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Febbre

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Jonathan ha 31 anni nel 2016, un giorno qualsiasi di gennaio gli viene la febbre e non va più via, una febbretta, costante, spossante, che lo ghiaccia quando esce, lo fa sudare di notte quasi nelle vene avesse acqua invece che sangue. Aspetta un mese, due, cerca di capire, fa analisi, ha pronta grazie alla rete un’infinità di autodiagnosi, pensa di avere una malattia incurabile, mortale, pensa di essere all’ultimo stadio. La sua paranoia continua fino al giorno in cui non arriva il test dell’HIV e la realtà si rivela: Jonathan è sieropositivo, non sta morendo, quasi è sollevato. A partire dal d-day che ha cambiato la sua vita con una diagnosi definitiva, l’autore ci accompagna indietro nel tempo, all’origine della sua storia, nella periferia in cui è cresciuto, Rozzano – o Rozzangeles –, il Bronx del Sud (di Milano), la terra di origine dei rapper, di Fedez e di Mahmood, il paese dei tossici, degli operai, delle famiglie venute dal Sud per lavori da poveri, dei tamarri, dei delinquenti, della gente seguita dagli assistenti sociali, dove le case sono alveari e gli affitti sono bassi, dove si parla un pidgin di milanese, siciliano e napoletano. Dai cui confini nessuno esce mai, nessuno studia, al massimo si fanno figli, si spaccia, si fa qualche furto e nel peggiore dei casi si muore. Figlio di genitori ragazzini che presto si separano, allevato da due coppie di nonni, cerca la sua personale via di salvezza e di riscatto, dalla predestinazione della periferia, dalla balbuzie, da tutte le cose sbagliate che incarna (colto, emotivo, omosessuale, ironico) e che lo rendono diverso. Un libro spiazzante, sincero e brutale, che costringerà le nostre emozioni a un coming out nei confronti della storia eccezionale di un ragazzo come tanti. Un esordio letterario atteso e potente.

8 pages, Audible Audio

First published May 15, 2019

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Jonathan Bazzi

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Profile Image for Vincenzo Politi.
171 reviews165 followers
November 25, 2024
Solitamente non do una stellina nelle mie recensioni, neppure ai libri che non mi sono piaciuti affatto. È una sorta di rispetto per chi ha speso ore e ore a scrivere (il che non è facile), ma anche uno spiraglio che concedo alla possibilità che sia stato io a non aver saputo leggere un determinato testo in un determinato modo (il che non è da escludersi a priori). Nel caso di Febbre, però, proprio non me la sono sentita di dare più di una stella: sarebbe stato quasi immorale. Non che dare una sola, miserrima stella a questo libro non mi costi: un giudizio così severo su un libro autobiografico che parla di sieropositività potrebbe essere fin troppo facilmente scambiato per un giudizio severo nei confronti dell'autore sieropositivo. Però ci ho pensato su un minuto o due, arrivando alla conclusione che, in fin dei conti, lo stesso vale anche per i giudizi esaltanti i quali, vista la natura esplicitamente autobiografica dell'opera, potrebbero essere fin troppo facilmente scambiati per giudizi esaltanti nei confronti dell'autore. Sia che se ne parli bene sia che se ne parli male, dunque, si corre sempre il rischio di parlare d'altro: di parlare della persona che ha scritto il libro, non del libro. Il rischio c'è, ma non significa per questo che non bisogna parlarne affatto, del libro. Semplicemente, chiudendo questo primo preambolo, ci tengo a sottolineare come le mie critiche sono rivolte a Febbre di Jonathan Bazzi, non a Jonathan Bazzi.

Ho scritto 'primo preambolo' perché adesso mi tocca infliggerne un secondo. Siamo a gennaio o febbraio, a Parigi. Un freddo che non dico. La città è paralizzata dalla grève dei mezzi di trasporto: settimane e settimane senza autobus e senza metro. Io, all'epoca, vivevo a Belleville, quartiere cool e fricchettone. Un pomeriggio mi incontro con quel tal mio amico di Milano, che si trovava a passare da Parigi, e ci facciamo un giro sul lungo-Senna. In Italia, pare, si fa un gran parlare di questo Febbre, uno degli "esordi dell'anno". Ma come sarà mai questo libro? Scarico dal cellulare l''anteprima' Kindle e cominciamo a leggere, io e il mio amico, sul lungo-Senna. E per poco non ci buttiamo nella Senna. Leggiamo e ci annoiamo, ci viene il fiato corto per il tedio, rallentiamo il passo. Quello che in molti hanno definito "stile scarno, essenziale e diretto" è, in realtà, una mancanza di stile. Una cosa del tipo: «Sono le otto. Mi sveglio. Sono le otto e un quarto. Mi rigiro nel letto. Otto e mezza. Finalmente, mi alzo. Otto e quarantacinque. Metto su il caffè. Colazione e mal di testa. Le nove. Come passa il tempo». Tutto così. Per pagine e pagine e pagine. Ma a proposito, quante pagine? Leggevo e leggevo, ma questa anteprima Kindle non finiva mai, mai, mai, tanto che avevo persino cominciato a temere di avere effettivamente comprato tutto il libro per sbaglio. In realtà, 'sta anteprima Kindle era praticamente metà del libro. Ed era scritto tutto nello stesso identico modo. Dopo una quarantina di pagine, Jonathan Bazzi era finalmente arrivato a «Mezzogiorno. È ora di uscire», mentre io e il mio amico eravamo arrivati a uno stato di mutismo assoluto, tramutati in due statue di sale dallo sgomento, al punto che sembravamo due gargoyle di Notre Dame. Dopo questa esperienza traumatica con l'anteprima Kindle di Febbre, decisi di non comprare Febbre. Fine del secondo preambolo. Ma la storia, ahimé, continua.

Arrivano i titoli dei semi-finalisti allo Strega. E Febbre è lì. Ma com'è possibile?, mi chiedo. Lo chiedo anche al mio amico di Milano, che dopo mesi deve ancora riprendersi da quella passeggiato sul lungo-Senna. Poi passano altre settimane e, addirittura, Febbre finisce fra i finalisti. Ma insomma, forse sono proprio io che non capisco una mazza di letteratura. Oppure, in quel pomeriggio di gennaio o febbraio, semplicemente ero in uno stato confusionale: la grève, il freddo, i gargoyle, chissà... Ma quindi, lo compro o non lo compro, 'sto libro? Scelgo la via più virtuosa, cioè quella che sta in mezzo: lo prendo a prestito. E per fortuna, perché altrimenti adesso sarei stato qui a piangere quegli eurini che, invece, ho deciso di spendermeli in crêpe e pain au chocolat, alla faccia della dieta e di chi mi vuole male.

