Nel vuoto della quarantena, la bora pulisce l'aria, il mondo è sfebbrato, respira. La casa miagola, geme, rimbomba come un pianoforte pieno di vento mentre la città stessa vibra come un sismografo su linee di faglia. E un mattino Rumiz sale per una botola fin sul tetto, che diventa il suo veliero. Lì il suo sguardo si fa aeronautico, gli spalanca la visione della catastrofe e allo stesso tempo del potenziale di intelligenza e solidarietà che può ancora evitarla. Gli svela un'Europa col fiato sospeso, dai villaggi irlandesi alle isole estreme delle Cicladi, dalle valli più segrete dei Carpazi al lento fluire della Neva a Pietroburgo. Milioni di persone che vegliano, incerte sul loro futuro. Gli affetti veri sono resi più vicini dalla forzata lontananza, e si scrive a chi si ama come soldati in trincea, mentre il virus accelera la presa d'atto di un processo che obbliga a riprogettare il proprio ruolo di cittadini in un mondo diverso. Della clausura Paolo Rumiz tiene un diario che entra sotto la pelle della cronaca, per restituirci il cuore di una grande mutazione, al termine della quale non saremo più gli stessi.
Paolo Rumiz è un giornalista e scrittore italiano. Inviato speciale del "Piccolo di Trieste" e in seguito editorialista di "la Repubblica", segue dal 1986 gli eventi dell'area balcanica e danubiana; durante la dissoluzione della Jugoslavia segue in prima linea il conflitto prima in Croazia e successivamente in Bosnia ed Erzegovina. Nel novembre 2001 è stato inviato ad Islamabad e successivamente a Kabul, per documentare l'attacco statunitense all'Afghanistan.
Rumiz ha tenuto questo diario durante i giorni del lockdown nel 2020. Lui si trovava a casa sua, a Trieste. Come sempre, Rumiz riesce a far viaggiare il lettore anche stando chiuso in casa, sia grazie al suo stile scorrevole e avvolgente, ma soprattutto perché spazia dal presente al passato, dai suoi viaggi in barca a vela alla mitologia. Esprime le sue opinioni sui politici contemporanei, tuffandosi poi di nuovo nel passato o citando papa Francesco. Con Rumiz tutto è interconnesso, tutto è un viaggio. Anche lui, come molti altri, si illudeva che usciti dal lockdown saremmo diventati più gentili e civili, meno egocentrici, più rispettosi dell'ambiente, che ne saremmo usciti in qualche modo migliori (o almeno lo sperava). Purtroppo, a distanza di 3 anni, vediamo che non è cambiato niente.
Un diario della "quarantena" vissuta nella primavera del 2020, il mondo affronta un'emergenza a cui non si era preparato e in Italia le persone rimangono chiuse in casa con possibilità di uscire veramente ridotte. È in questo contesto che l'autore, quasi giornalmente, scrive pensieri e riflessioni, uniti poi in questo libro, su ciò che accade. Leggendolo qualche mese dopo la sua stesura ricordo bene le mie sensazioni ma non provo più l'incertezza che provava lui mentre scriveva. La pandemia è ancora in corso, non sembra avere intenzione di arrestarsi a breve, ma la possibilità di tornare alla normalità dimenticando l'accaduto è reale. Il testo allora può essere un buon monito per rammentare ciò che ha investito le nostre vite in maniera così dirompente. Tutto può cambiare, teniamoci pronti e facciamo tesoro dei saggi propositi maturati con quest'esperienza.
Leggere delle riflessioni sul primo lockdown fa quasi tenerezza... Ci aspettavamo tanti cambiamenti del genere umano e invece direi che siamo peggiorati. E' difficile dare un voto ai pensieri di una persona, io però li ho trovati un po' confusi, senza una presa di posizione certa.
Sono di parte, amo lo stile di Paolo Rumiz. Lo trovo affine ai miei stati d'animo e mi coinvolge sempre. Amo Trieste per interposta persona e per brevi soggiorni. Durante la pandemia chi avrà saputo trovare spunti come i suoi potrà dire "un momento duro ma ho saputo interpretarlo"e spero che siano in molti.
"Che colpo di fortuna. Ho scoperto di avere un veliero per uscire in mare quando voglio, in barba alla quarantena. Ha una tolda ampia e articolata, irta di cavi, camini e antenne, ma libera e impercettibilmente convessa come la coperta di un galeone, da cui si gode una grandiosa vista sul mare. E' il tetto del mio condominio".
