Tra Lolita di Vladimir Nabokov e film come Kynodontas di Yorgos Lanthimos, questo romanzo è una favola oscura raccontata in piena luce: in un’atmosfera fiabesca e sospesa sopra ogni giudizio, le convenzioni si ribaltano e non si sa più cos’è l’amore.
Rino rapisce la piccola Ada durante una festa patronale. Convinto di amarla, la costringe in casa: così Ada cresce con lui, senza mai uscire, convinta di non poter toccare l’erba e il pavimento fuori perché priva delle scarpe che le impedirebbero di bruciarsi. Il mondo che Rino plasma per Ada, sfumato tra sogni e menzogne, è un carcere perfetto, nel quale la giovane vive senza troppo chiedersi cosa c’è oltre, interrogandosi sulla parola amore e su quello che succede quando si cresce. Dopo 13 anni, però, quel mondo crolla: Ada viene salvata, Rino processato. Il resto delle loro vite è attesa. Anja Trevisan si cimenta con uno dei temi più controversi della storia della letteratura, mostrando con delicatezza quanto sia difficile distinguere tra amore e dipendenza.
Non è un romanzo facile «Ada brucia. Storia di un amore minuscolo», né a leggerlo né, si può immaginare, a scriverlo. A maggior ragione, poi, se è anche un’opera prima. La scrittura di Anja Trevisan attrae e respinge, racconta della notte più nera, lasciando sempre uno spiraglio di luce a guidare chi legge. Leggi la recensione completa su http://www.lindiependente.it/ada-bruc...
Ho letto una storia d'amore ed era tantissimo che non succedeva. In Ada brucia non viene tralasciato niente, per questo le cose più sbagliate lo sono così tanto che ci si sbatte contro con il naso e ci si fa davvero male. L'amore è davvero minuscolo, così tanto che me lo ha ricordato Rino,il protagonista venticinquenne che rapisce Ada quando ha solo nove mesi, che lei cresce, certo, ma lui invecchia. Eppure Rino, la sua voce, sembra sempre e solo eternamente Rino. Poi a un certo punto sembra una fiaba, con i piccoli riti delle fiabe, minuscoli ma incredibili anche quelli. Ci sono infine le menzogne più grandi, ovvero quelle che non sembrano mai menzogne.
Un incubo confezionato con tenerezza. Il libro, intendo l'oggetto libro, con i colori pastello della copertina, la dimensione quadrata, la grammatica e la consistenza della carta, spessa e ruvida, piacevolissima al tatto, i disegni all'interno, i piccoli particolari grafici, sembra un libro per bambini. Delicato, fatto per attrarre. Poi, però, si rimane annientati. Rino non è una cattiva persona, ma è un pedofilo, di quelli che si innamorano veramente, ma delle bambine piccolissime, di quelli che si convincono che è la cosa giusta, perché agiranno con delicatezza e sempre in nome dell'amore; per questo rapiscono e sequestrano, per quattordici anni, una bambina, prendendola da una culla. Il libro ha un bell'aspetto perché in fondo è una favola, ma in realtà è una favola nera, dove anche il lieto fine non è lieto. Si sentono fortissimi l'amore e anche la malattia e l'egoismo, nel cui nome travestito da amore, si perpretano atrocità. Atrocità colorate a colori pastello.
Sbagliato, sbagliatissimo dalla prima all'ultima pagina, raramente ho letto libri che mi hanno lasciato sentimenti così contrastanti. È stato un viaggio immensamente doloroso, in molti modi diversi.
Ho appena finito di leggere questo libro e l'unico aggettivo che mi descrive in questo momento è "dolorante". Mi fa male ovunque, piccoli fastidi sulla pelle, nella pancia, dentro il naso, residui che mi ha lasciato questa storia assurdamente bella. Bella per il modo in cui è stata scritta, ovviamente, non per la storia in sè che è terrificante. Il finale è l'unico possibile per stare in equilibrio.
Come si può dire di leggerlo? E come si può dire di non leggerlo?