Leggo, dunque, Febbre e devo dire che non solo la mia opinione iniziale negativa è stata confermata, ma se possibile è diventata ancora più negativa. Il libro è il memoriale di Jonathan Bazzi, che ci spiega come e quando ha scoperto di essere sieropositivo, più una serie di 'informazioni di contorno' sulla sua famiglia disfunzionale, i suoi primi amori, i suoi problemi con gli studi, eccetera. Il tutto scritto con uno stile (o, come già detto, con una mancanza di stile) da blog o da articolo di rivista on-line. In questo romanzo autobiografico, memoriale, o opera di auto-fiction (etichetta più che abusata in questo caso, visto che l'opera di Bazzi mi pare tutta 'auto' ma senza 'fiction') non c'è assolutamente nient'altro. Nessuna riflessione approfondita. Nessuna sublimazione etica o estetica. Non c'è poesia, perché Bazzi non ha una poetica. Nessuna morale della storia, perché una collezione di didascalie non è nemmeno una storia. Quel che è peggio, ritengo che questo libro sia addirittura 'immorale' per diversi motivi.

Primo: se davvero si vogliono combattere i pregiudizi e la sierofobia, bisogna raccontare storie in cui il sieropositivo non è ridotto alla sua sieropositività. Raccontare cioè le persone, che non sono la loro malattia o il virus che hanno. Bazzi fa tutto il contrario: è lui stesso a ridurre la sua persona alla sua malattia. Bazzi (si) racconta come se non ci fosse nulla, in lui, che vada oltre e al di là della sua sieropositività. Scrive Bazzi:

«Ho l'HIV, sono sieropositivo.
Sono uno di loro.
Non so più chi voglio essere, dicevo ogni volta. Ciclicamente, saranno vent'anni. Non so chi sono, non l'ho mai saputo. Per tutta la vita, finora, ho cercato senza sosta di diventare qualcosa, assumere una forma, incarnarmi: il cantante, il pittore, il giornalista, l'aspirante professore universitario, la filosofia, il kung fu, lo yoga, la letteratura, l'ebraismo, il buddismo, l'animalismo, la chitarra, teoria e solfeggio, il femminismo, la meditazione, la danza classica, l'esoterismo. Vocazioni innumerevoli, durate niente. Magnifico, e poi sempre tutto noioso. Tutte le identità che ho provato ad assumere prima o poi hanno ceduto. Le ho negate, superate, svilite, sono passato in fretta ad altro. Neanche qui, neanche questo - devo essere qualcosa di nuovo.
Ora sono stato accontentato.
Anch'io ho una qualità stabile da esibire al mondo. Di cui non posso sbarazzarmi».


Tralasciandone i giudizi relativi allo spessore letterario (giudizi che sarebbero ripetitivamente negativi), mi chiedo: che messaggio possono portare, simili passaggi? Che spessore può acquisire 'Jonathan Bazzi' (il protagonista del romanzo, non la persona che l'ha scritto) in queste pagine? Che senso ha leggere un romanzo il cui protagonista viene, di fatto, eliminato dall'autore che dice di mettere sé stesso nell'opera, quando in realtà è il primo a sottrarre la sua persona per far spazio al virus che lo definisce?

Ora è vero che, da un lato, e poco più in là, Bazzi (giustamente) osserva che «Il virus dell'HIV appartiene al mondo, soprattutto. Riguarda più voi, che me. È il risultato di una sovrapposizione di sguardi, strato su strato», il che sarebbe come dire: "Non sono io che sto riducendo la mia identità al virus, ma siete voi". Dall'altro lato, però, lui non fa niente per 'far uscire dalla pagina' sé stesso: il suo mondo interiore, il suo punto di vista sul mondo. Chi è il 'Jonathan Bazzi' raccontato in Febbre? Difficile a dirsi, perché 'Jonathan Bazzi' è così piatto e superficiale che molti personaggi di pura finzione sembrano più veri e reali. (E non sto parlando di Anna Karenina o di Ivan Karamazov: anche un personaggio qualsiasi di Stephen King è molto più realistico e umano del protagonista di Febbre.)

Non che a Bazzi siano mancate le occasioni per approfondire ed approfondirsi: semplicemente, le ha sprecate. Ci sono, per esempio, delle pagine potenzialmente interessanti in cui si raccontano di certe tensioni e contraddizioni: per esempio, quando il protagonista afferma di innamorarsi di ragazzi bellissimi per i quali non prova attrazione fisica, per poi fare sesso con uomini che, a conti fatti, non gli piacciono nemmeno. Scrive dunque Bazzi: «non posso che innamorarmi di ragazzi - ragazzi, non uomini - malinconici, stropicciati, mezzi barboni ma con gli occhi dolci - falliti? Aspiranti suicidi? Spirito, luce, solo desiderio: non ho mai sognato di scopare con lui. La vita erotica dei santi ha le sue regole». Tema interessante, anche se non eccessivamente originale, ma comunque un'occasione per un minimo di introspezione, un minimo di indagine sulla natura del desiderio e dell'attrazione. Ma niente: si volta pagina e si torna a parlare d'altro, poi d'altro, poi d'altro, ma sono solo chiacchiere ed ornamenti messi lì a decorare il vero protagonista del libro, cioè il virus dell'HIV.

(Che poi, detto fra parentesi, il passo citato assomiglia all'incipit dell'ultimo libro di Aldo Busi, Le Consapevolezze Ultime: «Una delle ultime consapevolezze di cui ho fatto bottino, per magro che sia, è che da ragazzo ero affascinato dagli uomini che non parlano perché avevano tutti la pelle cerulea e luminescente e lo sguardo intenso di chi vuole far capire qualcosa senza dire cosa illudendoti, e secondo me illudendosi, che loro lo sapevano, cosa». Ma mentre nel caso di Busi questa 'consapevolezza' offre il la ad un racconto in cui memoria personale, denuncia socio-politica ed indagine sui valori civili si intrecciano in maniera complessa e quasi acrobatica, nel caso di Bazzi rimangono parole gettate nella mischia. Però si sa che Aldo Busi sta sulle scatole ai lettori italiani: perché è gay ma non è né complessato né malato né innamorato, e perché parla di tutto, non solo dell'essere gay. È quindi un gay 'inaccettabile', proprio perché non è 'soltanto' gay, e non può quindi essere 'perdonato' come, per esempio, Tondelli o Pasolini che, in quanto morti, sono stati conseguentemente santificati.)

Secondo motivo per cui Febbre è un libro immorale (collegato al primo): è immorale scrivere un libro che vuol far leva solo e unicamente sulla compassione suscitata nel lettore. Più che immorale, è un trucco vecchio come il cucco, qualcosa di molto cheap. Ok, scrivendo questa recensione starò facendo la parte dell'insensibile, invidioso, 'hater', e chi più ne ha più ne metta. Ci sto. Ma la maggior parte delle persone che parlano bene di questo libro si sono rese conto che, come accennavo sopra, non stanno parlando del libro in sé, ma stanno semplicemente augurando il meglio al suo autore? Spero di sì, ma purtroppo so già che le vie delle dissonanze cognitive sono infinite.