Dal tetto della sua abitazione triestina, Paolo Rumiz, viaggiatore instancabile osserva il mondo che si è improvvisamente fermato. Sono le settimane della quarantena, dove è impossibile uscire di casa, dove anche solo scrivere per messaggio "ti abbraccio" o "come stai?" produce un'eco incredibile. Tuttavia, con uno slancio di immaginazione, attraverso una botola riesce a salire sul tetto del suo condominio e a farlo diventare un veliero. Una volta a bordo, ne esce fuori un libro a metà fra il diario, la cronaca e la riflessione intima. Fra le preoccupazioni principali la sorte dei giovani, l'inasprirsi delle tensioni all'interno dell'Unione e la totale assenza di "unità nella diversità", i sovranismi e la fine di un modello economico che ha esasperato il pianeta e ha allargato le maglie del divario fra ricchi e poveri, la paura di una democrazia anestetizzata a colpi di decreti che limitano anche le più minime libertà.
Tuttavia, in sordina, nonostante le critiche, si legge un ostinato europeismo a cui Rumiz non vuole rinunciare e al quale tutti, giovani e non, siamo chiamati a seguire per una riscossa futura fatta di unità, giustizia e solidarietà fra le nazioni. Ne usciremo cambiati da questa pandemia? Ci si chiede giustamente. Ancora non lo sappiamo, ma il punto di partenza deve essere uno solo: "mai più la vita di prima".
"Oggi, un microrganismo a forma di pallina da golf ci toglie quel paraocchi e ci offre un'opportunità straordinaria: riflettere. Mai abbiamo avuto così tanto tempo per farlo e prepararci al dopo. È la nostra ultima occasione. [...] Accettare la sfida di un cambiamento radicale".
" ... La quarantena sta per finire e io ho già paura del mondo. Paura di uscire, paura che non cambi nulla. Che la gente, invece di rallentare, acceleri ulteriormente per recuperare il tempo perduto. Paura che tutto resti come prima, anzi peggio. ... " Parole profetiche come non mai, in molti abbiamo sperato che da questa immane tragedia riuscissimo a trovare una nuova strada da percorrere più consapevoli, più in sintonia con l'ambiente ma purtroppo non è stato così. Un diario intimo, con speranze, incertezze, paure e con la disperata voglia di sperare in un cambiamento portato avanti dai giovani ai quali tanto è stato tolto gli unici che forse potrebbero prendere le redini in mano e condurci su una strada completamente diversa.
Un diario di bordo che diventa un manifesto civile. Rumiz scrive con la precisione di un viaggiatore e la calma di un monaco: riflette su libertà, disciplina, tempo, paura e rinascita dopo il lockdown. Ogni pagina ha il peso e il respiro della verità. Un libro breve ma intensissimo, da leggere a piccoli sorsi — come si beve un vino raro. ⭐️⭐️⭐️⭐️⭐️
Bellissime riflessioni scritte con il suo personalissimo stile carsico che collimano con le mie. Ha saputo scrivere poi parole di forte speranza per un mondo piú sensibile e piú attento all'ambiente.
Tantio belli gli aneddoti e i racconti quanto stucchevoli le paternali e i pipponi politici. L’ho letto alle soglie di un secondo probabile lock down e non ci ho trovato una visione. Nella media, senza imfamia né lode.
Assolutamente da leggere. Quello che la pandemia e il periodo di quarantena avrebbero potuto insegnarci: un'occasione di riflessione sul mondo di oggi è sul mondo che vorremmo per il futuro. "Saprò tornare alla normalità Oppure è la normalità il problena"
“E allora ho ripensato alla speranza contenuta in quei nitidi cieli d’aprile in cui l’uomo aveva dato tregua alla Natura. Ciminiere spente, autostrade vuote, transatlantici fermi, aerei a terra, canti ai balconi, libertà di sognare un domani diverso.”
“L’occasione di riflettere è stata il vero, grande dono di questa pandemia, che non è stata solo catastrofe, ma anche prezioso avvertimento.”
“Com’è che noi italiani ci infliggiamo la clausura più stretta d’Europa, con costi umani ed economici incalcolabili? Siamo così ubbidienti per responsabilità o conformismo? Il senso civico non si fa in quaranta giorni; non basta la retorica della bandiera. Una volta finito tutto, ci daremo come prima al chissenefrega o saremo diventati più sensibili al bene comune?”
“E poi, il rischio tremendo di abituarsi. Noi italiani soprattutto, perché assai poche volte l’Italia “s’è desta” sul serio. Tanto più che questa quarantena si ammanta di un innegabile fascino claustrale. Invita alla preghiera, unisce la famiglia, ti fa rallentare e riscoprire cose che hai trascurato. Dentro, il guscio sicuro; fuori, l’incertezza.”
“La quarantena sta per finire e io ho già paura del mondo. Paura di uscire, paura che non cambi nulla. Che la gente, invece di rallentare, acceleri ulteriormente per recuperare il tempo perduto. Paura che tutto resti come prima, anzi peggio.”