"Ada non era il suo segreto, era il segreto di qualcun'altro!". Ada brucia è la storia di un amore, senza "se" e senza "ma". Un amore sicuramente malato, ma pur sempre un amore, così come in uomo malato, resta pur sempre un uomo. E Rino è questo, un uomo, non un maniaco, un pervertito o peggio, è solo un uomo con tante debolezze, tanto sentimento e tanta, troppa solitudine. Rino rapisce una bambina di nove mesi, Beatrice, le cambia il nome, perché Beatrice non gli piace, la chiama "Ada", un nome che ricorda "Ida", il suo ideale di bellezza e la tiene con sé, la cresce, se ne prende cura, ma sempre senza scarpe. "L'erba brucia, se la tocchi con i piedi cadi a terra dal dolore e poi muori, e non esistono scarpe per le bambine, dovrai aspettare di avere i piedi grandi come i miei per poter uscire!". Per lei Rino è "Bapu", una distorsione di "Babbo", l' ennesima distorsione di questa storia; e Bapu è tutto il suo mondo. Loro si amano ed è normale, vogliono stare insieme perché è bello, anche se le cose belle, fanno male! Un libro meraviglioso, di una dolcezza infinita, che non giudica e non qualifica, ma racconta. Racconta le cose come stanno, le cose come avvengono e di come ci si abitua a tutto. Non si empatizza con un criminale, si empatizza con un uomo e con la dolcezza di un rapporto distorto, eppure, questa è indubbiamente una storia d'amore, perché "se questo non è amore, allora l'amore non esiste".
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Storia di una relazione isolata, quella tra la piccola Ada e il grande Rino. Una scrittura tersa, che racconta limpidamente un tema controverso. Un racconto molto lento, che aiuta il lettore ad abituarsi pian piano alle esistenze congiunte dei protagonisti, ad affezionarsi a loro anche se in fondo, nella sua mente, sa che le premesse sono moralmente inaccettabili.
[Alcune imperfezioni necessitano una revisione: ogni tanto il conto degli anni non torna; Ada guarda spesso la TV, eppure alcuni oggetti ed eventi le sono sconosciuti come se fosse vissuta in una caverna]
Una casa in mezzo al bosco, un paesino di poche anime, un ragazzo e una bambina. Ada Brucia è una storia d’amore, come la stessa autrice la definisce, che nasce tutta sbagliata e affascina il lettore sin dalle prime pagine.
L’autrice riesce a raccontare una storia pesante e spesso respingente senza mai dare un giudizio, senza mai esprimere una opinione che getti luce chiaroscurale su quello che il lettore sta leggendo. Anche solo per questo, consiglio a tutti la lettura.
Che libro difficile, che peso sullo stomaco e che fatica immensa. Ci vuole coraggio a scrivere pagine di questo tipo e ancora di più a pubblicarle. È un tema complicato e la scrittura senza filtri di Anja Trevisan mette in difficoltà il lettore: non è possibile empatizzare con il protagonista, ma lo si fa; non è possibile chiamare amore questa dipendenza, ma forse ogni relazione nasconde qualcosa di malato? Il punto di vista che cambia capitolo dopo capitolo ci trascina in una caverna, alla scoperta degli anfratti più bui che vengono illuminati con un fascio di luce fortissimo che ci acceca.
“Ada brucia” è dichiaratamente - ed evidentemente - ispirato a “Lolita” di Nabokov. E, come in “Lolita”, l’autrice, Anja Trevisan, non lascia trasparire alcun commento moralizzante o una preferenza per la verità di qualcuno o dell’altro. La maggior parte del libro è raccontata dal punto di vista di Rino, il pedofilo e protagonista di quella che è una storia d’amore. Perché questo sconvolge del libro: l’intricato percorso, per Ada invece del tutto lineare e fatale, che la conduce a non poter far altro che amare Rino. Tutto ciò che conosce, tutte le sue esperienze, tutto ciò che vuole e desidera, tutta la sua vita inizia e finisce con Rino. Nonostante la distanza forzata degli anni del carcere, Ada rimane in un attesa dormiente del ritorno di Rino — e la sua vita di quel periodo è un’ipotesi, un disegno, da far approvare a colui che soltanto potrebbe riaccendere la sua esistenza. Ada, però, è un muro privo di crepe: in sedici anni non si affeziona a nessun altro e nient’altro. È solo un corpo messo in standby, al punto che la sua crescita e il suo invecchiamento sembrano essersi interrotti. Non è contaminata dalla realtà, dalle novità del mondo degli altri. È questo forse il punto debole del libro: il fatto che Rino e Ada siano tutti in quell’amore, che non ci siano fratture, disgusti, traumi, momenti critici. Ada dimentica e non reca alcun segno delle prime violenze subite, quando Rino le si è imposto - in maniera docile, ma ferma. La loro relazione si ha l’impressione che sia monolitica e gigantesca, questo Rino è riuscito ad ottenere con la sua ferma convinzione nelle sue azioni, ma forse ha poco a che fare con il realismo. E ha questo romanzo pretese di realismo? Mi pare di sì. Non è soltanto una “favola oscura”, è anche un’inchiesta - al suo nocciolo - sul punto massimo in cui si può spingere la volontà e l’intelletto umani. Anja Trevisan ha risposto così: e non sembra del tutto improbabile, perché Rino rapisce e tiene con sé Ada da sempre e per sempre, da quando ha 8 mesi fino ai 14 anni d’età; la tiene segregata, senza far granché a parte disegnare, e le inietta un terrore immobilizzante nei confronti delle altre persone e del mondo fuori. Nei sedici anni successivi, che li separano mentre lui sconta la pena, Ada non costruisce nulla, a parte un lavoro. Non acquisisce indipendenza, né psicologica né materiale, nelle piccole cose; è immobile, lo attende, e non appena scopre che è uscito, si fionda da lui. Il loro è un amore possibile soltanto nell’universo che Rino aveva costruito con cura, e nei cui confini Ada aveva ridotto tutta la sua esistenza.