Terzo motivo, che non ha a che fare né col protagonista né coi lettori: il libro è stato immoralmente 'pompato' dalla critica italiana, che l'ha fatto passare per un nuovo capolavoro. Così facendo, a mio avviso, non si fa altro che danneggiare prima di tutto Jonathan Bazzi (l'autore, non il protagonista del libro). Dopo che ha scritto un romanzo come Febbre, in cui ha parlato della sua sieropositività ed ha fatto piangere mezza Italia, cos'altro potrebbe pubblicare, il giovane e sicuramente ambizioso Bazzi? Dovesse cominciare a scrivere sequel su sequel di Febbre, dopo un po' verrebbe a noia. Dovesse decidere di scrivere tutt'altro, il pubblico non glielo perdonerebbe: tutti direbbero che nelle opere successive non riescono a trovare "l'intensità" e "la vita vera" che c'era, invece, in Febbre. Pubblicizzando un libro del genere, il tran tran mediatico minaccia di stroncare una carriera sul nascere (cosa che, comunque, non auguro al volenteroso Jonathan Bazzi).

Il colpo di grazia è stata l'inclusione di Febbre fra i finalisti dello Strega. Ma anche lì: come è potuta succedere, una cosa del genere? Basta fare 2 + 2. Quello di Bazzi è il libro che è passato in finale ricevendo meno voti di tutti. Se quella dello Strega fosse stata una cinquina, come è (quasi) sempre stata, Febbre sarebbe stato "il primo fra gli esclusi". Siccome quest'anno hanno deciso di fare una sestina, Bazzi è diventato "l'ultimo fra gli inclusi". Ora la questione diventa: perché proprio quest'anno hanno deciso di fare una sestina? Da qualche tempo, per regolamento, ci deve essere fra i finalisti almeno un libro pubblicato da una casa editrice indipendente. La giuria aveva fatto la cinquina con Veronesi, che ha pubblicato con La Nave di Teseo, solo che all'ultimo i giurati devono essersi accorti che La Nave di Teseo non può più essere considerata una casa editrice "piccola" e "indipendente", visto che nel frattempo ha comprato la Baldini&Castoldi, la Tartaruga Editrice, Oblomov Edizioni e chissà cos'altro. In pratica, ci vorrebbe molta fantasia per non ammettere che la Nave di Teseo, adesso, è un grosso gruppo editoriale, altro che 'casa editrice piccola e indipendente'. E dunque, una cinquina con Nave di Teseo (Veronesi), Einaudi (Carofiglio e Parrella), Feltrinelli (Ferrari), e Mondadori (Mencarelli) avrebbe trasgredito al regolamento. Era una situazione difficile. Avrebbero potuto togliere uno dei due Einaudi, ma Carofiglio poi chi lo avrebbe sentito?, avrebbe denunciato, processato e condannato tutti quanti, pure quelli del servizio catering della serata finale, mentre la Parrella, unica donna finalista, era necessaria per la 'quota rosa'. La Mondadori non poteva essere lasciata a bocca asciutta, mentre Veronesi non lo si poteva lasciare senza candidatura. Ferrari è sì un esordiente, ma lavora nel mondo dell'editoria da decenni (era uno degli editor di punta della Mondadori): quindi anche a lui non potevano fare lo sgarbo. Alla fine, per il rotto della cuffia, hanno trasformato la cinquina in una sestina, inserendo Bazzi, che ha pubblicato con la Fandango. Mi domando, dunque: gli hanno fatto veramente un favore, a Bazzi, inserendolo fra i finalisti solo perché serviva qualcuno che avesse pubblicato con una casa editrice indipendente? Secondo me, assolutamente no.

Auguro comunque ogni bene a Jonathan Bazzi, che magari 'sto Strega lo vince pure e buon per lui. Ai lettori italiani, invece, auguro tante buone letture e, soprattutto, discernimento. Io, intanto, me ne torno a passeggiare sul lungo-Senna, adesso che finalmente c'è il sole.
Profile Image for Laura Gotti.
587 reviews611 followers
July 11, 2019
Ora. Questo libro è stato osannato in rete, da bookblogger, recensori e scrittori (Teresa Ciabatti in primis). Considerato un esordio imperdibile, scrittura pazzesca, storia contemporanea raccontata magistralmente. Io, prima di trovarlo in offerta su Kobo (per fortuna), avevo solo letto un trafiletto su Robinson in cui veniva stroncato senza grossi giri di parole. Mi si sono rizzate le antenne, ma niente, sono schiava della rete e tendo a farmi influenzare nella scelta dei libri. Sono una deficiente, e devo tornare al mio vecchio fiuto perché poi mi incazzo con me stessa.

Il libro è l'ennesima storia di auto fiction dell'autore che scopre di essere sieropositivo. E la storia potrebbe essere interessante, e lo è per 30 pagine circa. Poi. La struttura è in capitoli molto breve, il primo sulla situazione attuale, il secondo sull'infanzia, e poi ancora. Così via, tutto il libro. Al limite del didascalico. Aggiungiamoci una scritture semplice (semplicissima?) senza mai un guizzo e con un periodare brevissimo che credo volesse riproporre la velocità del pensiero. Mah.

Io l'ho letto in un paio di giorni allungata su delle spiagge sassose che mi costringevano a cambiare spesso posizione. Ogni tanto mollavo il Kobo e non che morissi dalla voglia di riprenderlo in mano. L'ho finito e poi sono andata a cercarmi qualche informazione sull'autore. Boh, a me sa tanto di bella occasione sprecata. E questi scrittori che l'hanno sponsorizzato, e sono citati nei ringraziamenti finali, e che sono scrittori che a me piacciono, ecco vorrei capire loro cosa ci hanno trovato che io non ho visto.
Profile Image for Baba Yaga Reads.
122 reviews2,928 followers
September 8, 2020
Come tutti i memoir, Febbre è un libro che funziona solo se l’autore ti è simpatico; e a me Jonathan Bazzi è simpatico.
Mi piace il suo stile, sia per quanto riguarda la scrittura — il tono colloquiale, la prosa scorrevole che ricorda quella di un blog — che l'abbigliamento: la sua manicure da “femminuccia” è stata forse l’unico elemento salvabile della cerimonia di premiazione dello Strega. Mi piace seguirlo su Instagram, dove si esprime spesso su temi di attualità, e ci uscirei volentieri per un caffè. Credo anche (e questo è un fattore altrettanto cruciale per apprezzare il libro) che la sua vita sia abbastanza interessante da meritare un volume di 300 pagine.

Complice un ascensore sociale guasto e un sistema gerontocratico che relega i giovani ai margini dell’industria culturale, l’editoria italiana è infatti tragicamente carente di voci fresche e innovative come quella di Bazzi. La letteratura “da concorso”, quella recensita dai giornali e discussa nei programmi televisivi, rimane largamente ancorata ad un modello ormai superato basato su voci borghesi che raccontano storie borghesi (o meglio la storia, sempre la stessa); su autori che ripropongono una visione del mondo immutabile, incapace di rispecchiare la complessità e la diversità della società italiana di oggi.
In un quadro simile, Jonathan Bazzi appare come una macchia rosa su sfondo grigio. È lui stesso, del resto, a definirsi un disadattato, un intellettuale nato in un quartiere di gangster e cresciuto in un contesto diversissimo da quelli che siamo abituati a trovare all’interno dei romanzi contemporanei. Perché, fatte salve poche eccezioni (vedi alla voce: Elena Ferrante), gli autori italiani sanno raccontare le classi popolari solo attraverso uno sguardo paternalistico e artefatto, totalmente privo di autenticità. E la sterilità di queste rappresentazioni è ancora più evidente se confrontata con il ritratto onesto e viscerale che Bazzi fa di Rozzano, periferia amata e odiata, simbolo del degrado che ti circonda, ti sommerge, ti striscia dentro e non se ne va nemmeno con i migliori sforzi (si avverte qui l’ombra del rione della Ferrante, con le sue cantine buie e i suoi personaggi da tragedia meschina). Rozzano è Jonathan, e Jonathan deve raccontare Rozzano per raccontare se stesso.

