suit plusieurs personnages sur quelques années, on en rencontre de nouveaux, des drames s'ajoutent à plus de drames. J'avais lu que c'était le roman le plus balzacien de Simenon, ce qui avait piqué ma curiosité. Je crois qu'il existe une suite, "tourisme de bananes".
Comme plusieurs des éditions des romans de Simenon, ne lisez pas le 4ième de couverture si vous ne voulez pas connaître une bonne partie de l'intrigue.
My first Simenon novel, and I was not impressed. A million shallow characters "introduced" all at once, and I couldn't churn up the will to care for any of them at any point of the story that was sorely lacking any description of anything.
For some odd reason, this Simenon book isn't listed on GoodReads with its English title and translation. Good, not as provocative as I had hoped, and certainly not of the caliber of the Maigret series.
Simenona kopoto rakstu 2.sējums. Romāns par Donadjē ģimeni, kas nedaudz atgādina ģimenes sāgas kā Busardeli, Eriā vai Forsaiti. Izrādās, ka Simenons ir kas vairāk nekā Megrē un Larošela nav vieta no musketieriem :)
La vie en province, les secrets de famille, les tréfonds de l'âme humaine... Peut-être un peu trop chargé en éléments romanesques au détriment d'une plus grande analyse en profondeur des personnages ?