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Difficilmente lascio una recensione, ma questo libro veramente mi ha sorpreso. Anja Trevisan parla di un argomento scomodo e lo fa in un modo scomodo, ovvero raccontando una storia senza filtri o moralismi. Ho apprezzato molto la profondità con cui l'autrice ha delineato la psicologia dei personaggi. Da un lato abbiamo Rino con la sua perversione, descritta in tutta la sua complessità: dalla vergogna, all'ossessione e dal mascheramento al tentativo di giustificare a se stesso le sue azioni. Dall'altro abbiamo Ada e il suo vissuto traumatico, che segna in modo irreversibile la sua persona e con cui dovrà fare i conti una volta adulta.
Leggendo anche le altre recensioni, mi sembra giusto precisare che non si tratta di una storia d'amore. Sebbene sia vissuta dai personaggi come tale per la dinamica malsana che si instaura, è una storia di trauma, manipolazione e dipendenza affettiva.
Un esordio davvero interessante, sono curiosa di quello che l'autrice avrà da raccontare in futuro.
Il libro, a cui mi sono approcciato con un po' di diffidenza per gli echi nabokoviani ("Ada", la pedofilia) umanamente inarrivabili, è in verità un ottimo libro e Trevisan sorprendente per la capacità di scrittura. Ottimo esordio e libro che si lascia "divorare". (nota a latere per gli amanti della piccola o media editoria italiana. Il libro, classic esordio bombetta effequ e perfettamente coerente con una delle anime della casa editrice fiorentina, mi ha ricordato qualcosa del primo Camurri con un afflato vagamente hacca-iano)
Quando vengono raccontati il disagio e l'umanità di chi commette atti orribili, le storie inquietanti diventano ancora più inquietanti. Ada brucia è la storia dell'amore malato di un adulto per una bambina, di un rapimento e di una manipolazione che porta alla totale dipendenza della vittima dal carnefice.