Proprio come le migliori autobiografie, Febbre non è lineare e non stabilisce un punto di arrivo: sa da dove parte — una casa popolare, una famiglia povera e disfunzionale, una cultura patriarcale e oppressiva — e che percorso ha fatto a partire da lì. È una presa di coscienza sofferta e graduale, una scoperta della propria identità che è intima ma non autoriferita, non si ripiega su se stessa ma si allarga fino a comprendere una famiglia e poi un paese intero.

Si dice che i libri che ci piacciono raccontino sempre qualcosa di noi, e in questo libro ho trovato molto di me: echi della mia infanzia, conflitti familiari, case popolari e violenze quotidiane, normalizzate. Forse per questo mi sembra quasi di conoscere l’autore, e per questo potrei rischiare di dare cinque stelline alla sua opera d’esordio.
Profile Image for Come Musica.
2,060 reviews627 followers
July 15, 2020
Jonathan Bazzi ha il coraggio di mettersi a nudo.
Tutto è iniziato nel 2016, con una febbre che non riusciva ad andare via. Quando si è giovani non si pensa che il tempo sia limitato: ci si sente invincibili, immuni da ogni malattia. Poi qualcosa va storto, ci si ammala e le certezze granitiche cominciano a sgretolarsi.
"La malattia recinta, scinde, confina chi ne è portatore in una sfera a parte – egoista, impaurita –, lo riporta nell’io-me primordiale che non vede altro che se stesso."
Jonathan vive a Rozzano, a sud di Milano: nella sua famiglia sono tutti giovani; i suoi genitori lo hanno avuto da giovanissimi, con tutte le problematiche legate alle problematiche della periferia milanese.

"Passiamo la vita a pattinare su una lastra di convinzioni accumulate, su uno striminzito strato di idee separate e neutre, controllate, a loro modo tranquillizzanti. Soluzioni sbrigative: mio padre non ha avuto l’istinto paterno, mio padre non ha mai fatto il padre, mio padre non è mio padre. Sotto di noi, la radice incandescente delle corrispondenze: padre, figlio, sincronizzati, come in una brutta sceneggiatura."

E poi l'esito degli esami seriologici, lo stravolgimento della sua vita e il sollievo nello scoprire di avere una malattia anziché un'altra.
In tempi di Covid-19 leggere queste frasi mi hanno fatto molto riflettere: “Leggo: la più grande truffa del XX secolo.
In attesa di iniziare la cura con gli antiretrovirali m’imbatto nel mondo delle terapie alternative, dei complottisti, dei negazionisti. Quelli per cui il virus dell’HIV non c’è, non esiste. Quelli per cui basta curarsi coi probiotici per l’intestino, gli antiossidanti e forti dosi di vitamina C. Spremute e centrifugati, integratori e aloe vera, cene a base di radicchio e cipolla cruda.
Scopro che ci sono persone sieropositive che scelgono di non curarsi, e non perché vogliano farla finita: rifiutano le terapie, o fingono di assumere i farmaci, perché credono a chi dice che HIV e AIDS siano una trovata delle case farmaceutiche a fini speculativi, un raggiro.”

Di questo giovane scrittore ammiro la capacità di mettersi a nudo.
La sua storia è molto toccante.

"Col virus voglio farci qualcosa, agire su di lui, modificarlo, non essere inerme, subirlo – mi interessano solo le cose con cui posso imparare. Scriverne, per esempio, sfruttando la mia condizione di privilegiato, di contaminato che non prova vergogna. Rinominare quello che mi è successo, appropriarmene con le parole, per imparare, vedere di più: usare la diagnosi per esplorare ciò che viene taciuto. Darle uno scopo, non lasciarla ammuffire nel ripostiglio delle cose sbagliate."

Cosa non ha funzionato a mio avviso in questo libro? Le frasi sincopate (infatti, i periodi che funzionano sono quelli più lunghi, a mio avviso), alcuni capitoli che appesantiscono la narrazione. Forse occorreva un editing più accurato.

p.s. E pertanto preferisco farlo sedimentare, prima di mettere le stelle definitive: 4 alla storia, 2 alla scrittura. Ma non mi sento per adesso di mettere 3. E quindi non metto niente.*

