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210 pages, Kindle Edition
First published February 5, 2019
He wants us to collaborate on his book. I'll make space for you in the text, he says... Can a story ever belong equally to two people?
Nel canone a due voci, in musica classica, trovano ristoro, appunto, due voci: la prima è chiamata antecedente e governa un po’ il brano suonando la melodia; la seconda, detta conseguente, si occupa di suonare un contrappunto alla melodia. L’intreccio che ne viene fuori ha più livelli di ascolto: possiamo focalizzarci sul dialogo fra le due voci; possiamo privilegiare l’ascolto della melodia oppure quello del contrappunto; infine possiamo cercare di capire dove il compositore ha messo più “in difficoltà” la fluidità della melodia con il contrappunto. La distanza, il romanzo dello scrittore sudafricano di origini croate Ivan Vladislavić, tradotto da Carmen Concilio per Utopia editore, si può leggere proprio come si ascolta un canone a due voci.
Joe, pur essendo il fratello minore, svolge il ruolo di antecedente, sfogliando il suo immenso archivio su Muhammad Ali, nel periodo che va dall’inizio degli anni ‘70 alla metà dello stesso decennio, ovvero nel momento in cui il pugile combatté la così detta Sfida del secolo contro Frazier e gli incontri storici con Foreman e Bob Foster. Branko, invece, si inserisce in questa ossessione del fratello come un contrappunto familiare, mostrando al lettore com’era il Sudafrica degli anni ‘70 del Novecento, come viveva una famiglia piccolo borghese in un quartiere residenziale di Pretoria, l’arrivo degli elettrodomestici e delle più moderne comodità. La famiglia di Joe e Branko, anche lei di origine balcanica, si muove compassata nello svolgersi degli eventi, in una trasformazione appena visibile e che pure erode alcune certezze e ne cementa delle altre.
Mia madre prende le mie mani tra le sue e passa il pollice sulle mie nocche. Alla punta l’anulare curva all’interno, proprio come quello di Papà, e di mio Nonno Blahavić. Questa curvatura è il marchio degli uomini Blahavić. (p. 129)
I capitoli scritti da Joe sono composti da pagine che alternano narrazione a documentazione: le citazioni dei molteplici ritagli di giornale su Ali si inseriscono nel testo con un font di colore grigio, così che la lettura non venga interrotta e anzi benefici di un cambio di registro interno. Le descrizioni più visive sono senza dubbio la cosa più riuscita della scrittura di Vladislavić, poiché si scontrano con la necessità di mostrare qualcosa che non c’è. Non ci sono immagini sulla pagina e, soprattutto, non ci sono immagini di Muhammad Ali nella testa e nei ricordi di Joe. Quest’ultimo, infatti, non ha mai visto combattere Ali, se ne è innamorato per i racconti alla radio e per le cronache sui giornali e le riviste. La lingua, insomma, ha forgiato un’immagine della quale Joe si sente innervato. È per questo che, da scrittore, Joe Blahavić, dopo che i suoi genitori sono morti, in età adulta, si tuffa di nuovo negli album di ritagli su Muhammad Ali: vuole scrivere un libro sul pugile che lo ha conquistato. Le difficoltà incontrate, però, sono enormi e l’aiuto di Branko (che di mestiere fa il montatore di film ed è invece abituato a lavorare con le vere immagini) è insufficiente.
Nel corso di vent’anni ho sfogliato quegli album non so più quante volte, poiché intendevo scriverne qualcosa, incuriosito nuovamente da ciò che avrebbero potuto rivelare del mondo in cui ero cresciuto. Ma sembrava che il libro mi sfuggisse. (p. 23)
L’ossessione di Joe viene ricostruita a posteriori, intrecciata alla storia familiare che Branko racconta nei capitoli in cui Vladislavić decide di suonare il contrappunto. Nel frattempo assistiamo all’evoluzione del paese, ad un ampio e dilatato discorso sul razzismo e sulla violenza. Negli ultimi capitoli del libro (forse i migliori) Branko è un uomo maturo e oramai padre. I rapporti che intrattiene con suo figlio e la sua fidanzata costruiscono l’appendice di una crescita sociale, affettiva, familiare e culturale, iniziata negli anni ‘70 proprio con l’uragano Muhammad Ali in quanto elemento dirompente nel dibattito pubblico, soprattutto di un paese complesso come il Sudafrica. Ma perché proprio Ali? Risponde Joe: «Tutti quanti sanno che Muhammad Ali era più che un pugile, era un artista» (p. 185). Insomma, Ali era altro, dimostrava che le categorie sono fragili già nel momento in cui vengono dette e delineate.
Il romanzo di Vladislavić, pur senza particolari guizzi narrativi o plot twist mozzafiato, ma grazie a una scrittura lineare e consolidata, conduce facilmente il lettore dal micro al macro, dalla ricostruzione alla distruzione, gli fa indossare lenti che allontanano e lenti che avvicinano, in definitiva lavora incessamente sulla distanza che malgrado tutto permane tra la melodia e il contrappunto.