Di notte a Solinga i lampioni camminano, i negozi russano e le caffettiere preparano la colazione. Non è una favola: è il posto in cui è andata a vivere Renata Paganelli, per sopportare il mondo dopo che le è successa una cosa molto grave. Ma un giorno gli abitanti di Solinga ritornano in massa, guidati dal sindaco: pretendono di riavere indietro la loro città così com’era, e intanto riportano a casa la piccola Agata. Per tenerla con sé, nonna Renata dovrà rinunciare ai suoi incantesimi e affrontare la realtà. Riprendere la vita normale non è facile, ma può essere entusiasmante imparare tutto da capo. Nonna Renata vuole conquistare l’amore della sua nipotina, anche se a condurre le cose, come spesso succede, non è lei ma la bambina. Ed è proprio Agata che la spinge a uscire di casa, a superare nuovi confini andando sempre più lontano, nei luoghi più pericolosi, sia fuori che dentro di lei. Cosí questo romanzo famigliare diventa un viaggio avventuroso in paesaggi sinistri e ammalianti. Oltre che una storia appassionante, La penultima magia è una meditazione sulla sofferenza, una mitologia ecologica, una scuola di vita in cui le generazioni si educano a vicenda.
Dietro la magia c’è una storia che con leggerezza sa spiegare tante cose, vere e importanti. Perché la realtà, per essere accettata e vissuta, ha bisogno di essere raccontata anche con stravaganza e le parole, si sa, possono divertire ed aiutare. Bello questo viaggio di una nonna e la sua nipotina tra illusione e disincanto, metafora di quel percorso spesso complicato che è la crescita.
Sono confusa: questo libro sembra essere stato scritto da due persone.
La prima parte, bellissima, incantevole, sembra porre le basi ad un romanzo quasi sperimentale, nei temi e nelle parole scelte (e costruite) per rappresentarli. Scarpa disegna un mondo curiosissimo, fatto di oggetti che parlano e che hanno emozioni ed intenzioni, di marciapiedi che si muovono strisciando e di lampioni che pattugliano la città. È un disegno surreale e meraviglioso, postumanista quasi, nel suo dare importanza agli oggetti più che alle persone. Eppure Scarpa è anche in grado di unire al suo racconto innovativo tratti della tradizione: le dita rosa dell'aurora, come stregate e portate via a Omero, zampettano lungo le vie di Solinga e bussano alle palpebre di Renata, la fata protagonista. Tutto questo mi è piaciuto tantissimo: è un mondo che ridimensiona il ruolo delle persone regalando spessore alle cose, buffissimo ma poetico. E poi c'è il linguaggio: Scarpa gioca con le parole, le trasforma, le associa in collocazioni bizzarre, le mescola, crea neologismi, composti: "la serra delle piante grasse e quella delle piante magre, il ripostiglio delle cianfrusaglie, il bugigattolo delle carabattole, lo sgabuzzino degli sgabelli e lo sgabuzzone degli sgabrutti...". Infine, la fata Renata è costretta ad abbandonare questo mondo delle cose, della magia, per stare con sua nipote. Questi presupposti mi hanno entusiasmata moltissimo.
Dove è finito tutto questo nel resto del libro? Scarpa sembra perdersi: il libro continua con il racconto di un viaggio avventuroso, ma non è chiaro dove l'autore voglia arrivare. Il linguaggio immaginifico sfuma e sparisce. Improvvisamente viene introdotto il tema ecologico, trattato sommariamente e cripticamente. Infine, la vicenda si risolve con un deus ex machina improvviso: ma non è chiaro a che cosa sia servito il viaggio, a che cosa sia servito raccontare il valore delle Cose, come si risolverà il problema ecologico, in che cosa siano cresciuti i personaggi. Il romanzo va semplicemente verso un progressivo appiattimento: perde la riflessione sugli oggetti, lo sperimentalismo linguistico, la stratificazione psicologica; non riesce nemmeno a portare a segno un chiaro messaggio ambientalista o a trasmettere una qualche morale, attesissima dopo il lungo racconto del viaggio.
Un insolito Scarpa: un libro che in testa crea da sé un film d’animazione. Una storia che parla dei nostri giorni. Un racconto carino, per tutti. Una favola. Che ogni tanto ci serve.
Era cominciata così bene questa favola... Peccato si sia persa tutta la magia della primissima parte, originale, briosa, simpatica, divertente, ricca di giochi di parole e di situazioni incredibilmente fantasiose. Il ritorno alla normalità è risultato invece quasi anonimo, a volte noioso, poco coinvolgente, forse meno credibile del periodo in cui gli incantesimi facevano la loro parte, e il messaggio che probabilmente intendeva lanciare (il rispetto della natura? i disastri causati dall’uomo? lo scenario attuale dei cambiamenti climatici?) è venuto fuori labile e poco costruttivo. Ammetto: un po’ di delusione c’è stata. Le tre stelle sono tutte per la magia.