*Dopo aver fatto passare un tredici giorni per la sedimentazione, prevale lo stile, nella mia valutazione e metto 2⭐️
Profile Image for Marcello S.
647 reviews291 followers
September 26, 2019
Anche Febbre finisce tra gli esordi italiani del 2019 da non perdere. Assieme a Benevolenza Cosmica, Il giorno della nutria e Hamburg, almeno. La narrativa italiana è viva e stimolante.
Ho trovato la scrittura diretta, forte, sensibile. Molte frasi brevi, talvolta fulminanti. Tra autobiografia e romanzo di formazione. Mette in campo esperienza personale, testimonianza, confessione.
E alla fine queste sono state le 300 pagine lette più voracemente dell’ultimo periodo. [77/100]
Profile Image for Marilù Cattaneo.
181 reviews20 followers
August 28, 2020
Se vuoi lamentarti per tutto il libro, almeno scrivilo bene, e non con i penso e scrivo della quinta elementare.
Ok, erano due stelline.
Ma una se l’è giocata con “l’angoscia è un insetto gigante che vomita la sua bava vischiosa”
Profile Image for Maria.
96 reviews61 followers
February 18, 2020
Frasi meno che scarne, piatte. Ottimo spunto d'esperienza personale, ma non letterario. Due pagine di reportage su un magazine sarebbero state decisamente molto più di successo.
Profile Image for Dolceluna ♡.
1,265 reviews153 followers
February 28, 2020
Il caso ha voluto che io abbia letto questo romanzo di Jonathan Bazzi proprio nel momento in cui la zona in cui risiedo, fra Milano e Lodi, non lontano da quella in cui lo stesso Bazzi nasce e cresce, è mezza paralizzata a causa del Coronavirus.
Non c’entra nulla, direte. E avete pienamente ragione.
Nel libro si parla di HIV, qui si parla di un virus che ha i sintomi di un’influenza, così si dice.
Eppure questo stato d’animo inquieto e allarmato mi ha innegabilmente condizionata, calandomi perfettamente nel clima del romanzo di Bazzi. Perché un filo nero che lega la storia narrata e la realtà di questi giorni c’è, obiettivamente. Un virus è contagio, il contagio è paura, panico, distanza, ansia. E la paura fa parte dell’uomo.
E’ questo che vive Jonathan quando, in un brutto giorno del 2016, gli viene una febbre che non va più via. E’ sudore perenne, debolezza, malessere. Non è una banale influenza, lo capisce subito. E’ un tumore, è la mononucleosi, è una malattia non ancora scoperta? Il termine HIV è già nella sua mente, eppure per le prime decine di pagine resta lì, a galla, nell’inconscio della sua mente di tre anni fa: perché Jonathan, omosessuale, sa benissimo di aver avuto, in passato, rapporti sessuali non protetti con diversi uomini. Quando il medico curante gli suggerisce di fare il test dell’HIV Jonathan sa già quale sarà il risultato, e lo accoglie con sollievo, sorprendentemente per noi, e rassicurando se stesso e gli altri, che un tumore sarebbe stato peggio, molto peggio. E’ proprio così?
Le cure, l’accettazione della malattia da parte sua, del suo ragazzo e della sua famiglia, e la vita che sembrava andare in frantumi, a poco a poco, si ricostruisce con grande dignità. Alla fine Jonathan arriva a una piena consapevolezza di quella che è la sua condizione, e di quello che potrà essere il suo futuro, senza cedimenti a autocommiserazione, isterismi, pietismi. O almeno, questo è quello che ho avvertito io. Una storia di dignità e consapevolezza. E soprattutto, di grande onestà. Non nasconde nulla, Jonathan, nulla del suo passato, della miseria che ha vissuto nei bassifondi della sua Rozzano (o Rozzangeles, periferia a sud ovest di Milano), della scoperta dell’omosessualità, del bullismo di cui è stato vittima (chiamiamolo col suo nome!), della disintegrazione della sua famiglia, delle botte, della violenza, del disagio.
Disagio. E’ quello che ho provato fortemente e in più punti leggendo la storia.
Disagio e dignità. E non è un paradosso.
In conclusione, è un libro bellissimo, senza filtri, un libro da leggere.
Profile Image for Outis.
392 reviews68 followers
January 1, 2021
All'inizio avevo dato tre stelline, ma poi mi sono resa conto che non sarebbe stato un voto onesto.
Ci ho messo più di un mese per finire questo libro di 300 pagine scarse ed il motivo è semplice: non avevo voglia di continuarlo, non ero veramente interessata a sapere come il tutto andasse a finire.
Ci vuole coraggio per raccontarsi così tanto al pubblico e di HIV/AIDS si parla sempre troppo poco, però a me questo non basta. La scrittura, ben oltre il limite del "semplice ed elegante", mi è sembrata più "semplice e mediocre", assolutamente non da candidato allo Strega. Allo stesso tempo, gli eventi raccontati, i suoi ricordi di infanzia, non erano poi così memorabili, anzi.
Profile Image for wutheringhheights_.
581 reviews200 followers
June 4, 2020
Febbre è un esordio letterario di cui si è parlato molto sui social; la copertina, con quei due occhi che piangono lacrime di sangue, si è vista ovunque. E' difficile dimenticarla. Lo stesso vale per i contenuti.

Nel libro si parla di omosessualità, HIV, dello stigma che ancora rappresentano entrambi. Sessualità e malattia. I due temi sono trattati in modo coraggioso, diretto, senza filtri. Sarebbe difficile non apprezzare una penna così sincera come quella di questo giovane autore.

Febbre però non mi ha colpito solo per questo; la persona che viene raccontata nel libro non è definita soltanto dalla sua malattia, si tratta di un ritratto a tutto tondo.
Si parla di una persona, con tutte le sue debolezze e i suoi atti di coraggio.
Il racconto procede su due fronti: viaggiamo nel passato, leggendo del piccolo Jonathan che abita a Rozzano ( Rozzangeles), e nel presente. In questo modo ciò che il protagonista era, e quello che è diventato, si intersecano creando una narrazione molto coinvolgente. Da questo punto di vista sono rimasta davvero incollata alle pagine, finendo il libro in due giorni. Un blogger inglese direbbe che il libro è un page turner.

Lo stile di scrittura è piacevole, scorrevole direi, e mi è sembrato di leggere una poesia. Anzi, a volte alcune parti del libro brillano così tanto di dolore, sincerità, da assomigliare ad una strofa rap. Il rap può non piacere, ma attira che lo si voglia o no ed è sincero. Ha una forza ipnotica che ti rimane nelle orecchie per parecchio tempo.

Quali sono state la parti che più mi hanno assorbita?

I racconti della difficoltà di Jonathan a uscire dalla sua timidezza imperante, dalla sua difficoltà di comunicazione, li ho sentiti molto vicini. Viviamo in una società in cui comunicare è tutto, eppure non è sempre facile farlo. Preferiamo spesso usare le chat, internet, perché tutto diventa più semplice e immediato. Tramite chat è facile cancellare i momenti di buio e silenzio, gli errori, che potrebbero costringere ad arrossire oppure a desiderare di sparire nella profondità della terra.
Mi sono ritrovata in questo, e quando si trae conforto da un libro allora vuol dire che quel libro ha fatto il suo lavoro. E anche più. E' stato un compagno.

Penso sinceramente che un libro del genere vada appoggiato, anche perché può aiutare a conoscere una realtà che le persone non vedono o che preferiscono non vedere. Ci sono alcune righe in cui l'autore racconta del virus HIV come se fosse una entità che viaggia, che ha viaggiato nel tempo, di persona in persona, luogo in luogo, e per me è stato davvero illuminante vedere la cosa sotto questo punto di vista. Non ci avevo mai pensato. A quante cose non pensiamo mai?

Ci accorgiamo che un libro è valido anche quando riesce non solo a insegnare, ma proprio ad accendere una lampadina in noi. La letteratura è questo, per me, una sorta di illuminazione istantanea interiore.

Ho anche trovato brillante la rappresentazione di Rozzano, città vicino Milano e in parte anche protagonista di Febbre, dove Jonathan Bazzi ha vissuto gran parte della sua esistenza. Questo luogo che viene definito come simile ad una cittadina del sud, per via di alcune carenze, ma priva del clima caldo e della luce, è per il protagonista quasi un dissennatore ( Harry Potter docet. ) Non solo risucchia tutta la luce, come una grande voragine appunto, un buco nero, ma è impossibile da cancellare. Il luogo di origine rimane tatuato al centro del petto, ed è impossibile dimenticare che esiste o farlo dimenticare agli altri. Io conoscevo l'esistenza di questa città per via dei racconti di uno zio che negli anni ottanta andò a viverci. Ho ritrovato la cupezza di quei racconti in Febbre e l'ho apprezzato.
Profile Image for Ferliegram.
246 reviews71 followers
April 17, 2020
Sono particolarmente a disagio a scrivere qualche parola su questo libro perché si tratta di un lavoro autobiografico e c’è sempre un po’ di difficoltà a esprimersi su un lavoro così intimo e poi perché l’autore, di cui ho visto molte presentazioni, è una persona molto dolce e disponibile e si fa fatica a dire qualcosa di negativo.

