Nel Diario veneziano Acheng porta all’estremo limite il suo sguardo «taoista» sul mondo. All’inizio del Diario, passando dalla descrizione della Los Angeles bruciata dalle violenze razziali al ricordo di un episodio della Rivoluzione culturale, lo scrittore conclude con disarmante ironia: «Nei grandi disordini c’è sempre un grande silenzio». La forza segreta di questo libro, che si colloca in un preciso genere letterario – detto biji (letteratura in forma appunto), divenuto popolare in Cina a partire dal periodo delle Sei Dinastie (265-589) – sta proprio nella svagatezza e concisione quasi algebrica dello stile. La simpatia per il meticciato e l’ostilità ai nazionalismi. Lo spirito anti-aristocratico. L’insofferenza per le corporazioni degli intellettuali di ieri e di oggi, nella varietà cinesi e occidentali. L’ironia sull’antico e sul moderno, e anche sul postmoderno», sono alcuni dei nodi attorno ai quali si coagula la visione del mondo di Acheng.
Ah Cheng, born in Beijing in 1949, is the pen name of Zhong Acheng (simplified Chinese: 钟阿城; traditional Chinese: 鍾阿城; pinyin: Zhōng Āchéng). An accomplished fiction writer, painter, and screenwriter (for internationally renowned Taiwanese director, Hou Xiaoxian), Ah Cheng spent the Cultural Revolution years in a small village in Inner Mongolia where he painted the sheep and grasslands, and on a State Farm bordering Yunnan province and Laos. During the 1980s he came to prominence as a member of the “primitive” or “seeking roots” literary movement. He has lived in several countries including the US, often not writing for long periods and working various jobs such as fixing bicycles and house painting. In 1992 he received the Italian Nonino International Prize for his literary achievements, which includes a travel journal, Venetian Diary. He lives in the outskirts of Beijing.