Credo qualunque cosa si dica su questo romanzo sia riduttivo, ma tenterò di approcciarmi ad esso con un'ottica quanto più oggettiva possibile. Siamo di fronte a un rapimento di una piccola neonata, Beatrice, durante la festa patronale di un paesino umbro da parte di Rino, uomo pederasta se non con pulsazioni pedofile. Già dalle prime pagine, Rino si palesa con diverse ossessioni: l'odio verso il corpo coetaneo, il suo profondo disagio verso il corpo femminile già maturo e lo strano rapporto morboso con suo nonno, a cui deve tutto, anche gli insegnamenti del mestiere di intagliatore di orologi. Rino coglie l'occasione di rapire e prendere con sé Beatrice, un nome assurdo per una bimba così angelica e che, a parere suo, già in culla avrebbe avuto occhi solo per lui: la chiamerà Ada, un nome vitale e al contempo che calza a pennello su di lei. Gli anni della prigionia e del rapporto costruito tra Ada e Rino (detto Bapu da lei stessa) saranno fondamentalmente per la psiche di Ada poiché destrutturata e ricostruita ad immagine del suo aguzzino-rapitore. Per tutta la vita di Ada, Rino sarà un faro, un modello, nonché amore che, al di fuori della dimensione casalinga costruita da Rino stesso, sarebbe stato impossibile vivere. Ne conseguono una serie di riflessioni su questo rapporto, spesso angoscianti, spesso che segnano sul lettore un momento di gelo sul dualismo bene e male: Lei lo guardava, ci sarà un motivo, o no? L’età conta? Può esserci amore? Se non le facesse mai del male, se non la toccasse, non in quel modo, se non le torcesse un capello, potrebbe essere amore? Questo Rino, nonostante il gesto di sottrarla alla famiglia, diventerà suo padre, in qualche modo, prima che amante, e amore ossessivo anche per la stessa Ada. Un amore deviante, ma percepito sano da lei stessa. A trattenere Ada in questa dimensione ovattata, priva di contatto umano, se non quello di Rino, saranno una serie di bugie costruite da lui stesso per modellarla a suo piacimento: Ada non potrà uscire di casa perché il mondo è corrotto, non esiste il bene, ma solo il male, e più di tutto non può camminare senza scarpe poiché il contatto con l'erba la porterebbe a bruciare e a morire. Ada quindi crescerà, crescerà con la sindrome di Stoccolma, che mai verrà risolta, neppure quando Max, personaggio, a detta di molti pharmakos e risolutore del romanzo, la porterà via da quella dimensione ovattata. Negli anni, però, seguiranno le riflessioni sull'inciampo e inadeguatezza dello stare al mondo di una giovane e poi adulta Ada. Non a torto, direi. Una madre ritrovata, Cecilia, che per egoismo voleva farle da famiglia ma che poi si rivela totalmente abbattuta, gettando via sua figlia ritrovata non dandole più alcuna attenzione, anzi avendone spesso timore: Cecilia veniva più spesso, fino a qualche anno fa. Ada non ha un telefono, o meglio ce l’ha ma ha staccato la spina, e se Cecilia vuole sentirla deve per forza venire qui. In più, Ada ha tolto il campanello. Così Cecilia per entrare deve prima telefonare a Max, farsi aprire il portone e dunque salire e bussare. Di solito quando viene rimane non più di dieci minuti. Un fratello, Tomasso, geloso e privato dell'attenzione della famiglia a causa di una Beatrice-Ada, si comporta come se lei non esistesse: Suo fratello Tommaso non è andato mai a trovarla, ha sempre avuto paura di lei, anche se non l’ha mai ammesso. E comunque se n’è andato: in un’altra regione, forse all’estero. Un Max che per quanto l'abbia salvata, non è poi così diverso da Rino. Diventerà bugiardo nel corso del tempo, certo per proteggerla a modo suo, ma comunque usando Ada per l'amore che prova per lei; lasciandola infine andare perché capirà di essere una donna priva di risoluzione al trauma subito: Max invece lo sa. Con lei ha troppe responsabilità e in più, questo lo sa ancora meglio, ne è innamorato. Però è anche arrabbiato per la sua continua serietà, perché non ride, non scherza, non sta al gioco, non coglie l’ironia, non si arrabbia ma finisce per piangere quasi sempre. È arrabbiato per la debolezza che Ada gli dimostra ogni giorno. È arrabbiato perché non capisce come, in tutti questi anni, non riesca a superare un trauma. L'unico personaggio, se così possiamo definirlo, buono, è l'altro fratello ritrovato di Ada, Simone, che si mostra accondiscendente e capace di accompagnare teneramente e fare da spalla alla ragazza: Simone invece ha un carattere diverso, con cui Ada non si sente a disagio. Non prova per lei nessuna attrazione sessuale, essendo suo fratello, quindi sa che quando lui arriva non sarà guardata come del cibo, e in più è l’unico che la tratta come fosse una persona e non una bambola di cristallo da rinchiudere dentro una credenza o sopra un mobile. Simone viene quando vuole, si fa aprire da uno dei condomini – suona finché qualcuno, stizzito, non gli apre il portone – e poi bussa con forza alla porta di Ada. Non accetta che non lo si faccia entrare perché, per venire a trovarla, deve allontanarsi dal suo computer. A volte le porta qualcosa da mangiare, a volte si stende sul divano e si arrabbia perché la tv non è attaccata e funzionante, altre volte la convince a fumare erba insieme a lui, in cucina, seduti per terra. Insomma, Ada si ritrova in un mondo di gente scostante, indifferente alla sua diversità, che la tratta come un alieno e una ragazza difettosa per com'è cresciuta. Alla fine non ci sono né vincitori né vinti. Ada ne esce distrutta comunque, ma è un personaggio femminile costruito magistralmente, con le sue sfumature e le sue ferite nell'anima. Riesce infine a stare in piedi, senza più bruciarsi. Un romanzo esordio, italiano per di più, che mi ha fatto tremare per quanto sia narrativamente sbagliato, ma al contempo audace.