La struttura del romanzo è caratterizzata da capitoli alternati che trattano da un lato la sua infanzia e adolescenza nella periferia milanese, figlio di due giovanissimi ragazzi che si ritrovano troppo presto genitori e non riescono pertanto a far durare la stabilità familiare, dall’altro il protagonista nel 2016 alle prese con una febbre di cui non riesce a capire la causa e da qui il via vai da vari medici e i numerosi esami che ne conseguono prima di giungere alla diagnosi di HIV.
La tematica della sieropositività viene affrontata praticamente di striscio, almeno rispetto a quanto mi aspettavo e a quanto il titolo facesse presagire e come scelta può starci: lui è un essere umano prima che un paziente con un proprio background, sentimenti ed emozioni che lo caratterizzano ma allora l’operazione di marketing che gli è stata fatta attorno è stata piuttosto fuorviante. Si parla poco di come avrebbe contratto l’HIV, dei rapporti a rischio che l’avrebbero causato (viene riservata una pagina in cui si stila a mo’ di elenco della spesa una serie di avventure sessuali nel corso della sua crescita) e secondo me invece si poteva lanciare un bel messaggio ai giovani di oggi inseriti in una società che non riserva il giusto spazio a una fondamentale educazione sessuale.
Ho sentito dire che lo stile dell’autore è piatto, diretto, assolutamente NO, lo stile è piuttosto elementare numerose frasi spezzate, capoversi frequenti, per intenderci sembra di avere di fronte le pagine del diario di Melissa P. solo che in quel caso si trattava di una ragazzina di più 15 anni che scriveva di getto quello le accadeva, qui il lavoro di un uomo di oltre 30 che immagino sia stato sottoposto a uno scrupoloso lavoro di editing (vista l’enorme pubblicizzazione de libro) per cui o l’autore scrive proprio così e allora mi viene da dire che forse questa non è la strada che fa per lui oppure questa elementarità è una precisa scelta editoriale per renderlo il più possibile accessibile a un vasto bacino di lettori, e non è un escamotage che gradisco particolarmente.
Auguro tutto il bene del mondo a Jonathan con l’augurio che la vita possa riservargli tanta serenità perché non è facile dover affrontare una tale quantità di dolori, ma per quanto riguarda la scrittura non credo che faccia per lui, almeno non in questi termini.
Profile Image for Mosco.
449 reviews44 followers
May 13, 2020
1* ma l'ho mollato al terzo capitolo, magari poi diventa splendido. Non mi piace proprio questo tipo di scrittura, mi pare di avere il singhiozzo: frasi brevi, troppo brevi, semplici, troppo semplici, mi viene il nervoso, mi irrita. Uff!
Profile Image for Elena.
3 reviews2 followers
April 10, 2022
Un’occasione sprecata: un blog più che un libro. Scrittura elementare, una successione di pezzi di vita comuni senza però la capacità narrante di renderli speciali. Noioso.

EDIT: aggiungo e argomento, visto l'odio che si è scatenato negli ultimi giorni, dopo l'ammissione del libro nella cinquina (oggi sestina) dello Strega.

Le storie degli altri valgon la pena di un libro in due casi: quando sono interessanti e/o quando sono narrate bene. Nel caso di Febbre, la storia è un diario personale, che all'autore sembrerà certamente imperdibile, ma al lettore fa effetto cameretta: tutto è personale, e come tale rilevante solo per chi è padrone di quel vissuto. Non me ne voglia Bazzi, ma è una storia noiosa, anche perché nello sforzo di sembrare crudo manca completamente di una tridimensionalità sintetica; a ogni capitolo vien da chiedersi "e quindi?". E qui entra in gioco il secondo motivo per cui perdere d'interesse per questa operazione commerciale (suvvia, chiamiamola con il suo nome): è scritta male, fatta di periodi faticosamente brevi, punteggiatura limitata al punto-e-a-capo, in un goffo tentativo di creare uno stile personale.
Sicuramente c'è stato un magnifico sforzo editoriale per trasformare un libro mediocre in un campione di vendite (sforzo riuscito, peraltro), marciando a passo svelto anche sulle peculiarità della storia personale dell'autore. Ma non mi venite a dire che il libro piace perché è bello.
Profile Image for Elena Marmiroli.
858 reviews19 followers
October 23, 2020
Libro dalla prosa fantastica, spesso tendente all'asciutto, ma che riesce a evocare nel lettore mille sentimenti. Una storia cruda, senza filtri, in cui il presente si alterna al passato, in un un unico racconto. Un libro in cui l'autore si mette a nudo di fronte al lettore.
Profile Image for flaminia.
452 reviews129 followers
November 3, 2020
oh, caro il mio bazzi, adesso che ti sei sfogato stiamo tutti più sereni.
Profile Image for Silvia Barbui.
52 reviews2 followers
March 18, 2021
Jonathan Bazzi mi sta anche simpatico, ma la letteratura è un'altra cosa.
Le tematiche di Febbre sono tutte interessanti (la periferia, l'abbandono, l'HIV, l'ipocondria, la fatica di crescere e di difendersi) ma lo stile e la struttura sono davvero demotivanti.
Lo stile è di una semplicità disarmante, tale che non è quasi più scrittura. In 320 pagine un paio di guizzi nell'accostamento di due parole, niente di più. Tutto il resto frammentato in micro frasi fatte di parole secche ripetute all'infinito in espressioni secche che non passano nulla.
La struttura è a ping-pong. Ping: il passato, dall'infanzia alla prima giovinezza. Pong: la febbre che non passa e la scoperta di essere sieropositivo. Non c'è nulla di male nel ping-pong, però anche qui, su dai, qualche colpo alto, qualche schiacciata, qualche imprevisto. Invece nulla.
Altra nota negativa è il memoir che diventa diario. Va di moda la coincidenza tra autore e protagonista (talvolta la coincidenza precisa, talvolta solo la suggestione), va di moda il reality (oggi ho fatto questo, poi ho fatto questo e poi anche questo), va di moda la perfetta adesione della vita alla scrittura, ma a mi avviso svilisce tutto ciò che viene scritto.
Il testo, anche se è intenso, viene ridotto a diario, a post, ad auto-consolazione, a storia piccola, non a storia unica. Se questo è il presente dell'editoria italiana, meglio fuggire nel passato e ritornare a leggere i classici di tutte le epoche.
Sul finale mi aspettavo di trovare: "E poi ho voluto scrivere la mia storia. Ho trovato un editore e tanti amici che mi hanno aiutato. Eccomi qui a scrivere queste parole. Fino a questa. Questa che tu leggi, ecco proprio l'ultima. Parola".
Non lo ha scritto, ma quasi manca: è la sensazione che mi resta di tutta questa storia-cronaca.
Profile Image for Simona.
974 reviews228 followers
January 3, 2021
"Ho l'HIV, sono sieropositivo: cosa significa? Ti faccio paura? Ti faccio schifo? Non è importante, non mi interessa. Sono stato arruolato a mia insaputa nell'esercito degli impuri, degli appestati, dei portatori di un male speciale".

