I Romani sapevano di discendere da un advena, uno che viene da fuori, accompagnato da fuggiaschi che avevano attraversato il mare rischiando mille volte di morire e scomparire nelle acque. «L'impero romano, - scrisse Seneca, - ha come fondatore un esule, un profugo che aveva perso la patria e si portava dietro un pugno di superstiti alla ricerca di una terra lontana... Farai fatica a trovare ancora una terra abitata dagli indigeni: tutto è il risultato di commistioni e di innesti». I Greci al contrario pensavano di essere nati dalla terra, come un albero. Gli Ateniesi si vantavano di essere autoctoni: il loro primo re, Cecrope, era sbucato dal suolo come un serpente e per questo aveva la parte inferiore del corpo coperta di scaglie. «Noi siamo stati sempre qui, - dicevano, - la nostra gente è nata da questa terra; possiamo accogliere i supplici e gli stranieri, anzi è la nostra legge a imporlo, ma i veri Ateniesi saremo sempre noi, i figli del serpente». I Romani non pensavano cosí. Il loro eroe fondatore veniva da una terra lontana, ma arrivando non trovò il deserto: solo uomini selvatici e primitivi. Eppure non li volle come schiavi ma come compagni.
Giulio Guidorizzi (Bergamo, 1948) è un grecista, traduttore e accademico italiano. È codirettore, con Alessandro Barchiesi, della rivista Studi Italiani di Filologia Classica. Autore di numerosi saggi critici, è traduttore di testi greci, in prosa e in poesia. Per l'Istituto nazionale del dramma antico ha tradotto Eracle (2007) e Ifigenia in Aulide (2015) di Euripide. Nel 2013 ha vinto il premio Viareggio Rèpaci per la saggistica con Il compagno dell'anima. I Greci e il sogno e il premio De Sanctis (categoria saggio breve) per l'Introduzione a Il mito greco (Gli eroi). Vive a Milano.
Pensavo che fosse un saggio sulla figura mitica di Enea, ma mi sbagliavo... Invece è un racconto in prosa dell'Eneide dove si alternano diverse voci: quella di un narratore onnisciente che si avvicenda alle voci e ai pensieri di vari personaggi come Didone, Anna, Enea, Amata... fino ad alcuni commenti dell'autore che ci spiega certi passaggi ed è così che si unisce la dimensione mitologica alla storia e alla tradizione romana. Purtroppo non mi ha dato niente di più a ciò che già conoscevo
Piacevole lettura sulle origini di Roma, una riflessione sul fatto che nessuno è autoctono o aborigeno e che tutti veniamo da un altrove. Spunti di riflessione.
Recensione di Enea, lo straniero. Le origini di Roma, G. Guidorizzi (2020)
Roma, città di stranieri
Come nacque la città di Roma? Quali sono le origini del più grande impero della storia dell’uomo? Ce lo racconta Giulio Giudorizzi.
Immergendosi nei versi dell’Eneide di Virgilio, Giulio Guidorizzi ripercorre le tappe del viaggio di uno dei più noti eroi del mito. Costretto dalla guerra a lasciare la sua patria e a scappare con quanto di più caro gli rimane per poi mettersi in mare con la speranza di raggiungere il prima possibile una nuova terra che accolga lui e la sua gente, la storia di Enea non è poi tanto diversa da quella dei centinaia di migranti che ogni giorno approdano sulle coste del nostro continente. Come molti altri, anche Enea si trova a intraprendere un viaggio senza meta, una fuga verso l’ignoto, che però alla fine porterà l’eroe e gli altri esuli a sbarcare in quella che Virgilio chiamò l’humilis Italia e a dare le origini a una città destinata a diventare la più grande di tutti i tempi.
Memoria di sé “All’alba, alcuni si dispersero a raccogliere ciottoli sulla riva del mare, per portare con sé un frammento minuscolo della patria perduta…Con il cuore stretto, videro sparire il luogo dove erano nati e cresciuti, sapendo che non l’avrebbero più rivisto, sinché anche l’ultima striscia di terra fu inghiottita dalla bruma…Quello fu l’ultimo saluto dei Troiani alla loro città distrutta”. Giulio Guidorizzi lo spiega bene: la storia di Enea inizia con il dolore dell’abbandono. Abbandono della propria patria, delle proprie origini, del proprio passato. Non appena prendono il largo, Enea e i suoi si accorgono che i loro ricordi sono stati improvvisamente spazzati via, arsi dalle fiamme che hanno distrutto la loro città. Nulla della loro vita passata rimane. Ora che i loro beni e le tombe dei loro antenati sono finiti sotto le macerie, spetta a Enea dare speranza ai Troiani impauriti. E così, alla morte del venerando padre Anchise, sarà il pio eroe a divenire il nuovo pater e a perpetuare il culto degli dei Penati, unico ricordo tangibile della sua casa e delle sue origini.