Mi ha dato fastidio che la protagonista già a cinque anni abbia delle facoltà di raziocinio e parola troppo elevate, però lo si perdona essendo la prima opera di una autrice giovanissima. è una storia veramente struggente, fa davvero tanto male
Questo libro mi ha fatta sentire sporca, ma penso fosse quello l'obiettivo.
Ada brucia racconta la storia di una provincia umbra, un paese tranquillo in cui una neonata viene rapita e tenuta in completo isolamento fino all'età di tredici anni da un pedofilo. Ada brucia racconta la storia di Rino, che si innamora di Beatrice e fa di tutto per stare con lei. Ada brucia racconta la storia di Ada, che può amare solo ciò che conosce e volere solo ciò che la vuole. Tutte proposizioni vere, tutte incomplete: Ada brucia è una collezione di punti di vista che restituisce un mosaico scabroso, triste, senza luce.
Non è Lolita, perché Nabokov scrive il suo romanzo con gli occhi di Humbert Humbert, che viene apertamente presentato come un retore, un manipolatore, un uomo vile e perverso. In Lolita il giusto e lo sbagliato sono cristallini, si nascondono solo dietro un arabesco di prosa troppo bella per essere messa a tacere. La terza persona, in queste pagine, è un bisturi che seziona un corpo dietro l'altro e porta alla luce tutto quello che non avresti voluto vedere. Non ti conforta, non traccia netti confini fra il giusto e lo sbagliato: se vuoi condannare qualcuno, devi condannare una persona, non una caricatura; se vuoi una vittima, devi accettare che subire violenza a volte significa perdere la capacità di reagire; se vuoi un eroe, devi sopportare il fatto che nessuno agisce in modo gratuito. Non riesco ad esprimere quanto sia doloroso passare da un punto di vista all'altro e rendersi conto che nessuno dei personaggi riesce ad uscire dal proprio, nessuno riesce davvero a capirsi. E forse è per il meglio, perché capendoli tutti ci si sente solo terribilmente vuoti.
Un bel libro, ma senza dubbio di difficile digestione. Qualcuno potrebbe definirlo un esercizio di empatia, io lo vedo più come un rilevatore della propria solidità etica. Si può empatizzare e condannare contemporaneamente, fa solo più male. Toglie la gioia del giudizio dall'alto verso il basso, ed è giusto così. Chiunque legga e concluda che sì, si tratta di una storia d'amore, mi fa paura.
Recensione a cura della pagina instagram Pagine_e_inchiostro: In bilico tra le ombre di Lolita di Nabokov e le atmosfere perturbanti del cinema di Lanthimos, Ada brucia è una favola nera narrata con lucidità spietata.
In un contesto sospeso, dove ogni convenzione sembra rovesciarsi, il concetto stesso di amore si trasforma e si distorce. Durante una festa di paese, Rino rapisce la piccola Ada, che ha appena nove mesi. Convinto di amarla, la cresce nel totale isolamento, imponendole un mondo fatto di regole arbitrarie e menzogne; tra tutte, la convince che non può camminare fuori casa senza scarpe, altrimenti si brucerebbe, mentre lui esce liberamente grazie all’ennesimo inganno. Ada cresce così in una gabbia dorata che ha i contorni del sogno ma l’essenza del carcere, interrogandosi sul significato dell’amore.
Leggere questo libro è stata un’esperienza viscerale: un vero pugno nello stomaco. Ho dovuto affrontarlo a piccole dosi, perché la storia è disturbante e a tratti insopportabile nella sua crudezza. Eppure la scrittura della Trevisan è sorprendentemente ipnotica, capace di avvolgere anche quando i temi respingono. Ci si ritrova immersi nella psiche deviata di Rino al punto da faticare a riemergere a fine lettura. Fortunatamente, pur essendo ossessionata e di parte, la narrazione non romanticizza mai la relazione. (Non ho potuto non pensare al caso di cronaca di Natascha Kampusch). Un romanzo che affronta l’ambiguità dolorosa della sindrome di Stoccolma, dei rapporti di coercizione e delle dinamiche tra vittima e carnefice. Crudo, commovente e originale, per tematiche e intensità mi ha ricordato Il mostro pentapodo e Una storia crudele, pur mantenendo un’identità tutta sua. Una storia tremenda, raccontata benissimo. Consigliata, ma non per tutti i lettori.