Jonathan Bazzi, come racconta in questo libro, si è sempre sentito un pesce fuor d'acqua: vuoi per la sua balbuzie, l'omosessualità.
"Febbre" è una panoramica a 360°, non solo sulla sua vita di sieropositivo, sebbene la febbre del titolo sia il sintomo principale e non se ne va per settimane.
In questo libro descrive la sua vita di ragazzo balbuziente, che vive a Rozzano, un luogo in cui non ha imparato a menare, gli uomini conosciuti online. Non si tratta di un romanzo sulla sieropositività, sebbene siano diverse le terapie e i controlli a cui si deve sottoporre. Una storia personale e intima di una persona che vuole abbattere i muri dell'ignoranza che ruotano intorno a questo tema e di cui non si parla per nulla. Un modo per capire, non chiudere gli occhi, affrontando le proprie paure e il buio.
Sebbene apprezzi il fatto che Bazzi si racconti senza filtri, ho trovato il libro un po' troppo ansiogeno e con alcuni episodi che tendono a ripetersi spesso, non permettendo di gustarlo fino in fondo.
Profile Image for Jennifer Guerra.
Author 19 books418 followers
June 2, 2019
Jonathan a un certo punto dice: "Ho la pelle d'aria". Tu ti aspetteresti una metafora metallurgica per indicare la resistenza, "Ho la pelle di ferro, di acciaio, ho la pelle dura". Invece Jonathan ha la pelle d'aria, leggera, impalpabile. E questo libro bellissimo lo dimostra appieno.
Profile Image for Federica ~ Excusetheink.
223 reviews
September 5, 2024
E Jonny divenne la sua malattia. Insieme a miopia, balbuzie e 43 di scarpe inserisce la sieropositività nella lista delle proprie caratteristiche fisiche. Nonostante l'immane fortuna di non aver contagiato il compagno dopo anni di rapporti non protetti, a sole due settimane dal primo incontro. Marius gli rimaneva ben saldo a fianco mentre Jonny, piangendosi addosso, si dileguava nei boschi della sua mente.

La goccia è questa febbre che dura tre mesi e il vaso la vita di colui scrive a cominciare dagli albori, addirittura dall'inatteso arrivo di un bambino all'interno di una coppia di adolescenti che proveranno pure a formare una famiglia, ma senza riuscirvi. Un capitolo per volta, alternando il presente al memoir, Bazzi pecca di egocentrismo e autocommiserazione. Le pagine più interessanti sarebbero appunto quelle sull'HIV, soprattutto pensando come al giorno d'oggi sembri una patologia medievale, si può sopravvivere svariati anni in seguito alla diagnosi e i farmaci non causano più effetti collaterali visibili esteriormente.

"Certo che nel 2016, dice (la madre), prendersi l'HIV, vuol dire proprio andarselo a cercare. Non è una malattia che ti è venuta, che dici: poverino, è stato sfortunato. Io ti ho fatto sano e ora..."

...Ora m'inventerò un'infanzia tristissima per il semplice fatto che mio padre non c'è stato negli anni del mio sviluppo e ci scriverò un libro. Sul serio, non ho riscontrato eventi o traumi palesi da giustificare un manoscritto intero la cui premessa doveva essere il parlare di AIDS nel ventunesimo secolo. Mio padre è un donnaiolo narcisista e a 19 anni l'unica ambizione della sua vita era concepire e allevare un figlio. Ma davvero? Sapesse, il Bazzi, quanti padri sono fisicamente presenti in casa e lasciano comunque l'incombenza alle donne. Perché i figli magari all'inizio li si desidera ma quello di tirarli su è un compito tutto femminile, la massima realizzazione per la moglie/fidanzata, essere circondata da bambini urlanti che assorbono energia e chiedono attenzioni e cure. Appena maggiorenni in particolare. Ma non lo sa, è omosessuale e pare non abbia mai manifestato inclinazioni paterne.
Così Jonny cresce senza una precisa figura di riferimento da chiamare papà, amato dalla mamma e tutti e quattro i nonni. Il padre salta da un breve matrimonio all'altro dimenticandosi a lungo di quest'unico erede e tentando di comprarselo facendogli regali costosi nelle rare occasioni di uscita... e comunque è tutta colpa sua, della sua assenza! Colpa sua che gli piacciono i maschi, che a scuola eccelle in ogni materia altrimenti la gente gli dà del fallito (gli stessi che allontana perché preferisce giocare da solo), che chatta con uomini molto più grandi dal pc donatogli dal nonno e all'occorrenza ci combina incontri sessuali. Dopodiché passa a riempire lo schermo di frasi sulla sua malattia, purtroppo per lui però allo stesso modo che se trascrivesse su carta una conversazione telefonica registrata su nastro. Esatto, con il medesimo trasporto ed emozione. E quel che è peggio, per mezzo di frasi biascicate e buttate lì, a mo' di elenco puntato. Empatia verso di lui? Non pervenuta. Non capisci le reali motivazioni dello scritto, se per raccontare la sua vita tutto sommato ordinaria fino alla pubblicazione o se per passare per vittima (dei suoi stessi comportamenti, in questo ha ragionissima la madre) e andarne fiero. A proposito onde dimenticanze, il trattamento che riserva alla psichiatra:

"Oscillando, avvolta in una camiciona a fiori gialli, eccola. Obesa, enorme, stringe al petto un'agenda e delle cartellette. Mangia qualcosa, merendina, cioccolatini? Bulimia, disordini alimentari: proprio questa mi doveva capitare? Mi immaginavo una silfide secca col carré grigio e gli occhiali da gatta, una sciamana della psiche, un'esistenzialista in dolcevita, invece la dottoressa che arriva sembra una maestra dell'asilo tormentata dalla fame nervosa. Scomposta, allegra, tutta contenta: è una di quelle persone che hanno il sorriso come attributo iconografico fisso. Andrà bene lo stesso?"

Ringrazia che voglia curarti una malattia che non ti è piovuta dall'alto senza una ragione, semmai.
Organizzano persino veri e propri party appositamente per contagiarsi e non pensarci più e questi, siccome ormai vivono una vita consimile a quella altrui eccetto che gravano sulla sanità dettato dal loro egoismo, non intendono comunque scendere dal piedistallo.