L’incontro con l’altro Pater. Stranieri si è sempre. Questo il titolo del secondo capitolo del libro, che apre un’ampia sezione dedicata alla narrazione del viaggio di Enea e degli altri profughi nel Mediterraneo. Non sono solo i luoghi e il tempo a scandire le tappe della navigazione. Fin dalle prime pagine, Guidorizzi ricorda che Roma fu soprattutto un «mondo di stranieri», una città nata da un accumulo di «gente raccogliticcia» e fiorita, nel corso del secoli, grazie alla sua grande apertura verso l’altro. È proprio l’incontro con l’altro il filo rosso che, soprattutto in questa seconda parte del libro, mette in collegamento la storia personale di Enea con quella dei numerosi personaggi con cui l’eroe, nel suo lungo peregrinare, viene a contatto. Tra questi spicca, di certo, quello di Didone. Ma nemmeno il profondo sentimento che lo lega all’amata regina di Cartagine riuscirà a distogliere Enea da ciò che il fatum ha in serbo per lui.
Un viaggio nelle radici della nostra cultura In questo libro, Guidorizzi si immerge nei versi della poesia virgiliana, senza tralasciare di soffermarsi nella spiegazione degli usi e dei costumi dell’antica Roma. Così, per esempio, attraverso la descrizione di divinità come quelle dei Manes e di alcune feste e cerimonie, come i Parentalia, i Lemuria e la pompa funebris, Guidorizzi espone la concezione che i Romani avevano della morte e del rapporto di essa con il mondo dei vivi. Numerosi sono dunque gli spunti di riflessione di carattere antropologico offerti da questo grande saggio narrativo, che potremmo, in conclusione, definire una rilettura moderna e attualizzata della storia delle nostre radici più antiche.
e sono gentile (solo x didone ed eurialo e niso) non è che non mi è piaciuto leggerlo o ho fatto fatica che proprio il vomito mi sgorgava dalle orecchie, ma proprio ci sono sbagli strutturali che se ti consideri scrittore non puoi fare, tipo la narrazione esterna all'inizio che poi diventa un saggio e si menzionano freud e altri capocchi amici suoi ma scusa?? mi stavi facendo un retelling della storia??? non si può così secondo la mia ignorantissima e modestissima opinione. inoltre!!! digressioni completamente inutili mentre sono state tralasciate cose molto più interessanti ed inerenti alla storia: esempio -> se giulio ci tenevi così tanto a parlare del futuro di roma, invece di porca miseria dirmi tutti i rituali che facevano per ogni mannaggia di divinità minore, potevi parlarmi di quando anchise, nell'aldilà, mostra ad enea le anime dei suoi discendenti che si dovevano ancora incarnare boh
#1 “Strano eroe, Enea! Nell'Iliade sembra uguale agli altri guerrieri: un uomo capace di gettare tutto se stesso nella lotta, che prova rabbia e desiderio di uccidere, che urla e scaglia massi, che accetta ogni sfida per la propria gloria, senza mai avere paura. Ma il mito greco già da subito lo dipinse al centro di un atto diverso da quello eroico: la pietà per il padre, la difesa di un debole.” #2 [Arpie] “I mortali schifosi noi li odiamo. Sembrano giovani e belli ma dentro sono fradici, come carogne marce. Apri un uomo e rovescialo: ci troverai cose mollicce e deperibili, come vedete in queste bestie squarciate. Vi facciamo orrore? Noi siamo fuori come voi mortali siete dentro.” #3 “Cantano le Parche, e il destino si srotola; ogni giorno che passa ne contiene una infinitesimale frazione e noi non lo sappiamo. Come solo nei luoghi deserti, se tutto tace e non vi è voce o traccia di uomo o animale, può accadere che si intenda la silenziosa voce del vento, così solo in certi momenti, se l'anima è aperta e nulla, proprio nulla, la ingombra, può accadere che si senta, esilissimo e per un solo attimo, il fruscio del filo che si srotola, e solo per un attimo si percepisca il destino che compie il suo eterno ciclo e conduce in un luogo sconosciuto.” #4 “Il suo corpo mi piaceva, anzi ne ero stregato e la amavo, ma ora so che il mio cuore non si è mai dato a lei sino in fondo, e non potrei spiegarti la ragione; eppure non ho incontrato nessuna donna che le stesse alla pari. Elena a Troia era molto più bella, ma Didone aveva in sé qualcosa di più grande della passione. Non pensava a sedurre, anzi al di fuori di me era inaccessibile. Ho capito che voleva essere padrona del suo destino e guidare il suo popolo. Ha fondato da sola una città: io non ne sono stato ancora capace. […] Mai ho incontrato una donna così abile e forte, in un attimo prendeva la decisione giusta, ed era sempre la più saggia. Tutti i suoi sudditi l'amavano; passava tra loro come la stella del mattino, e io camminavo al suo fianco.” #5 “Durante la vita, talvolta accade di vivere momenti perfetti, senza passioni, senza dolori, come se una suprema calma ti avvolgesse e ti sentissi in armonia con il tutto, dentro e fuori di te: quaggiù, questa è la felicità riservata ai buoni. Tutto è in pace, e ti circondano solo le sensazioni belle che hai provato in vita. Il male è svanito, come si lava una macchia da una stoffa.”