Proprio come il suo titolo, “Ada brucia” è un romanzo scottante.
Anja Trevisan, classe 1998, ha creato un’opera superba.
La storia richiama “Lolita” di Vladimir Nabokov, ma si spinge ben oltre: Rino è un giovane ventisettenne umbro che perde la testa per Beatrice, una neonata di 4 mesi, che decide di portar via dalla famiglia naturale “per coltivare il suo amore”.
Dal momento in cui Rino compie questo gesto, Beatrice non sarà più Beatrice, bensì Ada. Questo è un romanzo psicologico poiché Rino, in alcuni sprazzi di lucidità, capisce di aver perpetrato un gesto scellerato, ma sa di aver compiuto la cosa giusta, per tutelare questo amore incontrollabile.
Gli anni, però, passano, Ada cresce e vuole mettere il naso fuori dalla porta. Accade, tuttavia, che Rino le dice che dovrà pazientare poiché in paese non esistono scarpe della sua misura e che, se dovesse poggiare i piedi sull’erba, Ada brucerà.
Il romanzo, nell’arco della sua storia, presenta diversi risvolti, parte dei quali riconducibili alle domande “chi nasce tondo può morire quadrato?” e, ancora, “quanto la sindrome di Stoccolma può giocare brutti scherzi in questi episodi?”
Anja Trevisan, al suo esordio letterario, ha scritto una favola oscura raccontata in piena luce che, con sorprendente delicatezza, mostra quanto sia difficile distinguere tra amore e dipendenza.
Una lettura complicata. Densa e sconvolgente. Leggerlo è stato come mettere a dura prova la mia empatia (molti i momenti in cui avrei scaraventato via il libro!), vedere fino a che punto avrebbe retto. E se ne si ha tanta diventa faticoso. Un continuo salto mortale nel saltare dai panni ora dell’abusante, poi dell’abusato, quindi delle persone intorno, di chi vuole aiutare ma non può, fino ad arrivare a chiedersi quanto è giusto salvare chi non si rende conto di dover essere salvato. Spaventoso pensarci, non mi era mai capitato prima. Ma nel libro sembra evidente che aiutare a volte provoca in chi ha bisogno di aiuto solo una maggiore sofferenza. Quanto è giusto allora bucare le bolle degli altri perché NOI li vediamo soffrire? Quanto è nel nostro diritto fare ciò? Un libro che non da’ nessuna risposta a questi quesiti, li solleva e basta e porta il lettore ad allenarsi a cambiare punti di vista e prospettive. Un libro che fa incazzare, spaventare, e infine contro ogni tua volontà anche comprendere. 2 stelle solo perché, assolutamente egoisticamente, non era quello che mi aspettavo.
Può un amore vero, profondo, intenso essere così terrificante e disturbate? Sì. Perché l'amore in questione è quello che il protagonista maschile attribuisce alla sua malattia per giustificare un'aberrazione. Ma nessun amore, nemmeno quello più giusto (se mai esiste un amore giusto) può giustificare il possesso, la segregazione, il ricatto morale. Al di là della passione "sbagliata" di un pedofilo quello che più mi ha fatto male di questo libro è il prezzo che la bambina (e la futura donna) deve pagare in nome dell'amore. Ada è una vera ragazza interrotta che non potrà mai più esistere e vivere. Un animale cresciuto in cattività e lasciato improvvisamente libero in natura senza istinti di sopravvivenza, senza le sovrastrutture che dà la società, non sempre giuste ma essenziali per farcela. Una storia d'amore che cela la peggiore storia di egoismo e crudeltà che si possa immaginare, dove la violenza psicologica supera di gran lunga quella fisica. Un libro che senz'altro smuove reazioni forti.
una favola oscura dove si intersecano diversi gradi di empatie. un nabokov con una prosa con più coscienza, un libro che va a scavare nella melma di cui nessuno ancora osa parlare.
Scrittura lineare, nonostante il tema è un libro che ti lascia incollato alle pagine, ti porta all’interno della dinamica in questione. Il finale mi ha distrutta, delusa e scombussolata.