Tralasciando una scrittura comunque intelligente, con abile uso dei giochi di parola e parti descrittive fantasiose, che rendono scorrevole il testo, resta un fatto: il racconto non ha senso. L'aria magica della storia sembra causata da un problema ad accettare la morte dei propri cari e se il proseguimento avesse contenuto la morale della vita che va avanti, della gioia che è ancora possibile provare, eccetera, sarebbe stato un bel racconto, con una conclusione forse banale ma resa intelligente dalla scrittura. Invece, non si capisce perché e per come, la magia diventa reale e contiene un riferimento all'uomo che ha distrutto il suo legame con la natura, ma essendo irreale non abbraccia affatto il senso ambientalista che vorrebbe avere. Alla fine si ha un non sense, con personaggi che cadono nel vuoto privo di significato, con altre fantasie che si perdono in questa magia che vuole essere vera e invece risulta una esagerata forzatura. La prima parte era davvero interessante, ma la conclusione non fa giustizia alla ricerca di una morale che pure si aspettava.
Se qualcuno mi consigliasse di leggere una storia con un inizio narrato da lampioni umanoidi comandati da una fata che anima oggetti con un ramoscello dorato, molto probabilmente risponderei no, grazie. E sbaglierei—almeno se quella storia fosse stata scritta da Tiziano Scarpa. Non sapevo nulla di come iniziasse questo romanzo breve (o racconto lungo, fate voi). A dire il vero, se avessi saputo del suo inizio fantasy, magari mi sarei buttato su qualcos’altro di suo. Per fortuna, il mio pregiudizio sul genere ha deciso di starsene zitto, permettendomi di scoprire un’altra sfumatura dello stile di Scarpa. Il resto della recensione si trova qui: https://alessandroraschella.com/2025/...
Una fiaba moderna. Per "bimbi" grandi. Che conserva la meraviglia dei racconti fantastici, delle coincidenze dei giochi dei bambini, delle parole semplici che si fondono a formarne di nuove, con significati poetici e strampalati. Ma che d'altro canto fa riflettere e commuovere. Una storia che parla di adozione, di nonne e di nipoti, dell'origine del mondo e dell'ecologia, dell'ancestrale rispetto della natura, dell'ancestrale amore familiare, della malattia mentale... una storia semplice eppure così profonda, che parla al cuore dei bambini che siamo stati e che potremmo essere per sempre.
Carino!! Una storia da leggere come favola della buonanotte (spezzettandola in più serate ovviamente, è un po' lunga), o da leggere da soli per i bambini più grandi. Perché chi non ha bisogno di un frullapaturnie? Di un macinaproblemi? Del canto delle sirene? Di una caffettiera-consigliera che aiuta a mettere le cose in prospettiva? Si presterebbe benissimo ad essere trasposto sullo schermo.
dico solo che la cosa che agata e Renata alla fine erano sorelle e che la sorella segreta barbara è una sirena sposata con un centauro mi ha fatto cringare
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Con questo libro ci si perde nella musicalità delle parole che cambiano forma fluiscono come i pensieri ma è una splendida favola sul desiderio di perseguire i propri sogni
L'ho ascoltato letto da Rita Savagnone: ha una voce stupenda, è stato come ascoltare una nonna che racconta una fiaba. La storia è molto carina, la prima parte soprattutto.
Premetto che questo libro mi ha lasciata un po' confusa devo ammettere, ora vi spiego perché: Sin dalle prime pagine si capisce che si tratta di un racconto super fantasioso e completamente discostato dalla realtà. Nei primi capitoli l'autore riesce a gettare il lettore in un mondo fantastico ricco di magia e meraviglia. Ci sono lampioni che camminano per illuminare la città durante la notte e proteggere il territorio, statue parlanti, teiere e stoviglie che cucinano in autonomia e il tutto gestito dalla magia di una dolce e vecchia fata di nome Renata. Le descrizioni in questa prima parte appaiono meravigliose e dettagliate in ogni loro sfumatura... Poi a metà del libro tutto cambia! Pare che a metà della narrazione l'autore venga sostituito da tutta un'altra persona che perde completamente il senso cruciale del libro e la voglia di continuare il racconto come si deve. La narrazione passa da un ambiente fatato ad una situazione strana e quasi inconcepibile che non ho per nulla apprezzato. Eppure questo libro, nella sua stranezza, mi ha invogliata a leggerlo tutto fino alla fine più per vedere dove voleva arrivare la storia che per reale apprezzamento di quest'ultima. Lo consiglio? Non vivamente in realtà, ma naturalmente si tratta di gusti estremamente personali