Riscrittura magistrale del poema epico e nazionale romano di Virgilio da parte del grecista G. Guidorizzi. Come nel caso di “Ulisse”, l’opera è coinvolgente e interessante dal punto di vista contenutistico e strutturale, presentandosi con una forma ibrida tra il saggio e il romanzo. Ho apprezzato la scelta dell’autore di conservare e dare risalto a una grande qualità di Virgilio: la sua umanità, che emerge soprattutto nell’attenzione riservata alle vicende degli sconfitti e dei deboli (si pensi alla descrizione dell’incedere stentanto del figlio Ascanio e del padre Anchise, salvati da Enea durante l’incendio di Troia) e nella rappresentazione del conflitto interiore di Enea, costretto dal fato ad anteporre il suo munus e ruolo di pater della futura stirpe romana alla sua personale felicità. Guidorizzi rende il classico accessibile anche ai non addetti ai lavori o a chi muove i primi passi nell’epica antica: in questo senso, è perfetto come saggio di approfondimento per studenti liceali del biennio, anche per la prosa piana e il lessico semplice (i termini più specifici vengono tutti adeguatamente spiegati e contestualizzati). Ho trovato di grande interesse le digressioni storico-antropologiche (per esempio, la citazione del “Ramo d’oro” di Frazer) che arricchiscono la narrazione e ne approfondiscono alcuni temi, stimolando l’interesse nel lettore. Unica nota “dolente”: alcuni passaggi dalla narrazione principale alle digressioni potevano essere resi in modo più lineare.
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Una delusione. Mi era piaciuto molto "Io, Agamennone" e, preso da una improvvisa passione per l'Eneide, ero sinceramente curioso del racconto in prosa di Guidorizzi, soprattutto delle divagazioni che nell'altro faceva per meglio spiegare i comportamenti dei personaggi in quanto figli di una determinata epoca storica lontanissima dalla nostra. La narrazione è invece molto scarna, da molte cose per scontate, le divagazioni sono poche e molto esigue. Anche le sue invenzioni letterarie sono deboli (eccezion fatta per la parte su Camilla); i monologhi, soprattutto quello di Didone, sono orribili.
"[...] sino alla linea dove l'acqua dolce si mescola a quella salata"
sempre detto che l'eneide è la perfetta commistione dei due poemi omerici. guidorizzi è stato capace di rendere un poema epico fruibile ad un pubblico più ampio rispetto alla sola platea di classicisti (qui presente), godibilissimo e con i dovuti approfondimenti per chi è ancora profano di certe nozioni.
Ottimo come introduzione per chi volesse leggere o conoscere meglio l'Eneide poiché ne ripercorre i fatti e i personaggi. Personalmente avrei preferito, e mi aspettavo, meno narrazione didascalica degli avvenimenti del poema e più analisi e curiosità sulla Roma delle origini e sul significato del mito di Enea per la nascita della città e della romanità.
Enea, l'eroe migrante. Nei nostri giorni questa definizione potrebbe suonare quasi ossimorica e, invece, la leggenda narra che è proprio da un profugo che è nata la civiltà più grande di sempre. Questo romanzo narra del percorso da Troia a Roma, facendo conoscere le tappe salienti di una vicenda familiare che non smetterà mai di affascinare.
Guidorizzi ci porta in viaggio con Enea ed ogni episodio è terreno per nuovi spunti di riflessione ed approfondimenti; la sua rilettura dà al poema un respiro più moderno. Una lettura leggera e scorrevole, ma mai noiosa.
Libro molto utile per chi debba affrontare la lettura dell'Eneide. Non è un riassunto, ma un racconto che può dare preziose indicazioni sul senso del vagare di questo eroe troiano che è approdato in terra italica, divenendo il capostipite della storia romana, a metà tra leggenda e storia.
Piacevole rilettura della storia di Enea, molto ben scritta ed accompagnata da flash-forward nella mitologia e nella storia antica romana che aggiungono fascino alla narrazione e rendono molto bene la differenza tra l’epica e la mitologia greca e quella latina.
Una versione romanzata in prosa dell’eneide che ho apprezzato molto! Se cercate una versione abbordabile, ben scritta, chiara e lineare dell’opera di Virgilio fa al caso vostro! (Slay enea un golden retrive boy assoluto, al tempo lo chiamavano pius perché sMASH non lo avevano ancora inventato)
Per me è un no. Ben scritto ma purtroppo non aggiunge nulla a ciò che già si conosce sull'Eneide. Non è un saggio, ma più che altro un racconto in prosa dell'avventura di Enea.