Probabile mi fossi fatta tutt'altra idea e sono contenta non nutrissi alcuna aspettativa: nel tempo mi erano capitate recensioni che a grandi linee ricalcano il mio pensiero, per cui archivio la lettura che, non fosse stato per un articolo sui personaggi famosi sieropositivi (mi piacerebbe tanto tanto leggere l'autobiografia di Greg Louganis!) è facile ne avrei rimosso il ricordo in misura permanente. Consigliatissimi sull'argomento i libri di Hervé Guibert e Anthony Passeron.
Profile Image for Sergio Caredda.
296 reviews14 followers
October 31, 2019
Ho letto l’articolo del 2016 in cui Bazzi parlava della sua sieropositività. E quando ho intravisto questo libro ho voluto leggerlo. Sul piano della storia personale vale davvero la pena di essere letto. Sul piano più letterario ho qualche dubbio. Lo stile scarno, sintetico, che va benissimo in un articolo online, può diventare pesante in un libro. Specie se accompagnato a una struttura in cui si alterna la storia della malattia con i flash back della propria vita. Interessante ma un po’ scontato.
Profile Image for Sara.
12 reviews5 followers
December 8, 2019
Tutti questi post di gente sui social che poi si scoprono essere l’amico dell’amico dell’amico. Ti compri il libro e te lo porti in borsa in viaggio. Uno solo e solo questo. E quando inizi a leggerlo... ma per carità! Pessimo, noioso, surreale, artefatto. Sbadigli su sbadigli. E buonanotte.
Profile Image for Angy - Books Lover .
244 reviews17 followers
July 24, 2020
Bel libro. Lo scrittore si mette a nudo raccontando la sua storia, non solo la sua malattia. Mi è piaciuto lo stile di scrittura e l'alternanza di capitoli tra il presente e il passato.
Profile Image for Hella.
658 reviews93 followers
September 4, 2020
Piano piano sto leggendo tutti i libri finalisti del Premio Strega, senza alcuna velleità di fare alla fine un post riassuntivo o perché voglio solo leggere italiano. Semplicemente mi sembrava che quest'anno ci fossero molti libri validi.
Ho scelto questo come seconda lettura perché a diverse amiche era piaciuto molto ed ero curiosa di leggere la storia di una vita talmente diversa dalla mia.
Beh... devo essere sincera, il libro non mi ha fatta impazzire. Jonathan Bazzi scrive sicuramente benino, dire bene mi sembra esagerato perché ha uno stile molto semplice fatto di frasi brevi. La storia viene narrata seguendo due filoni temporali che procedono paralleli, un capitolo per un presente con la diagnosi di HIV e un passato con la sua infanzia in una famiglia di genitori divorziati nel quartiere di Rozzano, periferia di Milano fatta di degrado e droga, il posto meno adatto al mondo per un bambino debole, con problemi di balbuzie e che già all'età di sei anni ha capito di essere attratto dai maschi e non dalle femmine.
Sono sicura che raccontata in altro modo la storia sarebbe stata molto più interessante. Ma ho trovato tutto molto piatto, molto noioso, alcune pagine di troppo. L'attenzione viene concentrata molto di più sul passato, mentre al contrario avrei voluto più attenzione sul tema del libro, la scoperta dell'essere sieropositivo. Non che il quadro generale non servisse ma mi sembra che la sua ampiezza vada a discapito dell'altro tema.
Insomma, personalmente questo libro non l'avrei fatto entrare nella cinquina finale, che infatti quest'anno per me non sarebbe stato una sestina. E' un libro di valore, se è piaciuto a così tante persone un motivo ci sarà, ma per me non è abbastanza.
Profile Image for Ramona.
75 reviews
April 10, 2021
Come mi ha detto una persona intelligente, è un lungo post su Facebook.
Profile Image for SilviaSolvia.
59 reviews4 followers
July 28, 2021
Ho letto tanti commenti sullo stile scarno, spoglio, mediocre.

A me lo stile paratattico piace. Sarà che ho sempre preferito Cesare a Cicerone, sarà che quando scriv(evo) i miei pensieri usavo tantissimi punti, uno stile simile.
E poi secondo me la sua é una lotta corpo a corpo, continue stoccate al passato e al presente, una lotta con e contro sé stesso. Se fosse una guerra sarebbe un assalto medievale, non una guerra di trincea, per questo secondo me lo stile asciutto, tagliente, botta e risposta sta meglio.

Ma questo memoir é molto di più. É un manifesto che dovremmo conoscere per aprire gli occhi di fronte a un virus che é insinuato nella nostra società troppo di nascosto, di cui si sa troppo poco e molto male.

E secondo me é una storia di coraggio. E ringrazio Jonathan per averla condivisa con me, con noi. Grazie.
Profile Image for Fede La Lettrice.
834 reviews86 followers
May 23, 2019
Conosco Jonathan virtualmente, attraverso i social, e mi sono subito innamorata della sua schiettezza e del suo modo di scrivere articoli e pensieri, ne consegue che non appena ho saputo dell'uscita di questo suo esordio ho voluto leggerlo.
È, Febbre, un libro autobiografico che mette in scena una vita travagliata da fatti e emozioni, una vita come tutte, unica, imperfetta.
L' infanzia solitaria, silenziosa, nomade; un bambino circondato da donne (la madre giovanissima, le nonne, la zia bambina quanto lui) e dall' assenza degli uomini, il padre in primis. Un adolescente interiormente inquieto che continua a vedere le sue aspettative tradite, che si sente fuori posto, fuori luogo, fuori tempo, sopraffatto e paralizzato dalla paura.

"Quando si ha paura davvero, la paura anestetizza anche se stessa. Non si sente più niente."

Un giovane uomo, poi, che deve fare i conti con il suo passato, con la sua essenza, o meglio con ciò che pensano gli altri di essa, con un virus, anche, che scatena febbri persistenti e pregiudizi antichi.
La prosa è ritmica, le frasi secche, il parlato non segnalato, 'a presa diretta', è una scrittura nuda, spogliata, si regala al lettore con incisività e forza rivelando una dote spontanea dell' autore: il far sentire, il trasmettere emozione.
I capitoli, alternati tra passato e presente, procedono parallelamente verso un climax disegnando un percorso, a volte conscio altre meno, che ha uno scopo preciso: "sgretolare il panico", "non farsi schiacciare dalla paura", sia che quest'ultima nasca da cocenti delusioni, dal senso di inadeguatezza o da una malattia famigerata. Presente e passato arrivano, infine, a congiungersi, si ritrovano, si toccano dando vita a un punto di ripartenza, a un secondo inizio, alla svolta decisiva che da un significato al cammino percorso, perché lo scopo salvifico per il protagonista - ma non è per tutti così? - è trovare se stesso, vestire l'identità esatta, quella che calza a pennello riducendo ai minimi termini gli effetti collaterali del vivere.

"Le redini le tengo io ora che posso"
Profile Image for roberto.
70 reviews24 followers
June 28, 2020
“Emozionante”, “coinvolgente”, “coraggioso” sono esempi di aggettivi che, applicati ai libri, non hanno molto significato. Sono parole banali, di routine, un modo semplice per impacchettare vecchie e nuove uscite su cui si scommette, parole veloci da mettere nella quarta di copertina al più; e aggettivi così, diventati appunto sbrigativi e vuoti, risultano inutili anche quando potrebbero servire a qualcosa. Febbre è, secondo me, un libro con cui queste parole potrebbero tornare utili. Perché è un libro indissolubilmente personale, intimo, ‘reale’. Perché mi è piaciuto tanto, e se mi è piaciuto tanto non è per meriti letterari o narrativi particolari, bensì perché la storia di Jonathan mi ha mosso qualcosa dentro, perché la sua storia è (in parte; in alcuni -intensi- punti d’incontro) anche la mia. Il coraggio e la sincerità che stanno alla base di queste pagine, la vicinanza con la voce narrante nel modo di intendere il mondo e d’intendere sé stessi, mi hanno emozionato e coinvolto. Tutto questo nonostante uno stile che (come molti qui su GR hanno fatto notare) non è particolarmente originale o ricco di meriti, ma che comunque, per la sua semplicità, permette di entrare agilmente nella storia di Jonathan.
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